Criminali o guerriglieri?

I briganti

Il brigantaggio visto da Ceccano


di Giovanni Ruspandini

Nell’ultimo decennio dello stato pontificio (1860-1870) la piaga del brigantaggio, mai veramente debellata, torna a diffondersi e ad allarmare come nei primi anni del secolo. Nella provincia di Marittima e Campagna i briganti controllano le zone montagnose lungo il confine e le località impervie dell’interno. L’area compresa tra Vallecorsa, Terracina, Sonnino, e San Lorenzo (oggi Amaseno ) è una loro vasta roccaforte , e non c’è paese nei monti Lepini che sia al riparo dalle loro violenze e dalle loro ruberie. A Ceccano, però, il brigantaggio rimane sempre un problema marginale. Nessuna banda di malviventi opera stabilmente nel territorio e i casi di ceccanesi ribelli e facinorosi che si danno alla macchia sono del tutto irrilevanti. La rassegnata accettazione della condizione di miseria, la rassicurante distanza dalla montagna e la presenza di una stabile guarnigione di gendarmi (acquartierati anche presso la stazione ferroviaria), fanno di Ceccano uno dei paesi meno esposti e più tranquilli della provincia. Non che a Ceccano ci si senta sicuri in ogni angolo del territorio o non si commettano reati. Il clima di precarietà e di disorientamento politico di quegli anni, in aggiunta alla scarsa vigilanza delle zone rurali e alla stessa apertura della ferrovia nel 1862, fanno crescere anche a Ceccano il numero dei furfanti, dei ladri, delle persone rissose e violente. Un senso di paura e di insicurezza si diffonde nelle campagne. Trascorrere la notte nei casolari e nei pagliari, lontano dalle mura sicure del centro abitato è un rischio che pochi si sentono di correre; l’antica consuetudine di rientrare in paese sul far della sera con tutte le proprie cose diventa ora più attuale che mai. Ma i furti, le risse nelle osterie, i reati per resistenza a pubblico ufficiale e i casi di sospetta simpatia e aderenza al brigantaggio, sono ben poca cosa rispetto ai crimini efferati delle bande organizzate che si registrano altrove, agli scontri con i gendarmi, ai sequestri di persona, agli assalti temerari ai centri abitati. A dare attualità e drammaticità al problema del brigantaggio sono, a Ceccano, le continue notizie sulle violenze e i fatti di sangue che accadono nel circondario. Le fonti di informazione sono di prim’ordine. C’e la tenenza della gendarmeria e dall’autunno 1867 il comando di compagnia. E’ qui che si decidono le azioni coordinate contro le bande che operano nei paesi vicini, con appostamenti, perlustrazioni notturne, attacchi ai nascondigli. Ci sono poi le carceri su al castello, affollate di detenuti per atti di banditismo o per mancata collaborazione. Per quest’ultimo reato sono passibili di arresto i parenti, fino al terzo grado, dei fuorilegge ricercati. Nella rocca di Ceccano si trovano ristretti, tra gli altri, i famigliari del capo brigante Cesare Panici. La fama del giovane campagnolo analfabeta ha varcato i confini del suo paese, San Lorenzo. Con i suoi uomini si muove lungo i Lepini fino a Carpineto, a Montelanico, a Segni, compiendo rapine e sequestri, e sfuggendo abilmente alla caccia e agli accerchiamenti delle colonne mobili. A ricordare ai ceccanesi che il fenomeno del brigantaggio è attuale e cruento ci sono infine le fucilazioni al fosso Fedele in località Grutti, e lo spettacolo delle autopsie sui cadaveri di gendarmi caduti negli scontri, eseguite letteralmente nella pubblica strada sotto gli occhi di decine di curiosi, prima che il comune metta a disposizione, nel 1867, una stanza nel piccolo ospedale Madonna del Loco. Visto da Ceccano, il pericolo del banditismo appare grave e diffuso ma, poiché sono rari i paesani coinvolti, la sensazione prevalente è che il pericolo riguarda gli altri, cioè la popolazione che vive nei paesi del comprensorio. I briganti osservati da vicino mentre sono condotti in catene su al castello, suscitano raccapriccio, incutono terrore; liberi sulle montagne, essi paiono lontani e a Ceccano non preoccupano. Anzi, in molti ceccanesi delle classi più umili c’è comprensione e persino ammirazione per gli uomini alla macchia, e gli assalti, le fughe, gli scontri a fuoco sono commentati in chiave epica accanto al focolare. Ma i briganti non sono lontano. Sulla montagna di Campo Lupino, tra Castro e Ceccano, c’è un vero e proprio covo. Sono state portate lassù decine di persone e a parecchie di loro è stato mozzato l’orecchio destro per sollecitare il pagamento del riscatto. I briganti controllano anche la zona a valle. Passare di notte lungo la strada per Gaeta senza adeguata scorta è un atto temerario. Pure in pieno giorno la zona è ad alto rischio. Nell’estate 1866 i lavori intrapresi dal cav. Filippo Berardi in località Le Cocce per portare l’acqua della