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Testo integrale dell'intervento di Romano Prodi:
Fare crescere un'Italia Unita
di Romano Prodi
Care Amiche,
Cari Amici
Grazie di essere qui oggi Così numerosi Così calorosi
Grazie a coloro che sono Venuti da più vicino, da Milano e dalla Lombardia e
a coloro che sono venuti da lontano, da tutto il resto d'Italia.
Grazie a coloro che Hanno maturato e Vissuto la loro passione politica
All'interno dei partiti.
Grazie agli uomini e alle donne di tutti i partiti qui rappresentati da
Luciana Sbarbati, Clemente Mastella, Antonio Di Pietro, Francesco Rutelli,
Enrico Boselli, Piero Fassino, Alfonso Pecoraro Scanio, Oliviero Diliberto e
Fausto Bertinotti.
E grazie a tutti voi che nei movimenti, nelle associazioni, nei sindacati,
nelle scuole, nei posti di lavoro vi battete e donate con generosità il
vostro tempo e il vostro impegno per la costruzione di un'Italia migliore.
Cari Amiche e Cari Amici, nel febbraio del 1995 ho cominciato il mio viaggio
nella politica. Un viaggio che ha avuto la sua stella polare nell'Europa.
Capivo che dovevamo entrare nell'Euro non solo per aderire all'Europa della
moneta unica, ma per dare finalmente un futuro stabile e prospero
all'Italia. Oggi dobbiamo riprendere questo disegno di stabilità e di
prosperità.
Esso esige una concezione della politica, non come affare, come scambio,
come interesse privato, come merce, ma come progetto, come scelta di unire
il paese e non dividerlo.
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Abbiamo ascoltato le domande, abbiamo compreso i problemi, abbiamo condiviso
le speranze dei nostri amici che hanno parlato qui di fronte a noi. Ad essi
dobbiamo dare una risposta. Per questo voglio parlare del futuro. Del futuro
da costruire tutti assieme per un'Italia protagonista in Europa.
Il mondo nel XXI secolo
Il mondo del XXI secolo è un mondo ancora carico di rischi e di paure: i
terrorismi, le guerre e le povertà. Ma è anche un mondo carico di
straordinarie opportunità nel quale un terzo dell'umanità si è svegliato, è
uscito dall'isolamento ed ha trovato la strada dello sviluppo. Nel quale,
tra la Cina e l'India, oltre due miliardi di persone, stanno scoprendo e
provando che la povertà e la miseria non sono una maledizione eterna. Un
mondo nel quale l'istruzione è più preziosa delle materie prime. Un mondo
che sta imparando a riconoscere il valore dell'ambiente. Un mondo al quale i
progressi della scienza, della medicina, delle biotecnologie schiudono nuovi
orizzonti e nuove speranze di vita.
L'Europa
Un mondo nel quale c'è l'Europa. Un'Europa di 25 paesi, di 450 milioni di
abitanti e, ora con una Costituzione, con politiche comuni per sostenere le
regioni più povere, per promuovere la ricerca scientifica, per tutelare
l'ambiente, l'agricoltura, la concorrenza e i diritti dei consumatori.
Un'Europa che è un continente di pace, di libertà, di sicurezza. Un'Unione
costruita con la democrazia e che, aprendosi a nuovi popoli e a nuovi Stati,
ha esportato e sta esportando la democrazia. Un caso unico ed un esempio in
un'epoca nella quale c'è chi cerca e si illude che la democrazia si possa
esportare con la forza delle armi. L'Europa è la carta sulla quale l'Italia,
uscita distrutta dalla guerra, ha scommesso il proprio avvenire. E fino a
quando ha fatto questa scommessa ha vinto. L'Italia può ancora avere un
grande futuro perché è parte della nuova e grande Europa dell'euro e
dell'allargamento. Perché è il ponte naturale tra l'Europa e il
Mediterraneo. Perché il Mediterraneo, passaggio obbligato delle merci che
arrivano da un'Asia in crescita esplosiva, sta tornando, dopo cinquecento
anni, al centro del mondo.
