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Prodi a Milano

  Ultimo aggiornamento: 03-02-05

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 Testo integrale dell'intervento di Romano Prodi:

Fare crescere un'Italia Unita
di Romano Prodi


Care Amiche,
Cari Amici

Grazie di essere qui oggi Così numerosi Così calorosi

Grazie a coloro che sono Venuti da più vicino, da Milano e dalla Lombardia e a coloro che sono venuti da lontano, da tutto il resto d'Italia.

Grazie a coloro che Hanno maturato e Vissuto la loro passione politica All'interno dei partiti.

Grazie agli uomini e alle donne di tutti i partiti qui rappresentati da Luciana Sbarbati, Clemente Mastella, Antonio Di Pietro, Francesco Rutelli, Enrico Boselli, Piero Fassino, Alfonso Pecoraro Scanio, Oliviero Diliberto e Fausto Bertinotti.

E grazie a tutti voi che nei movimenti, nelle associazioni, nei sindacati, nelle scuole, nei posti di lavoro vi battete e donate con generosità il vostro tempo e il vostro impegno per la costruzione di un'Italia migliore.

Cari Amiche e Cari Amici, nel febbraio del 1995 ho cominciato il mio viaggio nella politica. Un viaggio che ha avuto la sua stella polare nell'Europa. Capivo che dovevamo entrare nell'Euro non solo per aderire all'Europa della moneta unica, ma per dare finalmente un futuro stabile e prospero all'Italia. Oggi dobbiamo riprendere questo disegno di stabilità e di prosperità.

Esso esige una concezione della politica, non come affare, come scambio, come interesse privato, come merce, ma come progetto, come scelta di unire il paese e non dividerlo.

****

Abbiamo ascoltato le domande, abbiamo compreso i problemi, abbiamo condiviso le speranze dei nostri amici che hanno parlato qui di fronte a noi. Ad essi dobbiamo dare una risposta. Per questo voglio parlare del futuro. Del futuro da costruire tutti assieme per un'Italia protagonista in Europa.


Il mondo nel XXI secolo

Il mondo del XXI secolo è un mondo ancora carico di rischi e di paure: i terrorismi, le guerre e le povertà. Ma è anche un mondo carico di straordinarie opportunità nel quale un terzo dell'umanità si è svegliato, è uscito dall'isolamento ed ha trovato la strada dello sviluppo. Nel quale, tra la Cina e l'India, oltre due miliardi di persone, stanno scoprendo e provando che la povertà e la miseria non sono una maledizione eterna. Un mondo nel quale l'istruzione è più preziosa delle materie prime. Un mondo che sta imparando a riconoscere il valore dell'ambiente. Un mondo al quale i progressi della scienza, della medicina, delle biotecnologie schiudono nuovi orizzonti e nuove speranze di vita.


L'Europa

Un mondo nel quale c'è l'Europa. Un'Europa di 25 paesi, di 450 milioni di abitanti e, ora con una Costituzione, con politiche comuni per sostenere le regioni più povere, per promuovere la ricerca scientifica, per tutelare l'ambiente, l'agricoltura, la concorrenza e i diritti dei consumatori. Un'Europa che è un continente di pace, di libertà, di sicurezza. Un'Unione costruita con la democrazia e che, aprendosi a nuovi popoli e a nuovi Stati, ha esportato e sta esportando la democrazia. Un caso unico ed un esempio in un'epoca nella quale c'è chi cerca e si illude che la democrazia si possa esportare con la forza delle armi. L'Europa è la carta sulla quale l'Italia, uscita distrutta dalla guerra, ha scommesso il proprio avvenire. E fino a quando ha fatto questa scommessa ha vinto. L'Italia può ancora avere un grande futuro perché è parte della nuova e grande Europa dell'euro e dell'allargamento. Perché è il ponte naturale tra l'Europa e il Mediterraneo. Perché il Mediterraneo, passaggio obbligato delle merci che arrivano da un'Asia in crescita esplosiva, sta tornando, dopo cinquecento anni, al centro del mondo.


