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DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ROVIGNESE-ITALIANO di Gianclaudio de Angelini |
La nostra Santa, in alto
del campanil la guarda se fossi qualche barbaro che in qua voria vegnir? Sta nostra bela Tera la xe per noi creada.. |
La nostra Santa, in alto
dal campanil osserva se ci fosse qualche barbaro che vorrebbe venire qui? Questa nostra bella Terra è stata per noi creata.. |
Di tutte queste opere il nostro componeva sia la musica che i versi,
di alcune di queste ho già dato i versi qui riporto quelli della
popolare "Vien, Fiamita" che sono però anch'essi in istriano-veneto:
1. Vien sul mar, bambina mia,
vien, Fiamita, vien vogar: sona zà l'Avemaria e no farme più aspetar! A Montravo opur a Lone fermeremo de vogar: paradiso de le done xe trovarse in mezo al mar...! rit. La barca xe una cuna che dondola sul mar; al ciaro de la luna se senti più de amar. L'amor che nasse in core se senti divampar cunandose per ore in mezo al nostro mar! 2. Voio dirte che mia mama xe contenta de sto amor, voio dirte che la brama regalarte un pegno d'or. No pensarghe per la dote: ela ben ghe penserà e coredo e banconote, stà sicura, ghe sarà! rit. |
1. Vien sul mar, bambina mia,
vien, Fiammetta, vieni a vogar: suona già l'Avemmaria e non farmi più aspettar! A Montravo oppure a Lone smetteremo di vogar: paradiso delle donne è trovarsi in mezzo al mar...! rit. La barca è una culla che dondola sul mar; al chiaro della luna si sente più di amar. L'amor che nasce in cuore si sente divampar cullandosi per ore in mezzo al nostro mar! 2. Voglio dirti che mia mamma è contenta di questo amor, voglio dirti che lei desidera regalarti un pegno d'or. Non preoccuparti per la dote: lei per bene ci penserà e corredo e banconote, stà sicura, non mancheranno! rit. |
S'i son luntan senpro i ta iè in amento; s'i turno, a par ca ma sa strenzo drento cu'i son sul mul o sun par li calite...
el ruvigniz a sa lu sento puoco... Ma cu fis'cia garbeîn, bora o siruoco zì senpro quila la canson del vento.
li viece caze par mareîna veîa; zì senpro là Muntravo e Sant'Andria; da nuoto el mar zì senpro pien de stile...
zì senpro quile li batane amiche; zì senpro quile li cansoni antiche... Lasa ch'i ganbio, o Santa Catareîna, (1)
ca la davento russo da varguogna... (2) Ch'i ganbio i nomi, sa ganbià bizuogna; ti i nu ta pol ganbià, Ruveîgno miea...
zì Sant'Ufiemia, e feîn ca i Ruvignizi zì senpro quà quà o da doûti i paizi i turna quà, magari par fà un salto.
zì davantadi tiera intu la tiera i stà vardà el paiz e la riviera, li viece caze e 'l mar, i scui e i puorti... |
Se sto lontano sempre ti ho in mente; se ritorno, mi sembra che mi si stringa qualcosa dentro quando sono solo sul molo o sù per le stradine...
il dialetto rovignese lo si sente poco... Ma quando fischia il libeccio, bora o scirocco è sempre quella la canzone del vento.
le vecchie case lungo la marina; sta sempre là Montravo e Sant'Andrea; di notte il mare è sempre pien di stelle...
sono sempre quelle le battane amiche; son sempre quelle le canzoni antiche... Lascia pure che cambino, o Santa Caterina, (1)
diventi rosso di vergogna... (2) Che cambino i nomi, se cambiare bisogna; ma a te non ti possono cambiare, Rovigno mia...
c'è Sant'Eufemia, e finchè i Rovignesi son sempre qua o da tutti i paesi ritornano, magari soltanto per un attimo.
sono diventati terra nella terra e stanno a guardare il paese e la marina, le vecchie case, il mare, gli scogli, i porti.... |
Note: (1) chiamata all'epoca semplicemente Katarina;
(2) ora chiamata Crveni Otok, cioè Isola Rossa; |
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fabrica tabachi s.f. - manifattura tabacchi. Uno dei cardini
dell'economia rovignese, l'I.R. Fabbrica Tabacchi di Rovigno venne fondata
nel 1872, e da allora ne è rimasta uno dei pilastri fondamentali.
Notizie storiche: il podestà di Rovigno, il cav. dott. Matteo
Campitelli, Rovigno 1830-1904, fece istanza nel novembre del 1871 presso
il governo austriaco, affinchè fosse stabilita una Fabbrica Tabacchi,
onde dare un lavoro soprattutto alla manodopera femminile di Rovigno. Strano
a dirsi, la proposta venne approvata il 16.08.1872, e di lì a poco
ebbe inizio l'attività di una piccola fabbrica a carattere provvisorio
ubicata nella Caserma di San Damiano difronte al posto di guardia dei "Civici
Vigili" di Rovigno. Le prime due operaie entrarono in servizio il 4 giugno
dello stesso anno, e per onor di cronaca, erano Maria Longo nata Carlevaris
e Maria Devescovi nata Abbà. Già in ottobre fu decisa la
costruzione di una nuova fabbrica. Cosicchè in località Laco,
venne edificata la nuova fabbrica, inaugurata il 15 settembre 1875, vigilia
di Sant'Eufemia, allora col nome di "Fabrica Zigari". Già nel 1887
la fabbrica contava 48 operai e 722 operaie, le famose tabachine, mentre
non si sa il numero esatto degli impiegati. Sempre in quell'anno, a fianco
alla produzione di sigari ebbe inizio quella delle sigarette. Nel 1903
il numero degli operai raggiunse un totale di 1094, suddiviso in 75 uomini
e 1.019 donne. La paga era settimanale ed in quel periodo ammontava mediamente
intorno a corone 14.91 per i sorveglianti, 10.95 per gli operai e solo
9.65 per le operaie. La fabbrica produceva sigari tipo Virginia, sigari
Romani ed i Sigarillo, poi anche sigarette, tabacco da masticare, da fiuto
ed estratto di tabacco, diventando così la manifattura tabacchi
con la più vasta gamma di produzione di tutto l'impero austrungarico.
Nel pomeriggio della domenica del 23 maggio del 1915, vigilia dell'entrata
in guerra dell'Italia, s'udirono i prolungati fischi della sirena della
fabbrica, che come un animale in agonia, annunciava il prossimo trasferimento
di macchinari e maestranze in Austria, a cui avrebbe fatto seguito la deportazione
della popolazione nei campi del centro Europa austriaco. Alla fine della
I° G.M. col ritorno dei così detti Fuggiaschi (Flütchtlingen),
in realtà rovignesi evacuati a forza, la vita riprese lentamente
a Rovigno e col Regno d'Italia riprese anche l'attività della fabbrica,
(12 febbraio 1919), dapprima con 495 tra impiegati e maestranze, per una
produzione annua di 60.000 sigari. Nel 1922 con dei nuovi macchinari il
numero delle persone impiegate raggiunse le 860 unità, comunque
sempre ben al di sotto di quelle del periodo austriaco. Durante la II G.M.
la fabbrica funzionò con tre turni giornalieri per soddisfare il
fabbisogno delle nostre forze armate. La fabbrica possedeva inoltre già
nel periodo austriaco, una sua squadra di Vigili del Fuoco, un complesso
bandistico, una filodrammatica, oltre ad organizzazioni sportive (squadra
di calcio, gruppo bocciofilo, ecc. ecc). Nel 1934 fu inaugurata una nuova
costruzione, il Dopo Lavoro, alla presenza del Duca Amedeo d'Aosta, che
tra l'atro aveva una sala cinematografica che serviva anche da teatro per
le rappresentazioni del gruppo filodrammtico. Il ballo annuale, chiamato
il "Veglione delle Tabacchine", godeva di una grande popolarità
e chiaramente richiamava una forte affluenza soprattutto maschile. L'Amministrazione
italiana, inoltre introdusse anche un "Nido dell'Infanzia", necessaria
struttura sociale, visto che le operaie erano la netta maggioranza, il
cui direttore era il dottor Manzin. A fianco della lavorazione del tabacco,
l'Austria sin dal 1900 tentò di impiantarne la produzione, con un
particolare tipo di tabacco, fatto venire da Lecce, incrocio di tabacco
bulghero aromatico con quello dell'erzegovina. Ma fu merito del Monopolio
italiano di estenderne la coltivazione, incoraggiandola anche con premi.
