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DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ROVIGNESE-ITALIANO di Gianclaudio de Angelini |
Par stu signo santo
Par stu signo tondo Par el Salvatur del mondo Par la Santeîsima Tarnità Che stu mal sa puoso dasfantà. |
Per questo santo segno
Per questo segno tondo Per il Salvatore del mondo Per la Santissima Trinità Che questo male possa svanire. |
dasfasà v.tr. (i dasfaso - i
dasfasìo) 1. sfasciare, toglire le fascie, le bende;
giùdime a dasfasà el peîcio:
aiutami a togliere le fasce al neonato; 2. svolgere, sciogliere
un cavo;
dasfàta s.f. - disfatta, sconfitta;
dasfàto agg. - disfatto;
dasfeîda s.f. - disfida, sfida;
..............
dasìno avv. - assennatamente, giudiziosamente;
dàsio s.m. 1. dazio, ufficio
doganale; là da la Stanga a gira el
cazuoto del dasio: in località Stanga
c'era il casotto del dazio; 2. dazio, gabella; el
panser nu paga dasio: il pensiero non paga
dazio, prov.; doûto quil ca nu paga
dasio, biegna butà fora: tutto quel
che non paga dazio, bisogna buttar fuori. Era un consiglio che dava un
lepido dottore di Rovigno, intendendo con ciò che non bisognava
trattenersi dall'emettere arie, perchè poteva far male, e lui dava
solitamente il "buon esempio"; el mativa la
trapa intù li buteîlge d'aqua minaral parnu pagà el
dasio: metteva la grappa nelle bottiglie dell'acqua
minerale per non pagare il dazio. Modo di dire: pagà
dàsio: pagar pegno;
..............
daspigulàse v.rifl. (i ma daspigulìo)
- sbrogliarsi, levarsi, cavarsi d'impaccio, dall'imbarazzo; el
zì oûn muriè sai zgaio, in du e du quatro sa uò
daspigulà da quila broûta situasion:
è un giovane molto sveglio, in due e due quattro si è tolto
da quella brutta situazione;
daspinà v.tr. (i daspinìo)
- togliere gli spini, spinare;
daspirà v.tr. (i daspeîro)
- sfilare; a zì meo daspirà
li pierle e meti oûn curdon nuvo: è
meglio sfilare le perle e mettere un cordone nuovo; la
nu la zì mai cuntente del lavur.. a zì inpeîra e daspeîra:
non è mai contenta del lavoro è un continuo infilare e sfilare
(perline);
daspìso avv. - spesso, frequentemente;
daspìto s.m. - vedi daspieto;
daspitulà v.tr. (i daspitulìo)
- levare, cavare d'impiccio; anca stavuolta
i lu iè duvìsto daspitulà:
anche questa volta l'ho dovuto cavare dagli impicci; Etim.: forse da petola,
escremento d'animale, e quindi levarsi da dosso una caccola, col significato
figurato di impiccio, impedimento
..............
dastirà v.tr. (i dasteîro)
- stendere, distendere, allungare; a ga vol
dastirà i drapi: occorre stendere i
panni; i giro stricà da nu pudeî
gnanca dastirà li ganbe: ero cosi pressato
che non potevo nemmeno allungare le gambe; el
samer sa uò dastirà partiera e nu vol pioûn zeî
vanti: il somaro si è disteso per terra
e non vuol più andare avanti. Modo di dire: dastirà
i crachi: a. letteralmente distendere
le ossa, ed ha anche il significato di mettersi a dormire, andare a riposarsi;
i son straco muorto, i ma vago a dastirà
i crachi: sono stanco morto, mi vado un pò
a riposare; b. eufemistico per morire; anca
loû uò dastirà i crachi!:
anche lui è morto!;
dastirase v.rifl. (i ma dasteîro)
- stendersi, distendersi, sdraiarsi; i
ma dasteîro oûn può, nama oûn pizuluoto:
mi stendo un pò soltanto per un pisolino;
dastiràso s.m. - sgranchimento,
l'allungare il corpo dopo aver dormito, l'azione dello siracchiarsi;
dastìz agg. 1. disteso,
rasserenato, tranquillo; ancui i lu iè
veîsto pioûn dastìz, a sa vido ca i afari i ga và
meo: oggi l'ho visto più disteso, vuol
dire che gli affari gli vanno meglio; 2. steso, coricato;
i sa viva dastizi zuta oûn sarizier:
si erano coricati sotto un ciliegio;
dastòlzi v.tr. (i dastòlzo)
- distogliere, levare da un'idea; nu ti lu
dastolzi dal liezi gnanca coûn li canunade:
non lo distogli dal leggere neanche con le cannonate; i
ma uò dastolto da zeî in Amieriga:
mi hanno convinto a non andare in America;
dastoûrbo s.m. - disturbo; a
nu zì dastoûrbo cu sa magna in sie sa pol magna anco in siete:
non date alcun disturbo, quando vi è da mangiare per sei si può
anche mangiare in sette; i iè dastoûrbo
da stomago: ho un disturbo di stomaco;
dastràgno loc.avv. 1. strano,
stranezza; a ma fà dastragno vidalo
sierio: mi fa strano vederlo serio; 2.
meraviglia, stupore; a ma fà dastragno
sinteî quil ca teî ma conti, la ma pariva oûna murieda
da siesto: mi meraviglia quello che mi racconti,
sembrava una ragazza giudiziosa;
dastràl s.m. (pl. -ài) -
legno posto traversalmente all'aratro, che serve al contadino per dirigerlo;
dastrài v.tr. e intr. (i dastràgo)-
distrarre; tendiel panito e nu ta fà
dastrai da li ciacule de li fimane: pensa
ai fatti tuoi e non farti distrarre dalle chiacchiere delle donnicciole;
dastrasion s.f. - distrazione, svago;
dastràto agg. - distratto; sor
mea, tu feîo zì masa dastrato, nu sa pol fà fidamento
soûn da loû: cara mia, tuo figlio
è troppo distratto, non ci si può far affidamento;
dastrigà v.tr. (i dastreîgo
- i dastrighìo) 1. mettere in ordine, fare le faccende
di casa; in dù e duquatro la uò
dastrigà doûta la caza: in pochissimo
tempo ha messo in ordine tutta la casa; 2. (fig) ripulire, spazzolare,
far fuori, far sparire; i uò dastrigà
doûto, a nui nu zì rastà ca licase i mustaci:
hanno spazzolato tutto a noi non è restato che leccarci i baffi;
3. sciogliere, districare; a zì
mondo meo iesi dastrigà da incarighi sa nu sa sà ciapase
li pruopie raspunsabilità: è
molto meglio essere liberi da incombenze se non si sanno prendere le proprie
responsabilità;
..............
dastrìto s.m. - distretto, distretto
militare o amministrativo. Al tempo dell'Austria l'Istria venne suddivisa
in due distretti amministrativi a partire dal 1° ottobre 1814; uno
era quello di Trieste, detto anche Capitanato di Trieste o Circolo dell'Istria,
la cui giurisdizione comprendeva l'Istria sino a Dignano, ma con l'eccezione
di Pisino ed Albona che con il resto appartenevano al Distretto di Fiume.
