Rivive la flotta imperiale di Miseno in uno straordinario itinerario didattico. Clicca sulla nave per entrare nel nuovo sito.

UN NUOVO SITO DI SCUOLA & TERRITORIO E' ANDATO IN RETE: LA FLOTTA IMPERIALE DI MISENO ORA NAVIGA NEL WEB

Home Su Le nostre scuole Itinerari didattici Terra del fuoco

Baia dei Cesari

 PROGRAMMA DIDATTICO DELLA FEDER MEDITERRANEO

 

Su
Dieta mediterranea
Scuola aperta  

 GLI ITINERARI

Clicca su quelli che ti interessano

Laghi flegrei: Fusaro, Miseno, Lucrino e Averno

Magna Graecia: alla scoperta di Cuma

Da Dicearchia a Puteoli

Il porto romano di Miseno

La Baia dei Cesari

L'Oasi del Monte Nuovo

I Campi Flegrei visti dal mare

Bus dei Campi Flegrei

Bus della Terra del Fuoco

Campi Flegrei e Magic World

Bus della Riviera di Ulisse

Procida: Museo del mare fra Terra Murata e Corricella

Grotta di Seiano e parco di Pausilypon

Il Real Museo Borbonico di Napoli

Centro antico: il cuore di Napoli

Neapolis greco-romana

Napoli angioina

Napoli aragonese

Napoli barocca

La Napoli dei Re

Il Vomero monumentale

Villa Floridiana e il Museo della ceramica

Capodimonte: Sito Reale e Museo

Bus dei castelli napoletani

Capri: il Mediterraneo visto dai Faraglioni

Reggia e parco reale di Caserta

La Real Colonia "socialista" di San Leucio

Il borgo medioevale di Caserta Vecchia

Capua antica

S. Angelo in Formis

Ville Vesuviane del XVIII secolo

Scavi archeologici di Pompei

Scavi archeologici di Ercolano

Il parco nazionale del Vesuvio

Benevento: il Museo del Sannio

Avellino: il Museo Irpino

Salerno: il Museo provinciale

Cereali: la pasta, il pane e le pizze

Pomodoro e conserve vegetali

L'olio d'oliva della Penisola Sorrentina e del Sannio

Il vino DOC dei Campi Flegrei

IRSVEM: Il pesce e i molluschi

Formaggi DOP: la mozzarella di bufala campana

"Gustasannio": il vino e l'olio a Guardia Sanframondi

 

 CONFERENZE

Il Regno delle Due Sicilie: otte secoli di storia del Sud

Il marketing territoriale e turistico

La dieta mediterranea nell'epoca della globalizzazione

 

 FORMAZIONE

Stages, tirocini e percorsi formativi

Corsi di formazione post qualifica

IFTS nell'ambito delle misure PON Scuola

Corsi regionali con enti pubblici ed enti terzi

Visite guidate presso ristoranti e centri alberghieri


Clicca su...

Rivista promossa dal CSA di Benevento dell'Uffiscio Scolastico Regionale della Campania, diretta da Mario Pedicini


La Feder Mediterraneo al fianco dell'UNESCO



Clicca qui


Una finestra aperta sulle Nazioni Unite...

Contatti Links Uffici Materiale

 

 

 

Un delitto di Stato di 2000 anni fa: mandante, Nerone

Lucio Domizio Enobarbo: Nerone

Una famiglia dilaniata. Delitto di Stato fra Baia e Miseno, presso Napoli. Un delitto di 2000 anni or sono che fa ancora discutere. Vittima: Agrippina Minore, figlia di Germanico, moglie dell'imperatore Claudio e madre di Lucio Domizio Enobarbo, detto Nerone. Mandante: l'imperatore, Nerone. Esecutore: Aniceto, prefetto della flotta militare imperiale di stanza a Capo Miseno, quella Praetoria classis misenensis che aveva il compito di tenere sotto controllo tutto il Mediterraneo occidentale. Movente: il controllo del potere nel più vasto stato allora esistente al mondo, l'Impero Romano. A ricostruirlo, in tutti i dettagli, nel corso degli itinerari didattici "Baia imperiale" e "Porto di Miseno", nell'ambito del programma "Scuola & territorio", sono gli animatori culturali della Feder Mediterraneo, cui è affidato il compito di far uscire la storia dai luoghi comuni e di farla "vivere" in modo dinamico e moderno.