Cosicchè nel 1923 si creò un Consorzio di Cooperative per
la coltivazione del tabacco, che raggiunse una produzione annua di circa
80 tonnellate. La produzione andò scemando e poi riducendosi del
tutto, durante la II° Guerra Mondiale. Con l'arrivo della Jugoslavia,
la produzione della fabbrica subì un tracollo, con l'esodo quasi
totale delle maestranze. Ancor oggi la fabbrica è in attività,
ed anche se si chiama Tvornica Duhana Rovinj, ancora vi lavora qualche
figlia delle vecchie tabacheîne di Rovigno.
.........
fàla s.f. - falla; i uò
pruvà a turà la fala, ma nu ga zì stà gnìnte
da fà: hanno provato ad atturare la falla, ma non c'è
stato nulla da fare;
falà v.intr. (i fàlo - i faleîso)
1. errare, sbagliare; cheî fa fala,
e cheî fala inpara: chi fa sbaglia, e chi sbaglia impara,
prov. analogo a: cheî fà fala e falando
s'inpara: chi fa sbaglia e sbagliando, s'impara, prov.; cheî
sai parla, speso fala: chi parla tanto, spesso sbaglia, prov.; cheî
fala da tiesta, paga da bursa: chi commette errori con la testa,
li sconta con la borsa, prov.; doûti i pol
falà: tutti possono sbagliare, prov.; doûti
i semo nati par falà: tutti siamo nati per sbagliare, prov.;
2. mancare, fallire; acoûzo tri tri
fala cupe: accuso tre tre mancante coppe; cheî
fala stu culpo uò pierso: chi fallisce, chi manca questo
colpo ha perso; Etim.: dal lat. Fallare, intensivo di Fallere = ingannare,
al passivo col significato di sbagliare;
Fàla frànca - s.n. della famiglia Sponza;
falàsca (a) loc.avv. - a vuoto, senza esito, malamente.
Locuzione usata generalmente in connessione col verbo zeî,
andare; du boni e oûn a falasca: due
(colpi) validi ed uno a vuoto; l'afar zì zeî
a falasca par veîa da quil tuoto da tu frà: l'affare
è finito male a causa di quello sciocco di tuo fratello; Etim.:
forse da falàsco, voce desueta riportata
dall'Ive col significato di erbaccia che nasce nei luoghi paludosi, e quindi
il significato originario di zeî a falàsca
dovrebbe essere finire in una palude, impantanarsi. Però il Ninni
nelle sue giunte al dizionario del Boerio lo dice termine dei cacciatori
col significato di: incerto, ingannevole: "Quel posto xe sta sempro
falasco; se va la matina el xe pien de osei e se vien a casa co le man
piene de mosche!". Comunque è chiaro che il termine deriva o
comunque è incrociato con il verbo faleî,
fallire, mancare, andare a vuoto e al termine marinare
làsco.
falbèbe s.m. - sergente maggiore; Etim.: dal ted. Feldwebel;
fàlbo s.m. - color giallo scuro;
fàlca s.f. - falca, l'orlo superiore dei fianchi di una
imbarcazione, ove sono scavate le scalmiere od infissi gli scalmi per i
remi; la trata viva pien li falche da scame da la
pisca da sardiele: la barca aveva le falche piene di squame della
pesca delle sardelle
..........
faleî v.intr. (i faleîso) - fallire, sbagliare,
mancare; par iesi masa bon el zì faleî:
per essere troppo buono è fallito; anca stavuolta
el uò faleî el culpo: anche questa volta è andato
a vuoto, cioè ha mancato il colpo. Modo di dire: el
zì faleî nel crièdo: detto proverbiale rovignese
che si rifà alla credenza popolare per cui se il padrino del neonato
all'atto del battesimo commette un errore nella recitazione del Credo,
quest'ultimo da grande avrrà la capacità di vedere i defunti.
Per cui questa frase la si dice a chi ha le visioni, a chi vaneggia; Etim.:
dal lat. Fallere;
faleî agg. e s.m. (f. -eîda) - fallito; quil
faleî nu cunbinaruò mai gnìnte da bon: quel
fallito non combinerà mai niente di buono;
faleîa s.f. - favilla, scintilla; zuta
el buleîstro zì ancura qualco faleîa: sotto la
cenere c'è ancora qualche favilla; fa tansion,
ca basta oûna faleîa ca pol ciapà fogo doûto el
mazaghen: fai attenzione che basta una scintilla che può
bruciare tutto il magazzino; Etim.: dal lat. Favilla, cenere, brace da
Fovere, scaldare;
falìa s.f. - scintilla, favilla; Etim.: vedi faleîa;
falilulièla falilulà s.f. - cantilena, ritornello
canzonatorio
..........
faluòpa s.f. 1. errore marchiano, sbaglio grossolano;
nu stà fà faluope anche stavuolta, parchì adieso zì
caine pardon: non commettere errori anche questa volta, perchè
adesso non saranno perdonati; 2. fandonia, baggianata, castroneria;
nu cuntà faluope: non dire baggianate;
Etim.: dal tardo lat. del X sec. Faluppae = immondezze, paglie minutissime.