Il futuro dell'Italia

L'Italia ha le risorse potenziali che contano nel mondo di oggi: lavoratori straordinari e imprenditori, piccoli e medi, che sono il nostro biglietto da visita nel mondo. I nostri successi sono stati il frutto di una sola ricetta. Di ingredienti semplici. Imprenditori coraggiosi, apertura alla concorrenza e ai mercati internazionali, grande attenzione alle risorse umane e ai lavoratori, legame col territorio e con le sue tradizioni produttive, scommessa sull'innovazione. Questa è la ricetta che dobbiamo promuovere e sostenere. Per rilanciare le nostre poche grandi imprese e per fare diventare grandi quelle di media dimensione. E' una sfida che ancora possiamo vincere. Ma ad una condizione: che non inganniamo noi stessi, che cominciamo col dire la verità. Gli italiani sentono il bisogno di parole di verità e di coerenza. E la verità, e lo dico con preoccupazione e dolore, è che l'Italia sta perdendo colpi e rischia di mancare l'aggancio con l'economia mondiale e con l'Europa. Siamo all'ultimo posto per la crescita tra tutti i 25 paesi dell'unione. All'ultimo posto. Il nostro reddito pro-capite è caduto sotto la media europea. Non era mai successo prima. Stiamo perdendo quote di mercato nel commercio mondiale: dal 4,5% al 3% tra il 1995 e il 2003. E questo, mentre sia Francia che Germania hanno mantenuto la loro competitività. In ricerca e sviluppo investiamo l'1% del reddito nazionale, la metà di quanto fanno, in media, gli altri paesi europei. Se guardiamo all'istruzione, il confronto è ancora più negativo. Solo il 57% dei giovani tra i 25 e i 34 anni ha completato le scuole secondarie, il 20% in meno dei loro coetanei negli altri paesi più industrializzati. E la qualità della scuola, come la competitività delle imprese, cade sempre più in basso in tutte le classifiche internazionali, mentre gli insegnanti soffrono la difficoltà di capire e di risolvere i problemi degli studenti. A partire dagli adolescenti.


Le ragioni del declino

Il rischio si fa ora drammatico. Non credete a chi vi dice che la colpa è solo del mercato del lavoro. Non credete a chi vi dice che la colpa è solo delle tasse. Le ragioni sono più profonde, sono più serie. Il mondo è cambiato: non è più quello del 1996 e le politiche non possono essere le stesse. Sono cambiati i modi della produzione. Sono cambiati i fattori del successo. Oggi, vince chi riesce a restare sulle frontiere dell'innovazione. Un'innovazione fatta di ricerca, di scuola, di università, di mercati aperti all'ingresso di nuovi protagonisti. Ma fatta soprattutto di una nuova voglia di provarci. Per questo al centro del nostro programma dovranno essere i giovani.


I giovani

L'Italia non ha scommesso sui giovani: eppure solo scommettendo su di loro potrà riprendere il cammino dello sviluppo. I nostri giovani stanno peggio dei loro genitori. Hanno meno speranze di quante ne avevamo noi alla loro età. Eppure potrebbero avere davanti a loro orizzonti sempre più ampi. Eppure, nei pochi casi in cui vengono date loro delle occasioni sono bravissimi. Nella ricerca nei settori più avanzati dalle biotecnologie alle nanotecnologie, nell'arte moderna, nella produzione di qualità. Ma in genere i nostri giovani sono costretti a restare in parcheggio sempre più a lungo. Anni sprecati perché dai 20 ai 35 anni la nostra società li spinge a vivere come adolescenti. Dovremo lavorare insieme ai giovani per una nuova scuola, più seria, più severa, più formativa, per portare anche l'Italia sulla frontiera dell'innovazione dalla quale è quasi assente, ma anche per dare nuova dignità al loro lavoro. I giovani hanno bisogno di conoscere diverse esperienza, di viaggiare e studiare all'estero, di studiare fianco a fianco nelle università italiane con decine di migliaia di coetanei di altri paesi. Voi giovani avete bisogno di conoscenze e di esperienze. Certo avrete anche bisogno, come si dice in linguaggio moderno, di mobilità. Ma qui si è confusa la mobilità con la precarietà in cui nulla è certo, nulla è previsto come stabile, nulla è pensato come duraturo. E il giovane anche quando trova un lavoro è perennemente angosciato dalla paura di perderlo e nulla può investire nel migliorare se stesso. Togliendo la sicurezza ai giovani, negando loro le occasioni di cui hanno diritto, noi togliamo ad essi e all'Italia la possibilità di crescere.


