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Castel Sant'Elmo, una terrazza affacciata sulla storia di Napoli  

Da Belforte a S.Erasmo. Nel 1329 Roberto d'Angiò diede incarico di ampliare sulla collina di S.Erasmo un palatium che, da fonti documentarie, risulta abitato fin dal 1275 dai familiari di Carlo d'Angiò. Il palazzo, chiamato Belforte, doveva essere di forma quadrata, circondato da mura, con due torri sul lato dell'ingresso e confinante con la Certosa di S.Martino, la cui costruzione era iniziata circa quattro anni prima per volere di Carlo, duca di Calabria, primogenito del Re Roberto. Il palazzo fortificato venne definito già castrum nei documenti del 1336, anno in cui morì Tino da Camaino, l'architetto che aveva iniziato l'edificazione dei due complessi angioini, a cui successe Atanasio Primario. I lavori per il castello, ricordato dai carteggi angioini "con grosse mura", "torri angolari", "un campanile e la cappella", durarono fino al 1334. A partire dal 1348 Belforte fu già chiamato castrum Sancti Erasmi, dal nome Del santo cui era dedicata un'antica cappella presente dal X secolo sulla collina. Il castello fu detto Sant'Ermo, infine Sant'Elmo, mentre la cappella all'interno del forte continuò ad essere dedicata a Sant'Erasmo. Nella tavola Strozzi è riportata una tra le più antiche immagini della collina di S.Elmo, su cui Castello e Certosa si ergono isolati rispetto alla città, che, a quel tempo, aveva il suo centro politico e militare in Castel Nuovo.

      La stella di Don Pedro.  L'attuale conformazione architettonica della fortezza con impianto stellare a sei punte fu voluta dal Vice Re Don Pedro Alvarez de Toledo, marchese di Villafranca, nel 1538, su progetto dell'architetto militare Pirro Luis Escrivà di Valenza e realizzato entro il 1547. Con fronte a sud est ad angolo rientrante e alte mura bastionate, circondate da un profondo fossato, il Castello rappresentò il fulcro del sistema difensivo della città attuato da Don Pedro de Toledo e fu, senz'altro, una delle più importanti fortezze del Regno di Napoli., costituendo una vera e propria cittadella con castellano, che aveva giurisdizione civile e militare, cappellano, presidio, tribunale. I lavori dovevano essere in parte conclusi, quando, nel 1538, fu posta l'epigrafe sulla monumentale porta d'ingresso sormontata dallo stemma di Carlo V con l'aquila bicipite asburgica. Sulla piazza d'armi si affacciavano le stanze degli ufficiali, lalloggio del cappellano e le antiche fabbriche del trecentesco Belforte agioino, distrutte nel 1582 da una esplosione. Nel 1547 fu costruita la Chiesa dallo spagnolo Pedro Prato. Primo castellano di S.Elmo fu Pedro de Toledo, cugino del Vice Re, morto nel 1558, a cui fu dedicato un monumento funebre nella Chiesa del forte, attualmente conservato in sacrestia. Per la particolare forma esagonale del Castello Escrivà ricevette aspre critiche, da cui si difesa sin dal 1538 nella "Apologia", dimostrando come l'impianto stellare ben si adattasse al luogo, consentendone la difesa con pochi uomini e armi.