Termine di origine pre-indoeuropeo;
falupòn s.m. - millantatore, venditore di frottole, smargiasso;
falùz agg. - falloso, persona che commette molti errori,
molti falli; quil zugadur zì sai faluz:
quel giocatore è molto falloso;
fama s.f. - fama, nomina, nomea; el uò
fama da iesi oûn bravo zuvano: ha fama di essere un bravo
ragazzo; Etim.: dal lat. Famem, da Fari = parlare;
famaniela s.f. - femminella, ramo bastardo della vite, cresce
sui tralci;
famanìta s.f. - femminetta, donnicciola;
fame s.f. - fame, vedi fan;
fameîa s.f. - famiglia; o granda
o peîcia, ugni fameîa uò la suova cruz: o grande
o piccola ogni famiglia ha la sua croce, prov.; la
fameîa da ma pare la gira nuobile zuta l'Austria, e quila da ma mare
la zì oûna da li fameîe pioûn viecie da Ruveîgno:
la famiglia di mio padre era nobile al tempo dell'Austria, quella di mia
madre è una delle più antiche famiglie di Rovigno; Etim.:
dal lat. Familia, da Famulus, servo. Quindi in origine il significato era
quello di indicare l'insieme dei servi di una casa, quindi le persone poste
sotto l'autorità del capo famiglia, poi passò al significato
attuale soppiantando il classico Gens-gentis;
fameîlgia s.f. - famiglia, forma arcaica rispetto al più
corrente fameîa come feîlgio
per feîo, forse per influenza con il
veneziano Famegia;
fameîo s.m. - famiglio, vedi famìo;
famìa s.f. - famiglia, vedi fameîa;
famièligo agg. - famelico;
famìia s.f. - famiglia, vedi fameîa;
famìiar agg. e s.m. - parente, famigliare;
famìo s.m. (pl. -ii) - famiglio, servo che nel passato
veniva assunto dai ricchi contadini o possidenti per i lavori dei campi
e viveva con la famiglia del padrone, colono; Etim.: dal lat. Famulus =
servo, schiavo;
famùz agg. - famoso, celebre, conosciuto; el
gira davantà famuz par doûte li stuorie ca sa invantiva, e
anca i muriedi lu ciuliva in geîro e ga diziva: Soûn Biepi
contine da quila vuolta in Amieriga: era diventato famoso per tutte
le storie che s'inventava, ed anche i ragazzini lo prendevano in giro docendogli:
dai Bepi raccontaci di quella volta in America; Etim.: dal lat. Famosum;
fan s.f. - fame; la carasteîa fa
fan, la bundansa stoûfa: la carestia fa venir fame, l'abbondanza
stufa, prov.; la fan fa vigneî i loûvi
fora del busco: la fame fa uscir i lupi dal bosco, prov.; la
fan zì oûn gran cundimento: la fame è un gran
condimento, prov.; la fan fa doûto bon:
la fame rende tutto buono, prov.; spieta ca seîo
in tuola, gnanca ti muraravi da fan...: aspetta che sia servito
in tavola, neanche morissi di fame...; oûna
vuolta par cavase la fan nu sa gira sufistaghi, adieso el grasìto
nuò, el narvìto gnanca, i pisi uò i speîni...:
una volta per saziarsi non si guardava tanto per il sottile, adesso il
grassetto non gli va, il nervetto pure, i pesci hanno gli spini...;
la vardoûra nu ga và in coûl, signo ca nu uò
fan: la verdura non la vuol mngiare, segno che non ha fame; i
nu ga vido da la fan: non ci vedo dalla fame. Modi di dire:
avì la fan in cuòrpo:
essere affamatissimo; broûta cùme
la fan: bruttissima; broûta cume
la fan del dizisiete: se è possibile, ancora più
brutta, cioè come la terribile fame patita nel 1917; t'iè
fan? màgna curàmo. T'iè sìde? màgna
carìghe: hai fame? mangia il cuoio. Hai sete? mangia
le sedie, frase prov. che le mamme dicevano ai bambini petulanti e affamati;
Etim.: dal lat. Famem;
..........
Fanton - nel censimento del 1° ottobre '45 erano presenti
2 famiglie;
fantuleîn s.m. 1. fantolino, bambino piccolo, garzoncello.
Vedi queste strofe dall'antologia dell'Ive:
Quando ch'i giro fantuleîn de late,
Doûte li poûte me vuliva in brasse; Ura ch'i son vinoûto grando e gruosso, Chi me dà oûn scupasson, chi oûn scupeluoto. |
Quando ero un piccolo lattante,
Tutte le ragazze mi volevano in braccio; Ora che son diventato grande e grosso, Chi me dà uno schiaffo, chi uno scappellotto. |
La farata
Farata... quando ch'i ta uò inagurada
El pudastà cu la fasa tracuola, e loûstre ghiete
El capo da li guardie cu l'ielmo a l'uorsa
El cundutier su 'l vagon, inpirà cume oûna suvita
La sira festa! Brasacuolo cantando
I preîmi mumenti pioûn da oûn ziva fin Laco nuvo
Sa la faleîa da 'l tuovo cameîn uò bruzà
la macia da Santuman
Quanta miercie, furmaio, uvi, furmento
Quante lagrame uà bagnà i tuoi vagoni
I nu ma dago da pati e na razon
Adieso finalmente ca gira par nui sta farata
|
La ferrovia
Ferrovia... quando ti hanno inaugurata
Il podestà con la fascia a tracollo, le ghette lucide
Il capo delle guardie con l'elmo di traverso
Il conducente sul vagone, impalato come una civetta
La sera festa! cantando a braccetto
Nei primi momenti più di uno andava sino al Laco nuovo
Se la scintilla del tuo camino ha bruciato la macchia di Santoman
Quante merci, formaggio, uova, grano
Quante lacrime hanno bagnato i tuoi vagoni
Non mi so rassegnare nè me ne faccio una ragione
Ora che finalmente per noi c'era la ferrovia
|
I son Febraro ugnur, la me bregata,
I puorto primaveîra, i scasio invierno. A ven ai dui la Purificata, La madre de Gizoû, el qual dizendo, Ai veîntiquatro la foû culucata; L'anema de Mateîo rigna in etierno. Ai veîntiuoto el fìa quile gran pruve, S'el zì biziesto, el puorta veîntignuove. |
Io son Febbraio ognor, cara la mia brigata,
Porto la primavera, scaccio l'inverno. Viene il due la Purificata, La madre di Gesù, va detto, Il ventiquattro fu collocata; L'anima di Matteo regna in eterno. Il ventotto fece delle grandi prove, Se è bisestile, ne porta ventinove. |
febraròl s.m. - febbraio; febrarol
scurtarol, piezo da doûti: febbraio corto, peggio di tutti
(gli altri mesi), prov.;
Feche del ciel - s.n. della famiglia Sclappi;
federàl agg. (pl. - ai) - federale; - I s'ciavoni uò
fato oûn stato federal, ma ti vadariè ca preîma o puoi
i zaruò ugnidoûn par conto suovo: gli slavi hanno fatto uno
stato federale, ma vedrai che prima o poi andranno ognuno per conto proprio;
federàl s.m. - federale, gerarca fascista;
federasiòn s.f. - federazione; sa
ti favieli da la federasion ca i uò in Amieriga i son cun teîo,
ma nuò soûn quila munada da li tri Talie: se parli
della federazione che hanno in America, sono con te, ma non su quella stupidaggine
delle tre Italie;
feîa s.f. - figlia; bazà
la mare par ciavà la feîa: baciare la madre per fregare
la figlia, prov.; tale mare, tale feîa:
tale madre, tale figlia, prov.; tra mare e feîa
li nu sa speîa: tra madre e figlia non si spiano, non si sbugiardano,
cioè si reggono bordone vicendevolmente, prov.; li
feîe patreîza, i fioi matreîza: le figlie tendono
ad assomigliare al padre, i figli alla madre, prov.; maio
oûna feîa in burdiel, ca oûn feîo in castiel:
meglio una figlia in un bordello, che un figlio in prigione, prov.; li
feîe li sa racuorda da i ginituri, i fioi zi magna e dazmentaga:
le figlie si ricordano dei genitori, i figli se ne fregano. Riporto un'antica
filastrocca rovignese, che è un serrato dialogo tra padre e figlia:
- Cara feîa, t'iè i labri rusi.
- Caro siur pare, i iè magnà mure. - E cara feîa, insigname el muraro. - Caro siur pare, oûn omo l'uò taià. - E cara feîa, insigname quil omo. - Caro siur pare, quil omo zì muorto. - E cara feîa, insigname la fuosa. - Caro siur pare, la nio la uò cuvierta. - E cara feîa, insigname la nio. - Caro siur pare, el sul la uò dasculada. - E cara feîa, insigname lu sule. - E miser pare, quil omo gira el mieîo amure. |
- Cara figlia, hai le labbra rosse.