La stagnazione

E nella stagnazione tutto diventa impossibile. E noi siamo nella stagnazione. Non solo perché siamo l'ultimo nella crescita tra i 25 paesi europei, ma perché le nostre famiglie sono diventate più povere. Chi era già ricco lo è diventato ancora di più, mentre anche chi si riteneva più fortunato di altri fatica ad arrivare alla fine del mese. Non sorprende che oggi questo governo e questa maggioranza si ritrovino soli. La stagione delle illusioni è finita. Le famiglie, i giovani, gli anziani, i lavoratori, le imprese hanno fatto i conti. Hanno fatto i conti e si sono trovati, tutti, più poveri. Più poveri, soltanto quest'anno, di 31 miliardi di euro. 60 mila miliardi delle vecchie lire.


Il deficit pubblico

Il calcolo è semplice. A giugno c'è stata una prima manovra di 7,5 miliardi. A questa, si è aggiunta, in settembre, una seconda di 24 miliardi. Infine, pochi giorni fa, il governo ha deciso di tagliare le tasse, così hanno detto loro, di 6, 5 miliardi. Ma, poiché i soldi per finanziare questi 6,5 miliardi di tagli non ce li avevano, hanno aggiunto alla manovra un carico di 6 miliardi. Vogliamo fare la somma? Niente di più facile. 7,5 + 24 = 31,5
31,5 - 6,5 = 25
25 + 6 = 31
Sono 31 miliardi di euro. Questo è il conto. Ed è il conto solo per quest'anno. Tanto che l'ex ministro dell'Economia quanto un ministro ancora in carica hanno già detto che nella prossima primavera sarà necessario un nuovo intervento. E i risultati non cambiano anche se ci limitiamo alla sola parte fiscale. Il Presidente del Consiglio ha parlato del più significativo taglio delle imposte degli ultimi decenni. Strano, molto strano. Addirittura sorprendente. Se si prendono per buone le cifre ufficiali del governo, il prossimo anno avremo non un taglio ma un aumento delle imposte. E non si tratta di un aumento di poco conto. Nel 2005 le imposte aumenteranno di quasi 4 miliardi di euro. Sempre, naturalmente, che non ci siano nuove sorprese. Sono tasse pesanti, ingiuste, inutili e dannose. Sono tasse ingiuste perché colpiscono i più poveri e premiano i più ricchi. E sono tasse inutili e dannose perché non aiutano le imprese ad essere più competitive e l'economia a crescere di più. Per questo il governo ha deciso di chiedere la fiducia quando in Parlamento, si tratterà di approvare la sua Legge Finanziaria. Il governo pensa che, liberi di esprimere il proprio voto, gli stessi deputati della maggioranza potrebbero anche dire “no” a questa Finanziaria. Per una volta, credo che il governo abbia ragione. Una manovra che pesa per 31 miliardi di euro e che impone nuove tasse per quasi 4 miliardi non è facile da digerire. Forse è per questo che il partito del Presidente del Consiglio ha organizzato per oggi una manifestazione contro le tasse, un “no tax day”. Vogliono dire di no alle nuove tasse del governo.


Noi e le imposte

Hanno cercato di dipingerci come il partito delle tasse. Sbagliano. Noi pensiamo semplicemente che le tasse siano uno strumento per finanziare l'azione dello stato e dare ai cittadini la protezione e i servizi di cui hanno bisogno. Ciò a cui certo non possiamo rinunciare è il criterio che informa tutti i sistemi fiscali dei paesi democratici: la progressività. Questo vuole dire una cosa semplice: chi ha più possibilità è chiamato a contribuire in misura maggiore di chi ne ha meno. I beni pubblici, i servizi, la sicurezza ecc. debbono essere finanziati in misura crescente al crescere del reddito. Il fisco serve quindi a due cose: 1. regolare la crescita 2. ridistribuire il reddito Nel nostro Paese la distribuzione del reddito si è squilibrata al punto da diventare un freno allo sviluppo; basta guardare i dati sul consumo delle famiglie. Anche le tasse contribuiscono al nostro squilibrio. Esse gravano in maniera eccessiva sul lavoro. Questo deve essere il punto di attacco di una manovra fiscale che voglia ridare fiato alle famiglie e competitività alle imprese. Meno tasse e meno contributi sul lavoro e sui redditi da lavoro medio-bassi.


