IL NAPOLETANO

LA NOSTRA STORIA

. . . PASSATA ! ! !

GIUSEPPE PIAZZOLLA

I Bizantini
L’impero romano dopo aver degradato Napoli a municipio romano, spostò l’attenzione commerciale verso Capua. L’imperatore Valeriano III portò a termine i lavori di fortificazione delle mura di Napoli, ma nel 476 quando Romolo Augustolo, ultimo imperatore romano d’occidente, fu catturato da Odoacre e rinchiuso nella prigione sull’isolotto di Megaris, fu la fine !. Pochi anni durò il dominio di Odoacre che fu battuto da Teodorico che parve ridare alla città il suo splendore, rifiorirono le attività commerciali e la flotta riacquistò potenza ed importanza, ma con la morte di Teodorico ed alcune calamità naturali (eruzione del Vesuvio e crisi alimentare) Napoli ritornò nel baratro dal quale era risalito.
Napoli , come tutti i territori bizantini, era esposta al pericolo longobardo per cui l’organizzazione militare divenne, non solo necessaria, ma la principale preoccupazione; la città seppe ben tenere fronte a quest’impegno, in modo particolare con la sua potente flotta la quale più volte sbaragliò Longobardi ed arabi.
Agli inizi del VII secolo, l’imperatore Bizantino Costante II, contrariamente alla regola che voleva l’esarca di Ravenna unico deputato ad insignire dignità ducale, nominò Dux il cittadino napoletano Basilio.
Questo fatto fece pensare che Napoli fosse diventata indipendente. In realtà non era proprio così. La città dipendeva ancora dall’Imperatore ma doveva, anche, fare i conti con la Chiesa e con i Franchi i quali videro, a Natale dell’800, il loro capo Carlo Magno incoronato dal Papa Leone III quale imperatore d’occidente. 
La situazione napoletana non era molto rosea: da una parte i Franchi e i longobardi , dall’altra i Bizantini ed il problema interno della successione alla dinastia ducale che vide aspre lotte interne ed un alternarsi al potere di Antimo, Teocristo e Stefano.
Tutto questo fino all’ 840, anno in cui il popolo stanco da infinite guerre interne ed esterne, insorse contro l’aristocrazia e nominò duca il conte di Cuma, Sergio.
Duranti i 25 anni di regno nel ducato napoletano Sergio, uomo colto ed aristocratico, badò molto a coltivare le relazioni con i Franchi e la Chiesa, si oppose alle orde saracene e mise ai posti strategici alcuni dei figli, quali Attanasio e Stefano, mentre un altro figlio, Cesario, sconfiggeva i Saraceni in una sanguinosa battaglia navale ad Ostia.
Le altalenanti alleanze dei napoletani, ora con e ora contro i saraceni i franchi, i comportamenti dei loro Dux (Sergio II fu accusato di aver fatto di Napoli un’Africa; Attanasio (fece accecare e imprigionare Sergio, suo fratello), indebolirono pericolosamente il Ducato che corse il pericolo di una conquista araba, sventata grazie al bizantino Pincigli.
Le sorti dei governi napoletani che si succedettero non furono migliori ed i comportamenti dei Dux Giovanni III e Giovanni IV non si discostarono da quelli dei loro predecessori, fino a quando, Giovanni IV, fu spodestato con l’inganno dal marchese Ademario, che si giovò dell’aiuto dell’imperatore di Germania. Dal 661 al 1137, avvento dei Normanni con Ruggiero I, Napoli ebbe 37 Duchi a partire da Basilio nel 661 a Sergio VII nel 1123:

I Normanni
La Napoli bizantina e dei ducati era in piena agonia quando, nel 1137, l'ultimo duca di Napoli, Sergio VII non potendo nulla contro lo strapotere e l'esercito di Ruggiero II il normanno, dovette aprirgli le porte della città. I normanni, di provenienza scandinava era arrivati in Campania agli inizi dell'anno mille, chiamati dal Duca Sergio IV. Questi era stato spodestato, con l'aiuto dei nobili napoletani, dal longobardo Pandolfo IV di Capua nel 1029; scappato a Gaeta, Sergio, incontrò Rainulfo Drengot il normanno. Grazie all'aiuto di questi, Sergio IV, rientrò in città. Per disobbligarsi, Sergio, regalò a Rainulfo la città di Aversa. In breve tempo Aversa, fortificata ed organizzata, chiamò dalla Scandinavia altri northman (gli uomini del nord) ed in pochi anni i normanni divennero i padroni incontrastati.