Dal 1822 al 1825 vi fu inoltre il Circolo di Pisino che comprendeva parte
di quello di Fiume. Dal 1° agosto del 1825 il Circolo di Pisino venne
sciolto, in quanto il Circolo dell'Istria, da Trieste venne spostato a
Pisino. Con questa revisione, si provvide anche ad una redifinizione dei
distretti, togliendo dalla giurisdizione del Circolo dell'Istria i territori
al di là di Trieste, che vennero assegnati al Circolo di Gorizia,
inglobando però quelli istriani che precedentemente appartenevano
al Circolo di Fiume. Quando nel 1842 si parlò di una possibilità
di trasferirne la sede da Pisino a Capodistria, a Rovigno si maneggiò
affinchè la nuova sede fosse invece la nostra città, inviando
una delegazione a Vienna composta da Gaetano Borgo e Matteo Campitelli,
la cosa però restò senza esito alcuno. Pertanto il Circolo
de l'Istria rimase a Pisino, sino al 15 novembre 1860, quando il Circolo
si tramutò nella Dieta Provinciale, la cui sede divenne Parenzo.
dastroûto p.p. e agg. - distrutto;
fra meo i son dastroûto i iè doûti i crachi ca ma fà
mal, nu iè pioûn vinti ani: caro
mio sono distrutto, ho tutte le ossa che mi fanno male, non ho più
vent'anni; la caza dastroûta nu la vol
nongoûn: la casa distrutta non la vuole
nessuno;
dastroûzi v.tr. (i dastroûzo)
- distruggere, rovinare; a zì faseîle
dastroûzi quil ca fà i altri, e mondo pioûn dafeîsile
zì fà ruobe nuve: è facile
distruggere quello che fanno gli altri, più difficile fare cose
nuove; Etim.: dal lat. Destruere, abbattere;
..............
dàtulo s.m. 1. dattero di
mare, lithodomus litophagus, lo squisito frutto di mare che scava la sua
tana nella roccia, per cui ora la sua pesca è proibita dato che
per prenderli, si usa spaccare le rocce col martello. Dato però
che è particolarmente prelibato, non manca chi elude il divieto.
I datteri sono particolarmente buoni preparati in ciupeîn;
2. dattero, frutto della palma da datteri; par
san Niculuò nu manchiva mai feîghi dulsi, datuli, cuche e
naranse: per san Nicolò (6 dicembre),
non mancavano mai fichi secchi, datteri, noci ed arance;
dàtulo forma verb. - le cose che
si danno, usato solamente nel detto proverbiale: datuli
vol mandatuli: per ricevere bisogna anche
dare, prov.;
daùr s.m. - scherzoso per sedere,
deretano, culo; Etim.: dal lat. De avorsus;
davagnà v.tr. (i davàgno)
- vedi vadagnà;
Davàgnamali - s.n. delle famiglie
Benussi e Calucci. Tale soprannome venne affibbiato in origine al pescatore
Luigi Calucci, vissuto nell'ottocento, per aver pronunciato la seguente
frase: zà chi ti li iè davagnadi
a ma frà, davagnamali anche a meî:
già che li hai guadagnati (vinti) a mio fratello, guadagna (vinci)
anche i miei;
..............
dazgramià v. intr. (i dazgramìo)
- dicesi di un impasto che non si amalgama, che forma dei grumi; Etim.:
dal lat Grumus + Dis, intens.;
dazgranà v.tr. (i dazgrano -
dazgranìo) - sgranare, vedi dazgarnà; el
uò dazgarnà tanto d'uoci: ha
sgranato tanto d'occhi;
dazgràsia s.f. - disgrazia; cu
li dazgrasie li scuminsia a vigneî bazuogna vierzaghe puorte e barconi:
quando le disgrazie iniziano a venire, bisogna aprigli porte e finestre,
prov.; li dazgrasie nu reîva mai sule:
le disgrazie non arrivano mai da sole, prov.; ca
dazgrasia! doûto el veîn uò ciapà el sponto:
che disgrazia! tutto il vino è andato in aceto;
dazgrasià agg. (f. -ada) 1.
disgraziato, sventurato, sfortunato; 2. disgraziato, disonesto,
persona che si comporta male; quil dazgrasià
ma faruò pierdi la pasiensa: quel disgraziato
mi farà perdere la pazienza; 3. invalido, menomato; 4.
poveretto, meschino, infelice; nu daghe bado
a quil dazgrasià: non curarti di quel
meschinello;
dazgrazà v.tr. (i dazgrièzo)
- sgrezzare, disgrossare;
..............
dazmantagà v.tr. (i dazmentago
- i dazmantaghìo) - scordare, dimenticare;
i iè dazmantagà da deîte el pioûn:
mi sono dimenticato di dirti la cosa più importante;
nu dazmantagà ca duman zì Vizeîlia:
non dimenticare che domani è la Vigilia. Modo di dire: màgna
e dazmèntaga: smemorato, persona
che non si ricorda neanche quello che ha mangiato; Etim.: dal basso lat.
Dementicare, deriv. da Dementare, propriamente essere fuori di senno, composto
da De priv. e Mentem = mente, memoria;
dazmantagàse v.rifl. (i ma dazmèntago
- i ma dazmantaghìo) - dimenticarsi, scordarsi; ara
ca nu zì faseîle dazmantagase da quil ca ti ma iè fato:
gurada che non è facile dimenticarsi di quello che mi hai fatto;
..............
dazunùr s.m. - disonore; ara
ca nu zì oûn dazunur pierdi cu nui, ch'i signimo i pioûn
zgai zugaduri da doûto Ruveîgno:
guarda che non è un disonore perdere contro di noi, che siamo i
più abili giocatori di Rovigno;
dazunurà v.tr. (i dazunoûro)
- disonorare;
dazùra loc.avv. e prep. - di sopra,
sù; uramai la giusa la zì dazura,
el guoto zì razo da longo tenpo, stà tento a nu fame rabià
par da bon: oramai la goccia è traboccata,
il bicchiere è colmo da lungo tempo, stai attento anon farmi arrabbiare
per davvero; cheî và dreîo
de i afari de i altri, i suovi ga và dazura:
chi va dietro agli affari altrui, i propri gli vanno male, prov.;
dazuraveîa avv. 1. per di
sopra; a ga vol zeî zuraveîa ca
in baso la veîa zì masa strenta:
occorre andare per di sopra che in basso la via è troppo stretta;
2. inoltre, in più, per di più;
i iè ciapà la paga e zuraveîa el paron m'uò
fato oûn ragaleîn: ho preso la
paga ed in più il padrone mi ha fatto un regalino;
dazurdanà agg. (f. -ada) - disordinato,
sciatto;
dazùrdane s.m. - disordine;
dazurganizà agg. (f. -ada) - disorganizzato;
dazurganizasiòn s.f. - disorganizzazione;
dazùta loc. avv. e prep. - di sotto,
giù, in basso, al do sotto; ti lu puoi
truvà dazuta cui fioi: lo puoi trovare
giù con i ragazzi; el viva sconto el
giurnaleîn dazuta ai leîbri da scola:
aveva nascosto il giornalino sotto i libri di scuola; dazuta
i trinta la và ancura ben, dai quaranta scumeînsia i malani:
sotto i trenta va ancora bene, dai quaranta incominciano gli acciacchi;
dazutarà v.tr. (dazutarìo)
- dissotterrare, esumare, disseppellire, togliere da una buca, una tomba;
i vemo dazutarà la casa cardendo ca
la fuoso cariga da suoldi... inveîse ga gira nama ca vieci zurnai:
abbiamo dissotterrato la cassa credendo che fosse piena di soldi... invece
vi erano soltanto dei vecchi giornali; la
puliseîa l'uò fato dazutarà par faghe l'utupiseîa:
la polizia l'ha fatto esumare per fargli l'autopsia;
..............