Il forte allarga la città.   Con la riedificazione di Castel S.Elmo e la costruzione di brevi tratti di murazione, il Vice Re Don Pedro de Toledo estese la superficie della città, richiudendola in una compatta struttura difensiva delimitata da quattro castelli. Inoltre, per la particolare posizione, Castel Sant'Elmo divenne un emergente riferimento topografico nelle vedute della città. Il 13 dicembre 1587, durante un temporale, un fulmine colpì la polveriera distruggendo chiesa, abitazione del castellano e alloggi dei militari. Morirono 150 persone e solo nel 1599 ebbero inizio i lavori di restauro, terminati nel 1610, sotto la direzione dell'architetto Domenico Fontana, che riedificò la Chiesa, l'alloggio del castellano e il ponte. Da quella data, una lunga storia di restauri ha interessato la cittadella fortificata, senza che venisse mai modificato l'impianto stellare, né fu mai attuato il progetto di Francesco Della Ratta (1631) che prevedeva l'accerchiamento del Castello e della Certosa fra due cinte bastionate a oriente e occidente. Una triste pagina è quella relativa alle terribili carceri sotterranee del Castello dove furono rinchiusi illustri prigionieri come, per alcuni anni, a partire dal 1604, il filosofo Tommaso Campanella, accusato di ribellione e di eresia. Nel corso dei secoli, dall'alto della collina del Vomero, S.Elmo ha vissuto le sorti di Napoli attraverso le alterne vicende politiche della città, fino alla cessazione dell'antico Regno delle Due Sicilie. Da quella data (1860) il castello è stato adibito prima a carcere militare e dal secondo dopoguerra a sede d'impianti radio. Venuta meno la funzione di fortezza isolata, oggi S.Elmo è in più stretto rapporto con la città, che si è estesa a dismisura sulla collina del Vomero. Sulla piazza d'armi hanno sede gli uffici della Soprintendenza per i beni storici e artistici della provincia di Napoli e la biblioteca di storia dell'arte "Bruno Malajoli". A completamento dei lavori di restauro, tuttora in corso, Castel S.Elmo, raccordato con la Certosa di San Martino, costituirà una vera e propria cittadella polifunzionale e rappresenterà, per Napoli, un polo d'eccezionale interesse culturale.

Restauro: S.Elmo oggi e domani. L'intervento di restauro di Castel Sant’Elmo ha avuto inizio nell'ottobre 1976 su iniziativa dell'allora provveditore alle Opere Pubbliche della Campania ing. Paolo Martuscelli e con la collaborazione della Soprintendenza ai beni ambientali e architettonici della provincia di Napoli. Il primo fondamentale passo per il recupero della riconoscibilità dell'impianto e delle caratteristiche originarie della struttura ha potuto essere basata su un eccezionale documento storico: il plastico settecentesco del Castel S.Elmo e della Certosa di S.Martino, in legno e sughero, di Giovanni Carafa, duca di Noja (Napoli, 1715-1768), scomponibile, per il solo Castello, livello per livello, ambiente per ambiente, fin negli spazi più segreti. I lavori hanno interessato i fossati per una superficie parziale di 12.000 mq, i piazzali per una superficie complessiva di 7.650 mq, i corridoi e le esedre sottostanti per 3.750 mq, la zona della "sala delle torture" per 725 mq. Sono stati ammodernati gli impianti elettrici, idrici, fognari e di riscaldamento, ripristinate coperture e impermeabilizzazione, rifatte alcune parti murarie. Si è provveduto a una nuova pavimentazione con mattoni dei percorsi, al rifacimento di merli e parapetti, alla sistemazione di tutte le volte delle gallerie e dei corridoi. Gli interventi sono stati estesi alla piccola Chiesa di S.Erasmo e ai fabbricati del carcere basso insistenti sul piazzale e agli ambienti sotto i camminamenti. Eccezione al criterio adottato della conservazione degli ambienti originali del complesso monumentale, quella, finalizzata al riuso dell'edificio, dello scavo di 1300 metri quadrati di massa tufacea - su una preesistente cavità sottostante la palazzina del carcere alto - per la costruzione di un auditorium per 700 persone realizzato secondo moderni criteri tecnologici. A quell'intervento di restauro stanno seguendo lavori d'adeguamento impiantistico (climatizzazione, sistemi antifurto e antincendio e così via) e quelli tesi a dotare la struttura di attrezzature culturali e di ristoro. Tra i progetti in cantiere, ce n'è uno che punta alla creazione di un Museo storico della veduta, centrato sul tema dell'immagine della città dal '400 all'800, da allestire negli spazi climatizzati del carcere alto, mentre un Centro per la documentazione del patrimonio culturale della provincia di Napoli verrebbe sistemato negli spazi della palazzina un tempo occupata dalla Marina Militare in cui è inglobata la Chiesa di S.Erasmo.