Le ragioni del disavanzo

Lo spazio per questa riduzione c'è. Non lo si deve trovare nei tagli ai servizi e allo stato sociale (questo è uno scambio che non potremo mai accettare). Lo spazio è anzitutto nella lotta alla evasione, che è enorme e crescente. E che durante il periodo del nostro governo era sensibilmente calata. Tre anni di condoni reiterati e una visione del fisco come nemico rischiano di annullare la possibilità di recupero di un rapporto positivo tra lo stato e i cittadini sul terreno fiscale.

La Legge Finanziaria è la firma di un governo che ha perduto il controllo della finanza pubblica. Da quasi il 5 per cento di avanzo primario del 2001 siamo ridotti a poco più dell'1%. In tre anni e mezzo hanno dilapidato il patrimonio che gli italiani avevano costruito in anni di sacrifici. Bastava che avessero mantenuto la situazione di bilancio che avevano ricevuto dal centrosinistra. Bastava questo, e avrebbero evitato manovre correttive, una tantum, cartolarizzazioni, condoni. Bastava questo e avrebbero evitato la vendita dei ministeri, delle sedi dell'Inps, delle caserme, delle strade. Avrebbero evitato di tagliare del 10% i fondi a disposizione dei carabinieri e della polizia. Non è con meno risorse che si combattono camorra, mafia e criminalità. Una criminalità che ha rialzato la testa ed è in crescita dovunque ad eccezione che nei telegiornali. Ma tre anni e mezzo di governo hanno prodotto un disastro non solo nei conti pubblici. Hanno prodotto nuove gravissime disuguaglianze. Hanno creato insicurezza e hanno tolto la speranza nel futuro. E' ora di rilanciare l'Italia.


Rilanciare l'Italia

Noi ce la possiamo fare. Perché noi siamo quelli che ce l'hanno già fatta quando la sfida era la più difficile. Siamo quelli che tutti i giorni ce la fanno nel governo delle città, delle province, delle regioni. Siamo quelli che le promesse le mantengono. Non servono miracoli, non c'è bisogno di bacchette magiche. Serve un lavoro duro, serio, continuo, giorno dopo giorno, senza trucchi. Attento ai problemi veri. Curando i conti pubblici. Tagliando le tasse sul lavoro e non quelle sui ricchi, perché è così che si riducono i costi delle aziende, si promuove l'occupazione e si sostengono i consumi. Concentrando gli incentivi e i crediti fiscali sulla ricerca e sull'innovazione. Promuovendo la concorrenza per garantire mercati liberi e aperti. Combattendo le rendite e i monopoli nelle professioni, nella distribuzione, nelle banche, nelle assicurazioni, nei trasporti, nell'energia. Perché chi paga il conto finale dei costi di queste posizioni di privilegio sono le famiglie e le imprese. Niente può più rapidamente rafforzare la capacità di competere del nostro sistema produttivo di una ventata di concorrenza nell'economia.


Ancora l'Europa

Fortunatamente, l'Italia può contare su una grande alleata: l'Europa. L'Europa ha bisogno di un'Italia che si rimetta nel solco della sua grande tradizione e torni ad operare in favore di una più forte integrazione. L'Europa ha bisogno dell'Italia per darsi una nuova e più forte capacità di decidere, nel governo dell'economia, nella politica dell'immigrazione, nel sostegno alla ricerca scientifica, nella politica internazionale. Per consolidare, su un piano di mutuo rispetto e di reciproca dignità, l'alleanza con gli Stati Uniti d'America. Per contribuire a rafforzare l'autorità delle Nazioni Unite e la stabilità dell'ordine mondiale. L'Europa, dunque, ha bisogno dell'Italia. Così come l'Italia ha bisogno dell'Europa.


Le tre priorità

Giovani. Immigrazione. Mezzogiorno. Questi sono i punti critici dell'Italia di oggi, su cui fare ripartire l'intero Paese. Queste sono le emergenze. Queste debbono essere le nostre grandi priorità. I giovani, gli immigrati e il Mezzogiorno sono le nostre grandi risorse per il futuro. Sono le risorse più preziose sulle quali investire. Nel quadro dell'Europa e con l'aiuto dell'Europa. Che fare allora? Scuola, scuola, e, poi, ancora scuola. E' da qui che si parte. Scuola che trasmetta con equità il sapere e, soprattutto, la capacità di apprendere. Scuola, con tutti i progetti Erasmus possibili, per mettere i nostri ragazzi in contatto e su un piano di parità con i loro coetanei negli altri paesi. Scuola e università che sappiano riconoscere il merito e promuovere l'eccellenza. Ma, poi, porte le più aperte possibile verso il mondo del lavoro. Per dare ai nostri giovani, ai nostri giovani uomini, soprattutto, alle nostre donne, l'opportunità di misurarsi con il lavoro, di creare ricchezza per sé e per la nazione. Per dar loro la possibilità di crearsi una famiglia e di fare dei figli senza aspettare di avere 35 anni.


