Tre insegnamenti di Aldo Moro
19-01-04
Tre insegnamenti di Aldo Moro
Le ragioni dell'uomo,
la Repubblica per la democrazia,
i tempi nuovi
La
persona al primo posto
In una delle
prime lettere inviate dalla prigionia Aldo Moro scrive:
"... entra in
gioco, al di là di ogni considerazione umanitaria che pure non si può
ignorare, la ragione di Stato. [...] Il sacrificio degli innocenti in nome
di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di
necessità dovrebbe indurre a salvarli, è inammissibile".
In un'altra lettera si legge: "Vi sono certamente problemi per il Paese
che io non voglio disconoscere, ma che possono trovare una soluzione
equilibrata anche in termini di sicurezza, rispettando però quella
ispirazione umanitaria, cristiana e democratica alla quale si sono
dimostrati sensibili Stati civilissimi in circostanze analoghe [...].
Possibile che siate tutti d'accordo nel volere la mia morte per una
presunta ragion di Stato che qualcuno lividamente vi suggerisce?".
La Ragione di Stato. Conviene approfondire questo concetto che ha
prevalso ai vertici della politica italiana in antitesi con la moderna
cultura giuridica e con l'etica cristiana.
Ciò che Moro
sostiene nelle lettere dal carcere non è solo dettato dall'imperativo
umano di salvarsi la vita. È anche dottrina, è ferma convinzione di
studioso del diritto, coerente formazione culturale.
Ecco un primo
grande insegnamento di Aldo Moro: mai la ragione di Stato può passare
sopra la testa delle persone.
È la
contraddizione che la Democrazia Cristiana di allora non ha saputo
risolvere.
È la
contraddizione che purtroppo ha reso amaro l'ultimo scorcio di vita di due
amici di Aldo Moro, papa Montini e Benigno Zaccagnini.
È la
contraddizione che ancora oggi tiene lontani dalla politica moltissimi
giovani e molte forze nuove e vitali, che vedono nella politica più un
luogo di scontro di interessi piuttosto che un luogo di confronto di
ideali.
Chi oggi è impegnato nell'attività politica deve, a nostro avviso, in ogni
momento rendere evidente come le proprie scelte, le proprie azioni siano
orientate sempre secondo questo principio etico, nelle politiche
sociali come in quelle economiche, nelle politiche di sicurezza come nelle
politiche del lavoro.
Troppo spesso
le nostre proposte, anche le migliori, mancano di uno slancio di umanità.
In questo periodo abbiamo vissuto il dramma della guerra. Abbiamo sentito
molte parti caldeggiarla, quasi rincorrerla, per motivi “di stato”, di
prestigio.
Ma non
possono bastare il nervosismo di Berlusconi e i complimenti di qualche
editorialista per farci essere troppo attenti ai tatticismi e poco fermi
sui principi fondamentali; che si piegano forse troppo in fretta alla
fredda ragione di Stato.
Ho letto molti opinionisti indicare il motto - molto diffuso negli Stati
Uniti - che dovremmo fare nostro per esaltare il “nuovo” ruolo
internazionale dell'Italia, il peso della civiltà occidentale: "Giusto
o sbagliato è il mio Paese!".
Ma non ho
sentito nessuno rispondere che questo motto è aberrante, perché giustifica
ogni tipo di ingiustizie.
Invece
dobbiamo ribadire che il valore giustizia è certamente superiore.
È proprio l'autoassoluzione
preventiva che questo motto sintetizza, ad aver fatto sì che nella storia
molte ingiustizie siano state perpetrate - come questa grandissima, ai
danni di Aldo Moro - e ancora oggi invece di diminuire accrescono.
La difesa della Costituzione
Un secondo
grande insegnamento di Aldo Moro è legato al lavoro costituente.
"Costruendo il nuovo Stato - scrisse Moro - noi determiniamo una
formula di convivenza, non facciamo soltanto dell'organizzazione dello
Stato".
Oggi questa formula di convivenza - costruita nel segno del
dialogo, di cui Aldo Moro era maestro - su cui si è sviluppato il
tessuto sociale del nostro Paese sta subendo un duro attacco da una
maggioranza che non solo comprende al suo interno forze politiche nate e
maturate al di fuori dell'arco costituzionale, ma che nel suo complesso
persegue un chiaro disegno post-costituzionale, che non ci dobbiamo
nascondere.
Il patto
costituzionale va rinvigorito,
allargato semmai, non certo rinnegato. A chi parla di "ispirazione
sovietica" noi dobbiamo rispondere con l'unico antidoto che abbiamo a
disposizione: la formazione, la conoscenza.
Ci piacerebbe oggi riproporre con forza a tutti, ai giovani in
particolare, un dibattito, un approfondimento sulla grande stagione del
lavoro Costituente.
Per dire
chiaramente che non ha diritto di festeggiare il 2 giugno chi non
ha festeggiato il 25 aprile, perché non c'è 2 giugno senza 25
aprile; non avremmo Repubblica senza Democrazia.
L’attenzione al mondo che cambia
Un terzo
insegnamento di Aldo Moro a cui siamo molto affezionati riguarda
l'attenzione costante ai fermenti della società e in particolare al mondo
giovanile. È il discorso sui "Tempi nuovi", in cui Moro
riconosce che "nel profondo è una nuova umanità che vuole farsi, è il
moto irresistibile della storia. Non si tratta solo - prosegue Moro - di
essere sempre più efficienti, ma anche più profondamente capaci di
comprensione, più veramente partecipi, più impegnati a far cogliere in noi
non solo un'azione più pronta, ma un impegno di tutta la vita, un'anima
nuova che sia all'unisono con l'anima del mondo che cambia".
La storia non
si ferma, non ritorna indietro. Noi dobbiamo sforzarci di comprendere, di
relazionarci, di avere il coraggio di percorrere strade nuove. Per
questo vorremmo entrare maggiormente in relazione con tutte quelle
realtà che operano nel terzo settore, che si impegnano sui temi dello
sviluppo sostenibile, che propongono nuove sensibilità, nuove
problematiche.
Vorremmo,
nella nostra tradizione, raccogliere il compito di relazionarci con queste
nuove aree sociali e culturali.
Vorremmo che si aprisse un
dialogo vero, capace non solo di trovare una sintesi efficace,
ma anche di formare percorsi nuovi, tuttavia coerenti con la nostra
storia, vorremmo far capire che il nostro modo di agire politicamente
deriva da un percorso, da una tradizione che dev’essere approfondita e non
dispersa.