I normanni portarono al Ducato una nuova organizzazione, favorirono l'integrazione dei diversi fattori etnici, il commercio divenne fiorente e il porto di Napoli divenne il più importante del Mediterraneo. La Chiesa perse i suoi caratteri bizantini per divenire chiesa romana d'occidente e le diatribe tra i nobili ed i mediani riguardanti le cariche pubbliche ebbero fine. Diciassette anni durò il regno di Ruggiero II, morì all'età di 61 anni il 26 febbraio del 1154, lasciando sul trono (in Sicilia) il terzo genito Guglielmo I detto il Malo(i primi due erano morti in battaglie). Guglielmo rimase sul trono per 12 anni, anni che furono funestati da battaglie ed eventi negativi; da una parte Bisanzio voleva riconquistare il Regno, dall'altra, la Chiesa, temendo per la potenza sempre più crescente dei normanni, strizzava l'occhio al Barbarossa e, infine, la morte del primo genito Ruggiero che gli aveva insidiato il trono. La morte lo colse nel 1166 all'età di 45 anni, suo figlio Guglielmo II gli successe ancora bambino (era appena dodicenne). Durante il regno di Guglielmo I la città di Napoli vide innalzarsi, sull'isolotto di Megaride, Castel dell'Ovo e, a settentrione della città, nella via che menava a Capua, Castel Capuano. Guglielmo II detto il Buono, fece poco o nulla, la cosa più eclatante fu che, per scongiurare la minaccia sveva, concesse Costanza D'Altavilla (sua zia, era figlia di Ruggiero II) in sposa ad Enrico Hohenstaufen, figlio di Federico Barbarossa. Questo fece sì che, in futuro, si spalancassero le porte del Regno di Sicilia alla dinastia sveva.

Gli Svevi

La dinastia Sveva a Napoli vede il suo primo sovrano in Enrico VI, figlio di Federico I, detto il Barbarossa, e marito di Costanza D'Altavilla, figlia di Ruggiero II il normanno. Il Barbarossa, al fine di riprendersi i territori del Regno di Sicilia, aveva combinato il fidanzamento tra il figlio Enrico e Costanza che, era divenuta l'erede del regno. Il matrimonio avvenne il 27 gennaio 1186. Nel frattempo a Napoli era stato incoronato Tancredi, che si diceva erede degli Altavilla e, quindi, Federico stava organizzando una spedizione quando, nel giugno del 1190, morì annegato. Enrico VI, dopo un primo tentativo andato a vuoto e dopo la morte di Tancredi e l'ascesa al trono del figlio piccolo, Guglielmo III, grazie all'appoggio di Riccardo cuor di leone, il 25 dicembre 1194 fu incoronato a Palermo. Enrico VI si guadagnò, ben presto, l'appellativo di "Il Crudele", per la ferocia dimostrata contro coloro che si erano opposti alla sua corona. Enrico morì a Palermo il 28 settembre 1197, all'età di soli 37 anni, lasciando erede al trono di Sicilia il figlio Federico che poi sarà ricordato come lo "stupor mundi". Federico quando salì al trono aveva solo 3 anni, era nato il 26 dicembre del 1194. Dopo un anno dalla morte di Enrico, morì anche Costanza e Federico fu affidato al papa Innocenzo III, fino al 1208. Federico di Hohenstaufen, salì al trono col nome di Federico II. Le sue traversie ebbero subito inizio, egli in un primo momento trovò pesante l'ingerenza della chiesa nel suo governo ma poi, quando Ottone IV di Brunswich, minacciò il Regno, fu ancora la chiesa, con Innocenzo III, ad aiutarlo, prima scomunicando Ottone e poi facendolo deporre e nominare Federico al suo posto. Grandi furono i benefici e le riforme apportate. Federico morì a Fiorentino di Capitanata il 13 dicembre 1250, all'età di 56 anni.