Lotta per il potere. I pezzi di questo "giallo" sono stati ricostruiti da Massimo Fini nel suo libro "Nerone. Duemila anni di calunnie". Il potere di Agrippina, dopo l'ascesa al trono del diciassettenne Nerone, era immenso. La madre dell'imperatore contava più dell'imperatore, anche ufficialmente. Lo conferma la monetazione. Le monete emesse fra il 4 e il 13 dicembre del 54 d.C. riservano un lato alle teste affrontate di Agrippina e Nerone. Le scritte dimostrano, però, che quelle monete erano dedicate, sì, a Nerone, ma erano emesse per conto di Agrippina. In quel periodo Nerone era sotto il completo dominio della madre. Agrippina voleva continuare a governare con i metodi che aveva usato sotto Claudio. Nerone non aveva ancora messo piede sul trono che sua madre aveva già proceduto ad alcuni regolamenti dei conti che le stavano a cuore: l'assassinio di Marco Silano e del liberto Narciso Silano. 

Agrippina Minore

Quel consiglio di Seneca. Nerone, ben presto, capì che, se voleva governare, doveva assolutamente liberarsi della tutela della madre. Il primo passo di Nerone, d'accordo con il suo consigliere Lucio Anneo Seneca, fu il licenziamento in tronco di Pallante, potentissimo ministro delle finanze e amante di Agrippina. L'imperatrice accusò il colpo e reagì cominciando a raccogliere attorno a sè una fazione personale per passare al contrattacco. Nerone la allontanò dal palazzo imperiale e le tolse le guardie pretoriane. Nonostante ciò, non ci fu una rottura. L'imperatore cercò a lungo di "mediare": la andava a trovare e in pubblico mostrava devozione e affetto per lei. Le cose si complicarono quando Giulia Silana, sorella di quei Silani che Agrippina aveva eliminato, e la zia di Nerone, Domizia, accusarono l'imperatrice di preparare un colpo di Stato.

Commissione d'inchiesta. Agrippina avrebbe avuto intenzione di sposare Rubellio Plauto, discendente di Augusto e rivale numero uno di Nerone. Queste voci furono riferite all'imperatore che si spaventò non poco. Fu istituita una commissione d'inchiesta, di cui faceva parte anche Seneca. L'imperatrice si difese abilmente e superò la "crisi". Era la fine del 55 d.C.. Nel 58 Nerone entrò in rotta di collisione con il Senato che mal digeriva la sua politica filo-popolare. Agrippina ne approfittò per brigare con i senatori ostili all'imperatore. Seneca consigliò Nerone, che aveva 21 anni,  di chiudere definitivamente la partita con la madre. Nerone, però, esitava: ammirava e temeva (più di qualsiasi altra cosa al mondo) la madre. Cercò di trovare una via d'uscita e di riavvicinarsi ad Agrippina.  L'imperatrice ne approfittò per giocare la sua ultima, disperata carta, dopo che Seneca le aveva tolto l'appoggio dei senatori. Cercò di sedurre il figlio. Aveva 43 anni, ma era ancora bellissima. Nerone - come conferma Tacito - si ritrasse. Agrippina, imperterrita, insisteva: arrivò a vantarsi di un incesto che non c'era stato, ma che metteva in cattiva luce l'imperatore presso presso l'esercito. Nerone, a quel punto, si convise che la presenza di "quella" madre, in qualunque luogo fosse, costituiva un pericolo mortale. In fin dei conti, non aveva torto. La sorte di Agrippina Minore era segnata.

 

Una nave-trappola. Per eliminare Agrippina, Nerone si rivolse ad Aniceto, suo antico precettore e allora comandante della flotta imperiale di stanza a Capo Miseno. Costui ebbe un'idea ingegnosa: una nave-trappola che, una volta in alto mare, grazie a un opportuno marchingegno,  si sarebbe spaccata in due. Le circostanze favorirono il piano di Aniceto. Proprio in quei giorni si svolgeva sulla spiaggia alla moda di Baia la festa di Minerva, cui l'imperatore era solito presenziare. Nerone invitò, quindi, la madre alla festa e la portò a cena a Bauli. Qui, all'ancora, tutta pavesata a festa, faceva bella mostra la nave che avrebbe dovuto riportare Agrippina alla sua villa di Lucrino al posto della vecchia trireme militare sulla quale 'imperatrice era solita viaggiare. Agrippina subodorò qualcosa e manifestò l'intenzione di ritornare a Lucrino via terra, in lettiga. Ma, il comportamento affettuoso del figlio la dissuase. Nerone, fattosi buio, accompagnò Agrippina alla nave. Agrippina si mise al posto d'onore, avendo ai piedi l'ancella Acerronia, mentre il famiglio Creperio Gallo stava nei pressi del timone All'improvviso, quando furono al largo, il tetto della nave, gravato da una massa di piombo, rovinò sulla tolda. Creperio fu ucciso sul colpo, mentre Agrippina e Acerronia vennero sbalzate in mare. Ma, il marchingegno di Aniceto funzionò soltanto in parte.

