VIII. La misura del successo di una campagna pubblicitaria su Internet |
|||||||||||||||||
Ma oltre al problema della difficile individuazione di un target su Internet, spesso si pone anche quello della valutazione dell'efficacia delle campagne pubblicitarie svolte attraverso tale canale.
Inizialmente l'idea era che il numero delle esposizioni pubblicitarie fosse un indice sufficiente per quantificare l'attenzione ottenuta dal consumatore verso le proprie offerte proposte rispetto a quelle della concorrenza.(134) Fino al 1996, le campagne pubblicitarie su Internet sono state quindi unicamente valutate in base al CPM ovvero al costo di mille esposizioni pubblicitarie del banner. Le esposizioni pubblicitarie erano facilmente quantificabili grazie al computo degli hits, ovvero delle richieste che venivano inoltrate su Internet per richiedere i dati grafici del banner presso il server in cui questi erano questi registrati.(135) Avere un certo numero di spettatori, anche se significava una certa visibilità, tuttavia non voleva automaticamente significare attenzione verso il messaggio ed efficacia dello stesso. La Procter & Gamble, sin dagli inizi uno dei maggiori investitori pubblicitari in rete, chiaramente insoddisfatta del modello tradizionale di vendita pubblicitaria sul Web(136) e disponendo al tempo di un considerevole budget da investire in pubblicità, riuscì ad accordarsi con Yahoo! per pagare la propria campagna solo in base al numero di consumatori portati al proprio sito aziendale, ovvero, in base al numero di click-throught di cui il banner era stato oggetto.(137) Seguendo l'esempio di P&G, e con l'emergere delle nuove tecnologie offerte da società di rilevazione specializzate in pubblicità Web come WebTrack, NetCount o I/Pro, nacque quindi un vero e proprio "tariffario elettronico"(138) dei click-throught parallelo a quello delle exposure. Ma se il risultato concreto è l'interazione quantificabile, ovvero il click-throught, più che la non verificabile visione od attenzione prestata al banner (una esposizione non garantisce che il messaggio sia stato effettivamente colto dal consumatore), allora questo sottende che in fondo la misura del successo di una campagna pubblicitaria è il numero ottenuto di visitatori del sito aziendale e secondo tale misurazione devono essere giustamente retribuiti i pubblicitari, evitando alle aziende i rischi di campagne su un nuovo medium con poche garanzie come Internet. Ma sottostante a questo sta il più difficile rapporto fra il banner ed il sito aziendale collegate. Quale dei due è "il vero annuncio pubblicitario?".(139) Se il messaggio pubblicitario viene pagato solo quando un consumatore decide di selezionarlo con il mouse, allora è l'azione comunicativa del sito aziendale che conta, ed il banner si trasforma in un semplice traffic-builder, in una "trappola"(140) del percorso ipertestuale. Di qui è breve il passo per quantificare la pubblicità su Internet attraverso altre azioni registrabili. Ed infatti questa nuova modalità di valutazione delle campagne pubblicitarie online ha portato a nuovi modelli di valutazione come il CPA (cost-per-action), il CPL, o cost-per-lead, basato sul numero di persone che dopo aver selezionato il banner hanno lasciato i propri dati personali, il CPS, cost-per-Sale, basato sulle vendite effettive generate dai banner, il CPD cost-per-download basato invece sui download(141) di software indotti dai messaggi pubblicitari. La persuasività di una pubblicità su Internet deve essere esattamente quantificata e misurata e quindi conseguentemente remunerata attraverso il tasso di clickthrought ovvero il numero di interazioni andate a buon fine rispetto al numero di exposure del banner pubblicitario. Questo tasso, secondo molte ricerche statistiche, si attesta intorno circa al 2 per cento per raggiungere valori del 10 o 12 per cento nel caso di esposizione su siti dal pubblico selezionato ed operando attraverso tecniche prettamente fàtiche come animazioni, domande provocatorie, richieste d'azione. Abbiamo inizialmente rilevato come la pubblicità su Internet sia un vero e proprio entry marketing per attrarre consumatori a visitare ed orbitare intorno ai siti aziendali ove dovrebbero essere (ma spesso non lo sono come necessario) comunicati i prodotti ed il marchio dell'azienda. In questa coordinazione pubblicità e sito, alla pubblicità online viene assegnato il ruolo di messaggio centrato sul canale di comunicazione, ovvero di messaggio istituito per attrarre attenzione ed indurre all'azione desiderata (il click-throught) provocando simpatia, curiosità, convinzione a provare l'interazione con il sito aziendale che non attende altro che il navigatore di Internet per iniziare il suo monologo in stile "brochure-ware", da catalogo prodotti spesso assai tecnologico ma poco comunicativo di altri valori. Facilmente allora si spiega la predominanza di elementi fàtici nei banner pubblicitari anche a scapito della selezione di un preciso destinatario. In tal senso la pubblicità su Internet può dirsi non matura rispetto a quella televisiva: la sua dimensione comunicativa è assai limitata a causa della iniziale impostazione troppo tecnologica e poco comunicativa della pubblicità online. - Note -
134 David Greenwald - Gianluca Dettori, Fare marketing con Internet, op. cit., pag. 14.
|