Gli Angioini

Dopo la morte di Federico II di Svevia (febbraio 1250) il pontefice Innocenzo IV decise di offrire la corona di Napoli al fratello di Luigi IX di Francia, Carlo d'Angiò, purché rinunciasse al diritto di nomina e di giurisdizione sugli ecclesiastici e alla possibilità di unire la corona di Napoli  con quella imperiale, come invece era avvenuto con Federico II. Una settimana dopo la vittoria a Benevento su Manfredi, il 7 marzo 1266, l'angioino entrò trionfante in Napoli. Fu quella la prima volta in cui la città ospitò una corte e assunse la dignità di capitale: i nuovi sovrani si preoccuparono soprattutto del miglioramento della rete stradale e dell'abbellimento della città (fontane e bagni pubblici). All'interno delle mura la viabilità era garantita dalle tre strade perpendicolari (oggi via S. Biagio dei Librai, via Tribunali e via Anticaglia) caratterizzate da portici pubblici sotto i quali si svolgeva una vivace vita cittadina. Ma le opere degli angioini di maggiore importanza furono Castelnuovo, tipico esempio di residenza reale, che simboleggiava la roccaforte del loro potere, e Castel s.Elmo, fortezza costruita per proteggere la città. Carlo I pensava solo ai suoi interessi politici, prepotentemente mirava a consolidare il suo dominio in Italia (in Lombardia e Piemonte soprattutto, e in Toscana come vicario imperiale), e ad estenderlo verso i Balcani e verso il Vicino Oriente, arrivando addirittura a farsi proclamare re d'Albania. Incrementò anche il legame con il re d'Ungheria Bela IV, unendo in matrimonio i figli Carlo e Isabella con quelli del sovrano ungherese, Maria e Ladislao. Ma i successi dell'angioino furono seguiti da un graduale declino in Italia centro-settentrionale, fino all'improvvisa rivolta antifrancese in Sicilia (guerra del Vespro, 1282), capeggiata dalla nobiltà isolana e da Pietro III d'Aragona, sposo di Costanza figlia di Manfredi, dunque continuatore della dinastia sveva. Dopo due decenni di battaglie e gesta eroiche, si giunse nel 1302 alla pace di Caltabellotta, che sancì il distacco della Sicilia dal regno di Napoli e il passaggio della Sicilia agli aragonesi. Carlo I designò come successore il figlio, Carlo II, poco decantato dalla storiografia, che si spense nel 1309 nei pressi dell'ospizio Reale di Casa Nova a Poggioreale, lasciando il trono al figlio Roberto - duca di Calabria, principe di Salerno e capo dei Guelfi toscani. Non avendo eredi, questi destinò a succedergli la nipote Giovanna (Giovanna I), la prima sovrana veramente napoletana a guidare il Regno. Gli anni del potere di Giovanna furono violenti e ambigui fino al venire meno dell'alleanza con il papato e la corona ungherese; infatti, Carlo III di Durazzo, re d'Ungheria, organizzò una spedizione in Italia meridionale e, fatta prigioniera la sovrana, la fece soffocare da quattro sicari, impossessandosi, subito dopo, del regno. Da quel momento il passaggio definitivo della corona agli aragonesi fu breve: dopo il figlio di Carlo III, Ladislao, salì al trono la sorella di questi, Giovanna II, vedova di Guglielmo d'Austria, cresciuta all'ombra del sovrano e perciò incapace di governare. Infatti, spaventata dai tentativi di Luigi III d'Angiò di recuperare il regno, chiamò in suo soccorso Alfonso V d'Aragona..

Gli Aragonesi.
La dominazione aragonese iniziò il 2 giugno del 1442 (per finire 59 anni dopo nel 1501), dopo una guerra durata per quasi 4 anni e che vide, da una parte Renato D'Angiò e dall'altra Alfonso V d'Aragona. Dopo lutti, stenti e battaglie combattute porta a porta, Renato fu costretto ad imbarcarsi per fuggire e raggiungere la moglie Isabella di Lorena. Alfonso V divenne Re di Napoli come Alfonso I ed ereditò un regno ormai ridotto allo stremo e con le finanze a zero. Ma l'arduo impegno che lo attendeva non lo spaventò. In breve tempo la situazione cambiò radicalmente, imponenti opere vennero realizzate (restauro e o costruzione di fogne e strade), ristrutturazioni (a Casten Nuovo fu costruito l'Arco di trionfo, fu restaurata la grotta di Cocceio). Alfonso I morì, non amato dai napoletani, il 27 giugno 1458. Salì al trono suo figlio naturale: Ferrante (detto Il Bastardo). Questi si trovò subito a combattere contro le cospirazioni dei baroni che avevano chiamato a Napoli Giovanni D'Angiò. Il primo scontro, nel luglio del 1460 a Sarno, vide soccombere l'aragonese; l'anno dopo, Ferrante, si riscattò disperdendo i baroni ed i loro alleati allontanando, nel 1464, il D'Angiò dopo una furibonda battaglia nelle acque di Ischia. Ritornata la pace nel Regno, Ferrante si dedicò all'urbanistica della città, ormai non più capiente per gli oltre centomila anime che vi vivevano, inglobando nelle mura cittadine zone come l'Egiziaca a Forcella e Sant'Agostino alla Zecca. Durante il regno di Ferrante si verificò un evento luttuoso di grande portata che fece inorridire il mondo intero: gli 800 martiri d'Otranto che, per non aver accettato la religione ottomana, furono trucidati nel luglio del 1480. L'onta fu lavata dal principe Alfonso che nel 1481 costrinse i turchi alla resa. I resti di parte di quei martiri sono tutt'ora conservati nella Chiesa di S. Caterina a Formiello, sotto l'altare della Cappella del SS. Rosario.