  • Il bus dei castelli. La visita guidata al Forte S.Elmo costituisce la prima tappa del "Bus dei castelli napoletani", itinerario didattico della Feder Mediterraneo che comprende anche il Castel dell'Ovo e il Maschio Angioino. L'ingresso per i gruppi scolastici è gratuito. Durata dell'itinerario mezza giornata: dalle 9,30 alle 12,30 circa. Il bus è generalmente procurato dal gruppo scolastico. Appuntamento con gli animatori culturali all'ingresso di S.Elmo. 

Informazioni: Feder Mediterraneo, tel. 081-8540000 e 081-5795242, cell. 338-3224540 e 347-4475322, fax 081-8044268, e-mail feder-mediterraneo@libero.it


Il castello aragonese di Baia: fortezza e museo dei Campi Flegrei

La fortificazione fu eretta in un'area di rilevante importanza strategica dalla quale si dominava il vasto specchio di mare che si estende dal golfo di Pozzuoli all'acropoli di Cuma, con veduta di Capri, Procida e Ischia. La natura del promontorio tufaceo a picco sul mare, la presenza di profondi valloni verso l'entroterra costituiti dai crateri detti Fondi di Baia, le opere di difesa - mura, fossati e ponti levatoi - rendevano il castello pressoché inespugnabile.

La costruzione fu realizzata dagli Aragonesi nel 1495, nell'imminenza dell'invasione da parte del re di Francia Carlo VIII, unitamente a numerose altre opere di fortificazione nel Regno di Napoli. Per la progettazione del sistema difensivo e delle singole fortezze il re Alfonso II di Aragona chiese e ottenne dal duca Federico da Montefeltro la consulenza di Francesco di Giorgio Martini, architetto senese affermatosi in quegli anni per l'efficacia delle soluzioni innovative ideate nella tecnica delle costruzioni militari.

Il castello di Baia, rientrando in un sistema difensivo territoriale, consentiva di esercitare il controllo del golfo di Pozzuoli, impedendo l'avvicinamento delle flotte nemiche ed evitando il rischio dello sbarco di truppe che avrebbero potuto assalire Napoli con una manovra di aggiramento.

In un periodo databile tra il 1538 e il 1550 il viceré spagnolo Pedro di Toledo Alvarez, marchese di Villafranca, dispose la radicale ristrutturazione e l'ampliamento della fortezza aragonese, gravemente danneggiata dall’eruzione che diede vita al Monte Nuovo (1538) con un complesso di opere che conferirono al monumento l'aspetto attuale.

L'edificio mantenne la funzione di fortezza militare nel periodo del vicereame spagnolo e del dominio austriaco (1503-1734) e nel corso del successivo regno borbonico (1734-1860). Dopo l'annessione allo Stato sabaudo, fino al 1887, subentrò un periodo di lenta decadenza e inesorabile abbandono del castello. Nel 1927 1o Stato ne dispose la concessione con diritto di godimento perpetuo al Reale Orfanotrofio Militare. In relazione alla nuova destinazione d'uso, negli anni 1927-30 furono eseguiti lavori di trasformazione che comportarono numerose alterazioni e superfetazioni. L'Orfanotrofio rimase nel castello fino al 1975, anno in cui l'ente fu disciolto.

Il complesso è stato fino al 1984 nel possesso della Regione Campania; poi, rientrato nelle disponibilità del demanio statale, fu consegnato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli perché vi realizzasse il Museo Archeologico dei Campi Flegrei.