Il futuro dell'Italia
L'Italia ha le risorse potenziali che contano nel mondo di oggi: lavoratori
straordinari e imprenditori, piccoli e medi, che sono il nostro biglietto da
visita nel mondo. I nostri successi sono stati il frutto di una sola
ricetta. Di ingredienti semplici. Imprenditori coraggiosi, apertura alla
concorrenza e ai mercati internazionali, grande attenzione alle risorse
umane e ai lavoratori, legame col territorio e con le sue tradizioni
produttive, scommessa sull'innovazione. Questa è la ricetta che dobbiamo
promuovere e sostenere. Per rilanciare le nostre poche grandi imprese e per
fare diventare grandi quelle di media dimensione. E' una sfida che ancora
possiamo vincere. Ma ad una condizione: che non inganniamo noi stessi, che
cominciamo col dire la verità. Gli italiani sentono il bisogno di parole di
verità e di coerenza. E la verità, e lo dico con preoccupazione e dolore, è
che l'Italia sta perdendo colpi e rischia di mancare l'aggancio con
l'economia mondiale e con l'Europa. Siamo all'ultimo posto per la crescita
tra tutti i 25 paesi dell'unione. All'ultimo posto. Il nostro reddito
pro-capite è caduto sotto la media europea. Non era mai successo prima.
Stiamo perdendo quote di mercato nel commercio mondiale: dal 4,5% al 3% tra
il 1995 e il 2003. E questo, mentre sia Francia che Germania hanno mantenuto
la loro competitività. In ricerca e sviluppo investiamo l'1% del reddito
nazionale, la metà di quanto fanno, in media, gli altri paesi europei. Se
guardiamo all'istruzione, il confronto è ancora più negativo. Solo il 57%
dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha completato le scuole secondarie, il 20%
in meno dei loro coetanei negli altri paesi più industrializzati. E la
qualità della scuola, come la competitività delle imprese, cade sempre più
in basso in tutte le classifiche internazionali, mentre gli insegnanti
soffrono la difficoltà di capire e di risolvere i problemi degli studenti. A
partire dagli adolescenti.
Le ragioni del declino
Il rischio si fa ora drammatico. Non credete a chi vi dice che la colpa è
solo del mercato del lavoro. Non credete a chi vi dice che la colpa è solo
delle tasse. Le ragioni sono più profonde, sono più serie. Il mondo è
cambiato: non è più quello del 1996 e le politiche non possono essere le
stesse. Sono cambiati i modi della produzione. Sono cambiati i fattori del
successo. Oggi, vince chi riesce a restare sulle frontiere dell'innovazione.
Un'innovazione fatta di ricerca, di scuola, di università, di mercati aperti
all'ingresso di nuovi protagonisti. Ma fatta soprattutto di una nuova voglia
di provarci. Per questo al centro del nostro programma dovranno essere i
giovani.
I giovani
L'Italia non ha scommesso sui giovani: eppure solo scommettendo su di loro
potrà riprendere il cammino dello sviluppo. I nostri giovani stanno peggio
dei loro genitori. Hanno meno speranze di quante ne avevamo noi alla loro
età. Eppure potrebbero avere davanti a loro orizzonti sempre più ampi.
Eppure, nei pochi casi in cui vengono date loro delle occasioni sono
bravissimi. Nella ricerca nei settori più avanzati dalle biotecnologie alle
nanotecnologie, nell'arte moderna, nella produzione di qualità. Ma in genere
i nostri giovani sono costretti a restare in parcheggio sempre più a lungo.