Le giovani donne

Sono soprattutto loro, le giovani donne, che possono portare un contributo decisivo per far fare un salto in avanti alle nostre imprese, alla nostra società, alla nostra politica. Ho visto quanto più forte è il ruolo delle giovani donne negli altri paesi europei. E' ora che anche noi diamo una mano di rosa all'Italia.


Gli immigrati

Ma i nostri giovani, da soli, non basteranno. Da qui al 2025, su una popolazione che non dovrebbe variare di molto, i giovani sotto i vent'anni caleranno da 11 a 9 milioni, e quelli tra i 20 e i 39 anni da 17 a 12 milioni. Per sostenere un paese nel quale gli anziani sopra i 65 anni saliranno da 10,5 a 14,6 milioni, per produrre quel benessere che i nostri giovani non saranno più in grado di garantire, avremo bisogno di uomini e donne di altri paesi. Stato centrale, autorità locali, mondo delle imprese e del volontariato, associazionismo religioso e laico: tutti dovranno essere coinvolti in una sforzo coerente. Si tratterà in primo luogo di governare l'ingresso nel territorio e nel mercato del lavoro di queste nuove genti. Non più un'immigrazione di puro residuo, ma un'immigrazione guidata e gestita nella quantità e nella qualità delle persone. La Legge Bossi-Fini ha preso atto della complessità della questione degli immigrati, ma cercando di umiliarli nei centri di detenzione più per fini elettorali che per bisogno oggettivo. Non si deve alimentare la paura per calcolo elettorale, perché gli immigrati sono una risorsa indispensabile per il nostro paese, ma di valorizzare i rapporti con i paesi di provenienza e di regolarizzare e programmare i flussi. La paura non ispira la buona politica che, al contrario, domanda lungimiranza e intelligenza. Ma soprattutto è la convivenza tra cittadini ed immigrati che dovrà essere curata perché gli immigrati saranno un giorno nostri cittadini, dovranno parlare la nostra lingua e dovranno conoscere e praticare le nostre leggi.


Il Mezzogiorno

Anche per il Mezzogiorno l'ancora alla quale agganciarci è l'Europa. Un'area di stabilità e di crescita vigorosa ad est, con i Balcani davanti alle nostre regioni adriatiche. Un nord Africa sulla via dello sviluppo a poche centinaia di miglia dalle nostre coste. Un'Asia che, dal Canale di Suez, arriva in Europa attraverso il Mediterraneo con la imponente e vertiginosa crescita dei suoi traffici, ma che il nostro Mezzogiorno non si è preparato a ricevere con una nuova logistica, con la capacità di trasformare e adattare i beni che dal più grande centro di produzione(l'Asia) vanno nel più grande mercato del mondo(l'Europa). Un'Asia che al Mediterraneo e al nostro Mezzogiorno chiede porti, scali aerei, capacità logistiche. Ora chiede anche la cancellazione totale di ogni influenza mafiosa e di ogni azione di disturbo e di controllo sulla vita delle imprese e di coloro che operano nelle imprese. Il Mezzogiorno ha perduto la grande occasione degli investimenti europei (diretti verso la Spagna). Ha perduto l'occasione degli investimenti americani in Europa (approdati in Irlanda e nel nord del Continente). Ora sta arrivando l'ultima occasione: l'irruzione dell'Asia in Europa. Non perdiamola e prepariamoci fin da ora, consapevoli almeno che da Gioia Tauro a Rotterdam ci sono almeno quattro giorni di navigazione. E poi, ci sono, alle porte, i turisti. Non più solo i giapponesi, ma i nuovi cinesi, pronti a innamorarsi delle nostre bellezze, se non verranno costretti a scegliere altre mete, meglio organizzate, meno care. Con un reddito pro capite pari a meno del 70 per cento della media nazionale, il Mezzogiorno è il collo di bottiglia che più condiziona le capacità di crescita dell'Italia. Ma è anche la riserva più importante della quale disponiamo per far fare un salto in avanti al nostro sviluppo.