"Aiuto, sono Agrippina!"  La nave, infatti, non si aprì. Si inclinò su un fianco, mentre quelli che non erano a conoscenza dell'agguato tentavano disperatamente di raddrizzarla e gli altri, che sapevano, cercavano di affondarla definitivamente. Il tutto nella massima confusione. Acerronia, in acqua, nel tentativo di salvarsi, si mise a gridare: "Sono Agrippina! Sono l'imperatrice! Aiuto!". Le arrivò addosso di tutto: remi, pali, sassi e, come riferisce Tacito, "ogni genere di proiettile navale". Intanto, Agrippina, ferita a una spalla, nuotava silenziosamente verso la riva. Raccolta da una barca da pesca, si fece portare alla sua villa. Aveva capito tutto. Ma, decise che la cosa migliore era far finta di nulla. Mandò un suo liberto, Agermo, dal figlio perchè gli riferisse che si era salvata da un grave incidente: lo pregava, tuttavia, di non andare, per il momento, a trovarla, perchè aveva bisogno solo di tranquillità. Intanto, Nerone, nel palazzo imperiale di Baia, attendeva impaziente. Quando seppe che la mare si era salvata, divenne pallido come un cadavere.

Un colpo di daga, a Lucrino. Si consultò con Lucio Anneo Seneca e questi gli disse che bisognava andare fino in fondo. Se Agrippina fosse vissuta, Nerone sarebbe stato un uomo morto. E non solo lui. Aniceto, che aveva mancato il colpo, fu incaricato di rimediare. Prese con sè un gruppo di marinai fidati della flotta di Miseno e si recò alla villa di Agrippina. Nel frattempo, al palazzo di Baia era arrivato Agermo. Come lo vide, Nerone, senza dargli neppure il tempo di parlare, gli gettò ai piedi un pugnale e, come se lo avesse colto in flagrante, comandò subito di gettarlo in carcere per far credere che la madre avesse tentato di assassinare il figlio e che, poi, si fosse data la morte per sottrarsi alla vergogna dell'attentato scoperto. Aniceto fece circondare la villa di Agrippina. Il triarca Erculeio la colpì con un bastone, il centurione di marina Obarito le vibrò una coltellata. Agrippina offrì il suo corpo al pugnale, perchè la facessero finita presto. Era il 29 marzo del 59 dopo Cristo...

  •  L'episodio è ricostruito nel contesto di due itinerari del Programma didattico "Scuola & Territorio": quello intitolato "Baia imperiale" (nell'Ebeterion del Palatium imperiale di Baia, dove risiedette Nerone) e quello denominato "Porto romano di Miseno" (nel cui bacino d'armamemnto il prefetto della flotta imperiale Aniceto fece costruire la nave-trappola su cui avrebbe dovuto trovare la morte Agrippina).

Informazioni: Feder Mediterraneo, tel. 081-8540000 e 081-5795242, cell. 338-3224540 e 347-4475322, fax 081-8044268, e-mail feder-mediterraneo@libero.it


Il Palatium dei Cesari: in visita nella casa degli imperatori

Paola Miniero, dirigente dell’Ufficio archeologico di Baia

In un interessante libro sul principato di Nerone (Nerone – Il principe rosso di M. Ranieri Panetta, Milano 1999, Mondadori), l'autrice, archeologa, riesce molto bene a delineare, basandosi sulla documentazione storica ed archeologica, corredata di belle illustrazioni, la voglia di luxuria, che questo Imperatore perseguì come modello di vita segnata da eccesso e sregolatezza ed estese anche all'architettura della sua celebre dimora: la Domus Aurea.

Come osserva la Ranieri Panetta "tra i monumenti romani perduti uno dei più grandi impianti riguarda la Domus Aurea", che, per la sua estensione su quattro colli (Palatino, Velia, Esquilino e parte del Celio), prospicienti uno stagno simile ad un mare, secondo la descrizione di Svetonio, fu avvertita da tutte le fonti (e molto criticata da quelle antineroniane) come "un'esagerazione urbanistica".

Non si trattava, infatti, solo di eccesso nel lusso e nell'estensione dell'impianto: c'è in questa principesca residenza, costituita da diversi nuclei edilizi separati tra loro in mezzo al verde dei colli, l'intenzione di riprodurre nel cuore di Roma un paesaggio marino caratterizzato da uno specchio d'acqua circondato da boschi, la cui ispirazione era da ricercare nelle ville marittime della Campania ed a Baia in particolare, celebre località termale frequentata dagli imperatori, dai Giulio-Claudi (e da Nerone in particolare) fino ai Severi (193-235 d. C. anno della morte di Alessandro Severo).