Anni sprecati perché dai 20 ai 35 anni la nostra società li spinge a vivere
come adolescenti. Dovremo lavorare insieme ai giovani per una nuova scuola,
più seria, più severa, più formativa, per portare anche l'Italia sulla
frontiera dell'innovazione dalla quale è quasi assente, ma anche per dare
nuova dignità al loro lavoro. I giovani hanno bisogno di conoscere diverse
esperienza, di viaggiare e studiare all'estero, di studiare fianco a fianco
nelle università italiane con decine di migliaia di coetanei di altri paesi.
Voi giovani avete bisogno di conoscenze e di esperienze. Certo avrete anche
bisogno, come si dice in linguaggio moderno, di mobilità. Ma qui si è
confusa la mobilità con la precarietà in cui nulla è certo, nulla è previsto
come stabile, nulla è pensato come duraturo. E il giovane anche quando trova
un lavoro è perennemente angosciato dalla paura di perderlo e nulla può
investire nel migliorare se stesso. Togliendo la sicurezza ai giovani,
negando loro le occasioni di cui hanno diritto, noi togliamo ad essi e
all'Italia la possibilità di crescere.
La stagnazione
E nella stagnazione tutto diventa impossibile. E noi siamo nella
stagnazione. Non solo perché siamo l'ultimo nella crescita tra i 25 paesi
europei, ma perché le nostre famiglie sono diventate più povere. Chi era già
ricco lo è diventato ancora di più, mentre anche chi si riteneva più
fortunato di altri fatica ad arrivare alla fine del mese. Non sorprende che
oggi questo governo e questa maggioranza si ritrovino soli. La stagione
delle illusioni è finita. Le famiglie, i giovani, gli anziani, i lavoratori,
le imprese hanno fatto i conti. Hanno fatto i conti e si sono trovati,
tutti, più poveri. Più poveri, soltanto quest'anno, di 31 miliardi di euro.
60 mila miliardi delle vecchie lire.
Il deficit pubblico
Il calcolo è semplice. A giugno c'è stata una prima manovra di 7,5 miliardi.
A questa, si è aggiunta, in settembre, una seconda di 24 miliardi. Infine,
pochi giorni fa, il governo ha deciso di tagliare le tasse, così hanno detto
loro, di 6, 5 miliardi. Ma, poiché i soldi per finanziare questi 6,5
miliardi di tagli non ce li avevano, hanno aggiunto alla manovra un carico
di 6 miliardi. Vogliamo fare la somma? Niente di più facile. 7,5 + 24 = 31,5
31,5 - 6,5 = 25
25 + 6 = 31
Sono 31 miliardi di euro. Questo è il conto. Ed è il conto solo per quest'anno.
Tanto che l'ex ministro dell'Economia quanto un ministro ancora in carica
hanno già detto che nella prossima primavera sarà necessario un nuovo
intervento. E i risultati non cambiano anche se ci limitiamo alla sola parte
fiscale. Il Presidente del Consiglio ha parlato del più significativo taglio
delle imposte degli ultimi decenni. Strano, molto strano. Addirittura
sorprendente. Se si prendono per buone le cifre ufficiali del governo, il
prossimo anno avremo non un taglio ma un aumento delle imposte. E non si
tratta di un aumento di poco conto. Nel 2005 le imposte aumenteranno di
quasi 4 miliardi di euro. Sempre, naturalmente, che non ci siano nuove
sorprese. Sono tasse pesanti, ingiuste, inutili e dannose. Sono tasse
ingiuste perché colpiscono i più poveri e premiano i più ricchi. E sono
tasse inutili e dannose perché non aiutano le imprese ad essere più
competitive e l'economia a crescere di più. Per questo il governo ha deciso
di chiedere la fiducia quando in Parlamento, si tratterà di approvare la sua
Legge Finanziaria. Il governo pensa che, liberi di esprimere il proprio
voto, gli stessi deputati della maggioranza potrebbero anche dire “no” a
questa Finanziaria. Per una volta, credo che il governo abbia ragione. Una
manovra che pesa per 31 miliardi di euro e che impone nuove tasse per quasi
4 miliardi non è facile da digerire. Forse è per questo che il partito del
Presidente del Consiglio ha organizzato per oggi una manifestazione contro
le tasse, un “no tax day”. Vogliono dire di no alle nuove tasse del governo.
