Carità


Carità

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Mistici

Govanni Gererecht, Certosinio e scrittore spirituale, fu il primo a tradurre le "Rivelazioni di S. Gertrude" e uno dei promotori della devozione al Sacro Cuore di Gesù.

Jean-Joseph Surin - Gesuita - diede particolare accentuazione mistica alla spiritualità ignaziana. Tra le sue opere: "Il catechismo spirituale" e "I fondamenti della vita spirituale" ebbero larga diffusione in Europa.

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Giovanni Gerecht (LANDSPERGER)

La vera carità
È una grande cosa la carità, senza la quale l'uomo non può salvarsi, e invece munito di essa non può dannarsi. Chi ha la carità possiede ogni cosa, e chi ne è privo non possiede nulla. (...) Nemmeno l'umiltà può essere accetta e gradita a Dio senza la carità. Non puoi essere paziente, mite, casto senza la carità. In una parola, nessuna virtù è virtù senza la carità. Quindi la carità è indispensabile per tutti.
Bisogna capire bene quale sia la vera carità, poiché non ogni tipo d'amore è carità. Gli uomini si amano come uomini, o perché sono della stessa nazione o nati dallo stesso sangue, o perché sono della stessa indole e con le medesime idee. Da tutti questi vari rapporti e circostanze derivano diverse qualità d'amore. Invece uno solo è il motivo da cui nasce la carità: si deve amare Dio in Dio, si deve amare Dio per Dio, e non per altra ragione. Il prossimo poi dobbiamo amarlo per Dio. Dio dunque e la causa e il fine per cui amiamo Dio e il prossimo. Qui sta la vera carità. Questo amore deve muovere la bocca a parlare, la mano ad operare, i piedi a camminare, al fine di osservare i comandamenti di Dio. E se non ami, non puoi adempiere i comandamenti di Dio come si deve. La regola di questa carità ci è prescritta con queste parole: "Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore, con tutta la tua anima... ".
Questo è lo scopo e il fine della nostra perfezione, oltre il quale non si può andare, ma che neppure ci è dato di conseguire in questa vita, poiché sempre ci scopriremo imperfetti, sempre potremo salire ad un gradino superiore nell'amore. Ci resta sempre campo libero per praticare maggiore carità, in quanto ci è detto che dobbiamo amare con tutto il cuore. Il Dio d'amore, che è infinitamente degno di ogni lode, "laudabilis nimis" (Sal 96, 4), ci invita ad osservare i suoi precetti "nimis", cioè con somma cura, al fine di farci comprendere che siamo sempre mancanti in questo nostro dovere, quindi sempre deploriamo i nostri difetti, e sempre vediamo nuovo spazio da percorrere. Dio però non esige che noi arriviamo già in questa vita alla perfezione della carità, nel grado a noi predestinato; non vi arriveremo che nella vita futura. Quel che noi dobbiamo fare nell'attesa è di tener vivi e costanti il desiderio e lo sforzo di progredire e crescere continuamente nella divina carità.
(Sermones de tempore, Dominica XIII post
SS. Trinitatem, Sermo, Opera omnia, t. 1, p. 560)


Jean-Joseph Surin

Che cos'è la carità?
È l'amore di Dio che, divenuto ardente, prende il nome di carità, e consiste nell'affetto che l'uomo ha per Dio, i cui interessi egli considera al di sopra di ogni altra cosa. Non si potrebbe far conoscere meglio questo amore che per mezzo di altri amori naturali e doverosi, per esempio l'amore di una donna per suo marito, di un figlio per suo padre, di un padre per suo figlio. Quando l'uomo si comporta verso Dio come una donna con il suo sposo, un figlio con suo padre, interessandosi e affezionandosi come queste persone sono solite fare, si può dire che si tratta veramente di amore e di carità.
Quante specie di questo amore vi sono?
Si può suddividerlo in tre specie: amore attivo, amore sofferente e amore fruitivo.