Fausto Zevi è stato il primo a sottolineare un parallelismo tra l'impianto della Domus Aurea (per quanto finora di esso si conosce) e quello delle "Terme" di Baia, nelle quali è possibile probabilmente riconoscere il Palatium (cioè una residenza imperiale per l'evidente riferimento al colle Palatino di Roma sul quale era la residenza degli Imperatori Flavi), termine che ricorre su una delle fiaschette vitree di III-IV sec. d.C. di una serie fabbricata a Pozzuoli, riproducenti vedute schematiche del tratto di costa da Pozzuoli a Baia con didascalie dei principali edifici.

Prescindendo dalla differenza di cronologia dei due impianti, essendo la Domus Aurea databile in un periodo ben determinato (tra il 61 ed il 68 d. C.) mentre le "Terme" di Baia furono costruite nel corso di circa cinque secoli (tra il Il sec. a. C. ed il III sec. d. C.), si possono cogliere alcune somiglianze nella concezione ideologica delle due residenze.

Simile era innanzitutto l'orografia dei luoghi, costituiti da colline con boschi (le silvae di Baia, citate nelle fonti) prospicienti un bacino d'acqua, che a Baia era detto Lacus per la somiglianza ad un lago, prima che lo sprofondamento della fascia costiera dovuto al bradisismo lo trasformasse nel golfo attuale ed a Roma era uno stagnum (specchio d'acqua chiuso) dalla forma ovale prima che Vespasiano vi costruisse al suo posto il Colosseo, che poi ricorda nel nome la statua colossale di Nerone ivi collocata.

Simile era anche la disposizione planimetrica dei due impianti. Entrambi presentano corpi di fabbrica separati tra loro, costruiti a ridosso della parete collinare e disposti a terrazzamenti per superare il dislivello fino alle pendici.
I vari nuclei edilizi di entrambi gli impianti erano, inoltre, costruiti in modo tale da essere rivolti con il lato maggiore longitudinale, dove erano gli ambienti di rappresentanza, verso il panorama sottostante costituito dal bacino d'acqua, e collegati tra loro mediante collegamenti (aperti o sotterranei), che nelle Terme di Baia sono costituiti da rampe e scalinate disposte ortogonalmente l'asse longitudinale dell'impianto, nella Domus Aurea da assi viari incrocinatisi ad angolo retto.
Simile sembra anche la disposizione planimetrica degli ambienti, che normalmente si dispongono intorno o ai lati di una sala principale di rappresentanza, che funge da asse dell'impianto, anche se nel caso di Baia si tratta prevalentemente di ambienti termali, con ninfei e cascate d'acqua, che si arricchivano della straordinaria peculiarità della presenza di sorgenti di acque termo-minerali calde e di vapori, che scaturivano naturalmente dalla roccia 

img_acstp.JPG (222619 byte)

tufacea e fecero la fama di questa località.
Entrambe le residenze, poi, per le vicissitudini della loro storia, si presentano oggi spoglie dei rivestimenti decorativi, in marmo, stucco, intonaco e delle sculture che abbellivano le sale: la Domus Aurea, alla morte di Nerone, distrutta o obliterata dalle costruzioni posteriori, le Terme di Baia frequentate nei secoli quasi senza soluzione di continuità.

Eppure, malgrado tali somiglianze, c'è una differenza che subito si coglie nel visitare i due impianti, essendo stato finalmente aperto al pubblico il settore della Domus Aurea costituito dagli ambienti sul Colle Oppio.
A differenza di questi ultimi, inglobati nelle fondazioni delle successive terme di Traiano e pertanto scarsamente areati ed illuminati, le Terme di Baia costituiscono un esempio spettacolare di residenza imperiale nella quale è ancora vivissimo il "sentimento del paesaggio", che, come osserva il Ward Perkins, costituì la grande innovazione dell' architettura romana, soprattutto nelle sue espressioni più elevate.

La vista sul golfo sottostante, dalla Punta dell'Epitaffio a quella del Castello, che si ammira passeggiando tra le architetture costruite a terrazzamento sulle colline di Baia, costituisce la principale attrattiva della visita di questo impianto, alla quale subito si aggiunge l'interesse per le ardite ed insolite costruzioni, quali i cosiddetti Templi a cupola di Mercurio, Venere e Diana, in realtà sale termali, o il cosiddetto teatro-ninfeo nel Settore di Sosandra, che costituirono soluzioni e modelli architettonici, che gli antichi stessi avvertirono come peculiari della località, coniando la definizione di mos baianun riferendosi al "costruire alla maniera di Baia".