Ferrante si trovò, per la seconda volta ad arginare una congiura dei Baroni che, nell'arco di 7 anni, furono giustiziati o morirono in prigionia per "cause naturali". Ferrante d'Aragone morì il 25 febbraio del 1494 lasciando sul trono suo figlio Alfonso. Il nuovo Re dovette subito affrontare, sei mesi dopo l'investitura, la casa D'Angiò che, con Carlo VIII, reclamava il suo diritto dinastico sul Regno di Napoli. Alfonso riparò in Sicilia ed abdicò in favore di suo figlio Ferrandino il 21 gennaio del 1495. Quest'ultimo provò ad arginare la discesa degli angioini ma fu costretto, senza combattere, a riparare prima ad Ischia e poi a Messina. Dopo una brevissima parentesi piratesca degli angioini, Ferrandino riconquistò il Regno il 7 luglio e sposò Giovanna d'Aragona ma morì a marzo dell'anno dopo, nel 1496. 
Senza figli di Ferrandino nacque, nel Regno il problema della successione. I nobili insediarono sul trono il fratello di Giovanna, Federico che ebbe breve vita: fu Re fino al 6 settembre del 1501 anno in cui, grazie anche al tradimento del Re spagnolo Ferdinando d'Aragona, dovette lasciare Napoli alle orde sanguinarie di Cesare Borgia e rifugiarsi in Francia dove morì nell'ottobre del 1504. Iniziava per Napoli l'età vicereale con Luigi d'Armagnac. 


I Borboni

Carlo VII era figlio di Filippo V di Borbone e di Elisabetta Farnese e quando arrivò a Napoli quel "pezzo di cielo caduto sulla terra" trovò una città avvilita e mortificata da 27 anni di dominazione austriaca e da 200 di vicereame. Carlo fu, prima Duca di Parma e Piacenza (1731-1734), poi Re di e di Sicilia (1734-1759), Re di Spagna (1759-1788). Il 10 maggio 1734, ormai diciottenne, Carlo entrò in Napoli e fu accolto a Portacapuana dalla nobiltà partenopea. Egli fu caldamente acclamato anche perché era il primo Re di Napoli residente a Napoli, finalmente i napoletani avevano il loro Re ! Iniziava a Napoli la dinastia dei Borbone. Carlo, nel luglio del 1735, fu incoronato, a Palermo, Re di Sicilia e, per volere della madre, nel 1738 sposò la quattordicenne Maria Amalia di Sassonia. L'autonomia del Regno di Napoli dalla Spagna fu sancita, definitivamente, dalla pace di Vienna e dal riconoscimento del Regno da parte del Papa, Clemente XII. Alla morte di Filippo V gli succedette al trono Ferdinando VI, ma la sua salute precaria preannunciava al trono di Spagna l'ascesa di Carlo III, cosa che avvenne nel 1759. Durante il regno di Carlo, videro la nascita imponenti opere monumentali, quali: Il Teatro San Carlo, nel 1737, la Reggia di Capodimonte e la villa di Portici, nel 1751 l'Albergo dei poveri e nel 1752 la Reggia di Caserta. Nel 1759 Carlo, accompagnato dai figli Filippo (affetto da turbe mentali) e da Carlo erede al trono di Spagna, lasciava a Napoli il terzo genito, di soli otto anni) Ferdinando. Carlo non approfondì adeguatamente i problemi politici, dedicandosi prevalentemente alla caccia ed alla pesca, alle belle atri, la pittura e le incisioni. E' sintomatico al riguardo che egli non si interessò molto al numero d'ordine da attribuirsi, malgrado Filippo V lo sollecitasse a denominarsi Carlo VI. Egli fu Carlo III in Spagna, ma a Napoli fu solo Carlo. Nel parco di Capodimonte ebbe sede nel 1743 la fabbrica di porcellane, detta perciò di Capodimonte. Carlo promosse ricerche nel regno per trovare il caolino, che rendeva dura la porcellana, trovato il 4.12.1743 tra Fuscaldo e Paola, nell'attuale provincia di Cosenza. Va dato atto al sovrano che cercò di valersi ai fini economici di questa iniziativa ed a tale scopo organizzo un centro di vendita presso il nuovo teatro di corte, il S.Carlo, inaugurato il 4.11.1737. La produzione ebbe un grande successo, tanto che Carlo, partendo per la Spagna portò con se artisti ed arnesi e fondò in Spagna la fabbrica detta del Retiro, dal luogo ove aveva sede.Le porcellane di Capodimonte continuarono ad essere prodotte sotto il regno del figlio Ferdinando IV nella villa reale di Portici. Carlo di Borbone, per soddisfare le sue manie delle costruzioni, ordinò anche l'edificazione del palazzo reale di Caserta, che fin dalla piazza d'accesso imita il palazzo reale di Versailles. Il palazzo fu iniziato 20.1.1752 ed il 1° maggio dello stesso anno Luigi Vanvitelli ebbe la patente di primo architetto di Sua Maestà per la reale fabbrica di Caserta. Tra alterne vicende, un po' sotto la direzione di Luigi