Il castello si trova in posizione baricentrica rispetto alle aree archeologiche dei Campi Flegrei, in prossimità del palazzo imperiale di Baia e a mezza strada tra Cuma e Pozzuoli. Dalle terrazze e dagli spalti è possibile raggiungere con lo sguardo alcune delle più celebri testimonianze di questo tratto del golfo di Napoli: il cosiddetto Tempio di Augusto sul Rione Terra e il Macellum (cosiddetto Serapeo) di Pozzuoli, i numerosi resti di ville marittime, le Cento Camerelle, il grandioso complesso del Palatium  degli imperatori romani a Baia, l'acropoli di Cuma, il cosiddetto sepolcro di Agrippina. La stessa fortezza risulta edificata sui resti di un complesso residenziale romano (la " villa di Cesare"?), del quale sono venute in luce alcune strutture durante i lavori di restauro.

Nel museo sono stati esposti numerosi materiali archeologici provenienti dal territorio di Baia e Miseno e dai fondali marini antistanti, dove giacciono, inabissati dal bradisismo, cospicui resti delle più celebrate ville marittime del mondo antico. Esso ospita attualmente la mostra archeologica Nova Antiqua Phlaegrea, che raccoglie testimonianze degli scavi archeologici effettuati negli ultimi 10 anni nel territorio compreso fra Napoli e il lago Patria.

La notevole estensione del complesso e la sua felice posizione consentono la destinazione di alcuni spazi ad attività culturali, con l'istituzione di una sezione dedicata alla storia dei fenomeni vulcanologici e geologici dell'area flegrea, di un centro di studi per l'archeologia subacquea, di una sezione illustrativa dell'iconografia flegrea.

1. Palazzina di ingresso. In antico vi si accedeva attraverso una gradinata e un ponte levatoio. In essa troveranno posto la biglietteria, i servizi di custodia ed i locali per i quadri di controllo degli impianti tecnologici.

2. Corpo di fabbrica detto della Mezzaluna. I locali del piano seminterrato sono adibiti a deposito di materiale archeologico, quelli del livello sovrastante ospitano l'Ufficio di Baia della Soprintendenza Archeologica.

3. Avancorpo. La costruzione è articolata su due livelli, di cui quello superiore collegato alla sala per le conferenze della Torre di Nord-Ovest attraverso anguste scale in parte ricavate nella roccia.

4. Torre di Nord-Ovest, denominata anche Torre Tenaglia dal nome della sottostante fortificazione su cui era sistemata una batteria da fuoco. Le due ampie sale coperte da volte a botte ospiteranno esposizioni di materiali archeologici. In quella inferiore è allestito il complesso del sacello degli Augustali di Miseno; la sala superiore, dove è presentata la mostra dei gessi di Baia, è predisposta anche per conferenze.

5. Ala delle camerate. Il corpo di fabbrica è costituito da due file di 21 locali ciascuna; gli ambienti si sviluppano su due livelli disimpegnati da corridoi retrostanti e da terrazze a livello prospicienti il mare. Qui sarà il maggior nucleo del museo. Nelle sottostanti arcate di fondazione saranno realizzati servizi ed officine.

6. Antiche prigioni. Spazio che si pensa di utilizzarte per esposizioni temporanee.

7. Polveriera S. Antonio. Sarà utilizzata per conferenze o riunioni.

8. Chiesa seicentesca con alloggio del cappellano, poi abitazione del comandante del castello. Il restauro prevede l'abbattimento delle superfetazioni moderne.

9. Antico alloggio dei soldati. Nel corpo di fabbrica saranno installati i laboratori fotografico e di restauro del museo.

10. Padiglione Cavaliere. La costruzione a tre piani ubicata sulla sommità del castello verrà utilizzata come sede del Servizio Tecnico di Archeologia Subacquea unitamente al Forte a mare (fuori pianta), che servirà da base logistica per recuperi archeologici sottomarini.

11. Piazzali e terrazze. Negli spazi all'aperto inseriti nel percorso di visita al monumento si potranno svolgere concerti e rappresentazioni.

  • La visita al castello aragonese di Baia rientra nell'itinerario didattico "La Baia dei Cesari" del programma "Scuola & territorio" della Feder Mediterraneo. Si visita prima il Palatium imperiale con gli scavi archeologici e poi il Museo archeologico dei Campi Flegrei ubicato nel castello. L'ingresso per i gruppi scolastici è gratuito. Durata dell'itinerario mezza giornata: dalle 9,30 alle 12,30 circa. 

