I fusti colonnari degli Abeti bianchi che tanto ricordano i pilastri di una immensa cattedrale verde ispirano a chi si inoltra in un’abetina pura un senso di pace  che riconcilia con il mondo intero ed un desiderio di assoluto. Tanto che per i Monaci Camaldolesi l’abete bianco era il simbolo dello slancio verso il cielo. In realtà il naturalista dovrebbe quanto meno arricciare il naso di fronte ad una foresta che nulla ha di naturale, dato che si tratta di una mera creazione dell’uomo.

            L’Abete bianco (Abies alba Miller) è spontaneo nelle Foreste Casentinesi, ma cresce misto al Faggio (Fagus sylvatica L.) e naturalmente non forma boschi e foreste in cui è la specie dominante. Anzi la presenza di un bosco puro di conifere porta a modifiche alle caratteristiche dei suoli, i quali diventano fortemente acidi, provocando difficoltà vegetative alle piante presenti ed una rinnovazione naturale dall’Abete insufficiente o del tutto assente. Quindi l’abetina pura sarebbe destinata a scomparire nell’arco di pochi secoli se non intervenisse l’uomo, oggi come in passato, con tagli e rimboschimenti.

            Se si attraversa un’abetina si nota immediatamente la scarsità di sottobosco: poche piante riescono a vivere al di sotto della fitta copertura creata dagli Abeti, che impedisce alla luce di filtrare fino al suolo, e delle caratteristiche fortemente acide del suolo stesso.

            Non a caso la biodiversità di una foresta di conifere è di gran lunga inferiore a quella di un bosco di latifoglie o di un bosco misto. Anche le specie di uccelli che vivono tra i rami degli Abeti sono molto meno di quelle che abitano gli altri tipi di bosco presenti in questo tratto dell’Appennino. Tra queste ricordiamo il Picchio rosso (Dendrocopos major), la Cincia mora (Parus ater), il Regolo ed il Fiorrancino (Regulus regulus e Regulus ignicapillus), il Crociere (Loxia curvirostra) ed il Rampichino alpestre (Certhia familiaris). E, dall’alto dei tronchi e dei rami vediamo spesso fare capolino un simpatico “folletto”, simbolo stesso dei boschi: lo Scoiattolo (Sciurus vulgaris, sotto, a destra).

            Ma perché l’uomo ha creato modifiche così imponenti al paesaggio forestale? Il motivo principale era quello economico: il legno dell’abete è molto più pregiato di quello del Faggio e, soprattutto in passato, veniva utilizzato per molteplici funzioni, tra le quali le travature e, nei cantieri navali, per l’alberatura delle navi.

            Gli abeti erano perciò coltivati in modo che fossero perfettamente diritti, quindi, una volta raggiunta una certa dimensione, venivano tagliati e trasportati dai buoi lungo le mulattiere. A Pratovecchio, poi, si trovava un porto fluviale da cui, nei periodi di massima portata del fiume Arno, partivano i tronchi che raggiungevano per floatazione (un po’ come accade ancora oggi in Canada) Firenze ed i cantieri navali di Pisa e Livorno.

            Non dobbiamo dimenticare che è proprio grazie a questi abeti che si è potuta completare un’opera che è patrimonio di tutta l’umanità come S. Maria del Fiore a Firenze e che Filippo Brunelleschi ha potuto edificare la splendida cupola che sormonta questa magnifica chiesa.

            Bisogna tenere conto, poi, del fatto che in Italia il paesaggio naturale è stato plasmato profondamente da parte dell’uomo nel corso dei secoli e che tali modifiche non solo hanno creato nuovi ecosistemi (basti pensare a tutti gli ambienti mediterranei, come la macchia o la gariga, oppure al tipico paesaggio toscano), ma sono andate di pari passo con la nostra Storia nel corso dei secoli. Nel nostro Paese anche il paesaggio ha un valore storico e culturale e, come tale, va conservato alla stessa stregua degli edifici, dei monumenti e delle opere d’arte in genere. È anche per questo motivo che bisognerebbe conservare e coltivare alcune delle abetine presenti nel territorio del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Se non tutte, almeno quelle migliori e più importanti.

            La tutela della foresta pura di Abete bianco, infatti, richiede numerosi interventi da parte dell’uomo. Non essendo un bosco naturale l’abetina è soggetta a numerose patologie che possono danneggiarla anche in modo grave. Aggressioni da parte di funghi, piogge acide e, soprattutto, infestazione di insetti parassiti.

            Contro questi ultimi, a partire dagli anni ’70, è partita una campagna di lotta biologica mediante l’introduzione di una specie che preda numerosi insetti dannosi per gli alberi: la Formica rufa (Formica rufa).

            In effetti, però, l’attuale gestione forestale tende a favorire la progressiva rinaturalizzazione della foresta: già adesso possiamo osservare i faggi ricuperare quegli spazi che erano stati loro sottratti dall’abetina pura. Anzi, così come in passato l’uomo eliminava il Faggio per favorire l’Abete bianco, oggi effettua il procedimento inverso, favorendo lo sviluppo e la penetrazione delle latifoglie nelle abetine oppure introducendo specie come il Tasso (Taxus baccata L.) o l’Agrifoglio (Ilex aquifolium L.).

            Questo porterà in futuro alla scomparsa dell’abetina, ma anche alla formazione di una foresta più naturale, più ricca di biodiversità e, quindi, molto meno fragile.

 

 

 

Bibliografia:

 

Simone Borchi “Foreste Casentinesi”.Edizioni D.R.E.A.M. Italia. 1989

Campigna. L’abete bianco e le abetine”. Sentiero Natura N. 1. Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.

 

 

 

Ambienti della foresta.

 

1. Rocce

2. Praterie alpine

3. Fustaia di Faggio

4. Abetina

5. Bosco misto (querce, aceri, carpini ecc.)

6. Castagneto

7. Boscaglie e radure

8. Rimboschimenti di pino nero

9. Praterie

10. Torrenti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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