Vanvitelli e, dopo la sua morte avvenuta il 1.3.1773, del figlio Carlo, solo nel 1774 la costruzione del palazzo reale fu completata. Proseguì durante il regno di Ferdinando IV la sistemazione degli appartamenti reali e fu dovuta a questo sovrano l'idea di costruire una pescheria nel parco. Altre opere vanno ricordate, come gli scavi di Ercolano. Per Carlo le opere che contavano erano in funzione della caccia in primo luogo; per questa passione faceva costruire strade ed edifici; poi venivano ville e palazzi (tra cui anche la villa di Portici). Ferdinando I di Borbone (Napoli 1751-1825), Re delle Due Sicilie (1816-1825), già Ferdinando IV come re di Napoli (1759-1799, 1799-1806, 1815-1816), e Ferdinando III come re di Sicilia (1759-1816). Terzogenito di Carlo III, re di Spagna, e di Maria Amalia di Sassonia, salì al trono nel 1759, ma avendo solamente otto anni, gli fu affiancato un consiglio di reggenza con a testa il marchese Bernardo Tanucci e il principe di San Nicandro, Domenico Cattaneo. Ferdinando IV regnò per sessantacinque anni, per cui la sua figura riveste un carattere molto importante nella storia della Napoli borbonica. La diversa levatura e cultura politica tra i due educatori, riformista l'uno, conservatore l'altro, ben presto sfociò in un aperto contrasto tra i due. Purtroppo, per l'educazione di Ferdinando, il San Nicandro finì per prevalere sul Tanucci, accentuando e, quindi, creando il carattere del Re che risultò essere volgare ed approssimativo, poco attento alle cose di Stato e molto incline alle inezie ed al divertimento. "In quest'ultimo anno, ansioso di raggiungere la maggiore età... ...più per seguire i suoi piaceri, che per governare i suoi regni", così scriveva, nel marzo del 1767 W. Hamilton in un suo rapporto sul Re (H. Acton, I Borboni di Napoli, Firenze, Giunti, 1988). Il 7 aprile 1768 Ferdinando IV sposa Maria Carolina d'Austria, matrimonio combinato da Carlo III per rafforzare i rapporti tra Spagna ed Austria. Il carattere di Ferdinando, la sua educazione triviale e la sua scarsa attenzione ai doveri regali fecero ben presto sì che le redini del regno passassero nelle mani della Regina. Ferdinando amava il divertimento, la caccia (ed in questo aveva preso dal padre), mischiarsi con la bassa lega, vendere il pescato al mercato, effettuare i propri bisogni corporali in presenza di altre persone e assumere atteggiamenti immaturi, naturalmente, tutto questo, contrastava con il carattere di Maria Carolina, la quale lo aveva sposato solo per dovere e, grazie anche al menefreghismo del Re, non tardò ad imporsi nelle scelte politiche che influenzarono e non poco la vita del regno. Ferdinando IV morì il 5 gennaio 1825, all'età di settantaquattro anni e dopo sessantacinque di regno. Ferdinando II, nipote di Ferdinando IV e figlio di Francesco I e Maria Isabella di Borbone, nacque a Palermo il 12 gennaio 1810, durante la dominazione francese a Napoli con Giuseppe Bonaparte prima (1806) e Gioacchino Murat dopo (1808). All'età di venti anni, nel novembre del 1830, divenne Re del Regno delle due Sicilie. I suoi primi diciassette anni di regno videro un gran numero di riforme: l'abolizione di alcune cacce reali che furono aperte al popolo, la rinunzia a diverse rendite, il rinnovamento del governo, la diminuzione di alcuni dazi e la riduzione di molte voci di spesa, insomma rappresentarono un periodo di austerità rivolta al risanamento dello Stato. Ciò non deve far pensare, però, ad un Ferdinando debole, egli ebbe mano pesante con delinquenti e traditori del Regno. Il 20 novembre del 1832 sposò la principessa Maria Cristina che gli darà un figlio, Francesco II, ma che morì, per complicazioni da parto dopo solo quindici giorni, il 31 gennaio 1836. Il 9 gennaio 1837 sposa, in seconde nozze, Maria Teresa Isabella, arciduchessa d'Austria. Non mancarono in questi diciassette anni dei moti popolari, come quelli di Peluso e di Cesare Rossarol, che furono scoperti e repressi. Ciò che lasciò il segno, durante la reggenza di Ferdinando II, furono i moti del 1848. Infatti, il 12 dicembre del 1848 la rivolta scoppiò in quel di Sicilia, a Palermo e nonostante l'invio di oltre cinquemila soldati, portò all'evacuazione del capoluogo siciliano . Per arginare i tumulti scoppiati in tutto il regno, Ferdinando promulgò, l'11 febbraio, la costituzione ma fu, suo malgrado, coinvolto nei fatti del 15 