locale sorgente fino alla sua residenza nella parte bassa del paese, devono essere sospesi perché la zona è infestata dai briganti. Nel dicembre 1865, dopo un periodo di scarsa determinazione con provvedimenti blandi e inefficaci, e di sostanziale tolleranza per i fuggiaschi e i ricercati venuti da oltre confine, di fronte a dati sempre più allarmanti e ad accuse di connivenza mosse dallo Stato italiano e da organi di stampa stranieri, le autorità pontificie varano i primi concreti provvedimenti repressivi. Vengono rafforzate le brigate militari presso la frontiera; nasce il corpo armato degli squadriglieri, alias zam - pitti, formato da elementi locali, buoni conoscitori dei luoghi e degli abitanti; viene costituito un tribunale straordinario. I risultati sono incoraggianti, ma non risolutivi. Arrivano altre misure. Domenica 24 marzo 1867 i ceccanesi ascoltano il banditore comunale che percorre le vie del paese. Legge gli articoli del secondo Editto Pericoli che è stato affisso in Piazza Municipio. L’articolo 4 istituisce la figura del pentito: beneficiano di notevoli sconti di pena le persone ricercate che si costituiscono e collaborano, mentre il brigante che consegnerà alle autorità, vivo o morto, un altro brigante otterrà la prescrizione dei crimini e un cospicuo premio in denaro. E’ una svolta radicale che introduce il sospetto all’interno delle bande e che aiuta le forze di polizia a scoprire covi e nascondigli e a individuare connivenze e protezioni. Ma l’articolo che interessa maggiormente molti ceccanesi è un altro: riguarda il divieto di portare in campagna viveri al di là della sussistenza di un giorno. Si pensa ai prossimi lavori agricoli e i contadini che coltivano il granturco alle paludi sono i più preoccupati. Il provvedimento è drastico ma opportuno: mira ad impedire i rifornimenti ai briganti arroccati sulle montagne, che ora chiedono generi alimentari e capi di vestiario come prezzo del riscatto. Per riavere sano e salvo il proprio congiunto portato sulla montagna di Santa Serena, una famiglia benestante di Patrica consegna 200 scudi di argento, quattro paia di ciocie, sei paia di stringhe, sei bottiglie di rosolio, dieci pagnotte casarecce ed un prosciutto. Le disposizioni restrittive si susseguono. Tutti i pagliari, e i casolari esistenti nelle aree più a rischio vengono censiti e tenuti sotto controllo e ai pastori presenti sulle montagne viene ingiunto di disfare caprarecce e capanne e scendere a valle col loro bestiame. Alla fiera di San Giacomo del 23 agosto (che allora durava 3 giorni) i gendarmi controllano la provenienza del bestiame. Sanno per certo che una parte dei bovini, dei muli, delle capre è di provenienza furtiva. Sanno che il bestiame rubato dai briganti nelle zone di confine viene avviato alle fiere e ai mercati di Ceccano e di altri paesi da ricettatori e da fiancheggiatori compiacenti. La vita alla macchia è dura e drammatica. Con l’inizio del pentitismo il brigante è sempre in fuga da un nascondiglio all’altro. La paura del tradimento mina i rapporti nella banda e quelli tra una banda e l’altra. Chi decide di costituirsi (e sono sempre più numerosi quelli che lo fanno per beneficiare dell’indulto) rischia la vendetta dei compagni e l’uccisione da parte dei gendarmi per intascare la taglia, non prevista quando il fuorilegge si consegna spontaneamente. L’anno 1867 è un buon momento per le forze di repressione. A maggio viene catturato a Pisterzo e fucilato nella pubblica piazza di Santo Stefano il giovane ricercato Giovanni Iorio. A luglio, a Prossedi, il famigerato capobrigante Andreozzi è sorpreso nel sonno e ucciso insieme ai suoi uomini. La loro fama è così sinistra che nessuno in paese è disposto a scavare la fossa per seppellirli: i cadaveri vengono ammucchiati e bruciati alla meglio. Nell’agosto successivo cade sotto i colpi dei gendarmi il capobanda Luigi Cima, sulla montagna di Campo Lupino. Dopo un periodo di recrudescenza dovuto all’invasione garibaldina (le porte di alcune carceri sono state aperte e decine di malviventi sono tornati sulle montagne), le severe misure anti guerriglia si dimostrano vincenti. Le bande ancora sulle montagne vengono distrutte una dopo l’altra. Cesare Panici muore a Montelanico, sorpreso in una capanna di pastori. Il 12 Settembre 1870 quando le truppe regie di occupazione entrano a Ceccano (alloggeranno nella chiesa di San Sebastiano e in quella della Madonna del Loco), il brigantaggio nello stato pontificio risulta sostanzialmente debellato. Resterà il mito, la leggenda. I briganti continueranno a vivere nella memoria popolare come figure positive, come uomini audaci, meritevoli di una sorte diversa, spinti alla ribellione e alla macchia dalle ingiustizie sociali e dalle prepotenze del potere.

Giovanni Ruspandini