Il complesso, che occupa un'estensione di circa 40.000 mq. di area finora scavata (escludendo la sua continuazione nel Parco Monumentale, di recente anch'esso aperto al pubblico) è rimasto essenzialmente inedito, salvo alcune tematiche specifiche, come i cosiddetti Templi a cupola. Si presenta come una serie di nuclei architettonici databili tra il Il sec. a. C. ed il III sec. d. C., per i quali sfugge un'univoca definizione, ma che è lecito interpretare come progetti edilizi avvenuti sotto il controllo imperiale e probabilmente identificabili con il Palatium Baianum o una parte di esso.
Nel caso di questo complesso, a differenza di altri edifici di Baia, non disponiamo di elementi epigrafici per attribuire le varie costruzioni ad un determinato Imperatore e solo sulla scorta della tecnica muraria sono state avanzate alcune attribuzioni, come quella del teatro-ninfeo della Sosandra a Nerone, identificabile con l’ebeterion (luogo di ritrovo per i giovani) da lui voluto per i marinai della flotta di Miseno, degli edifici di Il secolo dei settori di Sosandra e Venere, tra cui il "tempio di Venere" ad Adriano, del "tempio di Diana" al complesso del Palatium cum stagno costruito a Baia dall'Imperatore Alessandro Severo in memoria della madre.

Purtroppo, la loro utilizzazione senza soluzione di continuità fino ad epoca medioevale ha comportato la spoliazione e la distruzione di quasi tutti i rivestimenti decorativi (marmi, pitture, stucchi), dando la falsa impressione di una mancanza di lusso, compensata comunque dall'imponenza delle architetture superstiti.
Per opportunità è stato convenzionalmente suddiviso dagli studiosi in cinque settori (Villa dell'Ambulatio, Mercurio, Sosandra, Venere e Piccole Terme), nel tentativo di razionalizzare la sequenza di edifici, costruiti lungo l'asse longitudinale della collina, su diversi livelli di terrazzamento, ciascuno dei quali costituisce la costruzione di quello superiore, amplificando la tecnica costruttiva in uso nelle ville tardo-repubblicane dei basamenti artificiali (basis villae). Due maestose e ripide scalinate servono da raccordo tra i diversi livelli di ciascun settore ed al tempo stesso da separazione tra i settori stessi
.

  • Il Palatium imperiale di Baia è incluso nell'itinerario didattico del programma "Scuola & territorio" intitolato "Baia dei Cesari" che comprende la visita agli scavi archeologici di Baia e al Museo archeologico dei Campi Flegrei ubicato nel Castello di Baia. Durata: ore 9,30-12,30. 

Informazioni: Feder Mediterraneo, tel. 081-8540000 e 081-5795242, cell. 338-3224540 e 347-4475322, fax 081-8044268, e-mail feder-mediterraneo@libero.it


Il Ninfeo sommerso di Claudio ricostruito nel castello di Baia

di Enrico Felici

Nessun golfo risplende più dell'amena Baia (Orazio, Epistole)

Dopo una lunga serie di rinvenimenti occasionali, effettuati per lo più nel corso di dragaggi nell'area portuale, che portarono tra 1'altro al recupero di varie decine di sculture confiluite nelle collezioni del museo nazionale di Napoli, nella storia delle scoperte ambientate nel mare di Baia il ninfeo di Punta Epitaffio viene per la prima volta in evidenza nel 1959).

In quell'anno, Nino Lamboglia e Amedeo Maiuri avevano infatti avviato un lungimirante quanto ambizioso programma di esplorazione sottomarina che purtroppo fu presto interrotta dalla mancanza di mezzi e da ostacoli burocratici. Dieci anni più tardi pero, presso Punta Epitaffio, furono rinvenute due statue, sfigurate dai litodomi marini nelle parti superiori, proprio dove avevano avuto luogo le ricerche del Lamboglia. Scoperte da forti mareggiate, esse erano ancora in piedi nella collocazione originaria, nell'abside di un grande edificio rettangolare di cui si intravedevano appena i contorni superiori affioranti dal fondo marino. Recuperate con uno scavo di fortuna, si riconobbero in esse due dei protagonisti della celebre scena omerica (Odissea, libro IX) dell'inebriamento di Polifemo da parte di Ulisse e compagni. Da un lato dell'abside era infatti collocata la statua di Ulisse che porge la coppa piena di vino al ciclope, dall'altro quella di un suo compagno di avventura raffigurato nell'atto di versare altro vino da un otre. All' interno delle due statue erano alloggiati condotti di piombo che portavano acqua alla coppa di Ulisse e all'otre del compagno: proprio la presenza di queste acque zampillanti, oltre all'inequivocabile veste architettonica dell'intero complesso, caratterizzavano i'ambiente che le ospitava come un ninfeo. Le statue, nonostante abbiano i volti devastati dai litodomi (solo la testa sporgeva dalla sabbia), mostrano una fattura assai pregevole. Dal punto di vista stilistico sono da ricondurre a prototipi ellenistici della prima metà del II sec. a.C.

