Il Fabraterno 2007/01


La sfratata


di Antonietta Tiberia

Cipp ciapp… Cipp ciapp… Cipp ciapp…
La riconoscevo al passo, quella donnetta piccola piccola, stortignaccola, sempre vestita di nero, che tutte le sere verso il tramonto si recava nella chiesa di Santa Maria a Fiume. Cipp ciapp…facevano le ciabatte che indossava, troppo grandi per i suoi minuscoli piedi, e che ogni tanto le sfuggivano. Di lei non si sapeva niente di preciso, ma qualcuno diceva che forse era stata in convento, per questo la chiamavano ‘la sfratata’. Molti secoli fa, proprio qui sulla riva sinistra del Sacco c’era una chiesetta dedicata a S. Giacomo di Compostella. Quella chiesetta col tempo andò in rovina, ma rimase la statua del santo di Galizia, che fu collocata nella navata sinistra del santuario di Santa Maria. La pratica delle devozioni religiose era allora l’unico svago della povera gente, che trovava quel luogo sacro sempre aperto, pronto ad accogliere chiunque desiderasse sostare qualche minuto, a recitare una giaculatoria tra una faccenda e l’altra. Tra i devoti assidui c’era la sfratata, soprannominata anche Cipp ciapp Sant’Jacu per il suo ciabattare sempre intorno alla statua di gesso di S. Giacomo. Il santo indossava il mantello nero dei pellegrini, con la conchiglia sulla spalla, il Pecten jacobaeus, la famosa coquille Saint Jacques che non manca mai nei menu dei ristoranti francesi. Quella stessa conchiglia che gli antichi pellegrini raccoglievano al Finisterre e appendevano al collo come simbolo e prova di compimento del pellegrinaggio. Prima di entrare in chiesa Cipp ciapp si riempiva le tasche dello zinale con ciottoli raccolti lungo il fiume; arrivata di fronte alla statua cominciava il suo monologo. -…..Come sei nero!– lo apostrofava. -…..Quanto sei brutto! E alle parole faceva seguire il tiro dei sassi che teneva in tasca. Il Santo restava sordo ai suoi richiami, sembrava non prestare orecchio agli insulti di colei che gli parlava a voce alta, gesticolando rabbiosa: un insulto e una sassata, una pietrata e un’imprecazione, fino a esaurire tutti i ciottoli che aveva portato con sé. Poi si ricomponeva e usciva a passo svelto dalla chiesa, soddisfatta. Una sera una pietra tirata con troppa veemenza le rimbalzò contro il petto. Sembrava che il Santo, non potendone più di essere preso a sassate, avesse deciso di rispondere continua da pag. 6 alle percosse. -Ah, me le rendi?– gridò ‘la sfratata’, sorpresa dall’inaspettata reazione. -Mò ti faccio vedé!- I colpi continuarono uno dopo l’altro, finché un tiro particolarmente ben assestato centrò un braccio della statua, che cadde a terra facendosi a pezzi. Un frate accorse dalla sagrestia e la trascinò fuori della chiesa. La “sfratata” non poté più entrare in chiesa e nessuno seppe mai perché ce l’avesse tanto con S. Giacomo. Forse una grazia non concessa? Una dozzina d’anni dopo, un bombardamento raderà al suolo il santuario, riducendo in briciole la statua di Sant’Jacu: le bombe angloamericane completeranno il lavoro della povera sfratata.

Antonietta Tiberia