deî v.tr. (i deîgo)
- dire, raccontare, parlare; tra el deî
e 'l fà ga zì da miezo el mar:
tra il dire ed il fare, vi è di mezzo il mare, prov; cheî
ta deî gnìnte!: non ho nulla,
non ho voglia di raccontarti nulla o di dirti nulla di farti alcun appunto;
a meî ti lu deîghi ?:
e a me lo vai raccontando?; nu stà
deî gnanche a, ca ti ma li iè zgiunfade:
non dire neanche ba, che mi hai fatto perdere la pazienza; nu
deî quatro sa nu zì in saco:
non dire quattro se non è nel sacco, prov.; a
quil muriè a ga vol deîgane da doûti i culuri, preîma
ca ta dago bado: a quel ragazzo bisogna prima
maltrattarlo, perchè poi ti dia retta; teî
deîghi da bon?: lo dici per davvero?;
teî deîghi biel, teîo ca
ti son pien da buori: parli bene tu che sei
pieno di soldi; anca meî deîgo:
lo confermo anch'io, sono dalla tua parte, è proprio così;
cutu ca ta deîgo:
cosa vuoi che ti dica; coûtu ch'iè
da deîte: non so cosa dirti; a
meî nu curo deîmane tante: a me
non occorrono tante prediche, tante raccomandazioni; nu
zì stà gnanca dreîo da deîme bona:
non si è neanche curato di salutarmi; ta
lu deîgo meî!: si è proprio
così, se te lo dico io; nu ga vol deîla
dù vuolte, a bon intinditur puoche paruole:
non bisogna dirla due volte, a buon intenditore poche parole; gnanca
dreîo da deîte: mi sono scordato,
oppure non ho avuto il tempo di raccontarti; cheî
deîz ca son stà meî?: chi
dice che son stato io?. Modo di dire: deî
in gnuòco: parlare in tedesco;
a fastenzi seî, el mieîo deî
in gnuoco: hai capito sì, il mio parlare
in tedesco; deî nòmi:
insultarsi tra bambini con nomignoli, la cosa era particolarmente grave,
perchè poi poteva diventare un soprannome che avrebbe poi accompagnato
il malcapitato per tutta la sua vita e magari per i suoi discendenti;
mama, mama i fioi ma deî nomi: mamma,
mamma i bambini mi affibbiano dei nomignoli; deîmane
tànte!: bum davvero! sparane più
grosse! Etim.: dal lat. Dicere;
deî s.m. - giorno, dì; a
zì rivà el deî ca sa duvimo vidi, el cor ma baliga,
i zanuci i fà giacumo-giacumo...: è
giunto il giorno che ci dobbiamo incontrare, il cuore mi batte forte, mi
traballano le ginocchia...; dieso fà
deî priesto: adesso albeggia presto;
da Nadal a Pasqua el deî criso oûn'urìta:
da Natale a Pasqua il giorno cresce di un'ora, prov.; el
lavura nuoto e deî: lavora giorno e
notte, cioè in continuazione; Etim.: dal lat. Dies;
deîga s.f. - diga, barriera; Etim.:
dall'olandese Dija, tramite il fr. Digue;
deîndio s.m. 1. tacchino,
pollo d'India; 2. forma eufemistica di bestemmia; uorco
deîndio!; Etim.: (animale) dell'India,
dato che si riteneva che il tacchino provenisse da quella regione. E' lo
stesso errore in cui incorsero i primi europei chiamando indiani gli originari
abitanti dell'America;
deînaro s.m. - dinaro, moneta in
vigore nell'ex Jugoslavia; fra meo, zà
preîma nu ti ga fivi mondo, ma dieso i deînari nu val pioûn
oûn caspe: caro mio, già prima,
non ci facevi molto, ma adesso i dinari non valgono più nulla;
Deîo s.m. - Dio, il Signore; Deîo
guardi!: Dio ce ne scampi; ca
Deîo ta dago: che Dio ti conceda (quello
che vuoi, oppure quello che ti meriti ed in questo caso può avere
un significato sia positivo che negativo); ca
Deîo ta renda mierito: che Dio te ne
ricompensi; quil Deîo ca ta uò
ingianarà o ca ta uò nato: quel
Dio che ti ha generato, che ti ha fatto nascere, tipica imprecazione; a
la bona de Deîo: come Dio vuole, così
come Dio ce la manda, essere nelle mani del Signore; l'omo
prupuone, Deîo dispuone: l'uomo propone,
e Dio dispone, prov.; cu Deîo nu vol,
gnanca i santi nu pol: quando Dio non vuole,
neanche i santi possono nulla, prov.; Deîo
veîdo e pruveîdo: Dio vede e provvede,
prov.; Deîo deîz: giudade, ca
ta giudariè anca meî: Dio dice:
aiutati, che ti aiuterò amch'io, prov.;
nu caio fuoia, ca Deîo nu vuoia: non
cade foglia, che Dio non voglia, prov.; int'oûna
ura, Deîo lavura: in una ora, Dio lavora,
prov.; Deîo insiera oûna puorta
e 'l vierzo oûn purton: Dio chiude una
porta ed apre un portone, prov.; - cheî
spira in Deîo, nu pireîso mai: chi
spera in Dio, non perisce mai, prov.; ugnoûn
par siè e Deîo par doûti:
ognuno per sè e Dio per tutti, prov.; Deîo
sul zì gioûsto: soltanto Dio
è giusto, prov.; và cun Deîo!:
vai con Dio, vattene in pace, lasciami stare. Modo di dire: Deîo
gràsia: a. grazie a Dio,
grazie al cielo; i na uò fato veînsi,
Deîo grasia, oûna partida anca a nui:
grazie al cielo ci hanno fatta vincere una partita anche a noi; b. finalmente:
Deîo grasia el zì rivà!:
toh, finalmente è arrivato!