Qual è l'amore attivo?
È la sollecitudine, generata nell'anima dall'amore che essa ha per Dio, di fare ed eseguire tutto ciò che crede contribuisca alla sua gloria e alla sua soddisfazione. Tali cose si riferiscono a tre tipi di azioni: le une riguardano il culto di Dio e la pietà o devozione; le altre riguardano la carità del prossimo o le opere di misericordia; le altre ancora si praticano con la mortificazione e le vittorie che l'uomo riporta su se stesso. L'anima che è veramente innamorata di Dio è diligente in queste tre cose e dimostra di avere una sollecitudine continua di fare senza tregua e senza riposo tutto ciò che onora Dio, arreca sollievo al prossimo e può renderla più pura e più innocente. Ecco ciò che fa l'amore attivo che abitualmente si chiama fervore. Dice san Gregorio: "Un amore grande non è mai inattivo. Opera grandi cose, se esiste; ma se si rifiuta di agire, non è amore".

Qual è l'amore sofferente?
È quello che è accompagnato dalle sofferenze, cresce con esse e si perfeziona per loro mezzo. Esso viene dopo il primo, del quale abbiamo già parlato, perché, quando l'anima ha dato testimonianza del suo amore con opere buone, Dio, per rendere quest'amore più puro, più Santo e più perfetto, la dispone a soffrire e la mette nella prova, facendola passare per due Specie di sofferenze: esteriori ed interiori. In questo l'anima può avere tre disposizioni. La prima è la determinazione a soffrire: l'amore che è in lei a nulla è tanto portato quanto alle contrarietà, alle pene e ai dolori, perché ciò lo rende più forte e più pronto a tutto quello che è bene. Questo si conosce da quanto ce ne hanno rivelato i santi. Santa Teresa esclamava: "Patire o morire". San Bernardo diceva che non si può vivere nell'amore senza soffrire . Sant'Ignazio martire desiderava le bestie feroci con ardore. Così, non appena l'amore comincia a infiammare un cuore, esso brama soffrire come il fuoco desidera la legna per alimentarsi.
La seconda disposizione dell'anima è che, quando le sono giunte le sofferenze, benché la natura ne sia oppressa, ha nello spirito una grande gioia. Sono i suoi festini e, cosa ancor più mirabile, la sua brama cresce con l'esperienza dei mali.
Datemi delle croci, datemi dei mali, confortatemi con le sofferenze.
La terza disposizione dell'anima è di considerare la croce come il letto su cui vuole morire, come la compagna inseparabile della propria vita. È il nido di cannella e di altri alberi aromatici in cui la fenice d'amore vuole morire e consumarsi: ciò vuol dire che l'anima, per i mali che la esercitano, spera in un riposo finale, o addirittura trova la sua pace in quelle stesse sofferenze, perché esse tengono l'amore in uno sforzo continuo verso Dio e in un riposo che preparano il cuore a una più perfetta unione con lo sposo celeste. Perciò questo stesso sposo, per ricompensare i suoi migliori amici, dà loro dolori e sofferenze. È per questo che san Giovanni della Croce, avendo udito la parola di Gesù crocifisso che gli diceva: "Giovanni, che cosa mi chiedi per ciò che hai patito?" gli rispose: "Soffrire ed essere diprezzatto per te, Signore".

Che cos'è l'amore fruitivo?
È quello che dà all'anima il possesso di Dio. Per capirlo, bisogna sapere che l'uomo non giunge soltanto nell'altra vita a godere Dio, ma fin da questa, sotto il velo della fede, possiede Dio con l'amore e ne gioisce. È per questo che diversi santi hanno paragonato lo stato dell'anima giunta all'amore divino al matrimonio: così si esprimono san Bernardo nei Sermoni sul Cantico, san Lorenzo Giustiniani, Gerson e altri; Santa Teresa stessa, nelle "Settime Mansioni", dice che l'ultimo stato a cui l'anima perviene è il matrimonio spirituale. Perché l'ordine che Dio segue è che l'anima, dopo che ha lavorato e ha fatto molte opere buone con amore, dopo che e stata provata con le sofferenze, è condotta in una vita di familiarità e di amore espressa da queste parole: "Cenerò con Lui ed Egli con me". Questo esercizio d'amore, per essere capito, richiede una grande purezza nelle anime che l'ascoltano, perché non si può spiegare che mediante cose che scandalizzano i deboli e sovente, per le persone carnali, sono motivo di scherno; tuttavia, alle anime pure, tali cose danno modo di progredire meravigliosamente nell'amore e, a quelle che aspirano a questo bene, di ammirare la bontà di Dio.