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Agostino Amodeo (Firenze)

Il Libro "I Ragazzi di Paolo" > Firenze

La testimonianza di Agostino
Ho sempre pensato che la vita è una cosa bellissima, fatta di esperienze dolci e amare che comunque vanno sempre vissute perché queste ultime, più di tutte, sono quelle che sensibilizzano una persona e le fanno capire di avere sentimento.
Al tempo stesso la vita è fatta di svolte più o meno significative che la indirizzano in un determinato verso. E allora io, guardandomi indietro capisco quali sono stati gli eventi, positivi o negativi, che hanno condizionato la mia vita. Queste svolte ovviamente si individuano sempre dopo quando cioè sono portate a termine.
Sempre tranne in un caso: l’estate del 1992.
Lì capii subito, mentre la stavo vivendo, che quella sarebbe stata la svolta più importante della mia vita, quella che mi avrebbe radicalmente cambiato nel profondo e nella mia sensibilità.
Oggi, a distanza di 8 anni, posso tranquillamente dire che non mi ero sbagliato e pur non essendo un veggente posso anticipare che questo resterà tale anche per il futuro.
Prima la strage di Capaci, con quella bellissima frase: ”mafiosi io vi perdono ma voi vi dovete mettere in ginocchio. Se avete il coraggio di cambiare......ma loro non cambiano...” pronunciata da Rosaria Schifani (la moglie di uno degli agenti di scorta uccisi) il giorno dei funerali del giudice Falcone. E soprattutto successivamente la morte di quello che è, e resterà sempre, il mio idolo, mi hanno insegnato il vero VALORE DELLA VITA.
Quel poco di sensibilità e di amore che è dentro di me oggi, lo devo interamente a Paolo Borsellino, alla sua dolcezza, al suo modo di vivere, al sacrificio che ha fatto per tutti noi.
Mi rendo conto che scrivere certe cose in questo modo può assumere un significato ancora più forte.
Ma tante volte ho scorto molte similitudini tra la vita di Gesù e quella di Paolo. Del resto non esiste secondo me persona che possa interpretare meglio il messaggio di Gesù.
Paolo, con la sua vita esempio di cristianesimo racchiusa in due sue bellissime frasi.
La prima: “per un cristiano non è importante quando si muore ma perché si muore.....”
La seconda fu una risposta che diede al pentito Vincenzo Calcara, che dopo aver confidato a Paolo che avrebbe dovuto essere lui ad ucciderlo, gli chiese: “ma giudice lei non ha paura? Il prossimo obiettivo sanno tutti che è lei!”. “ E’ bello morire per qualcosa in cui si crede. Ricordati che chi ha paura muore ogni giorno. Chi non ha paura muore una volta sola..”. E così è stato.
Poche persone sanno, ricollegandomi alla vita di Gesù, che Paolo confidò al suo Padre confessore, pochissimi giorni prima di morire, che era arrivato il tritolo per lui. Premonizione che si rivelò tragicamente vera. E infatti di lì a poco andò incontro alla morte, consapevole, sotto gli occhi della madre che guarda caso si chiamava Maria.
Questo basta e avanza per darmi la convinzione di dire che ai miei occhi Paolo è il figlio più autentico di Gesù.
E noi, ragazzi dell’antimafia , cerchiamo nel nostro piccolo di seguire il suo esempio in modo da
essere riconosciuti, alla fine del nostro percorso, come i figli di Paolo.
Per fare questo non è necessario diventare tutti dei magistrati bravi come lui, cosa tra l’altro quasi impossibile, ma fare “ognuno nel suo piccolo, ognuno per quello che può, ognuno per quello che sa fare” come Paolo amava ripetere. E soprattutto saper distinguere ciò che è male e ciò che è bene per ogni cosa della vita quotidiana e seguire ovviamente quest’ultima strada. Ed è quello che cerco di fare io. A volte riuscendoci bene, altre un po’ meno.
Ho avuto la fortuna e la gioia di vivere questa esperienza palermitana dall’inizio. Fin da quando all’età di 19 anni, cioè all’indomani della strage di via D’Amelio del 19 luglio ’92, giorno più brutto della mia vita, decisi di andare da solo a Palermo, nonostante il parere contrario di tutto e di tutti e le forti pressioni che questi esercitavano. Basta pensare che la mia famiglia, che pure era comprensibilmente preoccupata, non era quella più contrariata per questo mio viaggio.