- Caro signor padre, ho mangiato delle more. - E cara figlia, indicami l'albero. - Caro signor padre, un uomo l'ha tagliato. - E cara figlia, indicami quell'uomo. - Caro signor padre, quell'uomo è morto. - E cara figlia, indicami la fossa. - Caro signor padre, la neve l'ha ricoperta. - E cara figlia, indicami la neve. - Caro signor padre, il sole la disciolta. - E cara figlia, indicami il sole. - E messer padre, quell'uomo era il mio amore. |
feîbia s.f. - fibbia; a nu ma piaz
li scarpe cun la feîbia: non mi piacciono le scarpe con la
fibbia; Etim.: dal lat. Fobulam, dal verbo Fogere = ficcare;
feîbra s.f. 1. fibra; i l'uò
fato in feîbra da viro: lo hanno costruito in fibra di vetro;
2. fibra, costituzione fisica; el dutur deîz
ca la suova fuorto feîbra l'uò salvà: il dottore
afferma che la sua robusta costituzione lo ha salvato; Etim.: dal lat.
Fibram;
feîdo s.m. - fido, credito commerciale; i
lu iè cunprà a feîdo: l'ho comprato a credito;
Etim.: dal lat. Fidum da Fidere = fidarsi;
feîfa s.f. - fifa, paura, spavento; ga
vol faghe ciapà oûna biela feîfa, cuseî i fioi
nu vignaruò pioûn a magnande i feîghi: bisognerà
fargli prendere un bello spavento, così i ragazzini non verranno
più a mangiarci i fichi;
feîfula s.f. - così viene indicata la conformazione
delle dita di una mano unite tra di loro con l'esclusione del mignolo e
del pollice che sono divaricate;
feîfula (in) loc. prep. - divaricato, generalmente riferito
alle gambe, ha quindi il valore di gambe ad ics;
feîga s.f. 1. l' organo genitale femminile, meno
usato di muòna; 2. per estensione, donna:
la zì oûna biela feîga: è una bella donna;
ca feîga da fìmana: che pezzo
di donna;
Feîga par gruòta - s.n. della famiglia Caenazzo;
Feîgaro s.m. - Figaro, il noto personaggio del barbiere
di Siviglia diventato figura proverbiale; el gira
meo da Feîgaro, barber, paruchier, sunadur da ticara e manduleîn:
era meglio di Figaro... barbiere, parrucchiere, suonatore di chitarra e
mandolino;
feîghi (i) s.m.pl. - usato per dire 'col cavolo', neanche
per sogno, ecc; teî ma inpriesti sento meîla
leîre? Ara i feîghi, nu teî ma iè ancura raturnà
li sinquanta da preîma!: m'impresti cento mila lire? si, col
cavolo! non mi hai ancora restituito le cinquantamila di prima!; Etim.:
si riferisce all'antico gesto di disprezzo consistente nel mostrare il
pugno col pollice inserito tra il dito indice e quello medio, ovvero come
dice Padre Dante "squadernar le fica".
feîgo s.m. 1. fico, frutto del fico, albero delle
moracee; sti feîghi zì dulsi cumo el
mel: questi fichi sono dolci come il miele; ga
vol guantase o salvase la pansa par i feîghi: occorre tenersi
o salvarsi la pancia per i fichi e cioè tenersi un buco vuoto nello
stomaco per le cose più buone, per esempio per i dolci, frase prov.;
magna poûr i feîghi, ma nu staghe purtà tiera:
mangia pure i fichi ma non portargli terra. E' un modo proverbiale, ed
un pò maschilista, di ammaestrare i ragazzi an andare pure con le
donne, ma stando ben attento... alle conseguenze. A secondo dei tipi e
qualità abbiamo: feîghi da sìzule:
qualità di fichi che maturano al tempo della mietitura; feîghi
da vandìme: qualità di fichi che maturano al tempo
della vendemmia; feîghi dùlsi:
fichi secchi; fà li nuose cun i feîghi
dulsi: fare le nozze con i fichi secchi, detto prov.;feîghi
vardòni: qualità di fichi, detti così per
il loro colore verde intenso; feîgo sico:
a. fico secco; b. cosa che non vale nulla; a
nu val oûn feîgo seîco: non vale nulla;
feîgo sièrbo: fico andato a male. Modo di dire:
fà i feîghi: fare gli
scongiuri, ovvero la figura che si ottiene infilando il pollice tra l'indice
ed il medio, tipico gesto per scongiurare il malocchio, o per denotare
disprezzo, o dare una risposta negativa; cu pasa
quila striga doûti fà i feîghi: quando passa
quella strega tutti quanti fanno gli scongiuri; Etim.: dal lat. Ficus,
fico;
Feîgo - s.n. della famiglia Bellussich;
Feîgo sièrbo - s.n. della famiglia Bellussich;
feîgodeîndia s.m. - ficodindia;
feîia s.f. - figlia;
feîio s.m. - figlio;
feîl s.m. 1. filo, usato anche in senso figurato;
ti ma pol rapieti li oûltame paruole, ca i iè pierso el feîl
dal dascurso: mi puoi ripetere le ultime parole che ho perso il
filo del discorso. A seconda del tipo: feîl
da cunsà: filo per rammendare (le reti);
feîl da fièro: fil di ferro; feîl
da inbasteî: filo per imbastire; 2. affilatura,
il filo di una lama; stu curtiel uò pierso
el feîl, dagalo al gùa: questo coltello ha perso il
filo, daglelo all'arrotino; Etim.: dal lat. Filum;
feîl de la schèna s.m. - spina dorsale;
feîla s.f. - fila; a
nu ga zi pioûn li feîle da oûna vuolta, ma doûto
cuosta da pioûn: non ci sono più le file di una volta
ma tutto costa di più;
feîlgio s.m. - figlio;
feîlgiuleîn s.m. - figliolino;
feîlo s.m. - filo, riga; cuntame
el fato par feîlo e par signo: raccontami la cosa per filo
e per segno; la maità bianca la viva oûn
feîlo ruso e oûn virdo: la maglietta bianca aveva una
riga rossa ed una verde;
feîltro s.m. - filtro;
feîn s.f. - fine, termine; a
la feîn dei conti la muorto nu manca mai: alla fine dei conti
la morte non manca mai, prov; a pansà a la
feîn, nu sa piriravo mai: a pensare alla fine non si morirebbe
mai, prov.; doûte li ruobe uò la suova
feîn: tutte le cose hanno il loro termine, la loro fine, prov.;
la feîn del mondo zì par cheî
ca moro: la fine del mondo è (soltanto) per quelli che muoiono,
prov.; el zì cuseî alto ca nu sa vido
mai la feîn: è così alto che non si vede mai
la fine; a la feîn de li trazmisioni:
alla fine, al termine delle trasmissioni; la doûra
feîn ca la doûra ma duopo a ven la feîn: dura
finchè dura, ma dopo arriva la fine; Etim.: dal lat. Finem;
.........
fèsta s.f. - festa, nei vari significati dell'it.; ancui
zì giuorno da festa, e li butighe li saruò doûte sarade:
oggi è giorno di festa e i negozi saranno tutti chiusi;
l'uò cunsà par li feste: lo hanno conciato per le
feste, cioè lo hanno ridotto in malo modo; nu
zì senpro festa: non è sempre festa, cioè non
sempre può andar bene, prov.; Modi di dire: fàghe
la fèsta: uccidere, sopprimere, fare la festa, tirare
il collo ad un animale per celebrare una festività; fèste
e giuvarièri: giorni di festa e lavorativi, cioè
sempre; feste e giuvarieri el zeîva a l'ustareîa:
andava sempre all'osteria. Le feste di precetto della Collegiata di Rovigno
erano: 24 aprile, San Giorgio primo patrono di Rovigno; il 13 marzo, il
13 luglio, ed il 16 settembre si festeggiava la copatrona Sant'Eufemia,
anche se la festa vera e propria ricorreva il 16 settembre. Il 26 settembre
si festeggiava la consacrazione della Collegiata. Il 25 aprile, giorno
di San Marco veniva celebrato con delle scampagnate fuori Rovigno;
festeîgio s.m. - fastidio;
festeîn s.m. - festino;
festòn s.m. - festone;
fì s.f. - fede; in fì de
Deîo, a zì doûto viro, cradime ca nu va conto bale:
in fede di Dio, è tutto vero, credetimi che non vi dico delle frottole.