Al completamento della scena mancava dunque soltanto Polifemo, che la posizione delle due statue induceva a cercare al centro dell'abside. E' così che, dodici anni più tardi, nel biennio 19811982, si giunse ad effettuare uno scavo sottomarino sistematico, diretto archeologicamente da P. A. Gianfrotta, insieme a B. Andreae e al gruppo del Centro Studi Sub di Napoli composto da A. Di Stefano, A. Caròla, M. Carotenuto e M. Rosiello. Posto quasi a contatto con la base rocciosa di Punta Epitaffio, con profondità massima interna di poco superiore a sette metri, il ninfeo è costituito da un grande ambiente rettangolare absidato (circa m 18X9). Le pareti lunghe sono articolate in quattro nicchie rettangolari ciascuna, intervallate da lesene, precedute da due altre aperture analoghe che fungevano da ingressi laterali. Tutt'intorno alle pareti corre uno stretto canale ancora in parte rivestito da lastre di marmo bianco mentre all'interno del piano centrale è ricavata una grande vasca rettangolare. Lo scavo vero e proprio è stato effettuato asportando materiali e sabbia per mezzo di sorbone di varia grandezza, a seconda delle esigenze, e da lance ad acqua per rimuovere i depositi più duri e compatti. Fu così messa in luce tutta l'area del ninfeo, chiarendone la planimetria e la funzione di ameno soggiorno estivo, tra penombre e giochi d'acqua, indicata anche dal rivestimento di due pregevoli spalliere marmoree di letti-divano (klinai), eccezzionalmente lasciate al loro posto sui due lati della piattaforma centrale, collocate simmetricamente quasi all'altezza degli ingressi laterali.

Nel corso dello scavo, nell'asportare un massiccio riempimento di materiali di scarico per lo più costituiti da detriti edilizi (calcinacci, intonaci stucchi, pezzi di pavimenti a mosaico, mattoni, tegole, marmi di numerose qualità, tarsie marmoree, laterizi cilindrici per .su.snen,scrrae, chiodi di bronzo ecc.) e residui domestici (anfore, ceramiche da mensa, vetri, ossa di animali commestibili, ecc.), con i quali fu volutamente colmato il ninfeo all'epoca del suo abbandono, sono state scoperte ben cinque statue, quattro delle quali erano state sicuramente collocate nelle nicchie laterali.

Di particolare importanza, infine, la presenza sul fondo del bacino centrale di un consistente strato di limo argilloso e sabbia, pieno di gusci e di altri resti intatti di molluschi di mare (soprattutto ricci), che vi si erano ambientati, subito al di sotto del grande riempimento che ha colmato tutto il ninfeo. Su questo strato poggiavano alcune anfore, piatti, brocche ed altre ceramiche, conservatesi eccezionalmente integre, malgrado vi fossero state certamente gettate da almeno un metro e mezzo più alto (cioè dal piano della piattaforma). Segno evidente di vita marina instauratasi nell'ambiente - fu quindi la presenza dell'acqua ad attutire l'impatto delle anfore gettate - e poi bruscamente interrotta dalla massiccia colmatura di detriti.

Lo confermano pienamente altre tracce riscontrate nei canali laterali dove, sulle lastre marmoree del fondo e delle pareti, restavano in più punti le impronte dei molluschi marini che vi aderivano, oltre ai gusci a chiocciola di intere colonie di piccoli molluschi rimasti sepolti sotto la colmata di riempimento. Alcune delle statue, infine, ma in particolare quella di Antonia, mostrano segni più o meno evidenti di corrosione per il prolungato strofinio dell'acqua marina all'altezza dei piedi, prodottasi quando ancora erano in posizione verticale nelle nicchie. La stessa assenza di scheggiature notevoli su tutte le statue, rinvenute in varie posizioni all'interno dello strato di colmatura, sembra appunto indicare che la loro caduta sia stata attutita dalla presenza dell'acqua.

La prima ad essere rinvenuta in prossimità della prima nicchia del lato est raffigurava, in grandezza naturale, Dioniso adolescente. Sempre sullo stesso lato, davanti alla seconda nicchia, si è trovata una statua-ritratto di bambina con ricca acconciatura dei capelli, la cui fisionomia ne denuncia la sicura appartenenza alla famiglia giulioclaudia. La statua è riconducibile ad un tipo noto da repliche e rielaborazioni del I secolo d. C. con chiara connotazione funeraria, come anche rivela la crisalide di farfalla che spicca il volo dalla manina destra, trasparente simbologia dell'anima fuggente. Si trattava probabilmente di una delle figlie di Claudio morta in età infantile. Poco più oltre poi, ai piedi della quarta nicchia del medesimo lato, giaceva in pezzi un'altra statua di Dioniso giovane. Nuovamente il dio del vino, quindi, in inequivocabile connessione con la scena dell'inebriamento di Polifemo.