deîr(e) s.m. - il dire, il parlare,
discorso; biegna daghe oûn può
da zbanpalo a la zuvintoû d'ancui, nu zilo cume oûna vuolta,
t'intendi el mieîo deîr?: bisogna
dare un pò di libertà alla gioventù d'oggi, non è
più come un tempo, intendi quello che voglio dire?; - Intendi el
meio deîre?: capisci il mio discorso?; ara
el uò ciapà la fuota parchì nu guanto el suovo deîre:
toh, si è arrabbiato perchè non confermo il suo discorso;
deîscalo agg. - discolo;
deîta s.f. - ditta, società,
impresa;
deîta strachi s.m. - letteralmente
Società degli Stanchi, viene usato per indicare gli sfaccendati,
chi non ha voglia di far niente, perchè troppo stanco; ara
ca la Deîta Strachi la zì falida:
guarda che la Società degli Sfaccendati è fallita; el
zì quil de la deîta strachi:
è uno sfaccendato, uno che non ha voglia di far nulla;
deîto s.m. 1. il detto, le
cose che si dicono, il si dice; ara el deîto
zì ca Tuneîn fà l'amur cu la feîa da bara Anzalo:
beh, si dice che Tonino si è messo con la figlia del signor Angelo;
2. il tempo impiegato nel dire una parola; deîto
fato: detto fatto, in un attimo; 3. detto,
motto, proverbio; oûn deîto deîz..
cheî uò tenpo nu spieti tenpo:
un detto dice... chi ha tempo non perda tempo; Etim.: dal lat. Dicta =
le cose dette;
..............
demoghièla s.m. - vedi demoghèla;
el deîzi ch'el uò cunbatoû
in Roûsia... seî nel regimento demoghiela:
dice che ha combattuto in Russia... si, nel reggimento "filiamocela"!
demoghèla s.m. - con l'accento
spostato non vuol dire nulla, ma spostando in avanti l'accento vuol dire
filiamocela, erano così detti i renitenti al servizio di leva, dei
contingenti triestini ed istriani, chiamati dagli austriaci a combattere
durante la 1° G.M. contro i propri connazionali nell'I.R. Reggimento
di fanteria numero 97. I poco combattivi militi avevano coniato anche un
loro gustoso inno che diceva così:
Qua se magna, qua se bevi
Qua se la lava la gamela. Zigaremo demoghèla Fin che l'ultimo sarà. |
Qua si mangia, qua si beve
Qua si lava la gamella. Strilleremo "demoghela" Fin che l'ultimo sarà. |
Naturalmente ben altro era l'impegno bellico di
coloro che, come Slataper, Stuparich, Filzi, Battisti ecc, erano riusciti
a riparare in Italia per arruolarsi volontari nell'esercito italiano.
demògno s.m. - demonio;
..............
dènto s.m. 1. dente; el
uò ancura i denti da lato e vul fà zà l'omo fato:
ha ancora i denti di latte e vuol già atteggiarsi come un adulto;
fora el dento, fora el dulur: estratto il
dente, passato il dolore, prov. simile a: fora
el dento, fora el panser: fuori il dente,
passa anche la paura; priesto i denti, priesto
i parenti: rapido a mettere i denti, rapido
a sposarsi, prov. Cioè si credeva che chi metteva presto i denti,
fosse precoce anche nello sposarsi, prov.; - Dento, par dento, caine pardon:
dente per dente, e senza alcun perdono, prov.; la
lengua bato, anduve ch'el dento diol: la lingua
batte, dove il dente duole, prov.; el viva
oûna cameîza bianca cume oûn dento da can:
aveva una camicia bianchissima. Modo di dire: dènti
inciavàdi: denti irrigiditi dal
freddo o dal rigr mortis; l'invierno cu fis'civa
li navarase, uogni tanto, la miteîna sa truviva qualco puovaro creîsto
cui denti inciavadi: l'inverno quando fischiava
il vento forte che portava le tempeste, ogni tanto alla mattina si trovava
qualche poveraccio morto irrigidito dal freddo; dènto
de l'uòcio: dente del giudizio;
nu ti iè fato ancura el dento de l'uocio:
non hai messo ancora il dente del giudizio, prov.; ma
uò tucà el dento: mi ha
appena stuzzicato l'appetito; 2. qualsivolglia oggetto che ricorda
per la sua forma un dente. Modo di dire: dènto
feîn: lima gentile; 3. pezzo
dell'aratro in cui s'infila il vomere; 4. una delle punte del forcone,
del rastrello, della forchetta; Etim.: dal lat. Dens-dentis, dente;
..............
Devescovi - in origine del Vescovo
o de Vescovi: Rigo del Vescovo, 1340 c.a.; Tomà nato 1365
c.a.; Andrea nato 1370 c.a., ed Antonio nato nel 1380 c.a., suoi figli.
Del Vescovo fu tramutato in Devescovi (secondo il vezzo degli scrivani
di scrivere i cognomi tutti attaccati, vedi Dapiran, Dazzara ecc..). E'
molto diramata questa famiglia, ed hanno tutti i rami un proprio agnome.
Sembra indigena. Famiglia iscritta al Corpo dei Cittadini o Nobili di Rovigno,
diede vari canonici, giudici e notai. Da questa famiglia assai antica e
ramificata, derivarono, dai suoi soprannomi, diversi nuovi cognomi. L'arma
di famiglia, presenta una mitra vescovile, dietro la croce a due bracci
ed il baculo pastorale, posti in banda ed in sbarra. Sul sagrato Duomo
di S. Eufemia, vi sono due antiche tombe della famiglia Devescovi, la prima
data 1753, la seconda più tarda reca la seguente iscrizione:
El Castiel de Ruveîgno
El ma pais sta in alto,
In seîma de stu monto
Su quisto sta la statua
Chi da stu monto varda
E cu la nostra Santa
Gira castiel anteîco
Longa la moûra in Reîva
Stiva su la piassita
Fora del Ponto alura
Del meîle apena duopo
Cul tenpo senpro pioûn
Cume grameîgna feîssa
E chi nu viva fore
Viva el Cumoûn par stiema
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Il Castello di Rovigno
Il mio paese sta in alto,
In cima di questo monte
Su questo sta la statua
Chi guarda da questo monte
E quando la nostra Santa
Era il castello antico
Lungo le mura in Riva
Stava sulla piazzetta
Fuori del Ponto allora
Poco dopo il mille
Col tenpo semprè più
Fissa come gramigna
E chi non aveva campagne
Aveva il Comune per stemma
|
Diavolo, diavuleîn e diavuleîna.
Diavulo puorta veîa Sa Pauleîna; Parchì Sa Pauleîna, zì oûna rizeîa Diavulo, diavuleîn, puortala veîa. |
Diavolo, diavolin e diavolina.