Modi dire: a la fì: suvvia;
a la fì, nu stì rabiave par quiste
munade: suvvia, non arrabbiatevi per queste sciocchezze; fà
fì: attestare, assicurare, confermare; quisto
fa fì quil ca va iè cuntà geri: questo attesta,
conferma quello che vi ho raccontato ieri; seî,
a la fì: si, proprio così, tipico intercalare
assertivo; Etim.: dal lat. Fides;
fià s.m. 1. fiato, respiro;ma
manca el fià: mi manca il fiato; feîn
ca zì fià, zì sparansa: fin che c'è
il fiato, cioè si è vivi, c'è speranza, prov.; sparagna
el fià, par quando ti zariè al mondo da là:
risparmi il fiato per quando andrai all'altro mondo, prov.; fra
meo, ti iè magnà sarpenti, ca ti iè el fià
ca spoûsa vento!: hai mangiato serpenti, che hai il fiato
che puzza da morire!; 2. una piccola quantità, un poco, un
pò; dame oun fià da veîn:
dammi un pò di vino; ancura oûn
fià e i signemo rivadi: ancora un pò e poi siamo arrivati;
i vemo pierso par oûn fià: abbiamo perso per una inezia;
Etim.: dal lat. Flatus = esalazione, soffio, da Flare, soffiare;
fiàbula s.f. - favola, fiaba, storia irreale; ma
nuona da peîcio ma cuntiva la fiabula de la furmigula e la sigala:
mia nonna quando ero piccolino mi raccontava la fiaba della formica e della
cicala; quista zì la stuoria da sior Intento,
ca la doûra mondo tenpo, ca mai la sa dastriga. Teî vol ca
ta la deîga? Fiabula in coûna quista zì oûna,
fiabula in malta, quista zì un'altra, fiabula in bareîl, mierda
in buca a cheî ca ma la uò fata deî: questa è
la storia del signor Intento, che dura molto tempo, che non ha mai fine,
vuoi che te la racconti? Favola nella culla questa è una, favola
in malta questa è un'altra, favola in barile, m.... in bocca a chi
che me l'ha fatta raccontare. Le favole rovignesi terminavano quasi tutte
con questa scherzosa chiusa: e meî
ch'i giro là, cun oûn pidiseîn i m'uò butà
quà. E da stu dì e da sta ongia la fiabula nu la zì
pioûn longa, e si la vulì pioûn longa taive el naz e
sunì la tronba: ed io che stavo la, con un calcetto mi hanno
buttato qua. E di questo dito e di questa unghia la fiaba non è
più longa, e se la volete più lunga tagliatevi il naso e
suonate la tromba. Modo di dire: la fiabula
da bara Cuncoûn: frottola, panzana, cosa notoriamente
inverosimile; sta stuoria la ma par nama la fiabula
da bara Cuncoûn: questa storia mi sembra veramente incredibile;
fiàca s.f. 1. fiacca, spossatezza; ancui
iè fiaca, nu iè vuoia gnanca da favalà: oggi
mi sento proprio spossato, non ho voglia neanche di parlare; 2.
svogliatezza, pigrizia, indolenza; ca fiaca ch'el
uò!: che indolenza! Modi di dire: bàti
fiàca: non aver voglia di far nulla, fare le cose in
maniera indolente; sànta fiàca:
la massima indolenza, somma fiacca; el ven cu la
suova santa fiaca: arriva come al solito lemme lemme; Etim.: dal
lat. Flaccum;
Fiaca - s.n. della famiglia Cattonar
...........
fiàpo agg. 1. moscio, floscio; nu
fì davantà fiapa la froûta, ca zì pacà
da Deîo: non fate diventare moscia la frutta, che è
un vero peccato di Dio; 2. debole, poco energico; 3. molle,
fiacco, privo di verve; magna carno, sa nuò
teî sariè senpro fiapo cumo quil bon da gnìnte de tu
pare: mangia la carne sennò sarai sempre un deboluccio come
quel buono a nulla di tuo padre; Etim.: dal lat. Flaccus = molle floscio,
con l'intrusione del ted. Schlapp = fiacco;
Fiàpo - s.n. della famiglia Devescovi;
fiapòn s.m. e agg. - mollaccione, accr. di fiàpo;
fiapuòto s.m. e agg. - mollaccione;
fiàsca s.f. - fiasca, bottiglia; el
veîva oûna fiasca da cician senpro a daspuzision, el geîra
senpro aligro: aveva una bottiglia di liquore sempre a disposizione
ed era sempre un pò brillo; Etim.: dal got. Flaska, der. da Flechten
= intrecciare, dato che i fiaschi erano impagliati, come il tipico fiasco
del chianti;
fiaschìta s.f. - fiaschetta, bottiglietta;
fiàsco s.m. 1. fiasco, bottiglia impagliata, pèoi
bottiglia in genere; i cantiva a doûto spian
inbriaghi piersi: vinassa vinassa e fiaschi
da veîn...: cantavano a squarciagola ubriachi duri: vinassa,
vinassa e fiaschi da veîn...; 2. fiasco, insuccesso;
fiascòn s.m. - bottiglione, grosso fiasco dalla capacità
di 5 litri o superiore;
fiàstro s.m. - figliastro; nu stà
fà oûn feîo e oûn fiastro: non fare un
figlio e un figliastro; la marìgna deîz
al feîo: ciapa! al fiastro: ti vuoi?: la matrigna dice al
figlio: prendi! ed al figliastro: vuoi?, prov.;
fiatà v.intr. (i fiàto) 1. fiatare,
respirare; 2. (fig) parlare, ribattere, emettere un minimo rumore;
cu faviela tu pare mucialo e nu fiatà:
quando parla tuo padre stai zitto e buono, cioè non dire neanche
a; dieso ca li uò ciapade da su pare nu fiata
pioûn: ora che le buscate da suo padre non fiata più,
sta zitto senza emettere il minimo rumore;
fibruz agg. - fibroso;
ficà v.tr. (i feîco) 1. ficcare,
conficcare, mettere, inserire con forza; anduve ti
lu iè ficà?: dove l'hai messo?; 2. (fig) rifilare,
ammollare; el g'uò ficà oûn mataflon:
gli ha ammollato un manrovescio; i uò sarcà
da ficamela a meî, ma i uò zbalgià da gruoso:
hanno cercato di rifimermela, ma hanno commesso un grosso baglio; 3.
beccheggiare, il sollevarsi e l'abbassarsi della prua o della poppa di
una nave a causa del mare mosso; Etim.: dal lat. pop. Figicare, dal clas.