maggio, quando gli furono addossate le responsabilità di terribili eccidi contro il popolo che aveva eretto barricate. Morì, dopo atroce e lenta agonia, il 22 maggio 1859, dopo 29 anni di illuminato governo. Francesco I Francesco Gennaro Giuseppe, nacque a Napoli 19 agosto del 1777 da Ferdinado IV di Borbone e Maria Carolina. Il suo regno fu molto breve, durò appena 5 anni, dal 1825 (successe a Ferdinando IV morto il 4 gennaio dello stesso anno) al 1830 (morì l'8 novembre). Quando salì al trono aveva già 47 anni, ma aveva già esperienze di governo (era stato più volte vicario del Regno) e queste esperienze lo avevano provato moltissimo. Egli era di carattere schivo e riservato, molto dedito alla famiglia, sposò nel 1797 Maria Clementina, arciduchessa d'Austria, dalla quale ebbe una sola figlia Carolina Fernanda Luisa che sposerà il conte Lucchesi Palli. Morta Carolina nel 1801, Francesco I, sposa l'infante di Spagna Maria Isabella, che gli darà ben 12 figli. Oramai stanco ed annoiato, lascia la conduzione del Regno a Luigi de' Medici, fu questo il periodo più triste di tutto il regno borbonico, dove corruzione e rilassatezza erano l'unico credo praticato, ed imperava a tutti i livelli. L'unica cosa che gli riuscì di fare, fu quella di liberare il suolo del Regno dai soldati austriaci e da Metternich (gli austriaci dovevano vigilare sulla pace nel regno, minata dai carbonari), sostituendo queste forze con dei mercenari svizzeri. Il comando dell'esercito borbonico passò nelle mani del principe ereditario Ferdinando II appena diciassettenne, era il 1827. Di fatto, tutto il regno, era nelle mani di Ferdinando e lo rimase fino alla morte del padre, Francesco I, avvenuta l'8 novembre del 1830. Francesco II, figlio di Ferdinando II e Maria Cristina di Savoia, nacque a Napoli il 16 gennaio 1836 e morì ad Arco di Trento il 27 dicembre del 1894, all'età di 58 anni. Aveva solo 23 anni quando successe al trono al padre Fredinando II morto il 22 maggio del 1859. Il regno di Francesco II o Francischiello, come lo chiamavano i napoletani, fu di brevissima durata e non fu certo caratterizzato da fermezza e determinazione. L'ultimo Borbone era un Re debole ed alquanto bigotto, contornato da uomini abbastanza inetti, se si eccettua il Principe di Satriano, Carlo Filangieri. Francesco sposò Maria Sofia di Baviera; l'unione non fu, inizialmente, delle più felici, basti pensare che, la notte, aspettava che la moglie s'addormentasse per mettersi a letto. Il matrimonio fu consumato dopo un mese e solo per intercessione di un sacerdote ! Il 7 aprile 1768 ebbe luogo a Vienna il matrimonio tra Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina, figlia di Maria Teresa e Francesco d'Austria. Maria Carolina era la sorella minore di Maria Giuseppa, promessa sposa a Ferdinando IV e morta di vaiolo pochi giorni prima del matrimonio; Ferdinando chiese allora che Maria Giuseppa fosse sostituita con una delle sorelle, per cui l'Imperatrice d'Austria scelse Maria Carolina, in quanto l'altra sorella, Maria Amalia, era più grande di Ferdinando. Donna molto bella, nonostante le numerose gravidanze, aveva un bel viso ovale, occhi azzurri e soprattutto dei denti bianchissimi, cosa molto rara per quei tempi. Esercitava sugli uomini un fascino irresistibile, e li dominava con il fuoco delle sue passioni, e della libidine che ardevano in lei. Sin dal 1775, dopo ben quattro gravidanze, la regina chiese di poter esercitare il suo diritto di far parte del Consiglio di Stato e fu spinta da ciò non solo dalla fiamma dell'ambizione che ardeva in lei, ma anche dal disinteresse del marito, che preferiva dedicarsi ai piaceri della caccia della pesca e delle damigelle compiacenti e generose. Mentre suo marito si divertiva, Maria Carolina cominciò a dedicare il suo tempo ad occupazioni più serie, riunì intorno a se un piacevole gruppo di persone e sfruttando al massimo la sua educazione Viennese cercò di guadagnarsi la fiducia dell'èlite napoletana. Volitiva ed impetuosa, convinta di essere nata per governare, trasformò la Corte in un centro sociale più brillante e cosmopolita. Maria Carolina pensava che una buona flotta era necessaria per rendere più moderna la marina napoletana, e nonostante a Napoli non mancassero valenti uomini di mare, interessò suo fratello il Granduca di Toscana, un ufficiale dotato di forti capacità. Giunse così a