Ma sentivo troppo forte dentro di me la voglia di fare qualcosa, di portare nel mio piccolo un gesto di solidarietà, di vedere per la prima volta nella mia vita la città che aveva avuto la fortuna di annoverare (anche se in questo caso è un termine un po’ discutibile.....) tra i suoi figli Giovanni
Falcone e Paolo Borsellino. E di percorrerla non secondo le attrattive turistiche, che pure sono moltissime, ma attraverso i luoghi che potevano ricollegarsi in qualche modo ai due magistrati. Quindi: piazza Magione, i quartieri degradati laddove si respira aria e mafia, il palazzo di giustizia, Sant’Orsola, i Rotoli....
Così esattamente un mese dopo la strage di via D’Amelio, il 19 Agosto 1992, mi ritrovai come prima tappa proprio su quella via.
Sento moltissima gente dire che a vedere quelle immagini in TV gli si è chiuso il cuore e lo stomaco. Li capisco benissimo perché anche io quando le vidi in TV provai questo. Ma allo stesso tempo posso assicurare che vedere quella scena dal vivo fu tutto un altro effetto. Io non credevo a quello che stavo vedendo, avevo i brividi di freddo nonostante i 40° gradi che c’erano, e mi sentivo molto molto impotente. Ma poi fissai per qualche minuto una grande fotografia attaccata al cancelletto che dà all’ingresso del N.19. Ritraeva il mio adorato Paolo sorridente come sempre. Intorno tutto era distrutto. Ma il suo sorriso no, quello resisteva ed era dolcissimo. Allora piansi per un bel po’, ma a poco a poco il pianto si trasformò in rabbia e poi in sete di rivincita verso la mafia che me lo aveva portato via. A quel punto mi sentivo carico e me ne andai da quella via per cercare nel mio piccolo di mettere in pratica quella promessa che avevo appena fatto.
E’ in quei giorni che ebbi la fortuna e la gioia immensa di conoscere sia Padre Cesare Rattoballi che Rosaria Costa Schifani, ossia le due persone che con quella bellissima preghiera il giorno dei funerali del giudice Falcone, avevano dato il via al mio cambiamento. Ho parlato con loro per ore di quello che era successo e di cosa potevamo fare noi. A me sembrava di sognare, non credevo a quello che stavo vivendo. Eppure era tutto vero.
Entrai dentro la famiglia Schifani, uno degli agenti della scorta del giudice Falcone, e dentro il loro dolore. Che era anche il mio dolore. E bastava vedere un attimo le condizioni di quella povera madre per capire tante cose....
Poi il 24 Agosto lasciai Palermo, ma solo fisicamente, perché il mio cuore era rimasto là e i miei rapporti con quella città non hanno fatto che intensificarsi. Coinvolgendo spesso anche le persone che mi stavano intorno. Perché la lotta alla mafia non è certo un problema solo di Palermo, della Sicilia, della Calabria o della Campania, ma riguarda tutti. Anche se per i più scettici c’è voluta una manifestazione eclatante come la strage in cui persero la vita 5 persone, nella nostra città Firenze, per capirlo. Tornai a Palermo altre 4 volte nel giro di due anni, la prima delle quali (cioè il primo anniversario della strage di Capaci) mi regalò l’amica più cara che ho, Rita Borsellino, sorella di Paolo.
Per me lei è la guida più autentica ed è la testimone più bella che Paolo mi ha lasciato. E’ la persona che mi ha fatto capire la figura umana di suo fratello prima ancora che quella di magistrato.
Fu proprio tenendomi in contatto con lei, durante i giorni che dividevano i primi due anniversari dei magistrati più straordinari che il nostro paese abbia mai avuto, che mi preparai a vivere quello che poi sarebbe stato il giorno più bello della mia vita: il 19 luglio 1993. Sembrerà impossibile per come si possa passare in un solo anno dal giorno più brutto a quello più bello. Ma in effetti è proprio così. Ed è una delle tante cose inspiegabili di questa mia esperienza.
Il 19 luglio ’92 era il giorno della morte, della rassegnazione, della sconfitta.
Il 19 luglio ’93 era invece il giorno della festa, della rinascita. E soprattutto era il giorno del ramoscello dell’ulivo della pace, fatto portare da Betlemme e impiantato nello stesso punto dove è avvenuta la strage per volere di Maria Pia, mamma di Paolo, di Rita ,della sua famiglia e con l’adesione sincera da parte della società civile. Per dare un segnale anche simbolico che la nostra rinascita era in atto.