Noi e le imposte
Hanno cercato di dipingerci come il partito delle tasse. Sbagliano. Noi
pensiamo semplicemente che le tasse siano uno strumento per finanziare
l'azione dello stato e dare ai cittadini la protezione e i servizi di cui
hanno bisogno. Ciò a cui certo non possiamo rinunciare è il criterio che
informa tutti i sistemi fiscali dei paesi democratici: la progressività.
Questo vuole dire una cosa semplice: chi ha più possibilità è chiamato a
contribuire in misura maggiore di chi ne ha meno. I beni pubblici, i
servizi, la sicurezza ecc. debbono essere finanziati in misura crescente al
crescere del reddito. Il fisco serve quindi a due cose: 1. regolare la
crescita 2. ridistribuire il reddito Nel nostro Paese la distribuzione del
reddito si è squilibrata al punto da diventare un freno allo sviluppo; basta
guardare i dati sul consumo delle famiglie. Anche le tasse contribuiscono al
nostro squilibrio. Esse gravano in maniera eccessiva sul lavoro. Questo deve
essere il punto di attacco di una manovra fiscale che voglia ridare fiato
alle famiglie e competitività alle imprese. Meno tasse e meno contributi sul
lavoro e sui redditi da lavoro medio-bassi.
Le ragioni del disavanzo
Lo spazio per questa riduzione c'è. Non lo si deve trovare nei tagli ai
servizi e allo stato sociale (questo è uno scambio che non potremo mai
accettare). Lo spazio è anzitutto nella lotta alla evasione, che è enorme e
crescente. E che durante il periodo del nostro governo era sensibilmente
calata. Tre anni di condoni reiterati e una visione del fisco come nemico
rischiano di annullare la possibilità di recupero di un rapporto positivo
tra lo stato e i cittadini sul terreno fiscale.
La Legge Finanziaria è la firma di un governo che ha perduto il controllo
della finanza pubblica. Da quasi il 5 per cento di avanzo primario del 2001
siamo ridotti a poco più dell'1%. In tre anni e mezzo hanno dilapidato il
patrimonio che gli italiani avevano costruito in anni di sacrifici. Bastava
che avessero mantenuto la situazione di bilancio che avevano ricevuto dal
centrosinistra. Bastava questo, e avrebbero evitato manovre correttive, una
tantum, cartolarizzazioni, condoni. Bastava questo e avrebbero evitato la
vendita dei ministeri, delle sedi dell'Inps, delle caserme, delle strade.
Avrebbero evitato di tagliare del 10% i fondi a disposizione dei carabinieri
e della polizia. Non è con meno risorse che si combattono camorra, mafia e
criminalità. Una criminalità che ha rialzato la testa ed è in crescita
dovunque ad eccezione che nei telegiornali. Ma tre anni e mezzo di governo
hanno prodotto un disastro non solo nei conti pubblici. Hanno prodotto nuove
gravissime disuguaglianze. Hanno creato insicurezza e hanno tolto la
speranza nel futuro. E' ora di rilanciare l'Italia.
Rilanciare l'Italia
Noi ce la possiamo fare. Perché noi siamo quelli che ce l'hanno già fatta
quando la sfida era la più difficile. Siamo quelli che tutti i giorni ce la
fanno nel governo delle città, delle province, delle regioni. Siamo quelli
che le promesse le mantengono. Non servono miracoli, non c'è bisogno di
bacchette magiche. Serve un lavoro duro, serio, continuo, giorno dopo
giorno, senza trucchi. Attento ai problemi veri. Curando i conti pubblici.