Figere = inchiodare, infiggere;
ficanàz s.m. e agg. - ficcanaso, curiosone, impiccione;
i iè truvà quila ficanaz da tu feîa
dreîo la puorta a scultà i dascursi da i grandi: ho
pescato quell'impicciona di tua figlia ad ascoltare i discorsi dei grandi;
ficàse v.rifl. (i ma feîco) 1. ficcarsi,
mettersi; el sa uò ficà in mento da
zeî a stugià a Tristi: si è messo in testa di
andare a Trieste a sudiare; 2. introdursi, intrufolarsi; el
sa feîca senpro in miezo ai pioûn grandi: s'intrufola
sempre in mezzo ai più grandi;
ficon (a - da) locuz. avv. - di botto, di colpo, immediatamente,
all'improviso; a sinteî sti ruobe zì
curso a ficon a caza: nell'udire questi fatti, è corso immediatamente
a casa; da ficon el zì duvoû curi al
cieso: all'improvviso è dovuto correre in bagno;
fidà agg. (f. -àda) - fidato, sicuro, serio; seî,
i siè ch'el zì fidà, ma nu zì ruobe da fa savì
a i altri: si lo so che è una persona fidata, seria, ma non
son cose da far sapere agli altri;
fidà v.tr. (i feîdo) 1. affidare,
consegnare; i ta feîdo la caza: ti affido
la casa; 2. confidare;
fidàse v.rifl. (i ma feîdo) - fidarsi, aver
fiducia: cridaghe a doûti, nu fidate da ningoûn:
credi a tutti, non fidarti di nessuno, prov.; fidase
zì ben, nu fidase zì meo: fidarsi è bene, non
fidarsi è meglio, prov.; feîdate da
doûti e nu cunfeîdate cun ningoûn: fidati di tutti
e non confidarti con nessuno, prov.; nu cada fidase
da nisoûn a stu mondo: non succeda di fidardi di nessuno in
questo mondo, prov.; nu stà fidàte
da i altri: non aver fiducia degli altri; fidive
poûr, zì doûto piso frisco: abbiate pur fiducia,
è tutto pesce fresco;
............
Fiderateîva (ex) s.f. - "ex Fiderateîva" è
il nome che attualmente si da alla ormai disciolta Federazione delle Repubbliche
Jugoslave, a cui sono ora subentrati gli stati mazionali o meglio nazionalisti
di Serbia, Croazia, Slovenia ecc.; la guiera nu zì
ancura fineîda, specie in sierte bande, là ca li troûpe
de la ex fidarateîva nu sa uò ancura ratirà cumo inturno
Zara e Ragoûza: la guerra non è ancora finita, specialmente
in certe parti, là dove l'esercito dell'ex federazione jugoslava
non si è ancora ritirato, come intorna a Zara e Ragusa;
fidièl(e) agg. - fedele;
fidìl agg. - fedele; i ta sariè
fidil par doûta la veîta: ti sarò
fedele per tutta la vita;
fidileîni s.m.pl. - capelli d'angelo, tipica varietà
di pasta, una sorta di spaghettini sottili usati per lo più in brodo,
si vendono in matassine annodate a formare un otto; la
dumenaga sa magniva senpro brù da carno cu i fidileîni e patate
freîte: la domenica si mangiava sempre il brodo di carne con
i capelli d'angelo e le patatine fritte; Etim.: dal lat. Fidelli, dim.
di Filum;
fidiltà s.f. - fedelta; arila la
suova fidilta! nu zì pasà gnanca oûn ano ch'el s'uò
truvà l'amanto: vedi che fedeltà!
non è trascorso neanche un anno che s'è fatta l'amante;
fidìlu agg. - fedele;
fidoûcia s.f. - fiducia; a nu zì
par nu vi fidoûcia, ma carta canta e li paruole li zbula...: non
è per mancanza di fiducia, ma le parole volano e la carta canta
(ovvero un contratto un impegno scritto);
fiduciùz agg. - fiducioso, confidente; el
zì masa fiduciuz: è troppo fiducioso;
fièca s.f. - le bucce delle olive una volta spemute;
fièl s.m. - fiele;
fièle s.f.pl. - vedi fèle; li
aque ponta du giuorni duopo li fiele: le acque rincominciano a crescere
due giorni dopo il periodo minimo di bassa marea, prov.; sa
da fiele zì l'aqua muorta, ningoûna rida el piso puorta:
se nel periodo il cui il dislivello tra alta e bassa marea è al
minimo l'acqua è morta, nessuna rete prende pesci, prov. Vedi anche
il portolano di Pietro de Versi del 1444: ""aque infiel sono da 4 de
la luna inchina 10"";
Fièmi n.pr.f. - dim. di Eufemia;
Fièmia n.pr.f. - dim. di Eufemia;
Fièmia moûna - s.n. della famiglia Zangrandi;
fièn s.m. - fieno;
fieneîl s.m. - fienile;
fiènico agg. - fenico; sta midizeîna
zì mara cumo el fiel, la ma par aceîdo fienico: questa
medicina è amara come il fiele, mi sembra acido fenico;
fièra s.f. 1. fiera, festa grande; cu
zì la fiera da sant'Ufiemia nu sa pol gnanca caminà par Ruveîgno:
quando vi è la fiera di sant'Eufemia non si può neanche camminare
per Rovigno; femo fiera al mas'cioto da caza:
facciamo festa, festeggiamo, il maschietto di casa; 2. goduria,
grande abbondanza; ca fiera, nu ti savivi chi magnà
da li ruobe ca gira in tuola: che goduria, non sapevi cosa mangiare,
con tutte le cose che c'erano in tavola; 3. confusione, baccano,
chiasso; i fà oûna fiera ca nu sa pol
duormi: fanno un chiasso tale da non poter dormire. Notizie di
cronaca: le fiere o sagre commerciali a Rovigno erano in genere abbinate
ud un santo patrono. L'11 novembre vi si teneva quella di San Martino
a cura dell'omonima confraternita degli Agricoltori e Zappatari. Ma la
principale fiera era quella di Sant'Eufemia patrona di Rovigno, il 16 di
settembre, che aveva un richiamo ed una rilevanza a livello regionale.
La fiera aveva inizio una settimana prima della festa della santa, e terminava
una settimana dopo, ed in quelle due settimane la vita di Rovigno era completamente
stravolta, i banchetti carichi di ogni tipo di mercanzie assiepavano la
riva, il circo Zavatta faceva i suoi spettacoli, gruppi di fedeli che venivano
da tutta l'Istria, moltissimi erano i rovignesi che per lavoro si erano
trasferiti a Trieste, Pola coglievano questa occasione per ritornare, affollavano
la città. I festeggiamenti culminavano con il corpo della santa
portato in processione. Antonio Benussi Moro in questa omonima poesia,
traccia un quadro sia dello squallido presente che della festa che fu:
Ancui zì
la Tu' festa.