E io nel mio piccolo mi sento coofondatore di quell’ulivo. Ricordo benissimo che 5 minuti prima di cominciare ero a casa di Rita e lei mi disse, con un tono dolce e deciso:” Agostino questa preghiera la leggi tu”. Non c’era più neppure il tempo di svenire dall’emozione, altrimenti lo avrei fatto sicuramente!
Così lessi una delle tre preghiere (che per l’appunto era un brano del vangelo secondo Paolo...) davanti a una folla di 10000 persone commosse ma festanti. Le altre due vennero lette da Antonino Caponnetto (altro amico che mi ha guidato in questo mio cammino) e ovviamente da Rita.
Oggi posso dire con gioia che quel ramoscello di ulivo è diventato una pianta forte che dà i suoi frutti (e non solo simbolicamente....), uno dei quali è sicuramente l’associazione che vogliamo costituire e che avrà come simbolo proprio quell’ulivo. E nella logica con cui fu impiantato questo vorrà pur dire qualcosa. Ma allo stesso tempo vuol dire soltanto qualcosa.... Noi sappiamo solo che abbiamo intrapreso la giusta direzione. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e per certi versi in salita. Però lasciatemi dire che io sono orgoglioso e felice di avere come miei compagni di viaggio gente come Rita e Salvatore Borsellino, Nino Caponnetto, Giancarlo Caselli e tutti gli altri splendidi amici che ho incontrato in questo percorso e quelli nuovi che sono sicuro incontrerò. Ed è proprio questa la cosa che spero di più. In un momento in cui molti, soprattutto in ambito politico, tendono ad attaccare di continuo i magistrati dobbiamo far sentire forte la nostra voce. Ricordando che Giovanni Falcone e Paolo Borsellino cominciarono a morire molto prima dell’estate ’92 e che furono oggetto di continui tentativi di delegittimazione proprio come si tenta di fare oggi con quei magistrati che fanno il proprio dovere, rischiando la loro vita ogni giorno. A tutte queste persone (o presunte tali...) dobbiamo rispondere, con sempre maggior forza e in numero sempre maggiore, che questa volta noi “non ci stiamo” e non ripetere l’errore, che in parte fu commesso in passato, di lasciare soli Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Probabilmente noi non vedremo grandi risultati oppure ne vedremo pochi e potremo avere anche qualche scoramento. Ma sarà allora più che mai che dovremo ricordarci quello che disse Giovanni Falcone (che è poi lo stesso concetto espresso da Paolo con parole diverse): “A questa città vorrei dire: gli uomini passano le idee restano. Restano le loro tensioni morali. Continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini. Ognuno di noi deve continuare a fare la sua parte, piccola o grande che sia, per contribuire a creare in questa Palermo, una volta felicissima, condizioni di vita più umane. Perché certi orrori non abbiano più a ripetersi”.
E noi ci proveremo con tutte il nostre forze, per non rendere vano il loro sacrificio facendo sì che “quel sorriso viva per sempre”, come recita la frase del poster che ho appeso in camera dal ’92 e che ritrae i due grandi amici magistrati in atteggiamento confidenziale e sorridente.
Grazie a questa bellissima e intensa esperienza che ho vissuto e che continuerò a vivere, oggi mi sento una persona completamente diversa da 8 anni fa.
Sono cresciuto con l’insegnamento di Paolo nel cuore e lui mi ha aiutato a non crescere passivamente ma a sensibilizzarmi, a cancellare buona parte del mio egoismo e soprattutto a cercare di amare qualsiasi cosa, anche quelle che non mi piacciono, “perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace per poterlo cambiare”.
E io voglio continuare così, dolce Paolo, sicuro che da lassù tu continuerai a guidarmi. E consapevole che molte delle cose positive che ho fatto e che spero farò, non ci sarebbero state se non avessi “conosciuto” te.
Ti voglio bene Paolo.
Tuo Ago.
Sento il bisogno di ringraziare, oltre le persone citate nella mia testimonianza e tutti gli amici del gruppo “I RAGAZZI DI PAOLO”, anche la mia Parrocchia di San Bartolo a Cintoia di Firenze, così come Daniele Meschini ed Enrico Galeazzi.
E Paola Galletto di Chivasso.
Se ho potuto percorrere questo cammino anche lontano da Palermo parte del merito è sicuramente loro.



- Io oggi Voglio Vivere Libero - Aggiornato il 30 set 2008 - | ragazzi-di-paolo@libero.it

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