Il feudalesimo
Parole
chiave: immagini, rural landscape
history, storia paesaggio agrario, Medioevo,feudalesimo, demani, paludi,
saline, caccia, fiumi, villaggi, casali, Taranto, Puglia, Italia
Meridionale, masserie, edilizia rurale
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L’introduzione nel Tarantino di quel sistema di relazioni
economico-sociali che va sotto il nome di regime feudale viene attribuito in
genere ai Normanni (fine XI secolo).
Tale evento cadde, tuttavia, in un contesto sociale e
politico-amministrativo all'interno del quale già da
tempo i signori locali si erano ritagliati, più o meno abusivamente, sempre più ampie prerogative di
potere pubblico; fu per questo, quindi, che il feudalesimo poté tanto
facilmente affermarsi e radicarsi.
Il feudalesimo del Mezzogiorno d’Italia
non ebbe, al suo esordio, una
formulazione univoca e rigidamente canonizzata; esso inoltre subì, nel corso del tempo,
numerose revisioni.
Al suo esordio esso si connotò come istituzione di classe, limitata quindi ai
guerrieri normanni
che avevano partecipato alla conquista. Solo con la creazione del Regno con
Ruggero II (1130) vennero sistematizzati i suoi elementi costituenti fondamentali,
in primo luogo i vincoli di vassallaggio, che tramite una struttura
piramidale individuavano al vertice del sistema il Re.
Per tutto il Medioevo, tuttavia, il feudalesimo approfittò sempre delle
fasi di debolezza della monarchia per imporre la propria vocazione
anarchica. La
manifestazione più eclatante di tale atteggiamento di fondo fu incarnata
dal Principato di Taranto,
la più grande costituzione feudale del Regno, vera spina nel fianco del
monarca, per cui non a torto è stato considerato come un vero Stato nello
Stato.
La definitiva sconfitta del baronaggio, con la reintegrazione in demanio del
Principato di Taranto (1463), inizia l'ultima fase del feudalesimo,che perse la sua
connotazione politico-militare per accrescere il suo radicamento alla
terra, del resto mai mancato del tutto.
Con la mercantilizzazione dell'agricoltura
mediterranea,
che caratterizza l'Età Moderna, nasce l'azienda feudale e dilaga il fenomeno
della commercializzazione dei feudi. Vennero così immessi nei ranghi nella nobiltà feudale
locale di molte famiglie borghesi di estrazione centro e
nord-italiana, o al
più napoletana, che intendevano effettuare i propri investimenti finanziari al
fine di un duplice
ritorno, economico e di prestigio.
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L'Età Moderna vide approdare
nel Tarantino molti ricchi mercanti forestieri, che coniugarono le smanie di
un blasone con gli investimenti produttivi. Fra gli altri gli Imperiali,
di origine genovese, i quali acquistarono un vasto
feudo che comprendeva le città di Oria, Manduria, Avetrana e
Massafra, ed utilizzava il porto di Taranto per le sue intermediazioni
commerciali. A destra l'atrio del loro palazzo ad Avetrana.
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Una
particolare categoria di feudi fu quella che faceva capo alle grandi
abbazie monastiche medievali. La più ricca di queste fu
quella
italo-greca di San Vito del Pizzo, di
Taranto. Grazie alla munificenza
di re e principi essa accumulò un vastissimo patrimonio fondiario. A
partire dal
'500 questo fu progressivamente alienato mediante concessioni
enfiteutiche. Il feudo di San Crispieri (a sinistra il palazzo baronale)
pervenne dapprima in possesso dei Simonetta,originari di
Castellaneta, quindi (a metà '700) dei
Visconti, che vantava ascendenti nella celebre famiglia milanese.
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Nel
Medioevo la forza prevaricante del
feudalesimo condusse spesso all'abbandono di un casale;
nel corso dell'Età Moderna, al contrario,
l'iniziativa dei baroni fu spesso determinante per avviare il ripopolamento di molti di
essi. Tale fu il caso di Statte a partire dall'inizio dell'800,
anche se già in
precedenza molti casali del Sud-Est tarantino erano sorti a partire da semplici masserie,
come fu il caso di
Civitella,
presso Carosino, spopolatosi alla fine del '600, Monteiasi e, forse, San Giorgio Jonico.
Nel caso di Statte il ripopolamento dovette attendere
lo smembramento di quella che era stata sino ad allora una complessa azienda
masserizia (a sinistra il relativo portale di ingresso). All'inizio
dell'800, infatti, il crescente indebitamento dei Blasi, baroni del
feudo, li costrinse a cedere parte dei terreni e dei locali,
sui quali i nuovi proprietari (a destra il portale di ingresso al corpo
di fabbrica della masseria eretta da uno di questi, i De Nicola)
impiantarono autonome aziende.
Alla frammentazione del grande possesso fece seguito l'arrivo dei primi
Stattesi, dapprima costretti a riabitare le grotte dell'antico villaggio
rupestre.
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Il feudalesimo insediatosi nel
Mezzogiorno, e nelle aree ad agricoltura evoluta come era il Tarantino dopo
l'anno
Mille, si caratterizzò nella duplice veste di signoria amministrativa
(sostituto quindi dello Stato a livello locale) e di signoria agraria: ne
derivò un sistema di gestione delle terre e dei rapporti
sociali affatto peculiare.
