Chiesetta di S. Maria di Miggiano
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Muro
Leccese è uno dei 97 comuni della provincia di Lecce con circa 5300
abitanti. Situato in una valle ad 82 metri sul livello del mare e ad
una distanza di quindici chilometri dal canale d’Otranto, è punto
d’incrocio nel cuore del Salento. Equidistante dal Capo di Leuca e da
Lecce è snodo di collegamento tra l’Adriatico e lo ionio. Stabilire
le origini di Muro Leccese è un compito abbastanza arduo e difficile,
per il fatto che nessun documento scritto ne testimonia l’esistenza
in epoche in cui l’uomo ha intrapreso il suo cammino verso la civiltà
con la scoperta della scrittura. Le più antiche testimonianze di uno
splendido passato ormai lontano. ma che continua a resistere nel tempo,
sono: alcune grotticelle-sepolcro, risalenti ad età preistorica e scavate
artificialmente nella calcarenite in località “Giallini” e “Pozzomauro”;
i misteriosi menhir
(da maen =
pietra e hir = lunga) alti pilastri monolitici conficcati nel terreno;
e i dolmen (di derivazione bretone dol = tavola e men pietra) camere
conficcate nel terreno, costituite da tre lastroni di pietra e da un
quarto poggiato sopra come una tavola. Essi, insieme alle
mura
megalitiche che
si snodano ancora oggi per alcuni chilometri tracciando l’antico perimetro
della città, sono i gloriosi resti di antiche civiltà che per prime
colonizzarono questi luoghi. E’
a partire dal VI secolo a.C. che alcuni popoli provenienti dall’Illiria
cominciarono la loro trasmigrazione per insediarsi in zone più fertili
lontane dal loro mondo e fra questi erano presenti i Pelasgi che anticamente
erano stanziati nella Tessaglia, regione dell’antica Grecia. Con il
nome di Messapi (che vuol dire popolo situato tra due mari) i greci
di Taranto chiamarono tutte le tribù che parlavano il dialetto messapico:
i dauni dell’Apulia del nord, i peucezi che abitavano al centro, i calabri
e i salentini della parte meridionale. Il
nome comprensivo assegnato a questi popoli dagli scrittori antichi era
invece quello di japigi, popolazione di provenienza illirica, appunto.
Le città dei messapi, fra le quali le più importanti erano Brindisi;
Una Oria;
Rudiae;
Caelia Ceglie
Messapico; Arpi;
Lecce e Canosa, erano riunite in una confederazione per meglio fronteggiare
gli as salti dei pirati. In buona sostanza si può affermare che i Pelasgi,
una volta civilizzatisi, iniziarono la edificazione delle prime città
e fra questa si trovano Oria; Manduria, Vaste e Muro. Per proteggerle
dalle invasioni straniere, tutte queste città furono scrupolosamente
recintate da gigantesche mura da cui non si può con
certezza stabilire
che sia derivato il nome che porta questo paese, cioè
Muro Leccese. Questa
cittadina fù influenzata dalla prima “grecità” ionica e attica,
mescolandosi col seme messapico e japigio da cui spuntò un ramo robusto
della “Megàle Ellàs” (Magna Grecia), vivendo nel nome di Roma, la vicenda
latino - cristiana, poi fù influenzata dalla seconda “grecità”, quella
bizantina di cui restano tracce cospicue negli affreschi di S. Marina.
Muro Leccese ha svolto la sua parte di mediazione tra longobardi e bizantini,
fino a partecipare allo scontro fra cristiani e musulmani e a dare il
suo tributo di sangue e di fede nell’eccidio di Otranto nel 1480. Ma
le vicende intorno alle quali s’impernia la storia di Muro, di cui risente
gli umori e l’alterna fortuna,
furono quelle legate ai principi di Muro, i Protonobilissimo (che il
popolo murese chiamava “Faccipècore”, e cioè: faccia da pecore) che
per tre secoli e mezzo, a partire dal 1438 e fino al 1774, governarono
la nostra cittadina. Con
Giovanni Battista I Protonobilissimo, fin dalla metà del Cinquecento,
la città dovette subire un colpo violento. Comincia, infatti, da questo
feudatario, tra alti e bassi nei suoi successori, il travaglio dei muresi
angustiati dalla prepotenza del potere giudiziario, dei governatori
regi, degli esattori che gravavano di tributi le terre, i traffici,
il commercio, le case, i mulini, le masserie, i trappeti. Il principe
non finiva mai di esigere diritti “personali”, in casa e fuori, leciti
e illeciti. Ogni
tanto, la magnanimità dei Protonobilissimo, dovuta certamente più ai
desideri delle religiosissime consorti ed alla necessità di coprire
il loro malcostume, si manifestava nell’elargire beni a favore della
chiesa, nell’erigere statue ed altari e nell’ordinare tele e affreschi,
in modo da accattivarsi le simpatie e le benevolenze del popolo, il
quale non poteva dimenticare ma era più attento a guardare lontano. Giovan
Battista I, infatti, pur essendo stato uomo corrotto e tiranno, esoso
e insaziabile, fondò in Muro il Convento
dei P.P. Domenicani,
dotandolo di beni e privilegi e chiamando in Muro i frati di S. Domenico.
Il suo primogenito Giovan Francesco
IV,
che si era dimostrato principe saggio e giusto e aveva cercato di riparare
a quanto di turpe aveva commesso suo padre, compì il cenobio dei frati
di S. Domenico ed edificò la maestosa chiesa di fianco. Desiderio,
al contrario del fratello Francesco, si dimostrò principe sprezzante
delle leggi umane e divine, arrogante e superbo. Tutto il resto è storia recente: dalla Rivoluzione Francese del 1789 il popolo comprese i valori della libertà e dell’uguaglianza anche se spinto dai morsi della fame; dall’Unità d’Italia quelli della repubblica e della democrazia, correnti vitali che accompagnano ogni progresso civile, politico e sociale degli uomini.
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Aggiornato il
01/12/2002
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