Diavolo porta via la signora Paolina; Perchè donna Paolina è un'eresia Diavolo, diavolin, portala via. |
Diavuleîto - s.n. della famiglia
Devescovi;
diavulo s.m. - diavolo. Vedi anche questo
antico canto popolare:
Puossa vigneî lu diavulo a lu lieto,
Cusseî che ti nu vuoi ch'i viegno meîo: Te puossa ronpi li coste del pito, Doûte li menbra che t'uò fato Ideîo. |
Possa venire il diavolo al tuo letto,
Dato che non vuoi che ci venga io: Ti si possano rompere le costole del petto, Tutte le membra chi ti fatto Iddio. |
dìbalo agg. 1. debole, scarso,
carente, fioco, flebile; el zì dibalo
a fà da conto: è debole, è
scarso nell'aritmetica; 2. debole, ancora non risanato; zì
ancura sai dibalo, el dutur uò deîto ch'el dievo rastà
a lieto ancura par oûn pier da giuorni:
è ancora assai debole, il dottore ha detto che deve restare a letto
ancora per un paio di giorni; Etim.: dal lat. Debilem;
..............
dièca s.m. 1. decigrammo,
nelle ricette era uso indicare il peso dei componenti in dièca piuttosto
che in etti od in grammi, come è uso in italiano, così anche
nell'acquistare a peso delle cose; a ga vol
sie dieca da fareîna par uogni dieca da soûcaro:
occorrono sei decigrammi di farina per ogni decigrammo di zucchero; la
ma dago gize dieca da cafiè: mi dia
un etto di caffè; 2. banconota da dieci mila lire; Etim.:
dal gr. Deka = dieci;
Diecanùa - s.n. della famiglia
Rocco;
diècima s.f. - decima, tributo
che si dava un tempo ai canonici del Capitolo collegiale di Rovigno. Nel
1746, in un fondo di proprietà di Cristoforo Angelini, fu edificato
il locale della Decima tra le contrade di S. Francesco e S. Pietro. Venne
abbattuto nel 1856.
..............
disteîn s.m. - destino, sorte destinata;
el mieîo disteîn zì da
lavurà senpro e nu vì mai suoldi:
il mio destino è (quello) di lavorare sempre e di non aver mai una
lira. Vedi anche questa strofetta da una canzoncina popolare che prendeva
in giro il "Vilan da zbrìga":
Baia, baia can da bazase
colzi li strase cul faguteîn cameîna soûda par el tuovo disteîn. |
Abbaia, abbaia cane di bisacce
prendi gli stracci ed il fagottino cammina, suda per il tuo destino. |
Zà che ti son vignoû cusseî
a priesso,
Cavete i drapi e ven cun meî in nel lieto. Zà che ti son vignoû, e cusseî seîa, Cavate i drapi e fame cunpaneîa. |
Già che sei arrivato così vicino,
Togliti i vestiti e vieni con me nel letto. Già che sei venuto, e così sia Togliti i vestiti e fammi compagnia. |
2. lenzuola, panno; i iè i drapi
a sugà, sparemo ca nu piovo: ho i panni ad asciugare, speriamo che
non piova; 3. letterario, bandiera, drappo; Etim.: dal basso lat.
Drappus;
drec s.m. - merda; nu
val oûn drec: non vale nulla; Etim.:
dal ted. Dreck = sterco, sudiciume;
dreîo avv. e prep. 1. dietro,
dopo; el stiva dreîo la cazarma:
abitava dietro la caserma; el s'uò
sconto dreîo el murìto: si è
nascosto dietro il muretto. Modi di dire: gnànche
dreîo: senza pensare, non averci
badato; nu zeî dreîo:
non badare, non curare, non dare ascolto, non pensarci; nu
stà zeî dreîo, ga iè zà pansà meî:
non curatene, ci ho già pensato io; zeî
dreîo: a. corteggiare; b.
pensare, seguire, curare, badare; el zeî
dreîo da lavurà lagalo stà:
sta pensando a lavorare lascialo stare; dreîo
man: continuamente; dreîo
schèna: il fondo schiena, il dorso;
zeî dreîo schèna:
cadere, ribaltarsi; dreîo da:
a. a furia di; b. a seguito di; c. dopo di; 2.
in base, in conformità, secondo; dreîo
i ani duvaravo zeî in preîma miedia:
in base all'età dovrebbe frequentare la prima media; dreîo
quil ca sa vido la pararavo sai reîca:
da quel che si vede, sembrerebbe molto ricca; Etim.: dal lat. De + Retro;
Dreîo Castièl top. - costituisce
la riviera della citta vecchia rivolta verso nord, il castello a cui fa
riferimento è il vecchio Castello di Rovigno, tra il 1650 ed il
1708 vi venne edificata l'omonima contrada;
Dreîo la Diècima top. - sito
in contrada San Zuàne, deve il nome al fatto che lì
vi era il palazzo di proprietà del Capitolo Collegiale di Sant'Eufemia,
dove sino al 1810, si raccoglievano le decime dei raccolti di grano ed
uva, una volta abbattuto il palazzo, il toponimo è caduto in disuso,
soppiantato da San Zuàne. Precedentemente al 1746, anno in
cui fu edificato il palazzo della Collegiata, il sito veniva chiamato "La
Motta";
Dreîo la Lucànda - toponimo
riportato dall'Ive, localizzabile probabilmente nei pressi dell'attuale
ufficio postale, ove risiedeva un tempo la locanda per eccellenza di Rovigno;
dreîoman avv. - immediatamente,
subito, continuamente;
dreîopònto s.m. - contrappunto;
punto, cucitura di rinforzo;
drènto avv. e loc. prep. - dentro;
i l'uò zgnacà drento:
lo hanno messo dentro; i ga son drento feînta
i uoci: ci sono dentro fino ai capelli; o
drento o fora: o dentro o fuori; el
zì pioûn drento ca fora: sta
più dentro che fuori; Modi di dire: drènto
veîa: da dentro, all'interno; zeî
drènto: a. entrare; b.
finire in prigione; dàghe drènto:
darci dentro, darci sotto, impegnarsi allo spasimo, lavorare con lena;
mèti, ficà, zgnacà
drènto: mettere in prigione; Etim.:
dal lat. De + Intro;
drènto-fòra s.m. 1.
appartamento comodo; 2. andirivieni;
drìsa s.f. 1. treccia;
ca biele drìse, cheî ta lu uò fate cuseî ben?:
che belle trecce, chi te l'ha fatte così bene? 2. tralcio
della vite posto orozzontalmente; Etim.: dal lat. volgare Trichia = capelli
intrecciato in tre parti, tardo greco Trickia = fune:
drisà v.tr. (i drìso)
- raddrizzare, drizzare, alzare; drisa el
quadro ca zì stuorto: raddrizza il
quadro che è storto; Etim.: dal lat. pop. Directiare e questi dal
classico Dirigere = porre in linea retta;
drisàse v.rifl. (i ma drìso)
1. alzarsi, raddrizzarsi; drisate ca
ti rastariè guobo soûn da stà coûfo:
raddrizzati che resterai ingobbito a furia di star chinato; 2. (fig)
rimettersi in sesto, sollevarsi; cun la ridità
del viecio i sa uò oûn può drisà:
con la eredità del vecchio si sono un pò rimessi in sesto;
3. aggiustarsi, rimettersi in ordine; drisate
el vasteî ca ti lu iè doûto piculà:
aggiustati il vestito che ti pende tutto da una parte;
drìta s.f. - la parte destra, la
mano destra; a man drita sa pol vidi Ruveîgno:
a destra si può vedere Rovigno;
..............
