Il Fabraterno 2007/01


In margine alla bolla speculativa sui mutui americani ad alto rischio

Fra inflazione e recessione

L’indebitamento delle famiglie cresce sempre di più. Il rischio italiano


di Angelino Loffredi

 

La vicenda americana dei mutui sulla casa non pagati, subprime, ha dominato l’informazione estiva, prima per il forte arretramento delle borse, poi per i pericoli riguardanti la recessione o il rallentamento economico, negli Usa e nel mondo. La Federal Reserve ha ridotto il tasso di interesse di 50 punti base. Un taglio netto, sotto certi aspetti sorprendente ma che esprime anche una forte preoccupazione sullo stato esistente della economia. I risultati non si sono fatti attendere: le borse hanno tirato il fiato. La diminuzione del costo del denaro ha immesso forti quantitativi di liquidità sul mercato, gli investitori comprano meno Bond, in quanto rendono di meno, e preferiscono acquistare azioni. Le borse, dunque, per ora, hanno ripreso a salire. Allora va tutto bene? Possiamo stare tranquilli? Non credo, o almeno non ne sono sicuro, e cercherò di motivarlo. Il Governatore statunitense Bernake ha dovuto scegliere fra lo sviluppo indiscriminato dei consumi e i pericoli d’inflazione. Ha preferito la prima opportunità ma il pericolo dell’inflazione rimane tutto in piedi. Basta guardare l’aumento del prezzo del petrolio, di quello dell’oro e degli altri metalli preziosi e quello ancora più preoccupante delle derrate alimentari, a cominciare dal prezzo del grano. Quando iniziò la crisi dovuta ai subprime, le massime autorità monetarie tranquillizzavano i mercati, dicendo che tutto era sotto controllo, non c’era di che preoccuparsi. Poi come un fiume carsico essa si è estesa, ha raggiunto dimensioni mondiali ed infine è esplosa. Tutti abbiamo ancora le immagini sotto gli occhi dei clienti della Northen Rock, quinta banca inglese, direttamente coinvolta nel crack, che facevano interminabili file per ritirare i loro depositi bancari. Nella ricca Gran Bretagna, luogo ove la gente non è emotiva e vulnerabile ma impassibile e dotata della proverbiale calma britannica, abbiamo visto scene di panico. Riepilogando, tanti cittadini statunitensi, dunque, hanno acquistato casa nel momento in cui cresceva la bolla immobiliare. Il valore della stessa, nell’ultimo periodo, non solo è notevolmente diminuito ma parte di questi acquirenti non riesce nemmeno a pagare le rate dei mutui. Nel frattempo i debiti sottoscritti sono stati venduti, cartolarizzati, come si dice impacchettati, e passati di mano. Sono stati così incorporati nelle Obbligazioni e poi nel Fondi d’investimento e distribuiti ovunque, senza il doveroso controllo delle agenzie di rating, quelle agenzie cioè che dovrebbero giudicare l’attendibilità dei prodotti finanziari. Questo cerino acceso è stato passato di mano in mano ed è arrivato ovunque, in ogni continente. Gli ultimi che lo hanno ricevuto si stanno bruciando le dita. Alcune nostre banche quali Unicredit e Monte dei Paschi di Siena sono state le prime nel mondo ad uscire allo scoperto evidenziando la cifra connessa con tali prodotti finanziari. Una buona operazione di trasparenza che, viste le dimensioni, non ha allarmato ma tranquillizzato i propri clienti. Solo il 24 settembre, dopo sette mesi da quando cominciò a delinearsi il fenomeno, il Fondo Monetario Internazionale ne ha quantificato le dimensioni: le insolvenze negli Stati Uniti di America ammontano a 200 miliardi di dollari. Una bella cifra! Ma questo dato è espressione solo di una crisi finanziaria e non anche di una crisi sociale? Non dimentichiamo che nel paese più sviluppato nel mondo esistono 44 milioni di cittadini senza assistenza sanitaria, 20 milioni di homeless, senza casa, che vivono sotto i ponti e dormono sulle panchine. Non va trascurato, infine, il numero dei nuovi disoccupati, nel settore delle costruzioni, sempre più in crisi, ed in quello delle agenzie finanziarie, usciti in questi mesi dal ciclo produttivo.Il dato nuovo è che in queste ultime settimane tutte le autorità economiche e finanziarie mondiali si esprimono sempre più con grande preoccupazione. Ma c’è di più: l’indebitamento delle famiglie cresce ovunque, anche in Europa ed in Italia, solo che i dati non si conoscono, vengono accuratamente occultati, e riguardano le insolvibilità dei mutui sulla casa, sulle automobili, sui beni durevoli e di consumo. Basta ricordare le martellanti e persuasive offerte fatte all’insegna: compri oggi, paghi fra sei mesi. Non bastano, dunque, risposte monetarie o finanziarie perché la riduzione del tasso americano è un pannicello caldo, ci vuole qualcosa di qualitativamente diverso: politiche d’investimento, ed a livello planetario, per avviare non un indistinto consumo ma un diverso modo di consumare, che tenga conto della necessità di salvare prima di tutto il pianeta. E’ necessario qualcosa che somigli a un New Deal, di roosveltiana memoria. Bisogna fare congiuntamente una lotta contro le povertà e le disuguaglianze in ogni angolo della terra perché è sempre più evidente che sono queste ultime a frenare lo sviluppo.

Angelino Loffredi