La Settimana Santa di una volta

Le nostre tradizioni scomparse


di Antonietta Tiberia

Per una settimana intera c’erano state “le cantarelle” in giro di casa in casa, portando una rocca decorata di immagini sacre, a cantare le loro nenie, in cambio di un’offerta. Durante la settimana di Passione non si sentivano suonare le campane delle chiese per annunciare l’inizio delle funzioni. Durante la Messa, al momento dell’Elevazione, perfino il tintinnio del campanello era stato sostituito da un’assicella di legno con una specie di maniglia che girando ai lati produceva uno strano suono. Oppure venivano suonate“le raganelle”. Poi finalmente arrivava la mattina di quella domenica speciale, che segue il plenilunio successivo all’equinozio di primavera: il giorno di Pasqua. Le campane si sarebbero “sciolte”, dopo la sosta per la morte di Gesù Cristo avrebbero ricominciato a suonare a festa, per celebrarne la resurrezione. In campagna appena alzati saremmo andati tutti in cerca dei vincastri di salice da attorcere, per preparare le “tòrte” con cui legare gli alberi. Allo scoccare del primo tocco di campana, noi ragazzi prendevamo le tòrte e correvamo verso gli alberi da frutto, per legarle attorno ai tronchi, nella credenza che così avremmo impedito ai fiori di cadere e gli alberi avrebbe dato più frutti. E ad ogni tronco legato cantavamo una nenia dialettale che diceva così:

Arbulu lugatu
Campanu sciòte
Mena fruttu
Sennò te tagli

E correndo correndo, da un albero all’altro, le nostre gambe si scioglievano, facevamo festa, perché la primavera era tornata, perché nostra madre ci aveva preparato la “ p i g n a ”, quel semplice dolce di pasta intrecciata a forma di otto, decorato a punta di coltello, con al centro un uovo nel suo guscio, che nel forno si sarebbe rassodato. La corsa ci avrebbe fatto venire più appetito, per gustare la colazione a base di pizza dolce, uova sode e salame, tutto ordinatamente disposto sulla tavola coperta dalla tovaglia più bella, in attesa della benedizione pasquale. Più tardi, a pranzo, ci sarebbero stati i quadrucci in brodo, le fettuccine con il sugo alle regaglie di pollo, il lesso e l’arrosto, le ciambelle scottolate e quelle sciroppate, rese bianche dalla copertura di zucchero. Adesso le campane si sciolgono nel cuore della notte, tra il sabato santo e la domenica, e molti ragazzi neanche se ne accorgono. Nel molle hard disk delle loro menti questa memoria non c’è. Si suonavano le “raganelle” all’elevazione.

Antonietta Tiberia