La fiducia nella Politica

Nel 2001 la destra ha vinto le elezioni. Da allora gli italiani hanno via via perso la fiducia nel governo perché il governo non ha trasformato le promesse in fatti, non ha dato risposta ai loro problemi. Non usiamo però cari amici, la sfiducia nei confronti del governo per nascondere la gravità di tutti i nostri problemi. Nel rumore di una politica fatta di parole, gli italiani hanno perso la fiducia non solo nel governo ma nei confronti di tutta la politica e anche nei nostri confronti. Dobbiamo quindi meritarci il nostro ruolo e le nostre responsabilità. Dobbiamo riprendere piani coraggiosi per restituire all'Italia la crescita, per creare posti di lavoro veri, ospedali migliori, scuole finalmente all'altezza dei tempi, un sistema pensionistico più sicuro. Alla base di tutto ciò dobbiamo mettere una grande disponibilità al cambiamento in settori di base.


Energia e Ambiente

Ne cito solo due per tanti: l'energia e l'ambiente. Abbiamo un grave problema nel nostro sistema energetico: la dipendenza dai combustibili fossili, petrolio, carbone, gas è esagerata; non sostenibile. Un programma forte di ricorso alle energie rinnovabili è indispensabile ed urgente. E non solo per il bene del nostro paese, per ridurre la nostra dipendenza strategica dall'estero. C'è anche un motivo legato ad una nostra nuova presenza nel mondo. I due miliardi di persone che stanno affacciandosi a consumi energetici simili ai nostri, non potranno seguire il nostro modello di consumo. E allora dobbiamo insegnare a noi e a loro a non fare come abbiamo fatto noi. Dobbiamo aiutare gli altri ad evitare i nostri errori. Nell'ambiente la grande novità è la ratifica del trattato di Kyoto, per la quale da Bruxelles ho personalmente dedicato grande energia. Una sfida che, se vinta farà avanzare l'Italia. Se persa la farebbe arretrare gravemente. L'euro non era solo dei banchieri. Kyoto non è solo degli ecologisti. L'euro non era solo moneta, ma un patto allargato di comune convivenza e comune destino. Kyoto non è solo clima ma sostenibilità e qualità della vita in Italia ed in tutto il pianeta. E può essere anche un grande stimolo per nuove linee di sviluppo industriale, per il recupero di innovazione e di competitività. In Italia vuole dire metropolitane, nuove ferrovie, treni moderni, auto avanzate e pulite, pannelli solari e centrali eoliche.

Non una somma di divieti quindi ma un nuovo sapere.

Un importantissimo fattore di crescita.


Lo Stato Sociale

Ci serve la crescita anche per sostenere e riorientare lo stato sociale. Non certo per smantellarlo e sostituire ai diritti la carità e la compassione.

Alla compassione noi preferiamo i diritti.

Non possiamo accontentarci di un welfare che interviene ex-post a riparare le situazioni di disagio. Dobbiamo eliminare privilegi e posizioni di rendita per garantire a tutti più opportunità. Dobbiamo promuovere la realizzazione delle persone e la vita serena delle famiglie. Non si riconosce il valore della famiglia se ad essa si sottraggono servizi e sostegni. La crescita ci dona le risorse per costruire il nuovo stato sociale ma nella nostra impostazione lo stato sociale e la coesione sono elementi dello sviluppo, non ne sono un freno. Se non si produce ricchezza si distribuisce povertà. Se non si rafforzano i diritti non si genera un vero benessere.

Sviluppo e democrazia

Noi risponderemo con la ripresa dello sviluppo, ma anche con la trasformazione della vita democratica e la riforma del finanziamento della politica. Con le nostre proposte coraggiose e con la volontà di realizzarle riacquisteremo la fiducia dei cittadini e riceveremo da loro il compito di portarli fuori dalla crisi. Esercitare la leadership politica non significa mediare o rincorrere l'opinione prevalente. Fare politica vuol dire mettere sul tavolo i temi difficili, proprio quei temi che molti vogliono evitare o ignorare perchè pensano che non si possano risolvere. Fare politica non significa seguire i sondaggi. I sondaggi di opinione, come mi ha più volte detto un consigliere di Clinton, ti dicono solo da che parte sta la gente. Che cosa la gente già pensa. Ed è inutile portare la gente dove già si trova: bisogna portarla più avanti.