Informazioni: Feder Mediterraneo, tel. 081-8540000 e 081-5795242, cell. 338-3224540 e 347-4475322, fax 081-8044268, e-mail feder-mediterraneo@libero.it


 

Borgo medievale di Casertavecchia

Borgo di Casertavecchia: un tuffo nel Medio Evo

La prima immagine di Casertavecchia, scolpita sulla pietra tombale del vescovo Azzone, risale al 1310 e rappresenta una città cinta di mura e ricca di chiese e di torri. A questo periodo, forse il più fiorente della storia casertana, va riferito il definitivo assetto urbano di quello che oggi è solo un piccolo borgo posto sulla sommità dei colli Tifatini a circa 400 m. sul livello del mare. Ancora incerta è l'origine del nucleo urbano forse sorto su di un antico 'pagus' romano, in periodo di dominazione longobarda (VII-VIII secolo). La prima notizia relativa a " Casa Hirta " ossia " abitato posto in posizione scoscesa", e', infatti, riportata dallo storico longobardo Erchemperto ed e' riferita all'anno 861.

 

Borgo medioevale di Casertavecchia

Il castello

La costruzione del castello si presume iniziata nell'861, all'epoca longobarda di Pandone il Rapace, conte di Capua, a cui politicamente era legata Casa Hirta. Infatti, sorte alcune liti per la divisione dei feudi tra i signori di Capua, Landolfo si rifugiava e si fortificava sulla sommità dei monti Tifatini, dove sorgeva il borgo di CasH irta. Con i normanni, al tempo di Federico II di Svevia,  il forte fu trasformato fino ad assumere il suo aspetto definitivo di castello-fortezza (48.045 palmi quadrati) , degno dell'importanza della contea di Casa Hirta. Durante la dominazione angionina il maniero perse parte della sua importanza; con quella aragonese non furono apportate significative modifiche. Oggi del castello rimangono in piedi solo due sale, sovrastanti l'una all'altra nella parte ad est, e il Mastio, chiamato popolarmente "la Torre". Alta 32 m. e con un diametro di 10m.  ha forma cilindrica e poggia su una base poligonale, fatta con massi di pietra calcarea. In origine ben 4 torri, piazzate ai quattro punti cardinali, erano come le sentinelle vigilanti di giorno e di notte sul castello e sul borgo, pronte a contrastare il nemico da qualunque parte si affacciasse. Nel caso in cui  il nemico fosse riuscito ad invadere il castello, ultimo rifugio e difesa era il Maschio. Il Maschio, munito di fossato  e di terrapieno, aveva due accessi aerei con ponti levatoi a piani diversi. Alla base delle finestre-ingressi vi sono ancora le pietre a gancio. Il Maschio è costituito da tre sale circolari sovrastanti l'una all'altra. A sinistra di chi entra, s'apre una botola, che seguendo la circonferenza sotto il pavimento della sala, dà l'accesso a delle feritoie. La sala inferiore apparentemente non ha alcun accesso: la si nota solo per una buca, che è al centro del pavimento della sala mediana e di quella superiore. Probabilmente doveva servire come deposito di acqua. Sul terrazzo, costituito da due piani, circolari concentrici, vi è traccia di un forno. L'uso dei tubi e del forno era evidente, olio o acqua o pece bollente poteva essere versato sul nemico che si fosse azzardato ad invadere il Maschio.

CURIOSITA'   E' in atto una simpatica sfida europea tra la Torre dei Falchi di Caserta Vecchia ed il Mastio di Aigues Mortes, per decretare quale sia la più alta!

