Lo Stato imprenditore:
dalla Foresta
alla Dogana delle Pecore di Puglia
Parole
chiave: immagini,
rural landscape history, storia paesaggio agrario, transumanza, dogana
delle pecore, Medioevo, feudalesimo, demani, paludi, saline, caccia,
fiumi, allevamento, grano, Taranto, Puglia, Italia meridionale, Masserie,
Civiltà Rupestre, edilizia rurale
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Una delle costanti della storia del Tarantino, dal Tardoantico
alle soglie dell'Età Moderna, è stata la
presenza di un esteso patrimonio demaniale, posto
sotto del direttive gestionali, amministrative e di controllo dello
Stato,
surrogato in epoca feudale dal Principe di Taranto.
La struttura economico-sociale del territorio risentì negativamente delle
smanie imprenditoriali
dell'autorità pubblica, che a lungo privilegiò la promozione delle
proprie terre.
Federico II in particolare perseguì un generale progetto di
sviluppo territoriale centrato proprio sul sistema delle aziende statali.
Le risorse locali rimasero invece a lungo irretite dai mille
vincoli e
monopoli imposti a tutto favore dell'imprenditoria pubblica; gli esiti di
questa politica restarono molto lontani non solo dalle attese delle
popolazioni, ma finanche dalle possibilità concrete di realizzabilità
nonché dalla sostenibilità ecologica e sociale del territorio. |
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Con i Normanni la zootecnia
tornò ad assumere il valore di impresa finalizzata alla formazione di
ricchezza, grazie soprattutto al riaffermarsi di una autorità centrale
che fu in
grado di assicurare sicurezza agli spostamenti lungo i percorsi della transumanza.
La Foresta è una
contrada nel territorio di Grottaglie. Ad essa fa riferimento
(fine del XII secolo) la
prima attestazione della presenza della giurisdizione forestale
nel
Tarantino.
Storicamente essa è sempre stata di proprietà dell'Arcivescovo
di Taranto, barone di Grottaglie, i cui cittadini vi
esercitavano alcuni diritti d'uso, in primo luogo la facoltà di
raccogliere la legna
morta (cioè di legnare a secco), fatta eccezione per un periodo
che andava dal 29 di settembre al 6 di dicembre, epoca
in cui il querceto (la ghianda) era riservato al
pascolo (la grassa)
dei maiali. Oltre a questa entrata l'Arcivescovo riscuoteva,
come riconoscimento del suo supremo dominio, una quota (la vigesima) degli agnelli
Fra le entrate
minori ricordiamo alcuni diritti sull'utilizzo delle acque
per la macerazione (curatore) del lino (a
sinistra una sorgente a tale scopo utilizzata) e sulla caccia
ai tordi.
Nel Medioevo vi si praticava, inoltre, il trattamento
della pece, attività per la quale occorreva
molta legna come combustibile.
Al suo interno sorsero, già verso la
fine del Medioevo, numerose masserie, alcune gestite
direttamente dalla Mensa Arcivescovile
(come quelle di Ogliovitolo e di Santa Maria della Mutata,
a destra),
altre in possesso
dei membri eminenti di Grottaglie, Martina e Taranto.
Nella foto
in basso la masseria detta di Abate Graziano, denominazione mutuata dall'abate Graziano Blasi,
esponente di una delle famiglie più di spicco della borghesia
agraria di Martina.
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Per il controllo dei pascoli giunsero a collidere ben presto gli interessi
del Re, titolare di vaste aree demaniali che attendevano un idoneo
sfruttamento, dei feudatari, aspiranti a
ritagliarsi analogo spazio economico all’interno del proprio feudo, e
delle comunità, che nel frattempo avevano maturato plurisecolari diritti
consuetudinari ed aspiravano a trasformarli in riserva di dominio.
Per porre il suggello della autorità regia (o signorile), ma soprattutto
per razionalizzare l’utilizzo di questa risorsa, i Normanni
introdussero la giurisdizione forestale, istituendo
le prime foreste.Con la denominazione di foresta (e la variante germanica
di gualdo) si
intendeva una entità giuridica più che ecologica, nel senso che
essa indicava, almeno inizialmente, un territorio di cui il re o il signore si
riservava il godimento esclusivo, mediante l'imposizione di un bando,
cioè del divieto di accedere allo sfruttamento delle rispettive
risorse. Per la sua osservanza era previsto un apposito servizio di
vigilanza armata, che al pari degli altri ufficiali dell'amministrazione
pubblica si resero protagonisti di una serie infinita di soprusi e di
vessazioni.
Sulla base di questo principio l'esercizio delle attività praticate
all'interno della foresta (come la raccolta della legna, il
pascolo, la caccia) previde il pagamento di una tassa (la fida) in
favore del titolare della giurisdizione.
Il territorio di Taranto nel suo complesso fu posto sotto gli stretti
vincoli della giurisdizione forestale: al suo interno, infatti, era fatto
divieto assoluto da parte dei privati di concedere in fitto
pascoli; tanto
meno era consentito erigere muri di difesa.
Oltre che un grande affare la Foresta
costituiva la sede delle attività venatorie
(sollatia) di re, imperatori e baroni,
ed offriva inoltre l'erba per il bestiame presente nelle masserie
regie. Insieme a queste ed il sistema castellare, infine, costituivano
un efficace e pervasivo strumento di controllo del territorio.