Tagliando le tasse sul lavoro e non quelle sui ricchi, perché è così che si
riducono i costi delle aziende, si promuove l'occupazione e si sostengono i
consumi. Concentrando gli incentivi e i crediti fiscali sulla ricerca e
sull'innovazione. Promuovendo la concorrenza per garantire mercati liberi e
aperti. Combattendo le rendite e i monopoli nelle professioni, nella
distribuzione, nelle banche, nelle assicurazioni, nei trasporti,
nell'energia. Perché chi paga il conto finale dei costi di queste posizioni
di privilegio sono le famiglie e le imprese. Niente può più rapidamente
rafforzare la capacità di competere del nostro sistema produttivo di una
ventata di concorrenza nell'economia.
Ancora l'Europa
Fortunatamente, l'Italia può contare su una grande alleata: l'Europa.
L'Europa ha bisogno di un'Italia che si rimetta nel solco della sua grande
tradizione e torni ad operare in favore di una più forte integrazione.
L'Europa ha bisogno dell'Italia per darsi una nuova e più forte capacità di
decidere, nel governo dell'economia, nella politica dell'immigrazione, nel
sostegno alla ricerca scientifica, nella politica internazionale. Per
consolidare, su un piano di mutuo rispetto e di reciproca dignità,
l'alleanza con gli Stati Uniti d'America. Per contribuire a rafforzare
l'autorità delle Nazioni Unite e la stabilità dell'ordine mondiale.
L'Europa, dunque, ha bisogno dell'Italia. Così come l'Italia ha bisogno
dell'Europa.
Le tre priorità
Giovani. Immigrazione. Mezzogiorno. Questi sono i punti critici dell'Italia
di oggi, su cui fare ripartire l'intero Paese. Queste sono le emergenze.
Queste debbono essere le nostre grandi priorità. I giovani, gli immigrati e
il Mezzogiorno sono le nostre grandi risorse per il futuro. Sono le risorse
più preziose sulle quali investire. Nel quadro dell'Europa e con l'aiuto
dell'Europa. Che fare allora? Scuola, scuola, e, poi, ancora scuola. E' da
qui che si parte. Scuola che trasmetta con equità il sapere e, soprattutto,
la capacità di apprendere. Scuola, con tutti i progetti Erasmus possibili,
per mettere i nostri ragazzi in contatto e su un piano di parità con i loro
coetanei negli altri paesi. Scuola e università che sappiano riconoscere il
merito e promuovere l'eccellenza. Ma, poi, porte le più aperte possibile
verso il mondo del lavoro. Per dare ai nostri giovani, ai nostri giovani
uomini, soprattutto, alle nostre donne, l'opportunità di misurarsi con il
lavoro, di creare ricchezza per sé e per la nazione. Per dar loro la
possibilità di crearsi una famiglia e di fare dei figli senza aspettare di
avere 35 anni.
Le giovani donne
Sono soprattutto loro, le giovani donne, che possono portare un contributo
decisivo per far fare un salto in avanti alle nostre imprese, alla nostra
società, alla nostra politica. Ho visto quanto più forte è il ruolo delle
giovani donne negli altri paesi europei. E' ora che anche noi diamo una mano
di rosa all'Italia.
Gli immigrati
Ma i nostri giovani, da soli, non basteranno. Da qui al 2025, su una
popolazione che non dovrebbe variare di molto, i giovani sotto i vent'anni
caleranno da 11 a 9 milioni, e quelli tra i 20 e i 39 anni da 17 a 12
milioni. Per sostenere un paese nel quale gli anziani sopra i 65 anni
saliranno da 10,5 a 14,6 milioni, per produrre quel benessere che i nostri
giovani non saranno più in grado di garantire, avremo bisogno di uomini e
donne di altri paesi. Stato centrale, autorità locali, mondo delle imprese e
del volontariato, associazionismo religioso e laico: tutti dovranno essere
coinvolti in una sforzo coerente. Si tratterà in primo luogo di governare
l'ingresso nel territorio e nel mercato del lavoro di queste nuove genti.
