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La Repubblica
L'INTERVISTA - Il
leader della Margherita: "Assurdo dipingerci come quelli che vogliono
rompere tutto". "Il mio sogno è far nascere il partito democratico"
Rutelli: "Prodi resta il leader ma indietro non si può tornare"
"Non chiediamo ai Ds di rinunciare alla tradizione che li vede nella
famiglia socialista. Proprio per questo non lo si può chiedere nel breve
tempo ad altri"
22-05-2005
Francesco Rutelli non ci sta. Non vuole passare come quello che ha
"suicidato" l´Ulivo, come dice Prodi. «Noi non vogliamo affatto rompere
l´Ulivo. Al contrario».
Però resta il
fatto che la vostra decisione è stata interpretata come un gesto di rottura.
non è così? «Sono convinto che molti non abbiano capito cosa abbiamo deciso.
La scelta che abbiamo fatto è al tempo stesso semplice e convincente. Vale
la pena di ricordarla. Nel voto per le elezioni politiche avremo tre schede
diverse. Per il Senato e per il 75% dei seggi per la Camera ci sarà il
simbolo unitario. Nella terza scheda, quella che assegna il 25% dei voti
proporzionali alla Camera, ci saranno più simboli, e questo ci consentirà di
avere più voti, più seggi, più probabilità di vittoria. Dunque, una scelta
per l´unità e per contribuire a vincere C´è un obiettivo smottamento
berlusconiano, noi dobbiamo pensare all´efficienza della nostra offerta
politica per recuperare voti. La nostra decisione va in questo senso Non
voglio chiedere ai Ds di rinunciare alla loro tradizione che li vede nella
famiglia socialista. Proprio per questo non lo si può chiedere nel breve
tempo ad altri. La Margherita ha preso una decisione democratica e chiara,
da cui non si torna indietro. Se qualcuno immaginasse di mettere in
discussione una decisione democratica così forte e così trasparente - non
posso neppure immaginarlo - allora sì che avremmo conseguenze gravi, questa
volta per l'Ulivo. E un polemica, questa sì, che sarebbe un suicidio".
Lei ce l'ha,
evidentemente, con Parisi e Bordon che ora parlano di un possibile movimento
spontaneo degli elettori che potrebbe cambiare la vostra decisione?
"Non m'interessano le polemiche. Dico solo, e lo ripeto, che questa
decisione è stata presa, punto e basta. La democrazia è una cosa seria. Chi
pensi a forzature, se le deve semplicemente togliere dalla testa".
Lei dice che
se si va da soli si prendono più voti. Eppure nelle recenti tornate
elettorali, comprese le europee, la lista unitaria era andata tutt'altro che
male, e la Margherita aveva dimostrato di avere più forza quando si
presentava come "partito coalizionale". Adesso che cosa è cambiato?
"In realtà alle elezioni europee il listone andò piuttosto bene, ma sul
piano politico si fermò, perché ci fu il rifiuto di creare un gruppo nuovo e
unitario nel Parlamento europeo. Nelle regionali, è andato bene il listone,
e ancora meglio in termini di voti e di seggi, le liste distinte. E nelle
tornate amministrative più recenti, ci siamo resi conto che la Margherita ha
iniziato a intercettare voti dallo smottamento dell'elettorato berlusconiano.
Per questo dobbiamo pensare soprattutto all'efficienza ai risultati. Nelle
politiche, ogni seggio può essere decisivo. E non dobbiamo dimenticare che
nel 2001, tra proporzionale e maggioritario, il saldo complessivo è stato a
noi sfavorevole per quasi 3 milioni di voti, tra il milione e mezzo di voti
in più ottenuti al proporzionale dal centrodestra, e il milione e 200mila
voti in meno ottenuti, sempre al maggioritario, dal centrosinistra. Ora
siamo in grado di recuperare quel divario. E la decisione che abbiamo preso,
credo serva a raggiungere questo obiettivo".
È evidente
tuttavia, che ormai le strade tra voi e i Ds si divaricano. Lei stesso ha
fatto più volte riferimento alle "pretese egemoniche" dei Ds. Ma in che cosa
le ha viste queste pretese, negli ultimi mesi?
"L'egemonia è un
problema culturale. Ci sono settant'anni di letteratura, sull'argomento, da
Gramsci in poi. Non sta a me affrontarle oggi con leggerezza. Il tema
irrisolto, tra la Margherita e i Ds, è quello della collocazione
internazionale. Dopo le elezioni europee, emerse subito il vero nodo
politico: ci fu detto "entrate nel Partito socialista europeo". Questo nodo
non l'abbiamo ancora sciolto. Io personalmente, ho da molti anni un mio
sogno per il futuro del nostro paese. E questo sogno non è il partito delle
sinistre unite. Il sogno, al quale sono sicuro che arriveremo, è di far
nascere un vero, grande partito democratico. Che non si produca in quanto
confluenza tra i partiti, come continuazione, sotto forme nuove, della
sinistra italiana. Quello che io penso, è che occorrerà davvero un "nuovo
inizio"".
