LA DONNA NELLA STORIA\donnaroma
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Parlare con una certa completezza e insieme con semplicità della condizione della donna nell'antica Roma, della considerazione in cui era tenuta dagli uomini, quali erano le sue virtù apprezzate, se la sua femminilità fosse sentita come tentazione o come dolcezza, non è facile. Incominciamo col rilevare che tutte le testimonianze sull'antica donna romana sono state scritte da uomini: sia gli elogi sia le rimostranze, sia le espressioni di tenerezza sia quelle di beffa, tutte sono passate attraverso il filtro della mentalità maschile, che spesso nell'antichità ha considerato la donna come oggetto, come essere inferiore, o, nei casi più ottimistici, l'ha lodata per quelle virtù che erano o proiezioni di virtù maschili o gratificazione dei desideri maschili: dal sesso all'economia domestica.

La donna romana era costantemente sotto tutela: dalla manus, cioè dalla mano protettiva e imperativa del marito; la sua educazione, tranne casi eccezionali e, comunque, e imperativa del padre, passava, anche senza il suo consenso, alla manus altrettanto non sempre visti di buon occhio, aveva come unico scopo quello di farne una esperta amministratrice della casa, circondata da ancillae e famulae che ne eseguivano gli ordini. I giochi con le bambole la preparavano alle sue funzioni di madre. E' significativo che le donne di liberi costumi, siano costantemente indicate come non romane.

E' interessante notare che, mentre agli uomini venivano dati tre nomi, e precisamente il praenomen, il nomen e il cognomen, le donne avevano un solo nome, quello della gens

a cui appartenevano, usato al femminile, una prova, anche questa, che la donna non era tanto considerata come individuo, ma come proprietà di una famiglia; se le figlie erano più di una, accanto al nome della gens esse portavano il nome generico di Prima, Secunda, ecc.

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La donna "sub tutela"

Da una legge che figura nelle XXII Tavole possiamo sinteticamente ricavare quale fosse la posizione giuridica della donna nell'antica Roma:

Feminas, etsi perfectae aetatis sint, in tutela esse, exceptis virginibus Vestalibus.

(E' stabilito che), sebbene siano di età adulta, le donne devono essere sotto tutela, eccettuate le vergini Vestali.

Nei primi secoli della sua storia il diritto romano rifletteva le regole di una società in cui capo indiscusso era l'uomo, padrone della casa e della familia, comprensiva anche dell'intera servitù.

Soltanto l'uomo godeva dei diritti politici (votare, eleggere e farsi eleggere, percorrere la carriera politica, il corsus honorum);la donna ne era del tutto esclusa; anche per esercitare i diritti civili (sposarsi, ereditare, fare testamento) aveva bisogno del consenso di un tutor, di un uomo che esercitasse su di lei la tutela: questo era il padre, poi il marito, e, all'eventuale morte del marito, il parente maschio più prossimo.

Le donne quindi erano sottoposte a tutela perpetua, a qualunque età, propter levitetem animi.

Non erano sottoposte alla patria potestas ed erano esonerate dalla tutela le vergini Vestali, come abbiamo visto dalla legge succitata.

Sacerdotesse di Vesta, la dea del focolare domestico, le Vestali, che vivevano in uno stato di consacrazione alla dea che comportava un periodo di castità della durata di trent'anni, erano le sole donne romane che potessero esercitare i diritti civili, come quello di fare testamento, senza l'autorizzazione del tutor. Tuttavia neppure per le Vestali si può parlare di una vera e propria emancipazione dalla tutela maschile: scelte infatti per il servizio alla dea (in un'età tra i sei e i dieci anni), le Vestali passavano dalla tutela del padre alla tutela del Pontifex Maximus , la suprema autorità religiosa di Roma, che vigilava sull'osservanza della verginità: il Pontefice Massimo aveva infatti il potere di condannare a morte e far seppellire viva la Vestale che avesse trasgredito al suo impegno.

Alcune epigrafi

Le lodi rivolte alle donna raramente riguardano la donna in se stessa, le sue virtù sono quelle che le hanno permesso di servire il marito, i figli e di accudire la casa.

Obsequio raro, solo contenta marito

Di rara obbedienza , si accontentò di un solo marito.

Questa donna riceve quindi la lode spesso riassunta nell'epiteto di univira, cioè donna di un solo uomo.

Opto meae caste contingant vivere natae, ut nostro exemplo discat amare virum.

Desidero che accada a mia figlia, affinchè secondo il nostro esempio, impari ad amare il marito.

Questa donna , quindi, si augura che la figlia impari ad amare il marito sotto ogni aspetto, così come era il costume dei Romani, e non come potremmo aspettarci ai nostri giorni, che essa sia amata dal marito.

Le donne e la cultura

Nella storia della letteratura latina sono assai scarse le figure di donne colte; è conosciuta una sola poetessa di elegie, vissuta nell'età di Augusto, Sulpicia, che mise in versi il suo amore per Cerinto.

Quintiliano, il retore spagnolo vissuto a Roma nell'età degli imperatori Flavi, a cui Vespasiano aveva dato l'incarico di professore di retorica retribuito dallo stato, nel suo trattato sulla formazione dell'oratore enumera alcune donne dell'antica Roma, celebri per la loro cultura: Cornelia, madre dei Gracchi, alla quale attribuisce personali capacità e la presenta come ispiratrice e formatrice dell'eloquenza dei figli; Lelia, figlia di Lelio l'amico degli Scipioni, e Ortensia, figlia dell'oratore Ortensio, alle quali sembra dare importanza in rapporto ai padri.

In parentibus vero plurimum esse eruditionis optaverim.Necde patribus tantum loquor: nam Gracchorum eloquentiae multum contulisse accepimus Cornelian matrem,cuius doctissimussermo in posteros quoque est epistulis traditus. Et Laelia C. filia reddidisse in loquendo paternam elegantiam dicitur, et Hortensiae Q. filiae oratio apud triunviros habita

legitur non tantum in sexus honorem.