Dall'altro lato fu invece scoperta sdraiata a faccia , in giù accanto alla parete un altra statua-ritratto, con prezioso diadema traforato, nella quale si è riconosciuta l'immagine di Antonia minore, figlia di Marco Antonio il triumviro e madre dell'imperatore Claudio. E' rappresentata nelle sembianze di Venere genitrice con piccolo Eros alato, dalla quale si vantava discendere la gens giulio-claudia. La presenza di membri della famiglia imperiale tra le statue che decoravano il ninfeo rivela la sua appartenenza al grande complesso del palazzo imperiale di Baia. Un'altra statua infine, ridotta però ad un grosso frammento del torso di una figura virile in posa eroica, fu trovata all'interno della vasca centrale, dove era stata gettata insieme al1'ammasso di detriti. E' possibile che fosse Druso, marito di Antonia e padre di Claudio.

Questo gruppo di statue costituiva dunque una sorta di "galleria" di ritratti dinastici della gens giulio-claudia, posta in collegamento ideale con il gruppo di Ulisse per mezzo delle due statue di Dioniso. In un ambiente destinato al convivio familiare, a cui presiedevano idealmente le nnagine.s degli antenati, ben si inquadra la presenza del simulacro di Dioniso/vino, il cui potere culturale di civilizzazione trovava trasparente figurazione nell'affermazione di Odisseo sul primordiale Ciclope nell'abside. Sia l'abside che le nicchie si trovano su piani di poco più elevati rispetto al resto della sala e in esse erano disposte in origine le statue. A1 centro della parete opposta all'abside è un grande arco in laterizio rosso (tegole), anch'esso chiuso con rozza muratura di pietrame nella fase di abbandono. Lungo le pareti maggiori e la fronte dell'abside corre un canale (largo circa un metro e profondo cm 90), anche esso completamente rivestito di lastre di marmo bianco, con alle due estremità due coppie di fori sia per la fuoriuscita dell'acqua oltre il livello massimo, sia per lo svuotamento. All'interno del piano centrale è invece ricavata un'ampia vasca rettangolare che, originariamente, si inoltrava al di là del grande arco.

I muri, di opera reticolata di tufo flegreo, divenuto da giallo a grigio per effetto della prolungata permanenza in acqua marina (nell'abside, nelle nicchie e nella piattaforma centrale) e di laterizio rosso (tutta la zona d'ingresso ed i raccordi tra 1'abside ed i muri laterali) erano rivestiti di lastre di marmo bianco, come pure era stata pavimentata con spessi lastroni di marmo bianco la piattaforma centrale. La collocazione delle lastre marmoree sulle pareti laterali e sulle lesene Ulisse che dividono le nicchie è stata rivelata dalle impronte di allettamento rimaste, molto spesso, nella calce che le fissava ai muri. In vari punti poi, al di sotto della calce, sono comparsi gli scarsi resti di un precedente rivestimento di mosaico parietale a piccole tessere multicolori di pasta vitrea (azzurre, verdi, celesti, gialle, grigie, rosse, nere) che, alternate a conchiglie, decoravano le pareti del ninfeo in epoca anteriore all'applicazione del rivestimento marmoreo, probabilmente già nella fase originaria che si può ricondurre ai primi anni del I sec. d.C.

Questo tipo di decorazione a mosaico multicolore e conchiglie è frequente nei ninfei, come pure è caratteristico di tali ambienti costruiti a somiglianza delle grotte naturali, il ricorso a rivestimenti di cosiddetta "finta roccia" ottenuti ricoprendo le pareti con pezzi di formazioni calcaree naturali. Nel ninfeo di Punta Epitaffio la "finta roccia" fodera 1'interno ed il fondo dell'esedra che, con chiaro sforzo di ricostruzione ambientale della grotta del ciclope, si presenta artificialmente scoscesa e articolata su vari livelli, con le statue di Ulisse e del compagno con 1'otre in basso, mentre quella di Polifemo era disposta più in alto al culmine della scena. Anche 1'interno delle nicchie laterali e del grande passaggio di ingresso, ad iniziare dall'arco di laterizio, erano foderati di "finta roccia".

