Narra una
leggenda che le castagne comparvero grazie ad un miracolo compiuto da un
sant’uomo per sfamare i montanari affamati. In effetti, negli anni passati,
la castagna era per chi viveva sui monti l’equivalente del grano per i
contadini della pianura. Quindi i castagneti abbondavano sulle montagne ed
erano coltivati alla stregua di giardini. In realtà si dovrebbe parlare di
“marronete”, giacché producono una varietà di semi (la castagna non è il
frutto, bensì il seme del castagno. Il frutto propriamente detto sarebbe il
riccio) più grande, rotondeggiante, e di sapore più dolce e senza retrogusti
amari. Per il montanaro, infatti, la “castagna” è la varietà selvatica e non
possiede certo il valore alimentare del “marrone”! Negli ultimi anni, la coltivazione delle marronete, lasciate a se stesse durante gli anni ’70 in seguito all’abbandono delle montagne, è ripresa e si è rinvigorita, grazie all’aumento del prezzo di questi “frutti” sul mercato. Come tutti i frutteti, però, anche
il castagneto è soggetto a malattie. Alcune non producono effetti tangibili
sulla produttività e sulla salute delle piante, come ad esempio le cosiddette
“brigne”, cioè delle deformazioni evidenti del tronco in corrispondenza del
punto di innesto in una pianta adulta. Altre, invece, possono provocare gravi
danni. Per esempio il cancro del castagno, che negli Stati Uniti, dove era
giunto dall’estremo Oriente, ha distrutto tutte le coltivazioni di castagno
tanto che la coltura di questi frutteti non si è più ripresa. Questa malattia
è prodotta da un fungo, la Criphonectria (Endothia) parasitica,
che a partire dall’ultimo dopoguerra ha raggiunto anche l’Italia
(probabilmente attraverso imballaggi di legno provenienti dagli U.S.A.),
producendo gravi ulcere sulla corteccia dei castagni e poi la loro morte.
Dopo una estesa moria iniziale, però, oggi questa patologia si manifesta in
forme più contenute, con ulcere generalmente ridotte, e spesso non risulta
più letale per la pianta, che, nel giro di qualche tempo, inizia a formare nuova
corteccia intorno alle lesioni, segno che ha superato la malattia. Un’altra affezione che colpisce i
castagni è il cosiddetto mal d’inchiostro, prodotto anch’esso da un fungo, la
Phytophtora cambivora, che aggredisce le radici delle piante e,
spesso, portarle rapidamente alla morte. In questo caso l’unico rimedio
possibile è una drastica potatura delle piante, che, per rigenerare i rami
asportati, è costretta ad estendere il proprio sistema radicale. Patologie a parte, il castagno ha
anche un elevato valore ecologico, poiché può raggiungere dimensioni ed età
ragguardevoli (può superare i 500 anni di vita). Alberi di tali dimensioni,
oltre che essere dei veri e propri monumenti naturali, costituiscono un
rifugio per un gran numero di specie: roditori, come i ghiri o gli
scoiattoli, ghiandaie,
picchi (tra i quali ricordiamo il Picchio verde, Picus viridis, il Picchio rosso maggiore,
Dendrocopos major, ed il Picchio muratore, che, a dispetto del nome,
non appartiene all’ordine dei Piriformi, bensì a quello dei Passeriformi) e
rapaci notturni e diurni. Bibliografia: “Castagno
d’Andrea. La civiltà del castagno.” Sentiero Natura N.6. Parco Nazionale
delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna. |
Ambienti della foresta. 5. Bosco misto (querce, aceri,
carpini ecc.) 8. Rimboschimenti di pino nero |