dugàn s.m. 1. congedo, ben
servito; e puoi ca ti ma vivi insulsida ti
cridivi da dame el dugan?: e dopo avermi rincretinita,
pensavi di darmi il benservito?; 2. (fig) fugone; ciapà
el dugan: prendere la fuga, scappare in tutta
fretta; Etim.: dal ted. mil. Durchgang = fuga, passaggio da Durchgehen
= scappare;
dugàna s.f. - dogana;
duganièr s.m. - doganiere;
dùi agg. num. card - due, vedi
du e dua;
Dui urfaniele (li) - nel gioco della tombola
il numero 22;
Dui Suriele (li) top. - lett. due sorelle,
due scogli nel tratto di mare tra Vìstro e Gusteîgna,
così chiamato per la conformazione pressochè uguale dei due
scogli;
duièlo s.m. - duello; Etim.: dal
lat. Duellum;
dulcìsa s.f. - dolcezza; cui
fioi a ga vol dulcìsa: con i bambini
ci vuol dolcezza;
duleîa s.f. 1. doglia (del
parto); curi a ciamà la cumare, ca
tu muier la uò li duleîe: corri
a chiamare la levatrice che tua moglie ha le doglie; 2. reumatismi;
3. mal inglese; Etim.: dal lat. Dolia, pl. del neutro Dolium;
dulènto agg. - dolente, spiacente;
i son dulento, ma nu zì stà vierso da pudive giudà:
sono dolonte ma non è stato veramente possibile aiutarvi;
dulfeîn s.m. - delfino, delphinus
delphis. Il simpatico e popolare animale re degli acquari non è
però visto di buon occhio dai pescatori rovignesi, che vedevano
molto spesso il frutto della loro pesca vanificato da questo furbo animale,
che rompevndo le reti fa strage dei pesci fin qui pescati. Una tradizione
popolare, inoltre, voleva che lo spirito di qualche anima dannata si impossessasse
dei delfini particolarmente dannosi, o che in essi s'incarnassero le anime
degli annegati; quil uocio d'oûn can!
Quil'anama indanada! - Parun Tuoni, cun cheî la vì? Ma cheî
va zì fato? Cheî ca ma zì fato? - Piro mieîo,
i la iè cun quila maladita bies'cia da dulfeîn, da sigoûro
drento da loû a zì l'anama da parun Andria Caragol, che el
diavo lu magno anca duopo muorto!: quella
faccia di cane! quell'anima dannata! - Paron Toni, con chi l'avete? Cosa
vi è successo? Cosa mi è successo? - Piero mio, ce l'ho con
quella maledetta bestia di delfino, sicuramente dentro di lui vi è
l'anima dannata di Andrea Caragol, che il diavolo gli mangi l'anima anche
dopo morto. Era inoltre comune credenza in Istria che il vedere dei delfini
che saltare sul mare fosse foriero di cattivo tempo: Co buliga le code
d'i dulfini, preparate a far i gatisini, ed anche se 'l dulfin in
mar fa festa, sta per s'ciopar la tempesta, ambedue proverbi in istro-veneto.
Etim.: dal gr. Delphis;
..............
dulfeîn biànco s.m. - delfino
bianco, Delphinapterus leucas; dulfeîni
bianchi, dulfeîni niri mai vidane parchì doûti magna
li ride: delfini bianchi o neri, (è
meglio non) vederne mai, perchè ambedue distruggono le reti. Tipico
scongiuro dei pescatori rovignesi;
dulfinièra s.f. 1. delfiniera,
nome di vela triangolare posta sotto il bompresso; 2. tipo di fiocina
con le alette snodate;
..............
dulimàn s.f. - veste femminile
(arc.), voce attestata in alcuni atti dotali del XVII sec.: un duliman
da pano negro: una vesta di panno nero; Etim.: da Dolman, veste femminile
indiana di bambagia;
Duliveîco s.m. n.pr. - Ludovico;
dulòngo avv. - subito, immediatamente;
a dasteîro i curariè a incuntrate
par dulungo bazate: subito correrò
ad incontrarti per baciarti subito; dulongo
i ta iè vuloû ben, coûme t'iè scuminsià
fame el paloû: subito ti ho voluto bene,
non appena hai incominciato a farmi la corte; s'i
veîso oûn fradiel ca nuniso Duman, i lu masaravi dulongo:
se avessi un fratello che si chiamasse Domani, lo ucciderei subito, prov.;
ai fioi biegna dulongo cavaghe i veîsi:
ai bambini bisogna subito togliere i vizi, prov.;
dulsàstro agg. - dolciastro;
dulsìsa s.f. - dolcezza; cun
dulsìsa a sa cava da pioûn, ch'a sigali in cuntinuasion:
con la dolcezza si ricava di più (dai bambini) che a sgridarli in
continuazione;
dulsìto agg. e s.m. 1. (s.m.)
dolcetto; nu stì magnande ca i dulsìti
zì par la festa de stasira: non mangiatene
che i dolcetti sono per la festa di questa sera; 2. dolcetto, non
secco, dolciastro; stu veîn el zì
dulsìto, meo tignilo par cunpagnalo cu li peînse:
questo vino non è secco, è meglio tenerlo per acconpagnarlo
con le focacce pasquali; 3. scioccarello, di scarza intelligenza,
cioè con poco sale in zucca; el zì
bon ma oûn può dulsìto:
è buono ma un pò
sciocco;
dùlso agg. 1. dolce; la
zì dulsa cume el mel, nu la uò gnanca el fèl maro:
è dolce come il miele, non ha neanche il fiele amaro; 2.
facile da lavorare, o da ardere; el ligno
dulso va ben, nuò quil virdo ca fà mondo foûmo:
il legno dolce va bene non quello verde che (bruciando) fa tanto fumo;
3. (fig) scemo, stupido, cioè senza sale in zucca); 4.
mite, temperato (riferito al clima); Etim.: dal lat. Dulcis;
dulsuòto agg. e s.m. - stupidotto,
cretinotto;
dulsùr s.m. - dolciore, dolcezza;
..............