Fare assieme il programma

Abbiamo davanti a noi molti mesi per ascoltare, per capire e poi decidere insieme con onestà e con serenità dove dovremo andare.

E là porteremo il Paese quando avremo la responsabilità del governo.

Non possiamo, nel frattempo, perdere le nostre radici che ci debbono rendere attenti ai problemi quotidiani di tutti e soprattutto dei più deboli. Troppe volte abbiamo rischiato di perderle, per dedicarci alle pur necessarie discussioni interne. Molti giovani hanno perciò perso la fiducia nella politica per dedicarsi ai problemi personali o anche ad una generosa dedizione alla propria comunità o alla protezione di categorie più deboli o di persone sofferenti. Sono cose belle, anzi molto belle, ma che non possono essere messe in pratica senza la politica, senza una nuova politica. Lo vediamo oggi quando le risorse per il welfare scarseggiano sempre più, quando comuni e province non hanno più risorse per le madri, per gli asili nido, per gli emigranti, per gli handicappati o gli emarginati. Altri che hanno perso fiducia nella politica, sono fuggiti per la crescente scorrettezza della politica. Noi dobbiamo rivendicare l'importanza morale della politica. La concentrazione della ricchezza e del potere sta moltiplicando gli abusi, demolisce la fiducia nell'economia italiana e nel governo, elargisce grandi ricompense a una piccola minoranza e getta nell'insicurezza gli altri. Questa politica non è morale, è una politica senza valori.


I tre NO

Per questo dobbiamo dire tre NO. Il primo è allo stravolgimento della Costituzione. No ad una riforma della Costituzione che è una vera e propria controriforma. Che punta a spaccare il paese nella sua unità istituzionale, culturale e civile. Si rompe l'equilibrio dei poteri, si spezza l'unità del paese. Di nuovo una concessione alle bandiere di qualche partito regionale. Un modo di intendere la politica, che per accontentare qualcuno compromette il disegno di tutti. Il secondo no è ad una riforma della Giustizia, che punta a spezzare il senso della legge. Si umiliano i giudici, si fanno le leggi ad personam, si schierano gli avvocati delle proprie cause nella battaglia parlamentare. Il risultato è che non solo si indebolisce gravemente l'ordinamento giudiziario italiano, ma si toglie ogni fiducia dei cittadini verso la legge, perché la legge viene identificata nell'interesse di una persona o di un gruppo e non nella tutela del diritto e della giustizia. Il terno no è ad un cambiamento delle regole del confronto elettorale e delle norme che garantiscono un livello minimo di parità nell'uso delle risorse della comunicazione. Ma non ci dobbiamo stupire che questo governo e questa maggioranza siano contrari alla parità.


Il viaggio dell'ascolto

Il viaggio che oggi iniziamo in tutto il paese è un viaggio di ascolto. L'Italia è più grande e più forte della rappresentazione che molti ne vogliono dare. Una rappresentazione che non ne riconosce le risorse e lo vuole portare sulle strade pericolose della divisione e del conflitto, in cui le parole sono sempre gridate e sempre vuote. Noi vogliamo capire le risorse e i problemi del nostro paese e presentare in modo pacato e sereno le soluzioni, che questo viaggio nella fatica e nelle speranze dell'Italia ci avrà suggerito. Questo non è più il tempo delle gelosie, delle vecchie discussioni tra partiti e società civile, della ricerca di piccole rendite di posizione. Oggi come sessant'anni fa siamo chiamati ad una nuova ricostruzione.

Il tempo corre più veloce dei ritmi della politica.

E allora, senza lasciare in dietro nessuno, dobbiamo cambiare marcia e dare un grande segnale di unità. Questo oggi ci viene chiesto dalla parte migliore del paese, che non tollera più un mondo politico litigioso e diviso.

Il cantiere è aperto. Tutti sono chiamati a lavorare in questo cantiere. Vinceremo se sapremo innovare la politica, se parleremo agli italiani dei loro problemi. Se ogni energia sarà mobilitata.

Ciò che ci deve distinguere e che alla fine ci farà vincere è il linguaggio della verità e della coerenza.

Ed è con la verità e la coerenza che faremo crescere un'Italia Unita.

 

     

   

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