Il Fabraterno 2007/01


Continua l’excursus nelle grandi religioni

Il buddismo

II sentiero della grande spiritualità


di Gabriella Cavicchini

Al pari del Cristianesimo e dell’Islam, il Buddismo, nato come una grande eresia del Brahamanesimo, religione allora dominante in India, si è sviluppato come dottrina universale del riscatto dal dolore e della salvezza, in un periodo in cui dominava un sistema sociale basato sulla schiavitù. Il Buddismo, più che una religione, può considerarsi una filosofìa di vita, tanto è vero che esso è stato anche definito “scienza della mente”: ma più che altro esso è da considerarsi una disciplina spirituale sorta dall’esperienza mistica vissuta dal personaggio storico Siddhartha Gautama, detto il Budda (l’Illuminato) nel VI sec. a.C. Essa è costituita dai suoi insegnamenti, fondati sulle quattro nobili verità, da tradizioni, sistemi di pensiero, pratiche e tecniche spirituali individuali e devozionali, tutte riconducibili alle predicazioni del Budda. E’ utile accennare come Siddhartha Gautama divenne il Budda. Egli iniziò la sua vita come principe nel piccolo stato di Sakyan, poco distante da Benares. Stanco degli agi e delle ricchezze in cui viveva, decise di abbandonare la famiglia, nonché il futuro regno, per studiare presso i più famosi filosofi dell’epoca, in un momento in cui il pensiero metafìsico era all’apice della sua fioritura, come nella Grecia a lui contemporanea. Ma nulla lo soddisfaceva e nulla lo liberava. Decise allora di dedicarsi completamente alla meditazione: per sei anni visse in assoluta austerità, senza alcun risultato. Poi un giorno mentre beveva ad un fiume, scivolò nell’acqua e venne trascinato dalla corrente fino ad un villaggio, dove un giovane lo trasse in salvo. Guarito si immerse nella meditazione e all’alba del giorno dopo egli raggiunse l’illuminazione: il principe non esisteva più, era nato il Budda. (Dobbiamo qui citare esempi simili, anche nell’ambito della nostra religione: quelli di Sant’Agostino e di San Francesco, che pervennero, attraverso la stessa strada, alla stessa conclusione, cioè la convinzione della inutilità dei beni terreni e la necessità della conquista di quelli spirituali. Purtroppo la via da loro indicata non fu seguita dalla nostra Chiesa, che diede, a quei tempi, più importanza al potere temporale che a quello spirituale, contribuendo così a formare una cultura più attenta al sociale che all’individuale). Dalle sue meditazioni sulla vita nacque il cardine del pensiero buddista: risolvere le quattro sofferenze fondamentali della vita: nascita, malattia, vecchiaia, morte.