Borgo medioevale di Casertavecchia

La Cattedrale

La cattedrale  fu eretta sui resti di una precedente chiesa longobarda, utilizzando materiali dell'età imperiale provenienti dal vicino tempio di Giove Tifatino,  su cui sorse l'Abbazia di S. Pietro ad Montes, agli albori del sec. XII, sotto l'episcopato di Rainulfo.  La sua costruzione era a buon punto quando fu consacrata al culto di San Michele Arcangelo nel 1153, come si legge sulla iscrizione nell'architrave del portale mediano; ma i lavori furono ultimati solo più tardi. L'edificio è chiaramente in stile romanico, ma presenta un singolare innesto di forme siculo-mussulmano pugliesi e lombarde. Ed è certo uno dei monumenti più significativi dell'architettura medioevale nell'Italia Meridionale.

L'ESTERNO  La facciata, a salienti, presenta tre portali centinati e decorati con sculture allegoriche, simboleggianti la Forza e la Potenza della Chiesa, con evidenti rapporti con le facciate delle cattedrali pugliesi. Sul portale centrale si apre una monofora inquadrata da due colonne poggianti su leoni. Particolarmente interessante il timpano, al di sopra di archetti pensili, tipici dell'architettura romanico-lombarda, che cingono tutta la costruzione. Ma, oltre che per questi archetti, la facciata acquista animazione per la presenza nel timpano di un loggiato cieco ad archi intrecciati poggianti su colonnine marmoree, evidente richiamo a tanti edifici dell'architettura siculo-mussulmana. Sui tre portali delle iscrizioni in caratteri longobardi ricordano vari momenti della costruzione: la prima sul portale destro, del 1113, ricorda che, alla morte del fondatore, al vescovo Raintrifo, successe il vescovo Nicola; l'altra, a sinistra, del 1129, dice che Nicola continuò e ultimò i lavori, la terza, al centro, che nell'anno lì 53 il vescovo Giovanni fece rivestire di marmo le pareti della chiesa. Meno significative le altre lapidi, sempre all'esterno della Cattedrale, sul lato sud: sulla facciata una prima ricorda la scomunica del vescovo Nicola II (1285) contro degli usurpatori di mulini diocesani; le altre due, sul portico del Campanile, sono quasi moderne, a memoria del passaggio per la pianura casertana di Benedetto XIII, nel 1725 e nel 1729. Un graffito, appena visibile sulla parete destra del portico, ricorda il famoso incendio del 1717 che distrusse alcune case e molte carte importanti dell'Archivio episcopale. Sulla crociera s'innalza la cupola, che è di un secolo posteriore alla fabbrica della chiesa (età federiciana). E' uno dei meravigliosi prodotti di quell'arte siculo-campana che già aveva espresso le sue prime fantasie decorative nella Cattedrale di Salerno per poi farsi più elegante e immaginosa a Ravello e all'interno del palazzo arcivescovile di Capua. Nella sua raffinata policromia e nella vibrante grazia decorativa, questa cupola rappresentò uno dei risultati maggiori dell'architettura medioevale in Italia.

IL TIBURIO, costruito con pietra dolce bicolore, grigio e giallognolo, a scacchiera, con le sue otto facce, è diviso in due zone di dimensioni diverse: in ambedue il motivo dominante è dato da arcate intrecciate che, nell'ordine inferiore, si sovrappongono a finestra. Il finto loggiato, costituito dalle arcate intrecciate, sorge su un cornicione a dentelli sostenuto da mensolette, ed è sormontato da una cornice più fortemente aggettata, anch'essa poggiante su mensolette variamente ornate. Al di sotto delle cornici corrono larghe fasce decorate con tarsie policrome. Nell'ordine inferiore ritorna il fiorito motivo già presente nelle torri di Salerno e nel chiostro di Monreale: rosoni istoriati, stelle, figure di animali fantastici. Sempre nell'ordine inferiore i sottoarchi includono dischi a motivi geometrici, mentre le membrature degli archi e delle finestre sono rivestite da incrostazioni policrome a disegni geometrici e stilizzati. Resti di una decorazione, a mosaico, si vedono pure nell'ambone quadrato della crociera. Tutta questa ornamentazione è giustamente da ritenere senza uguale per ricchezza di colore, varietà di motivi, intensità di effetti.

