Misteri ed ... i Figli d'a Nunziata
'O Munaciello
rappresenta lo spiritello dispettoso e
bizzarro piu' citato nei racconti misteriosi di Napoli. Al comportamento dispettoso
spesso si accompagnano benevoli "lasciti" in moneta contante. In questo
caso non bisogna rivelare a nessuno l'episodio, pena l'accanimento nefasto
nei nostri confronti.Troppo frequente, e strana era la sua presenza nelle
case abitate da Belle Donne, dove aveva un comportamento "molto audace".
Molti dicono che tutto inizia intorno all'anno 1445 durante il regno Aragonese.
La bella Caterinella Frezza, figlia di un ricco mercante di stoffe, si innamora
del bel Stefano, un garzone. Naturalmente l'amore tra i due e' fortemente
contrastato. Il fato volle che finisse in tragedia. Stefano viene assassinato
nel luogo dei loro incontri segreti mentre Caterinella si rinchiude in un
convento. Di lì a pochi mesi nascerà un bambino da Caterinella. Le suore del
convento lo adotteranno cucendogli loro stesse vestiti simili a quelli monacali
con un cappuccio per mascherare le deformita' di cui il ragazzo soffriva.
Gli si attribuirono poteri magici fino ad arrivare alla leggenda.
Altri invece dicono che il Munaciello
era il Gestore degli antichi pozzi d'acqua.Questi poteva entrare di nascosto
in tutte le case collegate al suo pozzo, e se aveva una "buona accoglienza"
dalla bella di casa, il povero marito cornuto trovava i soldi, altrimenti
sparivano gli oggetti o avvenivano tanti fatti strani !!!
Questo personaggio molto spesso è associato alla parte cattiva dell'animo
umano, al demonio che si nasconde e che e' sempre pronto ad afferrarci e che
i napoletani creduloni e paurosi cercano sempre di scansare.
GLI ESPOSITO
La pratica di raccogliere bambini abbandonati presso case di accoglienza inizia quasi certamente con Innocenzo III che, nel 1198, volle fortemente un brefotrofio presso l’attuale ospedale S. Spirito di Roma perché non era raro trovare nelle strade della città cadaveri di bambini, neonati e non, morti di freddo e fame, con i corpicini dilaniati dai cani randagi. I brefotrofi si diffondono, poi, dappertutto. La Casa Santa dell'Annunziata o Ave Gratia Plena, fu eretta nel XIV secolo in epoca angioina come ex voto di due nobili napoletani liberati dalla prigionia. Vi fu poi istituita una confraternita di Battenti e Repentiti, cui si iscrissero i maggiori feudatari del Regno, che fondò un ospedale per gli infermi poveri. La memoria popolare attribuisce ai confratelli il ritrovamento in una notte del 1322 di una neonata in fasce su cui era scritto "buttarsi per povertà"; da questo momento raccogliere e nutrire i trovatelli fu lo scopo principale dell'opera pia. La regina Sancia, moglie di Roberto d'Angiò, nel 1343, eresse a sue spese una nuova chiesa con un grande ospizio che, con il tempo e l'accrescersi delle ricchezze, moltiplicò le opere di beneficenza, tanto che si fondò pure un Banco di prestiti su pegni. Il continuo aumento delle spese e una cattiva amministrazione determinarono nel 1702 il fallimento del Banco per quattro milioni di ducati. Questo dissesto ridimensionò le opere di pietà che si limitarono all'assistenza ai bambini abbandonati. Uno spaventoso incendio poi distrusse gran parte dell'edificio dell'ospedale e l'intera chiesa nel 1757. Il complesso fu ricostruito successivamente su progetto del Vanvitelli.