Le quattro verità
Alla base di questo pensiero è da citare il primo discorso del Budda dopo il suo risveglio spirituale, discorso che segna anche la nascita della prima comunità buddista. E’ il famoso discorso di Benares, in cui egli definisce il Buddismo come “la via di Mezzo” che consiste nella linea mediana che evita tutti gli eccessi e gli assolutismi. E proprio in questo discorso egli rivela le quattro nobili verità, che sono le seguenti:
1) Esiste una sofferenza esistenziale, che accompagna l’uomo fìn dalla sua nascita, che viene percepita giorno dopo giorno non solo nella constatazione della ineluttabilità della malattia, della vecchiaia, della morte, ma anche della impossibilità di ottenere ciò che si desidera e si ama.
2) Esiste una origine della sofferenza esistenziale. La sofferenza esistenziale non ha origine né dal mondo, né dal fato, né da un dio; essa ha origine in noi, nella nostra ricerca continua della felicità, spinti da desideri per cose terrene, che, anche se ottenute, non riescono a determinarla.
3) Esiste la possibilità di liberarsi dalla sofferenza esistenziale. Ciò è possibile solo abbandonando i desideri, l’attaccamento alle cose e alle persone, a quei valori ingannevoli (fama, gloria, potere) che non sono altro che espressione della precarietà della vita e del mondo.
4) Esiste un percorso per liberarsi dalla sofferenza esistenziale. Esso è detto “il Nobile ottuplice sentiero” che dal male della nascita o della rinascita (samsara), ci può condurre al nirvana, raggiungibile anche nella vita terrena, dopo il totale distacco dalle passioni e dai desideri per le cose ingannevoli del mondo esterno a noi. Queste quattro verità enunciano una nuova intelligenza delle cose, che cerca la verità nell’interiorità dell’essere umano o in un mondo visto con occhi più disincantati, con una mente meno disponibile a credere in spiegazioni mistiche o in tradizioni arcane.
Accennerò ora brevemente agli elementi che costituiscono il Nobile ottuplice sentiero: primo fra tutti la saggezza, costituita dall’impegno costante nel padroneggiare i nostri desideri terreni e la brama di affermazione di sé.
Vengono poi tutti gli altri elementi che costituiscono la moralità buddista: la retta parola, che deve essere ben ponderata, perché non offenda gli altri e noi stessi; la retta azione che non ricerchi egoistici vantaggi e non insegua gli eccessi. Da tutto questo dipende il Karma dell’uomo, cioè il suo destino sulla terra o la sua futura reincarnazione. Gli altri elementi dell’ottuplice sentiero riguardano la meditazione, che porta ad un corretto atteggiamento interiore e alla padronanza di se stessi. Attraverso di essa si raggiunge il livello più elevato di riunifìcazione del sé individuale con la realtà esistente. La meditazione esige uno stato interiore in cui la mente sia assolutamente sgombra da distrazioni esterne e sia totalmente concentrata su se stessa. Nell’atto meditativo, che si volge al pensiero stesso dell’asceta, egli raggiunge i primi quattro livelli di perfezione: quieta felicità, fine del pensiero logico-discorsivo, fine dei fattori emotivi, fine del senso di infelicità-felicità. Il mondo viene allora appreso così com’è e il pensiero diventa consapevolezza universale. La giusta pratica del Nobile sentiero permette un avanzamento progressivo verso la propria realizzazione spirituale e verso il nirvana, cioè verso il superamento della sofferenza esistenziale, nel “pensiero-senza pensiero”. Nel nirvana, meta finale del pensiero buddista, l’uomo raggiunge la perfezione, il completo annientamento di sé, raggiungibile anche in vita e quindi definibile anche il senso positivo, come stato di pace totale, di gioia assoluta e di verità ultima, che però solo gli illuminati scorgono. Ciò non significa che esso consista nel “nulla”, ma che si pone al di là delle possibilità del linguaggio e del pensiero e che è inecontinua sprimibile attraverso le categorie concettuali della mente comune. Il nirvana è dunque la dilatazione dell’io nell’universo, divenuto capace di comprendere le cose al di là della loro ingannevole mutevolezza. Il nirvana significa anche la fine della catena delle reincarnazioni (samsara) e delle varie e dolorose peregrinazioni esistenziali, a cui sono sottoposti gli uomini che non hanno seguito il Nobile ottuplice sentiero e le quattro Nobili Verità. Per concludere questa breve e sintetica esposizione, dobbiamo precisare che Budda non ha mai affrontato questioni religiose del nostro tipo, riguardanti l’esistenza di un principio divino assoluto o l’eventuale natura di un’anima separata dal corpo, anche se non viene mai negata l’esistenza di un principio superiore assoluto. Budda su questi argomenti riteneva che credere o non credere in un dio non aiutasse l’uomo a lenire le sue sofferenze, cosa che egli doveva compiere da solo. Per concludere, dobbiamo dire che il buddismo è una pratica della mente, un esercizio di spiritualità molto lontano dalle altre religioni rivelate, che hanno rivolto l’attenzione più al mondo esterno che all’intimità dell’uomo. Negli anni Sessanta, quando tutte le tradizioni venivano messe in discussione, ci fu un grande interesse nel mondo occidentale, dove dominava il materialismo, per il Buddismo, un interesse che si è ripetuto negli anni Novanta, quando la spiritualità sembrava sopraffatta da interessi egoistici e terreni. Anche oggi è molto sentito l’interesse verso questa dottrina, testimonianza di un ennesimo ritorno dell’Occidente verso una dimensione religiosa più spirituale e meditativa, anche se è viva la consapevolezza delle difficoltà che un occidentale può incontrare nel seguire le quattro verità e le pratiche del Nobile ottuplice sentiero, nate in una cultura completamente diversa dalla nostra e già predisposta, anche per motivi sociali, ad una vita più spirituale che materiale.

Gabriella Cavicchini