L'INTERNO   L'interno del Duomo è a tre navate, divise da 2 file di 9 colonne monolitiche di epoca romana (provenienti dall'antico Tempio di Giove Tifatino) e con capitelli, di stile ionico e corinzio, di diversa origine, ma tutti di età classica. Il transetto è rialzato; la navata centrale si conclude con un grande arco a sesto acuto; più piccole le absidi che chiudono le navatelle laterali. Con richiami più all'architettura araba che a quella gotica si presentano le volte costolate del transetto, mentre ancora in legno è la copertura delle tre navate. Purtroppo in età barocca furono distrutti gli affreschi, ritenuti del Cavallini o della scuola, che ricoprivano le pareti, e andarono perduti anche i dipinti del soffitto con la maggior parte del mosaico del pavimento. Gli unici affreschi superstiti sono nella Cappellina trecentesca che è a destra entrando nella chiesa. Al suo fianco, sul muro maestro, recentemente è stato collocato un busto marmoreo raffigurante la Vergine, opera di scuola campana della fine del XIV secolo. All'inizio della navata centrale, a destra, è posta una pila a forma di capitello corinzio sorretta da un leone marmoreo del XIII secolo; a sinistra un identico leone sorregge una pila rinascimentale. Addossata alla parete della navata sinistra una tomba cinquecentesca eretta da Alberico Giaquinto, signore del luogo, per il fratello Ortensio. All'incrocio tra il corpo longitudinale e il transetto, a destra, si conserva, alla base di un pilastro, un elegante affresco di scuola napoletana del '400, raffigurante la Vergine col Bambino. Restaurato e restituito all'antico splendore, il pergamo è sostenuto da quattro colonnine e si avvale di una splendida decorazione musiva a motivi geometrici in cui si inseriscono disegni di uccelli, oltre che di alcune sensibili sculture. Singolarissima è la figura di un fachiro con un cobra. Nei bracci del transetto si conservano altre due tombe del tipo dei sepolcri di Tino da Camaino: a destra quella di Giacomo Martono (vescovo di Caserta nel 1360) sotto un baldacchino ogivale; a sinistra il sepolcro del conte Francesco della Ratta (m. 1359). Dell'altare maggiore o, secondo altri, dell'antico ambone, è stata recuperata una lastra con decorazione musiva policroma a disegni geometrici. Gli stessi disegni si ripetono nella parte superstite del pavimento a mosaici antistante l'altare: il gusto è chiaramente siculo-mussulmano. Sull'altare è sospeso un Crocifisso ligneo, di rude e provincializzante resa plastica, riferibile alla seconda metà del XIV secolo. Sul lato sinistro della Cattedrale nel '500 fu costruita una cappella, visibile anche all'esterno, di forma quadrata e ricoperta da una cupoletta simile a quella del Duomo; all'interno vi è un altare barocco in marmo su cui si trova una tela settecentesca di scuola napoletana raffigurante: "La Madonna del rosario con Santi". Ancora nel braccio sinistro, nei pressi dell'abside, è murata la lastra tombale in marmo del vescovo Azzone (1287-1300), su cui è incisa, ai piedi della figura del vescovo, l'immagine della civitas casertana, fortificata e turrita.

Borgo medioevale di Casertavecchia

Il campanile

 

A destra della Cattedrale, adiacente alla sua facciata, sorge l'imponente campanile, che è posteriore di 81 anni alla Cattedrale. Infatti, fu terminato nel 1234 dal Vescovo Andrea, come si può leggere nell''iscrizione posta in un marmo dell'altissima torre. E' una massiccia ma slanciata costruzione, sostenuta da un arco leggermente acuto e poggiante a due piedi su base quadrata. Il campanile è alto 62 metri e largo 8: ha 5 piani, tre dei quali decorati da una bifora per ogni lato. Il primo piano è fornito da una galleria cieca risultante dagli archi intrecciati; i due piani successivi si aprono in eleganti bifore. Al 4° piano, sul lato nord sopra la bifora, vi è una figura umana interna in marmo, con un colombo fra le mani; ad ovest, la testa di uomo forse dalle fattezze di Benito Mussolini; a sud un'altra testa pure di marmo; ad est ancora una testa, ma barbuta e di tufo pipernino. Il 5° piano è ottagonale con torrette cilindriche sovrastanti gli angoli del quadrato, che riprendono il motivo degli archetti intrecciati. Sull'ottagono originariamente si elevava una piramide che andò distrutta per un fulmine alla fine del 1700 e non più ricostruita.