Per molti versi l’istituzione feudale portò a compimento l'evoluzione di
assetti economici, sociali e territoriali esorditi già nel corso del tardo Alto
Medioevo e che avevano visto come protagonista indiscussa la signoria
agraria.
Le prerogative del potere feudale consistevano in primo luogo nella titolarità della
amministrazione della giustizia
locale, definita compiutamente solo in età aragonese,alla fine di un processo molto contrastato,
con
l'attribuzione definitiva della giurisdizione civile e criminale, delle prime e
seconde cause. Oltre alla giustizia essa godeva di un variegato insieme di
immunità e di privilegi, di diritti di
protezione e di bando,
che assegnava,ad esempio, ai baroni il monopolio su attività importanti,
come mulini, trappeti, palmenti
ed aie all'interno dei rispettivi feudi.
Grazie a queste prerogative ed alla possibilità di disporre di moltissima
terra, il feudatario esercitava un ruolo di arbitro indiscusso
all'interno della sua giurisdizione, dimostrando una
grande capacità di fagocitare gran parte del surplus
che piccoli e medi contadini erano in grado di produrre.
Il potere feudale
deteneva il controllo incontrastato delle potenzialità produttive
del relativo feudo grazie soprattutto ai diritti
di bando (cioè di fatto la potestà di esercitare il monopolio)
sulle strutture di trasformazione della produzione agricola, come le
aie
per i seminati e i frantoi (trappeti)
per gli oliveti. A destra
l'aia di Masseria Monte della Specchia-Crispiano; a destra il
trappeto di Masseria della Gravina, a Montemesola.
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Una volta aggiudicatisi il feudo i signori
investivano il capitale-terra concedendo ai propri vassalli quella quota di demanio feudale
(cioè di quelle terre originariamente di pertinenza della Corona e
trasmesse al feudatario unitamente alla concessione) che poteva essere
ridotta a coltura, in cambio di una parte (in genere ad un decimo) della
produzione.
Una caratteristica dei baroni insediati nel Tarantino, e nelle aree poco popolate in
genere, consisteva nella propensione a trattenere una parte significativa del demanio,la
cosiddetta riserva
signorile.
Le aree che più frequentemente rientravano in questo novero erano per lo
più costituite da boschi o aree genericamente
pascolative, adibite alle varie attività connesse con l'economia
dell'incolto. Esse erano per lo più vincolate alle pubbliche
utilità, ma per lo più finirono con l'essere chiuse a difesa.
Non mancavano, tuttavia, al loro interno anche colture specializzate, in particolare gli olivi.
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Le
masserie feudali (a sinistra il recinto con le arcate della masseria
feudale di Casabianca, appartenente ai marchesi di Lizzano)
accrebbero il carattere tipicamente agrario dell'azienda feudale di Età Moderna.
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A partire dal XVI secolo,scemate le velleità di
influenzare la vita politica nazionale, stabilmente egemonizzata ormai dalla superpotenza dell'epoca, la Spagna, il feudalesimo
andò incontro ad un profondo processo di ristrutturazione organizzativa. A
seguito di questa i feudi divennero aziende a prevalente interesse
agrario, attenta alle tendenze dei mercati, capaci (entro certi
limiti) di riconvertirsi ai primi sentori di
mutamento.
Le entrate derivanti dall'esercizio dei diritti giurisdizionali divennero talvolta
trascurabili, ciò non di meno rimanevano strumenti essenziali per la
perpetuazione della supremazia baronale all'interno del rispettivo feudo. Le
rendite più importanti divennero invece quelle derivanti dai diritti
sull'agricoltura, come le decime, il fitto dei pascoli
e lo sfruttamento della riserva signorile. Questo, in particolare, si avvalse
dell'impianto di strutture specializzate, come le masserie
feudali, i giardini e gli oliveti.
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La legge dell'8 agosto 1806 aboliva definitivamente il
feudalesimo come istituzione giuridica.
Pur privati delle prerogative giurisdizionali, il peso economico della maggior
parte degli ex-baroni rimase, comunque, molto rilevante, specie nei
centri minori, sia causa del profondo e duraturo radicamento
territoriale, sia per il fatto che, anche dopo l'eversione, essi rimanevano
i maggiori proprietari terrieri,anche laddove, come
a Lizzano, il demanio feudale venne ripartito con il
Comune.
Anche la nascita di una vera e propria amministrazione locale non fu
in grado di svincolare le popolazioni dallo strapotere degli ex-feudatari,
a causa soprattutto delle frequenti ingerenze nell'attività
amministrativa.
La nuova realtà politica, del resto, vedeva accresciuto
smisuratamente il peso della nuova
borghesia agraria, che si dimostrò nei fatti non meno vampiresca dell'antica
nobiltà feudale.
Il venir meno dei vincoli di pubblica utilità sul demanio feudale
si tradusse, anzi, in un generalizzato peggioramento delle condizioni
di vita.
Alla frustrazione delle speranze tanto a lungo covate si deve la
ricorrente, complessa, fenomenologia del brigantaggio,
ed alla lunga il radicarsi di un profondo distacco dalle istituzioni,divenuto
parte
integrante del corredo mentale di gran parte delle popolazioni
meridionali.
Riferimenti
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17 dicembre 2001 00:07
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