E la
Margherita in tutto questo cosa fa? Continua ad andare avanti da sola? Lei
continua a mangiare pane e cicoria per tutta la vita?
"No, io sono convinto che lo stesso Ulivo sia la metafora, l'abbozzo, del
partito democratico che deve nascere. Ma la strada da fare è ancora tanta. E
oggi non si può immaginare che si confluisca tutti insieme nello stesso
partito, se le alleanze internazionali ci dividono, se le nostre culture
politiche hanno bisogno di tempo, per aggregarsi, le culture organizzative,
anche".
Ma se voi non
volete entrare nel Partito socialista europeo, allora vuol dire
implicitamente che i Ds devono uscirne, altrimenti il suo sogno non si
realizzerà mai?
"Nessuno chiede agli amici della Quercia di rinunciare alla loro tradizione,
che li vede orgogliosamente inseriti nella famiglia dell'Internazionale
socialista. Ma proprio per questo, non lo si può chiedere nel breve tempo ad
altri. Per questo abbiamo deciso la federazione. Federazione tra partiti, un
cammino serio, convinto, di crescente cooperazione".
È un fatto,
però, che ora Berlusconi per affossare il centrosinistra usi in qualche modo
i suoi stessi argomenti: "Sono comunisti, lo dice anche Rutelli". Le sembra
un buon risultato questo?
"Io non dico affatto che Fassino e D'Alema sono comunisti. I comunisti sono
Bertinotti e Cossutta, non certo gli amici dei Ds. In ogni caso abbandonerei
questo tipo di polemiche. Ci sono stati momenti di tensione. Passeranno
presto. Certo, non posso non notare che per esempio L'Unità, in questi
giorni, ha lanciato una sorta di caccia all'uomo nei miei confronti, che fa
riflettere. Ma io preferisco non rispondere a questi attacchi, e mettere
invece l'accento su tutto quello che ci unisce".
Lei ha parlato
e continua a parlare spesso di identità. Ma sembra avere in testa un modello
quasi "craxiano": il riformismo in un partito solo. Non vede questo rischio?
"Craxi? Ma di cosa parlate? Sono dieci anni che stiamo lavorando e faticando
insieme. Io ho fatto il sindaco di Roma per 7 anni, e sfido chiunque a dire
che io non l'abbia fatto nel modo più unitario. Sono stato candidato premier
nel 2001, e credo di aver fatto un buon lavoro, nell'interesse
dell'alleanza. E dopo le elezioni di quattro anni fa, perdute in modo
dignitoso e dopo una forte rimonta, ci siamo messi a remare, lì sì abbiamo
mangiato pane e cicoria, battendo ogni angolo dell'Italia, per cercare di
recuperare i consensi perduti, nei comuni, nelle città, nelle provincie. E
io avrei fatto tutto questo per che cosa? L'ho fatto per l'Ulivo e per il
centrosinistra, per il bene di questa coalizione, nella quale ho creduto e
continuo a credere. Ne è uscita in salute anche la Margherita? Forse è un
bene per tutti. Trascurare i fatti, le biografie personali non si può, non
si deve".
Ma anche tra
le vostre file, l'idea che la Margherita debba prendere a tutti i costi un
voto più dei Ds è ancora radicata. Lei non è d'accordo?
"L'idea che noi
vogliamo a tutti i costi sorpassare i Ds è ridicola, e oltretutto non è
neanche astrattamente realizzabile. I Ds si avviano a diventare il primo
partito del paese, alla luce della evidente crisi di Forza Italia. Il
centrosinistra vince quando la sinistra va bene. Guardate il caso Catania, e
in senso opposto quello che è accaduto in Sardegna. Se la sinistra va bene
ne guadagniamo tutti".
Quindi la
Margherita non persegue alcuna forma di competizione interna? Questo lo può
dire con assoluta certezza?
"Noi siamo un
partito di centrosinistra; abbiamo dimostrato di saper intercettare un voto
giovane, anche un voto moderato, voti tra gli indecisi e gli astensionisti.
Siamo usciti dalle amministrative come la prima forza in Sicilia e in
Trentino, e come la seconda forza in Sardegna. Questo, qualcosa vorrà pur
dire. Ma noi non siamo e non vogliamo essere autosufficienti. Lavoriamo nel
centrosinistra, che è la nostra casa".
Non può negare
che questa vostra ultima mossa alimenti comunque qualche sospetto. La vostra
sembra una chiara opzione centrista. Nessuno immagina ribaltoni, ma è un
fatto che il riscontro immediato della vostra decisione, l'altro ieri, sia
arrivato da Casini. C'è in ballo una qualche ricomposizione dell'elettorato
cattolico, al di fuori o al di là dei due poli?
"Ma quale opzione
neocentrista! Casini non ci propone di andare con loro. Segnala, viceversa,
un pericolo: che la Margherita possa drenare consensi nel loro bacino.
Questa per me è la conferma che abbiamo fatto la scelta giusta: un listone
con i Ds, per i moderati del Polo, non sarebbe altrettanto pericoloso".