 Borgo medioevale di Casertavecchia

La Chiesa dell'Annunziata

Dietro il fianco destro della cattedrale si innalza la chiesetta dell'Annunziata, piccola e graziosa costruzione gotica della fine del sec. XIII. Nella facciata si aprono tre monofore sormontate da un piccolo rosone. Purtroppo essa è in parte nascosta e deturpata da un portico settecentesco. Lateralmente sorge un piccolo campanile a tre piani. L'interno è interessante per la policromia dell'arcone che precede l'abside quadrata: su di esso sono raffigurati in medaglioni circolari gli apostoli. Anche in questo tempietto sono del tutto scomparsi gli antichi affreschi

 Borgo medioevale di Casertavecchia

Le case gentilizie

Casa Farina una volta casa Cefarelli, è non lontana da casa Uzzi. Vi si conservavano dei reperti antichi, tra i quali 2 leoni del duomo, di cui uno rubato qualche anno fa da ignoti.

Casa Masella è tra via Della Contea e via Della Valle. Ha una finestra molto antica e nell'interno arabeschi alle volte. In via Della Valle, di fronte a via Della Contea, fa spicco un portale molto semplice e una finestra duecentesca della casa Marino, una volta Bagnoli.

Casa Maresciallo Farina è tra via Della Valle e via S. Michele. In via Della Valle, presenta un portale del XII sec. seminterrato e in via S. Michele 2 finestrelle, di cui una cieca, molto semplici e antiche.

Casa Pisano è in via del Castello di fronte alla Cappella dell'Addolorata, in un angolo molto suggestivo. Si presenta con un portale del XII sec.. Nell'interno a destra un bel loggiato originariamente coperto e una bifora in buono stato di conservazione, danno l'impronta della nobiltà delle sue linee.

Casa Stellato è tra via del Castello, via Fatta e via Torre. Ha le caratteristiche della casa nobile per la sua struttura austera e per 4 stemmi affrescati nell'ingresso di via Torre, in fondo al cortile, in ottimo stato di conservazione.

Casa Magliocca è sulla via Annunziata. La facciata è decorata da due portali, con accenno al terzo, simili a quelli del palazzo vescovile: sovrastano i portali due finestre della stessa epoca, XIII sec..

Casa "Annunziata" è adiacente alla chiesetta omonima. In origine doveva fare un tutt'uno con essa. Nella parte esterna esposta a mezzogiorno ha una delle solite finestre antiche sovrastante ad una lunetta cieca con tracce di affreschi; anche all'interno del cortile una lunetta in capo ad una porta, ora murata , che immetteva nella chiesa, presenta tracce di affreschi del XIV sec..
  • La visita al Borgo Medioevale di Caserta Vecchia costituisce uno degli itinerari didattici del programma "Scuola & territorio".  Durata dell'itinerario mezza giornata: dalle 9,30 alle 12,30 circa. Se accorpato con un altro itinerario dell'area casertana (esempio: Reggia e parco, Real Belvedere di San Leucio, Capua antica o Basilica di S.Angelo in Formis) può costituire parte di una intera giornata di escursioni culturali.

Informazioni: Feder Mediterraneo, tel. 081-8540000 e 081-5795242, cell. 338-3224540 e 347-4475322, fax 081-8044268, e-mail feder-mediterraneo@libero.it


 

 

 

 

 

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indetta dal Ministero, attraverso il programma didattico "Scuola & territorio"


 

 

 

 

 

 

 

 


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Aggiornato il: 04 febbraio 2003