La buca dell’Annunziata era larga un palmo quadrato, poi fu rimpicciolita a tre quarti di palmo quadrato per scoraggiare l’immissione di bambini non neonati. Si ha testimonianza, tuttavia, di bambini già grandicelli, cosparsi di olio, che venivano spinti fino alla rottura degli arti e non sopravvivevano al passaggio per le numerose fratture o lesioni interne. L’immissione dei "figli della colpa"nella ruota garantiva l’anonimato di chi li consegnava ed assumeva anche un valore simbolico perché il passaggio attraverso il muro, per mezzo del torno, trasformava i bambini in "figli della Madonna".All’esterno, al di sopra della ruota, vi era un puttino di marmo con la scritta: “O padre e madre che qui ne gettate / Alle vostre limosine siamo raccomandati”. Gli ospiti dell’istituzione venivano chiamati anche “figli d’a Nunziata” o “esposti” e godevano di particolari privilegi. Alcuni venivano trovati con al collo un foglio di carta con il nome dei genitori, o portavano con sè qualche pezzo di oro o di argento; altri non avevano nessun segno. Tutto quello che indossavano e qualsiasi segno particolare veniva annotato in un libro, in modo da rendere più facile un eventuale riconoscimento da parte dei genitori. I neonati venivano ospitati nella struttura sino alla maggiore età. Nei registri, comunque, erano segnate tutte le notizie relative al bambino che potessero servire, un giorno, al suo riconoscimento. Talvolta accadeva che la madre o il padre tornassero a riprendere il proprio figlio una volta migliorate le condizioni di vita, era anche frequente che la madre si presentasse come balia riuscendo ad allattare il bambino ricevendone anche un compenso. Una volta entrati nella Santa Casa, però, i bambini vivevano in pessime condizioni, gli ambienti erano sporchi e malsani, il nutrimento spesso insufficiente, le cure quasi inesistenti. Molti degli "esposti"morivano entro la prima settimana di permanenza, i più fortunati venivano affidati a balie esterne che, anche in tal caso, ricevevano un compenso. Non di rado accadeva che coppie senza figli si recassero al brefotrofio e scegliessero un bambino da allevare come proprio, dopo averne fatta regolare richiesta al Governatore dell’opera pia. Non si può negare, però, che certi comportamenti nascondessero un secondo fine: i maschi si adottavano per sfruttarne la forza lavoro, le femmine si sposavano per avere la dote che la Sacra Casa destinava ad ogni fanciulla proprio per favorirne la sistemazione. I maschi che rimanevano al brefotrofio, una volta raggiunti i sette anni, venivano affidati a qualche artigiano per imparare un mestiere, quelli che sembravano inellettivamente più vivaci venivano avviati agli studi o al sacerdozio. Le ragazze, invece, venivano educate ai " lavori femminili"oppure avviate alla vita religiosa e, se una volta sposate rimanevano vedove, potevano ritornare alla Santa Casa. Tutti i bambini ricevevano il nome di battesimo dalla balia che li aveva in carico, il cognome era uguale per tutti: Esposito. Gioacchino Murat volle l’abolizione di tale usanza nel 1814 mentre la ruota venne definitivamente abolita nel 1875.
Bambini maltrattati, sfruttati, mutilati, orfani. Orfani di genitori ma soprattutto del futuro; del diritto a crescere in un clima di stabilità , sicurezza e affetto... Fanciulli a cui è stata negata l’età dell’innocenza e il privilegio della fantasia."
I misteri dei Principi de Sangro
La cappella patronale della famiglia
de’ Sangro, fu costruita dal duca Giovan Francesco di Sangro di Torremaggiore,
valoroso soldato, in seguito ad un voto (dopo essere stato miracolosamente
guarito da una malattia ), fatto alla Vergine della Pietà,la cui effigie in
origine era in affresco su un muro del giardino del suo palazzo;nel 1590 l’affresco
fu poi staccato dal muro e collocato nella Cappella ,allora congiunta al Palazzo
de’ Sangro mediante un passaggio distrutto nel 1889 .
Il vero fondatore della Cappella Sansevero fu, però, Raimondo de’ Sangro,principe
di Sansevero e di Castelfranco,duca di Torremaggiore e Grande di Spagna, che
ai suoi tempi si distingueva per gli studi, la cultura e l’amore per l’arte.
Tra stregonerìa ed alchimia, sul suo conto la dicerìa popolare creò
miti e leggende :si disse che il principe, in continuo contatto col diavolo,
nel suo palazzo si fosse macchiato di crimini orrendi, stupri e sevizie, che
avesse fatto accecare lo scultore Sammartino per paura che questi potesse
concepire un altro “Cristo velato”,che avesse personalmente condotto esperimenti
sui vivi, in particolare su una coppia di servi, oggi scheletri nella Cappella
perché la donna si era ribellata alle sue voglie, che avesse fatto costruire
poltrone con ossa umane e, in odore di sacrilegio, che il cavo della sua lampada
eterna fosse il cranio di una cameriera. Il principe di Sansevero era un mago-stregone
ma anche un uomo colto, scienziato ed alchimista, inventore persino di macchine
idrauliche,gran mecenate e figura carismatica,che occupò un posto rilevante
nella vita culturale della Napoli settecentesca.
Nel 1750 Raimondo iniziò l’opera chiamando a Napoli alcuni dei migliori artisti
italiani. dell’epoca, tra cui il Corradini, il Querolo il pittore Nicola Maria
Rossi, Paolo Persico e Francesco Maria Russo, che si adoprarono al massimo
per edificare questa splendida costruzione. La facciata è modesta ma,dalla
piccola porticina alla calata San Severo o dalla Porta Grande,si entra in
un ambiente talmente affascinante da risultare simile ad un’apparizione fiabesca;
una lapide è datata 1766, ricordo dell’anno in cui il principe ritenne di
aver portato a termine la sua opera.