Come fate,
dopo questo strappo, a sostenere ancora l'idea della federazione unitaria?
"L'idea che dopo la nostra decisione la Fed sia penalizzata, è del tutto
sbagliata e fuorviante. Federazione vuol dire foedus, cioè patto. Si lavora
insieme e si costruisce insieme un'alternativa riformista. Nei prossimi
giorni ci vedremo insieme agli altri leader e saremo in grado di portare
avanti decisioni concrete nella prospettiva unitaria. Io ci credo, ci credo
fermamente. Nei mesi scorsi abbiamo lavorato per le elezioni, ma ora la
federazione deve partire da zero. Dobbiamo assumere un'iniziativa forte
dell'Ulivo, sul referendum francese sulla Costituzione europea. Non basta
che Fassino ed io andiamo in Francia, l'uno con i socialisti l'altro con l'Udf.
È una sfida decisiva. E la stessa cosa dobbiamo fare nel grande dibattito
sulla promozione delle democrazie nel mondo. È un tema proprio dei
democratici e dei progressisti, ben più che dei neoconservatori di Bush.
Dobbiamo riaprire la discussione sulla riforma delle nostre istituzioni, per
spiegare agli italiani come vogliamo che funzioni, che si organizzi, questo
paese, una volta che saremo tornati al governo. Rivedere la riforma del
titolo V è la condizione per battere la devolution. Queste che ho citato
sono competenze che abbiamo già attribuito alla federazione. È tempo che ci
mettiamo al lavoro. C'è un enorme terreno d'iniziativa comune. Solo così
crescerà la nostra amicizia: attraverso il l'impegno comune. Dobbiamo dar
vita ai gruppi dirigenti che si occupino delle grandi questioni delegate
alla Fed, dobbiamo istituire i portavoce. Questo progetto non è archiviato.
Tutt'altro. È il momento di rilanciarlo con più determinazione di prima".
Adesso,
tuttavia, è difficile non vedere in tutto ciò che è accaduto anche un colpo,
diretto o indiretto, alla leadership di Prodi. Lei può negare che sia così?
"Prodi
noi l'abbiamo scelto. Lo sosteniamo e lo sosterremo lealmente. Abbiamo
votato all'unanimità le primarie per rafforzarlo, e forse siamo stati
l'unico partito che lo ha fatto formalmente. Poi le primarie sono state
bocciate da qualcuno, e sono sparite dai radar all'istante. Io dico che in
politica contano i fatti. Prodi ha tutto l'interesse che ci sia al suo
fianco una Margherita forte, che sia unitaria e concorra a una proposta
politica convincente. Anche da questo punto di vista la Margherita si
conferma leale. Certo, non rinuncia ad esprimere le sue idee".
Ma a questo
punto i rapporti personali sembrano fortemente logorati. Anche questo non è
un pericolo?
"Ci sono tensioni,
ma passeranno. E sono convinto che se nelle strutture di lavoro dell'Ulivo e
dell'Unione ci saranno al fianco di Prodi anche dirigenti della Margherita
che non facciano parte solo del più ristretto gruppo dei suoi collaboratori,
questo aiuterà molto".
Lei
all'assemblea federale dell'altro ieri ha rilanciato l'idea del partito
democratico. Non è un modo per sorvolare sui colpi di freno che arrivano al
processo unitario in questi giorni, e per non guardare alle difficoltà che
il centrosinistra ha qui e ora?
"Il Partito
democratico nascerà dopo che la federazione, per alcuni anni, avrà
funzionato, senza strappi e con una collaborazione crescente tra noi nel
territorio. A livello europeo, dovremo cercare di formare una vera alleanza
dei partiti democratici, socialisti, liberali e riformisti. Ma nessuno si
deve sciogliere, nessuno deve confluire. Quello che avviene in Europa in
questi mesi, del resto, conferma la non autosufficienza della famiglia
socialista. Basti guardare a quello che è successo in Gran Bretagna, dove
Blair ha vinto con merito, ma ha perso molti voti in una direzione che a me
piace, e cioè, verso i liberaldemocratici. Si può dire che il mio sia un
miraggio? Non lo so, ma questa è la sfida che noi dobbiamo affrontare, per
costruire un'aggregazione nuova alleata con i Democratici americani, e
soprattutto capace di non soccombere nel confronto con la Destra
neoconservatrice, capace di presentare un pensiero convincente, non solo
difensivo, per le grandi questioni culturali, economiche, sociali poste
dalla globalizzazione".
Intanto, ci sono da
vincere le elezioni del 2006. Gli elettori che votano Ulivo continuano a
chiedere "unità, unità, unità". Lei è davvero sicuro che questa scelta della
Margherita aiuti la vittoria?
"Sì, ne sono
assolutamente certo. E quanto all'unità, gli elettori stiano tranquilli:
l'unità non si tocca, nelle elezioni e per il governo. La federazione
dell'Ulivo dovrà assicurare la qualità della nostra proposta. È tempo che lo
faccia. La Margherita darà, come sempre, il suo contributo di unità e di
innovazione nei programmi".
MASSIMO GIANNINI
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