Puoco la ta cunsula: in sta gran cieza cusseî daspoûiada, cun du prieti da noûmaro, strania ti pari e sula, luntan da i Ruvignizi sparnissadi, mentro qua ti na ingrumi senpro mieno e senpro pioûn stroûcadi. Ula zì el Duomo? e cheî deî li statue, da San Giuorgio, San Ruoco, da San Marco e par preîma la Tuoa? Li sta da sasso. A ma ven in mamuoria (e a ma par geri) la Tu' festa d'oûn tenpo... Missa granda cantada, cun l'uorgano, i canturi (Zbreîgafava!), i canonaghi in cuoro, el Pudastà, el Capo de li guardie, el Capo de i punpieri, cu i butoni e l'ielmo ca i zluziva: li culuone visteîde infeînta in alto, l'altar maiur cu 'l manto da damasco, ch'el gira oûn russo quil cume el Tu' sango, Màrtira di Deîo. Ah! ca cieza ca cieza feîssa da Ruvignizi e da s'ciavoni boni (quii ca i fiva figoûra su li buteîlge de "L'Amaro Istria") cun li cameîze candade spoûmoûze sui piti de li fimane. E puoi la banda in piassa... "Celeste Aida!" O Santa banadita, quil giuorno (salvo el sacro) quila ti giri Teî, e Lucatieli apena par oûn pil cun la curnita el nu tuchiva el sil! E banchiti e banchiti da 'l Ponto a Valdabora, da nu pudì passà; zbuli par aria su li carussite, sturdeîsso da trunbite; i zuvani e li zuvane in bureîsso a sfugasse tiranduse li bale da piessa e sigadoûra (che li turniva in man par veîa de 'l lastico), a sufiasse i subioti cu la piuma e cu 'l fis'cito da saniciarin... (l'amur, culpa stu zogo, el m'uò fato, quil giavo, li cicigule, preîma da dame fogo). Cheî ta cugnusso pioûn da meî? Ningoûn! Ningoûn da quista zento ca ma spenzo par vìdate da zbreîsso, e meî a ma par da iessi castigà int'oûn canton. Donca pruopio ningoûn pioûn ma cugnusso da quii che la cumare intui panussi apena batizadi la li uò purtadi qua davanti a Teî, la ta li uò missi zuta l'alta Tuoa prutession?! - Carne mieîe, siur Binussi! - El cor ma zì saltà... Oûna puovara viecia la s'uò misso a piurà... E cume dui zbatui da li onde in fora, pruprio in quil da zì fondo, i sa cata e i sa taca, and'uò paristo el mondo. |
Oggi è
la Tua festa.
Poco questo ti consola: in questa grande chiesa così spoglia, con due preti di numero, estranea e sola mi sembri, lontana dai Rovignesi dispersi, mentre qua ne raduni sempre di meno e sempe più raccogliticci. Dov'è il Duomo? e cosa dicono le statue, di San Giorgio, San Rocco, San Marco e per prima la Tua? Stanno di sasso. Mi torna alla mente (e mi sembra ieri) la Tua festa d'un tempo... Messa solenne cantata, con l'organo, i cantori (Sbregafava!), i canonici in coro, il Podestà, il Capo delle guardie, il Capo dei pompieri, con i bottoni e l'elmo che luccicavano: le colonne vestite sino in cima, l'altare maggiore con il manto di damasco, che era di quel rosso come il Tuo sangue, Màrtire di Dio. Ah! che chiesa, che chiesa zeppa di Rovignesi e di bravi slavi (quelli che facevano una così bella figura sulle bottiglie de "L'Amaro Istria") con le camice candide spumose sui petti delle donne. E poi la banda in piazza... "Celeste Aida!" O Santa benedetta, quel giorno (salvo il sacro) quella eri Tu, e Locatelli appena per un pelo con la cornetta non toccava il cielo! E bancarelle, bancarelle dal Ponto a Valdibora, da non poter passare; voli per aria sulle giostre, strepito di trombette; ragazzi e ragazze euforici si sfogavano tirandosi palle di pezza ripiene con la segatura (che con l'elastico tornavano in mano), ed a soffianrsi con i fischietti con la piuma e col fischio di canarino... (l'amor, causa questo gioco, mi ha fatto, quel diavoletto, il solletico, prima di darmi fuoco). Chi ti conosce più di me? Nessuno! Nessuno di questa gente che mi spinge per vederti un attimo, e a me sembra d'essere in castigo in un angolino. Dunque proprio nessuno più mi riconosce di quelli che la madrina in fasce appena battezzati ha portato qui dinanzi a Te, ponendoli sotto l'alta Tua protezione?! - Carne mia, signor Benussi! - Il cuore m'è balzato in petto... Una povera vecchia si è messa a piangere... E come due naufraghi sbattuti al largo dalle onde, proprio nell'attimo d'andare a fondo, si abbracciano l'un l'altro, c'è parso il mondo. |
Da muriè
i ta vadivo senpro cunpagna: tanti muriedi, adiesso, vieci o muorti, t'uò veîsto senpro cusseî. Li bore, i siruochi
Ti iè ussurvà
ca ta daspiazu
|
Da ragazzo
ti vedevo sempro uguale: tanti ragazzi, adesso, vecchi o morti, ti hanno vista senpre così. Le bore, gli scirocchii
Hai osservato
che ti dispiace
|
A Figarola a rente la muruza
A l'onbra d'oûn biel peîn Sa pieta oûn bazo e sa rapuoza. A Figarola ti puoi fà 'na tuciada, S'cipà e sabusase fint'el feîn De la zurnada. |
A Figarola accanto alla ragazza
All'ombra di un bel pino Ci si bacia e si riposa. A Figarola puoi farti un bagno, Tuffarti e divertirti in acqua sino al fine Della giornata. |
I Don, dadalon
de Vale
a vignaruò su pare, el purtaruò oûna feîa; la sa ciamaruò Mareîa, Mareîa zaruò a scola cun la traviersa nuva; la vignaruò a caza cun la traviersa zbragada; su pare cul baston, su mare cun la ruca, tichiti, tachiti su la suca. |
I Don, dadalon
di Valle
verrà suo padre, porterà una figlia; la chiamerà Maria, Maria andrà a scuola con il grembiulino nuovo; verrà a casa col grembiulino strappato; suo padre col bastone, sua madre con la conocchia, tichiti, tachiti sulla zucca |
II Siure
mare granda
cunprime oûn s'ciupiteîn ch'i volgio andare in Fransa a masà quil uzileîn. Doûta la nuoto el canta, nun puoso pioûn durmeî. Canta da galo: raspondo da capon: salta la viecia da bara Simon. Duve zì sta viecia? Zuta la banca. Duve zì sta banca? El fogo l'uò bruzada. Duve zì stu fogo? L'aqua l'uò dastudà. Duve zì sta aqua? I loûvi l'uò bivoûda. (o surbeîda) Duve zì sti loûvi? I loûvi uò fato strada. Duve zì sta strada? La nìo la uò cuvierta. Duve zì sta nìo? El sul l'uò disculada. (o squaiada) Duve zì stu sul? In canbara del Signur. |
II Signora madre
grande
compratemi uno schioppettino che voglio andare in Francia ad uccidere qell'uccellino. Tutta la notte canta, nun posso più dormire. Canta da gallo: rispondono da cappone: salta la vecchia del signor Simon. Dov'è questa vecchia? Sotto la panca. Dov'è questa panca? Il fuoco l'ha bruciata. Dov'è questo fuoco? L'acqua l'ha spento. Dov'è quest'acqua? I lupi l'hanno bevuta Dove sono questi lupi? I lupi han fatto strada. Dov'è questa strada? La neve l'ha ricoperta. Dov'è questa neve? Il sole l'ha disciolta Dov'è questo sole? In camera del Signore. |
III I viegno d'in Livante,
i scuontro oûna calada, bianca rusa e zala e biriteîna. I iè veîsto sa Marioûsa cun su feîa Fiamita, el diavalo in selita per tri mizi. Oûna barca de Maranchizi che tiriva siruoco vento de Malamuoco e Pelistreîna. I iè veîsto oûna galeîna che fa salti murtali, la fa cantar i gali e le casiole. I iè veîsto tri savule inpiantade intù la malta, i iè veîsto el patriarca cun tri peîe. I iè veîto tri biele feîe, che baliva in ponta d'i calcagni, I iè veîsto quatro ragni racamadi. I iè veîsto la masiera che scusava lu cameîno, i iè veîsto el malandreîno che la maniva. I iè veîsto el furlan ch'inpiantava la fava cul deîo, sigando: - Adeîo, adeîo! - la zì furneîda. |
III Vengo dal Levante,
incontro una linea di nubi, bianca, rossa, gialla e cenerina. Ho visto commare Mariuccia con sua figlia Fiammetta, il diavolo in selletta per tre mesii. Una barca di Maranchesi che tirava scirocco vento di Malamucco e Pellestrina. Ho visto una gallina far salti mortali, da far cantare i galli e le sessole. Ho vistro tre cipolle piantate nella malta, ho visto il patriarca con tre piedi. Ho visto tre belle figliole, che ballavano in punta di calcagni, Ho visto quattro ragni ricamati Ho visto la massaia che scrostava il cammino, ho visto il malandrino che la menava. Ho visto un friulano che pianatava la fava col dito, urlando: - Addio, addio! - è finita. |
..............