Prima del suo definitivo abbandono in età tardoantica, il ninfeo fu frettolosamente spogliato di quei materiali da costruzione (soprattutto marmi e tubature di piombo) facilmente riutilizzabili altrove. E' sfuggita all'asportazione sistematica una lesena scanalata con parte del capitello corinzieggiante "a foglie d'acqua", databile verso 1'inizio del IV sec. d.C., rimasta ancora al suo posto nell'angolo nord-ovest. In vari punti dell'ambiente si sono trovati gruppi di materiale scartati, per lo più cornicette marmoree e pezzi di lastre evidentemente spezzatisi durante il distacco dai muri. In attesa dello studio completo di tutti i materiali recuperati, si può appena accennare ai numerosi pezzi di intarsi marmorei (opu.s ,sectile) che, con brillanti colorazioni (quelle del giallo antico dei porfidi rosso e verde, del rosso antico, di varie qualità di bianco, ecc.) e varie raffigurazioni (figurine alate, profili umani, zampe di animali ecc.) sono stati in genere rinvenuti lungo le pareti laterali del ninfeo: circostanza che autorizzerebbe l'ipotesi dell'esistenza di una fascia di decorazione settile al di sopra delle nicchie, venuta via via staccandosi durante l'abbandono

In seguito, per breve tempo, continuò qualche forma di vita negli ambienti adiacenti, di poco più elevati del ninfeo e quindi non ancora raggiunti dall'acqua marina. Con il progredire inesorabile del bradisismo tutta la zona fu invasa dal mare con l'abbandono totale dell'edificio. Dopo di allora, forse ad un breve periodo di parziale regressione, potrebbe risalire la triste frequentazione, indicata da alcune sepolture collocate a livello superficiale. Da una di esse proviene forse una moneta d'oro di Giustiniano, trovato nel 1969 nei pressi della statua del compagno di Ulisse, mentre un'altra, relativa ad un bambino di cinque o sei anni, deposto all'interno di un'anfora cilindrica tardo-antica, è stata trovata all'apice della curvatura absidale, proprio dove una volta aveva alloggiato la statua di Polifemo, evidentemente già rimossa quando vi fu deposta la sepoltura.

Il cornplesso statuario è allestito nella sala superiore della Torre Tenaglia, nel Castello aragonese. Per offirire la migliore comprensione dell'ambiente originario del ninfeo è stato studiato uno spazio rettangolare ( I 2x6 metri), poggiante su una pedana leggermente rialzata e terminante in un abside. Delle nervature metalliche spiccate dalle pareti suggeriscono la probabile copertura a volta del ninfeo. Sulle due pareti laterali sono state realize statue della gens Claudia. Gli intervalli tra le nicchie sono ricostruiti secondo 1'originale, con inserti di membrature architettoniche rinvenute durante lo scavo. Al centro dell'ambiente un vetro azzurrato adeguatamente illuminato restituisce la suggestione del1'acqua nella vasca centrale del ninfeo.zate delle nicchie che ospitano l

  • La ricostruzione del Ninfeo di Claudio è inclusa nell'itinerario didattico del programma "Scuola & territorio" intitolato "Baia dei Cesari" che comprende la visita agli scavi archeologici di Baia e al Museo archeologico dei Campi Flegrei ubicato nel Castello di Baia. Durata: ore 9,30-12,30. 

Informazioni: Feder Mediterraneo, tel. 081-8540000 e 081-5795242, cell. 338-3224540 e 347-4475322, fax 081-8044268, e-mail feder-mediterraneo@libero.it


 

 

 

 

Bufali & mozzarelle nel Basso Volturno: un itinerario didattico da prenotare subito. Clicca sulla foto...

 

 


 

Lo "scudo di Roma" sui mari: ricostruiamo insieme la flotta imperiale di Miseno

Clicca sul volto di Marco Agrippa, fondatore della marina da guerra dell'impero romano, per saperne di più

 


I luoghi di spettacolo dell'antichità

 

 

Vieni con noi  agli anfiteatri romani di Puteoli e Capua.  Firma la carta di Segesta del Consiglio d'Europa...


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Il Regno delle Due Sicilie: 8 secoli di storia e di civiltà del Sud Italia

 

 

 Discutiamone insieme Conferenza nelle scuole con il giornalista Franco Nocella. Clicca sull'immagine di Ruggero il Normanno...:


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


La Feder Mediterraneo partecipa ogni anno alla Settimana dei Beni Culturali

indetta dal Ministero, attraverso il programma didattico "Scuola & territorio"


 

 

 

 

 

 

 

 


Alla scoperta dei segreti della  dieta mediterrane

. Clicca sulla pasta per saperne di più


 

Home ] Su ] Le nostre scuole ] Itinerari didattici ] Terra del fuoco ]

Inviare a feder-mediterraneo@libero.it  un messaggio di posta elettronica contenente domande o commenti su SCUOLA & TERRITORIO

Copyright © 2002 FEDER-MEDITERRANEO
Aggiornato il: 04 febbraio 2003