dùna s.f. - donna, signora, apellativo
di rispetto; Etim.: dal lat. Domina, signora;
dunà v.tr. e intr. (i duòno)
1. donare, regalare; quisto ma l'uò
dunà ma santula: questo me lo ha regalato
la mia madrina; a caval dunà, nu sa
varda in buca: a caval donato non si guarda
in bocca, prov.; cheî duona caro vendo,
sa nu zì vilan quil ca prendo: chi
dono caro vende se non è villano chi prende, prov.; quil
ca nu sa pol vì, sa duona: quello
che non si può avere si regala, prov.; 2. (intr.) donare,
star bene, mettere in valore, in risalto; a
zì pruopio viro, el culur cilistreîn ta duòna mondo:
è proprio vero il color celestino ti dona molto, ti sta molto bene;
Dunà n.pr.m. 1. Donato;
2. figura proverbiale, non so se inventata o no, di una persona
una volta facoltosa, che aveva venduto tutte le sue sostanza e che aveva
stabilito di vivere di rendita sino ad una eta massima stimata di 80 anni,
e visto che invece aveva oltrepassto tale limite, era stato costretto a
chiedere la carità per poter campare: fì
la carità el puovaro Dunà, ca la viciaia lu uò ciavà:
fate la carità al povero Donato, che la vecchiaia lo ha fregato,
prov.; el zì cume el puovaro Dunà:
è come il povero Donato, cioè è rimasto senza una
lira;
dùna màre s.f. - signora
madre, appellativo che fino a poco tempo fa i figli bene educati davano
alla propria madre;
dunamàre s.f. - signora madre,
appellativo di riguardo che i bravi figli davano alla madre, forma unita
di Duna Mare;
Dunamàre - s.n. delle famiglie
Budicin e Veggian;
dunasiòn s.f. - donazione; Etim.:
dal lat. Donationem;
dunateîvo s.f. - dono, regalo, regalia;
Dunàto n.pr.m. - Donato, vedi Dunà;
i son rastà cume el puovaro Dunato:
son restato senza una lira come il povero Donato;
dundulà v.tr. e intr. (i dòndulo
- i dundulìo) - dondolare; anche
la cuda del samier dundulìa, ma nu la caio:
anche la coda del somaro dondola ma non cade, prov.; a
ga dondula tiesta e li man ga bala: gli dondola
la testa e le mani gli tremano;
dundulàse v.rifl. (i ma dòndulo
- i ma dundulìo) - dondolarsi; nu
stà dundulate ca ma ven el simineîgo:
non dondolarti che mi fai fastidio;
..............
dunzièla s.f. - donzella, fanciulla,
ragazza non sposata, usata per lo più in senso ironico; Etim.: dal
tardo lat. Dominicella;
dunzièla s.f. - donzella, pesce
appartenente all'ordine dei Perciformi, Coris julis. Ha un corpo allungato,
con una piccola bocca munita di dentini disposti in due file. Una caratteristica
di tale pesce è l'ermafrodismo, con una lunga fase sia femminile
che maschile. Queste due fasi sono caratterizzate, anche se non assolutamente,
da due diverse livree. La livrea primaria, col 75% dei pesci in fase femminile,
ha color marrone-rossiccio sul dorso, linee gialle e bianche sui fianchi
e sfumature bianco azzurre sul ventre. La livrea secondaria, col 97% nella
fase maschile, presenta coloro più sgargianti: il dorso è
bruno, verde o bluastro. I fianchi sono percorsi da una fascia sinuosa
di color rosso-vivo od arancio. Il ventre è bianco o giallastro.
In genere in questa fase vive in prossimità della costa tra gli
scogli. Può raggiungere una lunghezza di 25 cm. Ha carni ottime
ma assai spinose, in genere si prepare in brudìto o fritto;
dunzileîna s.f. - donzellina;
duòbia vc.verb - 3° pers. sing.
cong. pres. del verbo duvì debba, bisogna;
duòcezi s.f. - diocesi;
duòcia s.f. - doccia;
duòcile agg. - docile, mansueto,
remissivo; par furtoûna ch'el gira duocile,
sa nuò inveîse da mursagà li braghe ma mursaghiva el
coûl: per fortuna ch'era docile, sennò
invece di mordermi i calzoni, mi mordeva il sedere; la
zì duocile sulo cu la vol: è
docile soltanto quando vuole lei;
duòdula s.f. - allodola o lodola.
Modo di dire: bièla duòdula: persona infingarda, bel tipo;
Etim.: dal gallico Alauda;
duòge s.m. 1. doge; 2. persona
che si da importanza, che si da delle arie; el
sa crido da iesi el duoge, inveîse el zì oûn puovaro
sulsuoto: si crede un pezzo grosso, invece
è un povero stupido;
..............
duòna s.f. - donna, signora; la
duona zì la ruveîna del mondo:
la donna è la rovina del mondo, prov.; la
duona l'uò fata al giavo: la donna
è riuscita ad imbrogliare anche il diavolo... figurarsi l'uomo;
buobe e duone, ugni stazon zì bona:
per le bobe e le donne, ogni stagione è buona, prov. o anche: salpa
e duona, ogni stazon zì bona; cu
oûna duona deîz nu vojo, bazuogna rendase soûbato:
quando una donna dice non voglio, bisogna arrendersi subito, prov.; la
duona zì cume la castagna, da fora biela e drento la magagna:
la donna è come la castagna, fuori bella e dentro con la magagna,
prov.; l'omo sensa la duona, tanto val...
el zì cumo 'na maniestra sensa sal:
l'uomo senza la donna tanto vale... come una minestra insipida, prov.;
duona alsada, duona abandunada:
detto riferito al parto, e vuol dire che finchè la donna, dopo partorito,
stà a letto è circondata dalle attenzioni di tutti e quando
si alza ritorna tutto come prima, prov.; nà
duona nà tila, a sa varda al ciaro dela candila:
nè la donna nè la tela si giudicano a lume di candela, prov.;
duona ca pianzi, caval ca suda, samier ca
stranuda... a nu ga zì da cridaghe:
a donna che piange, cavallo che suda, somaro che sternutisce non vi è
da credere, prov.; ara ca duona da siesto:
guarda che donna perbene. Modi di dire: duòna
da i putìri: maga, strega, indovina;
duòna dal pudastà:
donna altezzosa, boriosa; duòna
màre: signora madre, una volta
i figli in senso di rispetto così chiamavano la madre, dandole il
voi; duòna Mateîlde:
sputasentenze, impicciona. Della visione un pò misogina della donna,
tipica del resto in quasi tutte le tradizioni popolari, del resto ben attestata
in molti dei proverbi precedenti, è specchio fedele questo brano
tratto da un frammento in versi in cui Adamo si lamenta col buon Dio della
sua prima compagna:
"La duona che me dasti per agioûto,
zì stada culpa de la meîa ruveîna; Gila me fise lo pumo gustare, Zì stata culpa de fàme pecare." Anche el Signur ghe deîz: "Ingrata duona, Perchì tu sei cusseî dizubidiente?" Doûta tremando respondo la duona: "Signur, zì stà la culpa lu sarpente." |
"La donna che mi dasti per aiuto,
è stata causa della mia rovina; Lei mi fece il pomo gustare, E' stata la causa del mio peccare" Anche il Signore le dice: "ingrata donna, Perchè sei così disubbidiente?" Tutta tremante risponde la donna: "Signore, la colpa fu del serpente." |
Da un'altro canto popolare apprendiamo le qualità
richieste ad una donna per poter esser chiamata bella, canto assai simile
ad un famoso stornello romanesco:
Siete balìse ga d'avì oûna
duòna
Cheî vol ca biela duòna seîo ciamada. La ga d'avìre dui bai uoci in tiesta, In nel parlare la ga da iesi unista. La ga d'avì oûna biela vardadoûra, Larga in spale e strìta a la cintoûra. E alta e strìta cume oûna culuòna: Quila se ciamareîa oûna biela duòna. |
Sette bellezze deve avere una donna
Che bella donna vuol esser chiamata. Deve avere in testa due begli occhi, Nel parlare deve essere onesta. Deve avere un bello sguardo, Larga di spalle e stretta di cintura. Ed alta e stretta come una colonna: Quella si chiamerebbe una bella donna. |
Etim.: dal lat. Domina = signora della casa;
duòni-si duòni-no avv. -
signorsì, signornò; Etim.: chiara abbreviazione di duòmine
si, duòmine no;
duòno s.m. - dono, regalo;
duònula s.f. - donnola, detta anche
bièla duònula; Etim.: dal lat. Dominula, Donnula =
signorina, per le movenze leggiadre di questo animale;
..............