Non più un'immigrazione di puro residuo, ma un'immigrazione guidata e
gestita nella quantità e nella qualità delle persone. La Legge Bossi-Fini ha
preso atto della complessità della questione degli immigrati, ma cercando di
umiliarli nei centri di detenzione più per fini elettorali che per bisogno
oggettivo. Non si deve alimentare la paura per calcolo elettorale, perché
gli immigrati sono una risorsa indispensabile per il nostro paese, ma di
valorizzare i rapporti con i paesi di provenienza e di regolarizzare e
programmare i flussi. La paura non ispira la buona politica che, al
contrario, domanda lungimiranza e intelligenza. Ma soprattutto è la
convivenza tra cittadini ed immigrati che dovrà essere curata perché gli
immigrati saranno un giorno nostri cittadini, dovranno parlare la nostra
lingua e dovranno conoscere e praticare le nostre leggi.
Il Mezzogiorno
Anche per il Mezzogiorno l'ancora alla quale agganciarci è l'Europa. Un'area
di stabilità e di crescita vigorosa ad est, con i Balcani davanti alle
nostre regioni adriatiche. Un nord Africa sulla via dello sviluppo a poche
centinaia di miglia dalle nostre coste. Un'Asia che, dal Canale di Suez,
arriva in Europa attraverso il Mediterraneo con la imponente e vertiginosa
crescita dei suoi traffici, ma che il nostro Mezzogiorno non si è preparato
a ricevere con una nuova logistica, con la capacità di trasformare e
adattare i beni che dal più grande centro di produzione(l'Asia) vanno nel
più grande mercato del mondo(l'Europa). Un'Asia che al Mediterraneo e al
nostro Mezzogiorno chiede porti, scali aerei, capacità logistiche. Ora
chiede anche la cancellazione totale di ogni influenza mafiosa e di ogni
azione di disturbo e di controllo sulla vita delle imprese e di coloro che
operano nelle imprese. Il Mezzogiorno ha perduto la grande occasione degli
investimenti europei (diretti verso la Spagna). Ha perduto l'occasione degli
investimenti americani in Europa (approdati in Irlanda e nel nord del
Continente). Ora sta arrivando l'ultima occasione: l'irruzione dell'Asia in
Europa. Non perdiamola e prepariamoci fin da ora, consapevoli almeno che da
Gioia Tauro a Rotterdam ci sono almeno quattro giorni di navigazione. E poi,
ci sono, alle porte, i turisti. Non più solo i giapponesi, ma i nuovi
cinesi, pronti a innamorarsi delle nostre bellezze, se non verranno
costretti a scegliere altre mete, meglio organizzate, meno care. Con un
reddito pro capite pari a meno del 70 per cento della media nazionale, il
Mezzogiorno è il collo di bottiglia che più condiziona le capacità di
crescita dell'Italia. Ma è anche la riserva più importante della quale
disponiamo per far fare un salto in avanti al nostro sviluppo.
La fiducia nella Politica
Nel 2001 la destra ha vinto le elezioni. Da allora gli italiani hanno via
via perso la fiducia nel governo perché il governo non ha trasformato le
promesse in fatti, non ha dato risposta ai loro problemi. Non usiamo però
cari amici, la sfiducia nei confronti del governo per nascondere la gravità
di tutti i nostri problemi. Nel rumore di una politica fatta di parole, gli
italiani hanno perso la fiducia non solo nel governo ma nei confronti di
tutta la politica e anche nei nostri confronti. Dobbiamo quindi meritarci il
nostro ruolo e le nostre responsabilità. Dobbiamo riprendere piani
coraggiosi per restituire all'Italia la crescita, per creare posti di lavoro
veri, ospedali migliori, scuole finalmente all'altezza dei tempi, un sistema
pensionistico più sicuro. Alla base di tutto ciò dobbiamo mettere una grande
disponibilità al cambiamento in settori di base.