Napoli colui che sarà uno dei protagonisti della storia napoletana degli ultimi decenni del XVIII secolo: John Acton, di nazionalità inglese che sostituì, nel ruolo di favorito della regina, il principe di Caramanico e finì con l'essere considerato da tutti l'amico del cuore della sovrana. Maria Carolina non conosceva mezze misure, da una accesa passione passava ad un odio irrefrenabile, non conobbe il conforto né della pietà né del perdono. L'ambizione per il potere la spinse a circondarsi di figure squallide e prive di scrupoli ma anche di uomini prestigiosi come l'ambasciatore inglese Hamilton e la giovanissima moglie di costui, Emma Lyon. Si servì della sua amicizia con Lady Hamilton per sottomettere al suo volere l'ammiraglio Nelson, del quale si servì nella guerra contro la Francia, scaturita soprattutto da un odio feroce per quello che avevano fatto alla sua amatissima sorella. Fu vendicativa e spietata nei confronti dei giacobini napoletani. Ne fu esempio l'arresto e la condanna di Eleonora Pimentel Fonseca, fondatrice di un giornale repubblicano chiamato "Il Monitore", alla quale negò di essere decapitata anzicché impiccata (cosa che fu concessa, invece, a Luisa Sanfelice), non accordandole questo privilegio poiché non la ritenne appartenente alla nobiltà napoletana. Maria Carolina morì nel Castello di Herendorg nel 1814 colpita da un attacco apoplettico. Il re Ferdinando non rispettò il periodo di lutto e dopo soli due mesi sposò la sua amante Lucia Migliaccio, vedova del principe di Partanna. Il principe ereditario che non approvava il matrimonio fece osservare al padre che la sposa aveva battuto troppo la cavallina, al che il re si difese con le seguenti parole: "penza a mammeta, figlio mio, penza a mammeta". A Napoli in quel periodo si diffondeva il sonetto: " Io Carolina, ipocrita,tiranna e prostituta..." ...ma si sa. il popolo napoletano é sempre stato caldo, passionale e volubile. La Repubblica Napoletana del 1799 Lo scoppio della rivoluzione francese del 1789, non preoccupò per nulla Ferdinando IV e Maria Carolina, oltretutto la politica neutrale del marchese Tanucci aveva tenuto il regno lontano dagli eventi bellici. Ma i fatti luttuosi del 1793, preceduti dalla nascita della Repubblica Francese nel 1792 destarono non poca preoccupazione nei sovrani di tutta Europa, napoletani compresi. Essi cominciarono a vedere nei francesi un pericolo reale per tutte le monarchie. Ferdinando, quindi, aderì alla lega anglo-napoletana del 12 luglio 1793. Fin dai primi del '94, a Napoli, già serpeggiavano movimenti liberali quali il REOMO (repubblica o morte) ed il LIOMO (Libertà o morte) che iniziarono a cospirare contro la monarchia, ma che scoperti videro in Vincenzo Galiani, Emmanuele De Deo e Vincenzo Vitaliani i loro primi martiri, essi furono giustiziati il 18 ottobre del 1794.Dopo una breve pace, le ostilità coi francesi ripresero nella seconda metà del '98 al fianco dell'Austria; ma il precipitare degli eventi bellici costrinse Ferdinando IV e famiglia, il 23 dicembre 1798, ad una precipitosa fuga a Palermo. A Napoli rimase il generale Francesco Pignatelli ed i lazzari, ma solo per poco, in quanto il 16 gennaio del 1799, il giorno dopo della presa, da parte dei rivoluzionari, di Castelnuovo, Castel dell'Ovo e Castel Sant'Elmo, raggiunse la famiglia reale in Sicilia. I lazzari, lasciati soli al loro destino, si batterono strenuamente e fino alla morte, ma nulla poterono per fermare, il 23 gennaio del 1799, l'ingresso in città del generale francese Championnet. La repubblica partenopea durò solo cinque mesi ed ebbe due governi, uno provvisorio ed un altro definitivo. Essa vide tra le sue fila annoverarsi i maggiori intellettuali napoletani, come il Lauberg, Vincenzo Porta, Gabriele Manthonè, Riario Sforza, Domenico Cirillo, Mario Pagano, Giuseppe Serra di Cassano e Luigi Carafa. Pochi giorni dopo, il 7 febbraio, il cardinale Ruffo era sbarcato in Calabria ed a marzo l'aveva riconquistata, i Borbone erano ripartiti alla conquista del regno.Ad aprile, la flotta inglese, aveva ripreso Ischia, Capri e Procida ed il 13 giugno l'esercito sanfedista entrò in Napoli. I repubblicani si asserragliarono a Castel Sant'Elmo e vi uscirono solo dopo la firma di un patto che, a fronte dell'esilio in Francia, prometteva la salvezza. Purtroppo l'ammiraglio Nelson, complice Maria Carolina, rinnegò il