durà v.tr. e intr. (i doûro)
- persistere, perdurare, durare, resistere, insistere, continuare, seguitare;
el uo durà in cariga par sie ani in
cuntinuasion: è durato in carica per
sei anni di seguito; nu la uò durà
a longo cun quil bon da gnìnte: non
ha resistito molto con, insieme a, quel buono a nulla; a
zì la stuoria da siur Intento ca la doûra mondo tenpo...:
è una storia che non finisce mai...; cheî
la doûra, la veînso: chi insiste
alla fine vince, prov.; sta stuoria la doûra
mondo?: questa storia seguita per molto?.
Modo di dire: durà zut'àqua:
restare, permanere sottacqua in apnea; Etim.: dal lat. Durare;
durà v.tr. (i duòro)
- adorare, venerare. Forma aferica di adurà; coûto
vularavi ch'el stiso senpro a durate cume oûna rileîqua?:
e che vorresti che lui ti adorasse sempre come una reliquia?;
i ta duòro... cume la salsa del pumiduòro:
ti adoro... come la salsa del pomodoro, frase idiom.;
duràda s.f. 1. durata. Il
tempo impiegato, il tempo necessario; par
doûta la durada de la pineîcula i nu uò stà seîti
oûn mumento: per tutta la durata del
film, non sono stati zitti un momento; 2. il tempo di permanenza
sottacqua in apnea;
duramènte agg. - duramente;
durasiòn s.f. - adorazione, venerazione;
Duràso s.m. 1. Durazzo,
città dell'Albania; 2. (scherz) persona dura o tarda di comprendonio,
un pò per l'assonanza del nome della città, con doûro
ed un pò per la nomea dei suoi cittadini di non essere molto...
svegli; a ga vol inpridagade parchì
el zì da Duraso: occorre dirglielo
più volte perchè è un testone; 3. tirchio,
avaro. Sempre per assonanza con doûro, qui col significato
di restio a dare, duro a scucire;
duratoûro agg. - duraturo;
durièl s.m. (pl. -ai) - ventriglio;
durinavànti avv. - d'ora in avanti,
da adesso in poi;
durìsa s.f. 1. durezza,
rigidità; par la suova durìsa
sta carno la par cumato: per la sua durezza,
questa carne sembra di cuoio; 2. (fig) testardaggine; nu
ti pol cunbati cu la suova durìsa:
non puoi combattere con la sua testardaggine; 3. (fig) durezza di
cuore o rigidità dell'anima; la nu
uò durìsa, ma cun queîl beîlfo ga vularavo iesi
oûn può tartaife: non ha durezza
di cuore, ma con quel tipino lì occorrerebbe essere un pò
burberi;
..............
dutùr s.m. (f. -ìsa) 1.
dottore, medico; nu zì mal da dutur:
non è male che un medico possa curare; la
siura duturìsa la deîz ca zì ancura priesto par zeî
in uspadal: la signora dottoressa dice che
è ancora presto per andare in ospedale; 2. dottore, laureato;
el zì dutur in liege:
è dottore, è laureato, in legge. Dal Repertorio alfabetico
delle cronache di Rovigno di A. Angelini apprendiamo che i laureati rovignesi
nel 1862 erano in tutto 18, ovvero 12 in legge e 6 in medicina su una popolazione
di circa 10 mila persone. Questa vera e propria aristocrazia intellettuale
era composta dalle seguenti persone: Antonio Barsan, Giuseppe Basilisco,
Bartolomeo Blessich, Gaetano Borghi, Matteo Campitelli, Domenico e Giuseppe
Costantini, Pietro Davanzo, Giov. Andrea Millossa, Paolo Ghira, Antonio
Quarantotto, Giovanni Rismondo in legge e Luigi Barsan, Luigi Basilisco,
Ludovico Brunetti, Giovanni Fabretti, Domenico Glezer e Filippo Spongia
in medicina. Nel secolo precedente la famiglia Angelini invece aveva dato
vari laureati come don Antonio Angelini, dottore in sacra teologia (1712);
Giuseppe Angelini (1787) e Giacomo Angelini (1810); Etim.: dal lat. Doctor;
duturà v.intr. (i duturìo)
- fare il saccente, il saputo;
duturàse v.rifl. (i ma duturìo)
1. addottorarsi, prendere una laurea; 2. rientrare in gioco
col punteggio più alto; el sa uò
duturà tri vuolte ma a l'oûltamo uò veînto loû:
è rientrato tre volte, ma all'ultimo ha vinto lui;
..............
dùze s.m. - doge; cheî
ta cridi da iesi? el duze da Vaniesa?!: e
chi crede d'essere? il Doge di Venezia?!;
dùze pirucòn s.m. - doge
con la parruca, modo di dire per indicare qualcuno che si crede di essere
importante, così come lo era il Doge di Venezia; parchì
su barba ga uò lasà li fore, el sa crido da iesi el duze
pirucon: perchè suo zio gli ga lasciato
dei campi coltivabili, si crede di essere chissà chi;
duzeîna s.f. - dozzina; Etim.: dal
fr. Duzaine;
duzèna s.f. - dozzina;
duzènto agg.num.card. - duecento;
duzento, tresento e fuorsi anca pioûn:
duecento, trecento e forse anche di più; Etim.: dal lat. Ducenti;
duzinàl agg. (pl. -ài) -
dozzinale, ordinario, non raffinato; el viva
oûn vastì duzinal, ca ga stiva cumo oûn saco da patate:
indossava un abito ordinario, che gli stava come un sacco di patate;
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