Energia e Ambiente
Ne cito solo due per tanti: l'energia e l'ambiente. Abbiamo un grave
problema nel nostro sistema energetico: la dipendenza dai combustibili
fossili, petrolio, carbone, gas è esagerata; non sostenibile. Un programma
forte di ricorso alle energie rinnovabili è indispensabile ed urgente. E non
solo per il bene del nostro paese, per ridurre la nostra dipendenza
strategica dall'estero. C'è anche un motivo legato ad una nostra nuova
presenza nel mondo. I due miliardi di persone che stanno affacciandosi a
consumi energetici simili ai nostri, non potranno seguire il nostro modello
di consumo. E allora dobbiamo insegnare a noi e a loro a non fare come
abbiamo fatto noi. Dobbiamo aiutare gli altri ad evitare i nostri errori.
Nell'ambiente la grande novità è la ratifica del trattato di Kyoto, per la
quale da Bruxelles ho personalmente dedicato grande energia. Una sfida che,
se vinta farà avanzare l'Italia. Se persa la farebbe arretrare gravemente.
L'euro non era solo dei banchieri. Kyoto non è solo degli ecologisti. L'euro
non era solo moneta, ma un patto allargato di comune convivenza e comune
destino. Kyoto non è solo clima ma sostenibilità e qualità della vita in
Italia ed in tutto il pianeta. E può essere anche un grande stimolo per
nuove linee di sviluppo industriale, per il recupero di innovazione e di
competitività. In Italia vuole dire metropolitane, nuove ferrovie, treni
moderni, auto avanzate e pulite, pannelli solari e centrali eoliche.
Non una somma di divieti quindi ma un nuovo sapere.
Un importantissimo fattore di crescita.
Lo Stato Sociale
Ci serve la crescita anche per sostenere e riorientare lo stato sociale. Non
certo per smantellarlo e sostituire ai diritti la carità e la compassione.
Alla compassione noi preferiamo i diritti.
Non possiamo accontentarci di un welfare che interviene ex-post a riparare
le situazioni di disagio. Dobbiamo eliminare privilegi e posizioni di
rendita per garantire a tutti più opportunità. Dobbiamo promuovere la
realizzazione delle persone e la vita serena delle famiglie. Non si
riconosce il valore della famiglia se ad essa si sottraggono servizi e
sostegni. La crescita ci dona le risorse per costruire il nuovo stato
sociale ma nella nostra impostazione lo stato sociale e la coesione sono
elementi dello sviluppo, non ne sono un freno. Se non si produce ricchezza
si distribuisce povertà. Se non si rafforzano i diritti non si genera un
vero benessere.
Sviluppo e democrazia
Noi risponderemo con la ripresa dello sviluppo, ma anche con la
trasformazione della vita democratica e la riforma del finanziamento della
politica. Con le nostre proposte coraggiose e con la volontà di realizzarle
riacquisteremo la fiducia dei cittadini e riceveremo da loro il compito di
portarli fuori dalla crisi. Esercitare la leadership politica non significa
mediare o rincorrere l'opinione prevalente. Fare politica vuol dire mettere
sul tavolo i temi difficili, proprio quei temi che molti vogliono evitare o
ignorare perchè pensano che non si possano risolvere. Fare politica non
significa seguire i sondaggi. I sondaggi di opinione, come mi ha più volte
detto un consigliere di Clinton, ti dicono solo da che parte sta la gente.
Che cosa la gente già pensa. Ed è inutile portare la gente dove già si
trova: bisogna portarla più avanti.
Fare assieme il programma
Abbiamo davanti a noi molti mesi per ascoltare, per capire e poi decidere
insieme con onestà e con serenità dove dovremo andare.
E là porteremo il Paese quando avremo la responsabilità del governo.