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La valorizzazione delle migliori terre del demanio
regio ebbe la sua più razionale traduzione nella creazione di un articolato
sistema di masserie
regie, aziende agricole specializzate e a vario indirizzo, finalizzate
all'inserimento dello Stato nella rete dei grandi commerci
internazionali.
Il settore di gran lunga più attivo fu naturalmente quello, strategico
per l'epoca, della produzione cerealicola, e fu ancora una volta Federico
II a dedicarvi la massima cura. Queste strutture furono sottoposte ad un
complesso e spesso pletorico apparato amministrativo di controllo, che
assegnava a ciascuna di esse standard produttivi, basati per lo più su
calcoli teorici, irrealizzabili con la tecnologia dell’epoca.
La presenza, in età angioina, di almeno una di queste strutture nel
Tarantino è una attestazione dell'essere già da allora la città ben inserita nelle
grandi linee commerciali.
Oltre alla masseria cerealicola esistevano altre aziende dipendenti dal
demanio regio, fra cui quelle specializzate nella zootecnia, ove si
allevavano maiali, pecore
e buoi; una posizione particolare occupavano
le aratie, specializzate nell' allevamento dei cavalli.
Frequente la presenza all'interno delle masserie regie dell'allevamento
delle api.
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Lo sfruttamento dei pascoli rientrò
sempre nelle linee di politica economica dello Stato, sia normanno che
svevo che angioino. Il suo peso era tuttavia destinato a crescere
ulteriormente nel corso del Medioevo,
grazie alla crescita della domanda da parte delle industrie tessili del
Centro e Nord Italia ed agli esiti della grave crisi agricola e demografica
che colpì le campagne meridionali ad iniziare dal XIV secolo.
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L'istituzione della
Dogana delle Pecore di Puglia si accompagnò alla
realizzazione di una rete tratturale che
consentisse il comodo spostamento delle greggi. Ciò
comportò la risistemazione della preesistente rete viaria con
l'individuazione di vie principali (i tratturi regi, tutelati da
una legislazione apposita) ed una miriade di diramazioni (detti bracci).
Nelle immagini il Tratturo Martinese presso Masseria Coppola
(Crispiano) e due
suoi rami secondari, presso San Simone e a San Paolo (il Tratturo
Gorgo-Parco). |
Gli ultimi re angioini ed i principi di Taranto
cercarono di imporre il
proprio monopolio nel mercato della locazione dei pascoli, ma incontrarono
la fiera opposizione dei feudatari
e dei notabili, interessati a definire forme di
possesso individuale sulle terre pubbliche, e delle popolazioni
locali.
Nel 1447 il re l'aragonese Alfonso il Magnanimo impresse una svolta
epocale, istituendo una complessa macchina burocratico-amministrativo-economico-giurisdizionale,
giurisdizionale nota come Dogana della Mena delle Pecore di
Puglia, con sede prima a
Lucera, quindi a Foggia.
La prammatica che la istituiva vincolava di fatto
gli spostamenti dei greggi transumanti,
obbligandoli a seguire determinati percorsi, i tratturi,
ed a servirsi esclusivamente dei pascoli della Corona.
A questo sistema
vincolistico vennero sottoposti anche i privati, costretti a concedere
i
propri pascoli, a prezzo calmierato, all'amministrazione della Dogana,
che poi provvedeva ad assegnarli ai conduttori di greggi (i locati).
I pascoli erano organizzati in locazioni ed il Tarantino fu
inserito (all'inizio del '600) all'interno della locazione della Terra
d'Otranto, con
sede a Castellaneta ed epicentro nella parte occidentale della attuale
provincia jonica.
Le ingerenze dell'amministrazione della Dogana furono nel corso del '500
alla base di una serie infinita di questioni con i feudatari ed i
signori
delle terra tarantini, che celarono i loro interessi particolaristici
dietro i violati diritti dei cittadini di Taranto, limitati nell'esercizio
dei propri diritti, se non impediti, dal grande flusso di bestiame della
montagna.
Alla lunga la lotta fu vinta dagli agrari, che
finirono con l'imporre la propria egemonia territoriale ed a bandire dal
Tarantino le ultime velleità imprenditoriali dello Stato.
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Riferimenti
bibliografici
Cascella
B: I magistri forestarii e la gestione delle foreste, in Castelli,
foreste, masserie: potere centrale e funzionari periferici nella Puglia del
secolo XIII, Bari,
1991, pp 47-94.
De
Dominicis F.N. : Lo stato politico ed
economico della Dogana della mena delle pecore di Puglia esposto alla maestà di
Ferdinando IV re delle Sicilie,
Napoli, 1781, t. I pp. 131-154, t. III pp. 45-70. (relativamente alla Locazione
di Terra d'Otranto, ed il Tarantino in particolare)
De
Gennaro G.: Produzione e commercio delle lane in Puglia dall’epoca
federiciana al periodo spagnolo, in Archivio Storico Pugliese,
XXV (1972), pp 49-79.
Licinio R.: Uomini e terre nella
Puglia medievale, Bari, 1983.
Licinio R.: Masserie
medievali, Bari, 1998.
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delle Pecore di Puglia, Roma, 1964.
Palasciano
I.: La Dogana del Real Tavoliere alla
Terra d’Otranto, in Riflessioni
Umanesimo
della Pietra, 1992,
pp. 81-92.
Travaglini
R: I limiti della foresta oritana in documenti e carte dal 1432 al 1809,
Oria, 1977
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17 dicembre 2001 00:07
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