patto, impiccò l'ammiraglio Caracciolo e, con la benedizione di Ferdinando, giustiziò i rivoluzionari . Era la fine della Repubblica napoletana. Francesco II, figlio di Ferdinando II e Maria Cristina di Savoia, aveva solo 23 anni quando successe al trono e non aveva nulla di un Re, data la sua educazione non proprio adatta ad un erede al trono. I presupposti per la fine c'erano tutti: un Re bigotto, incapace, senza polso, impaurito da tutto e da tutti (basti pensare che il matrimonio fu consumato dopo oltre un mese e grazie all'intervento di padre Borrelli) e che commise il grande errore (nonostante consigliato del contrario dal Principe di Satriano, Carlo Filangieri) di non allearsi col Piemonte, in ultimo l'inettitudine dei comandati delle forze militari. Poi Garibaldi ! I mille (che mille non erano), male armati ed ancora peggio in arnesi, mai e poi mai avrebbero potuto quel che hanno fatto, ma nemmeno verso il più piccolo staterello o paesello. Basta pensare che i Borbone sapevano della partenza delle camice rosse, della loro rotta e del luogo dello sbarco, una flotta ricca di 14 navi incrociava al largo delle coste siciliane. A Calatafimi 4000 soldati del regno si ritirarono al cospetto di quell'armata di Brancaleone, per non parlare dello sbarco sulle coste calabresi ed il tappeto steso fino a Napoli. La puzza é forte, é troppo forte, l'Europa sbigottita assiste all'impossibile. In Calabria stanziava un esercito forte di 12000 uomini, 10000 si arresero senza sparare un colpo, fu rotta completa. Il 6 settembre del 1861 alle ore 18, Francesco II, scappava a Gaeta consegnando il suo regno, su di un piatto di platino a Giuseppe Garibaldi che entrò in Napoli alle 13,30 del giorno dopo e lasciava al suo popolo solo questo manifesto: Fra i doveri prescritti ai re, quelli dei giorni di sventura sono i più grandiosi e solenni, ed io intendo di compierli con rassegnazione scevra di debolezza, con animo sereno e fiducioso, quale si addice al discendente di tanti monarchi. A tale uopo rivolgo ancora una volta la mia voce al popolo di questa metropoli, da cui debbo ora allontanarmi con dolore. Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei stati, nonostante ch'io fossi in pace con tutte le potenze europee. I mutati ordini governativi, la mia adesione ai grandi principi nazionali e italiani non valsero ad allontanarla, che anzi la necessità di difendere l'integrità dello Stato trascinò seco avvenimenti che ho sempre deplorati. Onde io protesto solennemente contro queste inqualificabili ostilità, sulle quali pronunzierà il suo severo giudizio l'età presente e futura. Il corpo diplomatico residente presso la mia persona seppe, fin dal principio di questa inaudita invasione, da quali sentimenti era compreso l'animo mio per tutti i miei popoli,e per questa illustre città, cioè garantirla dalle rovine e dalla guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni d'arte,e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza,e che appartenendo alle generazioni future è superiore alle passioni di un tempo. Questa parola è giunta ormai l'ora di compierla. La guerra si avvicina alle mura della città,e con dolore ineffabile io mi allontano con una parte dell'esercito, trasportandomi là dove la difesa dei miei diritti mi chiama. L'altra parte di esso resta per contribuire, in concorso con l'onorevole Guardia Nazionale, alla inviolabilità, ed all'incolumità della capitale, che come un palladio sacro raccomando allo zelo del ministero. E chieggo all'onore e al civismo del sindaco di Napoli e del comandante della stessa guardia cittadina di risparmiare a questa Patria carissima gli orrori dei disordini interni e i disastri della guerra civile; al quale uopo concedo a questi ultimi tutte le necessarie a più estese facoltà. Discendente di una dinastia che per ben 126 anni regnò in queste contrade continentali, dopo averlo salvato dagli orrori di un lungo governo viceregnale, i miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero o avverso, serberò sempre per essi forti e amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia corona non diventi fase di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in breve fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l'ho irrevocabilmente circondato, quel che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi, forti e felici. E' la fine di un Regno !