Non possiamo, nel frattempo, perdere le nostre radici che ci debbono rendere
attenti ai problemi quotidiani di tutti e soprattutto dei più deboli. Troppe
volte abbiamo rischiato di perderle, per dedicarci alle pur necessarie
discussioni interne. Molti giovani hanno perciò perso la fiducia nella
politica per dedicarsi ai problemi personali o anche ad una generosa
dedizione alla propria comunità o alla protezione di categorie più deboli o
di persone sofferenti. Sono cose belle, anzi molto belle, ma che non possono
essere messe in pratica senza la politica, senza una nuova politica. Lo
vediamo oggi quando le risorse per il welfare scarseggiano sempre più,
quando comuni e province non hanno più risorse per le madri, per gli asili
nido, per gli emigranti, per gli handicappati o gli emarginati. Altri che
hanno perso fiducia nella politica, sono fuggiti per la crescente
scorrettezza della politica. Noi dobbiamo rivendicare l'importanza morale
della politica. La concentrazione della ricchezza e del potere sta
moltiplicando gli abusi, demolisce la fiducia nell'economia italiana e nel
governo, elargisce grandi ricompense a una piccola minoranza e getta
nell'insicurezza gli altri. Questa politica non è morale, è una politica
senza valori.
I tre NO
Per questo dobbiamo dire tre NO. Il primo è allo stravolgimento della
Costituzione. No ad una riforma della Costituzione che è una vera e propria
controriforma. Che punta a spaccare il paese nella sua unità istituzionale,
culturale e civile. Si rompe l'equilibrio dei poteri, si spezza l'unità del
paese. Di nuovo una concessione alle bandiere di qualche partito regionale.
Un modo di intendere la politica, che per accontentare qualcuno compromette
il disegno di tutti. Il secondo no è ad una riforma della Giustizia, che
punta a spezzare il senso della legge. Si umiliano i giudici, si fanno le
leggi ad personam, si schierano gli avvocati delle proprie cause nella
battaglia parlamentare. Il risultato è che non solo si indebolisce
gravemente l'ordinamento giudiziario italiano, ma si toglie ogni fiducia dei
cittadini verso la legge, perché la legge viene identificata nell'interesse
di una persona o di un gruppo e non nella tutela del diritto e della
giustizia. Il terno no è ad un cambiamento delle regole del confronto
elettorale e delle norme che garantiscono un livello minimo di parità
nell'uso delle risorse della comunicazione. Ma non ci dobbiamo stupire che
questo governo e questa maggioranza siano contrari alla parità.
Il viaggio dell'ascolto
Il viaggio che oggi iniziamo in tutto il paese è un viaggio di ascolto.
L'Italia è più grande e più forte della rappresentazione che molti ne
vogliono dare. Una rappresentazione che non ne riconosce le risorse e lo
vuole portare sulle strade pericolose della divisione e del conflitto, in
cui le parole sono sempre gridate e sempre vuote. Noi vogliamo capire le
risorse e i problemi del nostro paese e presentare in modo pacato e sereno
le soluzioni, che questo viaggio nella fatica e nelle speranze dell'Italia
ci avrà suggerito. Questo non è più il tempo delle gelosie, delle vecchie
discussioni tra partiti e società civile, della ricerca di piccole rendite
di posizione. Oggi come sessant'anni fa siamo chiamati ad una nuova
ricostruzione.
Il tempo corre più veloce dei ritmi della politica.
E allora, senza lasciare in dietro nessuno, dobbiamo cambiare marcia e dare
un grande segnale di unità. Questo oggi ci viene chiesto dalla parte
migliore del paese, che non tollera più un mondo politico litigioso e
diviso.
Il cantiere è aperto. Tutti sono chiamati a lavorare in questo cantiere.
Vinceremo se sapremo innovare la politica, se parleremo agli italiani dei
loro problemi. Se ogni energia sarà mobilitata.
Ciò che ci deve distinguere e che alla fine ci farà vincere è il linguaggio
della verità e della coerenza.
Ed è con la verità e la coerenza che faremo crescere un'Italia Unita.
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