Questa chiesetta è di forma rettangolare, con un’ unica navata con quattro
grandi archi per le quattro Cappelle; tra gli archi acuti e il cornicione
si trovano dei capitelli corinzi in stucco,disegnati dallo stesso principe
e la volta,affrescata dal Russo nel 1749,rappresenta la “Gloria del Paradiso”
con cupolette ,costoloni, archi e finestre da cui si affacciano i sei santi
della famiglia. Sempre del Russo sono la cupoletta, affrescata sulla volta
dell’altare, e i disegni sulla piccola balconata, mentre invece sono opera
del Querolo gli archi delle cappelle,con i cardinali della famiglia nei sei
medaglioni ,e altri quattro medaglioni con ritratti decorativi sui monumenti.
Sulla porta maggiore è collocata una piccola tribuna dalla quale partiva il
passaggio tra la chiesetta e il Palazzo.
Il pavimento è formato da marmette colorate eseguite, pare, personalmente
dal principe ,con disegno non finito, quasi uguale al rilievo dell’intarsiatura;
l’altare maggiore è diviso dalla Cappella da un arco, sulla cui volta è affrescata
una cupola con cupolina, con un effetto, una e prospettiva ed una luce tali
da ingannare facilmente l’osservatore sulla reale esistenza della cupola .Sotto
ogni arco c’ è un monumento sepolcrale con la statua del componente della
famiglia lì sepolto e presso ogni pilastro l’urna della rispettiva consorte
,con sculture rappresentanti le virtù della dama .Completano le opere un medaglione
con ritratto, lo stemma della casata e le iscrizioni latine dettate da Raimondo
;sull’altare ,sostenuta da angeli di stucco, è collocata l’immagine della
“Pietatella”.
Nella Cappella si trovano opere splendide tra le quali spiccano Il Sepolcro
di Cecco di Sangro e la Deposizione del Celebrano ,e le tre splendide sculture
“velate” ,La Pudicizia del Corradini,,Il Disinganno del Queirolo e, soprattutto,il
famoso Cristo Velato o Cristo morto del 1753,opera di Giuseppe Sammartino
su bozzetto del Corradini,di eccezionale espressività, che fa parte dei trentasei
modelli lasciati al principe de Sangro ,prima della morte,dallo stesso Sammartino
Posto al centro del pavimento della Cappella l’opera s’impone per la bellezza
e la singolarità,e non può che destare ammirazione e meraviglia, pensando
anche che sarebbe stata eseguita in soli tre mesi. Unanime è il giudizio positivo
su quest’opera per il sorprendente realismo e per l’espressività.
La statua,ultimata, fu in un primo momento portata nella bottega del Queirolo
e poi successivamente trasportata nella cappella stessa, con una base rettangolare
recintata da una ringhiera di ferro.
Il cadavere del Cristo, col capo leggermente reclinato a destra e adagiato
su due guanciali, è collocato su un materasso di marmo bianco,poggiante su
una base con panneggio in marmo bardiglio .Un sudario,drappeggiato in pieghe
minutissime,aderisce per intero alla figura,facendo perfettamente trasparire
la muscolatura del corpo e perfino i fori dei chiodi alle mani e ai piedi.L’esecuzione
del velo,leggero e trasparente sul corpo senza vita,è straordinaria,con effetti
plastici che meravigliano per il realismo dell’esecuzione che da sempre colpisce
l’osservatore,sia l’uomo comune che lo studioso . Lo stesso Canova ammirato
da tale maestrìa,cercò di acquistare l’opera a qualsiasi prezzo.
Studi approfonditi sono giunti alla conclusione che il velo non è di marmo,
bensì di stoffa finissima marmorizzata dal principe con procedimento alchemico
così perfetto da costituire , insieme alla scultura sottostante del Sammartino,
un’unica opera.
E’ stata ritrovata l’autentica ricetta segreta ideata ed usata personalmente
dal principe per preparare il velo contenuta in un documento ritrovato all’Archivio
Notarile di Napoli,nel quale il Sammartino s’impegnava anche a non svelarla.
Lo stesso procedimento alchemico sicuramente è stato usato per le altre due
sculture “velate” :La Pudicizia e il Disinganno.
La bellezza e il fascino della Cappella Sansevero procurano delle emozioni
che vale proprio la pena provare, non disgiunte dall’ammirazione per l’ illustre
napoletano del secolo dei lumi che ne fu il vero artefice: il mago, l'alchimista
diabolico "Principe Raimondo".