Il Fabraterno 2007/01


Quando l’opera era mito e passione

turandot

la principessa dal cuore di ghiaccio che parlava come una sfinge


di Giovambattista Del Brocco

Un tempo il melodramma riempiva i cuori. Occorre riandare a un’Italia percorsa dai brividi del romanticismo, a cavallo tra fine ‘800 e i primi del ’900. In quel paese dalle classi sociali ancora nettamente divise un solo fenomeno attraversava ogni confine e accomunava gli animi: l’amore per la lirica. L’opera è una forma di spettacolo che coinvolge musica e canto. Poiché si avvale di scenografie, spesso di coreografie, costituisce una delle manifestazioni artistiche più complesse e costose. Essendo un romantico verace, in questo articolo vi voglio raccontare a mie parole di Turandot, dramma lirico in tre atti di Giacomo Puccini (1858 – 1924), tratto dalla fiaba teatrale omonima di Carlo Gozzi, che ho avuto modo di vedere qualche anno fa in un teatro mitteleuropeo. Personaggi: Turandot (principessa – soprano); Altoum (imperatore – tenore); Timur (re tartaro spodestato – baritono); Calaf (principe ignoto figlio di Timur – tenore); Liù (giovane schiava di Timur – soprano). A Pechino, in un imprecisato tempo delle favole, gli spalti delle mura della città imperiale appaiono nella luce del tramonto, sui quali campeggia una fila di pali con infissi i teschi dei pretendenti giustiziati dalla stessa crudele principessa Turandot. Gli spalti sono interrotti da un loggiato, ai piedi del quale c’è un gong di bronzo, il cui suono dà l’avvio alla partita con gli enigmi della legge di Turandot. La principessa andrà in sposa a chi, di sangue regale, scioglierà i tre enigmi da lei proposti. Ma il boia è pronto a decapitare quelli che falliscono come lo sfortunato principe di Persia che salirà al patibolo al sorgere della luna. La folla eccitata dalla notizia muove verso la reggia e travolge il vecchio Timur, re tartaro spodestato, e la piccola Liù sua schiava. E’ qui che il principe Calaf ritrova suo padre Timur e Liù; la fanciulla che ha condiviso le sofferenze di Timur, soltanto perché Calaf un giorno nella reggia le aveva sorriso lei se ne era innamorata. Nel frattempo il cielo si è oscurato e copre la luna, ma un raggio si fa posto tra le nuvole e va a colpire con riflessi argentei Turandot che appare sul loggiato come una visione e risponde con gesto imperioso di condanna alle richieste di grazia della folla. Il principe Calaf, rapito dalla inattesa visione di bellezza, rimane immobile quasi in estasi, ma purtroppo da lontano si ode il grido del re di Persia decapitato. E’ qui che Calaf, principe ignoto, lancia la sfida alla principessa colpendo il gong per tre volte. A nulla valgono le suppliche di Timur e Liù. I ministri della principessa ripassano il protocollo nuziale e funebre, per essere pronti ad allestire l’uno o l’altro a seconda dell’esito della nuova sfida lanciata a Turandot dal principe ignoto. Stanca della crudeltà della principessa, la folla ricordava i tempi felici anteriori alla sua nascita allorché tutto andava secondo l’antichissima regola del mondo e rievocava nostalgica la tranquillità della vita. Ma già fervono i preparativi per l’ennesima prova degli enigmi. L’imperatore, padre di Turandot, incontra il principe ignoto e cerca di dissuaderlo, e rivolto a sua figlia dice: “Basta sangue! Giovine, va”. Ma il principe ignoto risponde per ben tre volte con la medesima frase: “Figlio del cielo io chiedo di affrontare la prova”. La principessa avanza, preceduta dalla melodia cinese Mo ci hua (fiore di gelsomino) e va a collocarsi ai piedi del trono. Bellissima, quasi impassibile, guarda con occhi freddissimi il principe ignoto e gli spiega le ragioni della sua ferocia. Quindi gli propone i tre enigmi scanditi dal motivo: Che cosa c’è dentro me? Le cui soluzioni (sangue-speranza-amore) sono strettamente collegate alla sfera simbolica dell’opera. Vinta dal principe, ma non doma, Turandot implora invano il padre Altoum di salvarla dalle braccia dello straniero, invocando la propria sacralità e prospettando al principe tutto il suo odio. Ma è lo stesso principe ignoto che con un gesto di generosità rinuncia alla vittoria e propone a sua volta una prova a Turandot: qualora ella avesse saputo svelare il suo nome prima dell’alba, egli avrebbe accettato di morire. Nel giardino della reggia tutti vegliano e cercano di conoscere il nome del principe ignoto. Anche Calaf veglia e ascolta come se quasi non vivesse nella realtà, proiettato verso la vittoria definitiva dell’alba e del bacio a Turandot. Il nome mio nessun saprà, sulla tua bocca lo dirò quando la luce splenderà…… è questa la famosa aria Nessun dorma, conosciuta e amata anche da chi non ha dimestichezza con la lirica. (Anni fa la travolgente aria Nessun dorma fu usata da una nota industria, sponsor della Ferrari, durante i Gran Premi di formula uno:All’alba vincerò, vincerò, vinceròòò..) Per capire il nome del principe ignoto e salvarsi dalla vendetta di Turandot i ministri gli offrono l’amore di fanciulle bellissime, la ricchezza, la gloria di essere stato il solo vincitore della spietata principessa. All’ennesimo rifiuto del principe, un gruppo di sgherri minaccia Timur e Liù logori e insanguinati affinché dichiarino il nome segreto del principe, ma Liù non disposta a tradire Calaf, con determinazione affronta la principessa di gelo (Tanto amor segreto e Tu che di gel sei cinta), la tortura e il suicidio per consentire la vittoria all’uomo che ama. La folla esce, Turandot e il principe ignoto rimangono soli, l’uno di fronte all’altra. Calaf con l’impeto della passione bacia la principessa la quale, come trasfigurata, rimane senza voce, né forza né volontà. Si levano le luci dell’alba e Calaf rivela il proprio nome a Turandot, dopo che ella gli ha confessato Il brivido fatale da cui fu colta al suo arrivo, l’odio e l’amore suscitato in lei dalla sua Superba certezza. L’imperatore Altoum, circondato dalla corte, si presenta alla folla insieme a Turandot e al principe non più ignoto. La principessa annuncia di conoscere finalmente il nome dello straniero: Amore. Finisce lo spettacolo e uno scroscio di applausi si leva all’unisono. Mi guardo intorno e vedo che non sono il solo a commuovermi. Seduta accanto a me, una ragazza bionda, alta e fine, in un abito di raso nero, si asciuga le lacrime sul volto e le porge sulla mia giacca dicendo: “Für Mich und Dich”.