filuò s.m. - il raggirare, l'imbrogliare, inganno, dolo;
i ga gira senpro inturno cume musche cul mel par sarcà da faghe
el filuò: gli stavano sempre intorno come le mosche col miele,
per cercare di raggirarlo, di combinare un imbroglio;
filuòco s.m. - fiocco, parte della velatura di una nave
dalla forma triangolare;
filuòlo s.m. - figliolo, usato come esclamazione di stupore,
oppure in senso ironico, o per dare enfasi al discorso o a una particolare
situazione, facendosi il segno della croce; Padre
Filuolo e Speîrito Santo... finalmentro ti ta son lavà:
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, accidenti, finalmente
ti sei lavato;
filuòsara s.f. - filossera, piccolissimo afide assai
pernicioso per le viti di cui infesta foglie e radici; Etim.: dal gr. Phyllon
= foglia + Xeros = secco;
filuòsera s.f. - vedi filuòsara;
filuòto s.m. - filotto;
filuòzafo s.m. - filososo, in rovignese però il
termine ha per lo più connotazione ironiche, scherzose o di dileggio;
filuzufà v.intr. (i filuzufìo) - filosofare,
almanacchera, arzigogolare, rimuginare; el filuzufiva
ancura sul fato da girsira: rimuginava ancora sul fatto di ieri
sera;
filuzufeîa s.f. 1. filosofia; 2. rassegnazione;
biegna ciula cu filuzufeîa: bisogna
prenderla con santa rassegnazione; Etim.: dal gr. Philo = amore + Sophia
= sapienza;
filuzumeîa s.f. - fisionomia; el
ma uò oûna filuzumeîa cugnusoûda: mi ha
una fisionomia conosciuta;
fìmana s.f. 1. donna, femmina; la
fimana ga l'uò fata al giavo: la donna l'ha fatta anche al
diavolo, prov.; l'omo zì fato, la fimana zì
ciacula: l'uomo fa i fatti, la donna chiacchiere, prov.; l'omo
ten soûn oûn canton de caza, la fimana tri: l'uomo regge
un angolo della casa, la donna tre, prov.; a teîra
pioûn oûn pìl da fimana, ca oûna goûbia
da manzi: è un pò più gentile dell'analogo
proverbio italiano; l'omo nu pol stà sensa
la fimana: l'uomo non può stare senza la donna; la
zì pruopio oûna biela fimana: è veramente una
bella donna; el stiva vardà a buca vierta
quile fimane in nailon, pileîsa e capileîn: stava a
guardare a bocca aperta quelle donne con le calze di naylon, pelliccia
e cappellino; la fimana del lion: la femmina
del leone; 2. elemento in cui se ne incastra un'altro, ad esempio:
la fìmana del timon; Etim.:
dal lat. Foemina, femmina, donna, dalla radice Fe, nutrire, quindi nutrice,
poi esteso a quello attuale;
fìmena s.f. - vedi fìmana;
fiminà agg. - effemminato;
fimineîn agg. - femmineo, effemminato. Detto anche di
un uomo che si occupa troppo delle cose delle donne, in particolare dei
mariti che controllano troppo le donne nei loro lavori domestici;
fiminièla s.f. 1. femminella, donnicciola;
2. (mar) il cardine su cui è allocato il timone, generalmente
un cerchio metallico che consente di raccordare il timone alla poppa;
fiminìta s.f. - femminetta, donnicciola;
Fimiìta n.pr.f. - Fiammetta;
finalmèntro avv. - finalmente;
finamènte avv. - finalmente; finamente
zì rivà ura da magnà: finalmente è arrivata
l'ora di mangiare;
...............
finisiòn s.f. - fine, compimento, rifinitura;
finistreîn s.m. - finestrino;
finistrièla s.f. - finestrella;
finistròn s.m. - finestrone;
finoûra avv. - sinora, fonora, sono adesso; finoûra
i nu ma puoi lamantà: finora non mi posso lamentare;
finsiòn s.f. - finzione, finta, simulazione; seî
i siè ca nu zì viro e ca zì doûte finsioni,
ma lu stiso ma ven da piurà: si lo so che non sono cose vere
ma tutte finzioni, ma ugualmente mi viene da piangere;
finuòcio s.m. - finocchio;
fiòl (pl. fiòi) - figliolo, ragazzo, bambino;
cu sa uò fioi in coûlo, nu sparlasà
i fioi da ningoûno: se hai figli tuoi, non sparlare di quelli
degli altri, prov.; Modi di dire: fioi
d'oûna tìcia: imprecazione scherzosa, ragazzacci!
Nella forma al singolare è usato soprattutto nelle seguenti imprecazioni
di carattere scherzoso: fiòl d'oûn
can: figlio di cane; Fiòl d'oûn
seîn o d'oûn ceîn: epiteto scherzoso, forma
che dissimula la precedente. Riporto qui di seguito una toccante poesia
di Ligio Zanini:
I nu sento i fioi favalà la lengua
Puovari fioi,
Fioi dibuleîni
Fioi in varguogna pel favalà dela mare. |
Non sento i figli parlare la lingua
Poveri figli,
Figli debolini
Figli vergognosi per il parlare della madre. |
Fiure de amure,
L'amure se cunbate cu la fame, E le budiele me va in prizissione. Fiure d'ansipriesso.
Fioreîn de arzento,
Fiureîn, fiurielo.
Fiur de gerbita.
Fiureîn de mijo
Fiur de limonsielo.
Fiuri de persega.
Fiureîn de reîzo.
Fiureîn de uoro.
|
Fiore d'amore,
L'amore si combatte con la fame, E le budelle mi vanno in processione. Fior di cipresso.
Fiorin d'argento,
Fiorin, fiorello.
Fior d'erbetta.
Fiurin di miglio
Fior di limoncello.
Fiori di pesca.
Fiurin di riso.
Fiurin d'oro.
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Zù dei noûvuli caio oûn sarpento,
El spaca anca i coûguli, El fà tramà la zento. |
Giù dalle nubi cade un serpente
Spacca anche i sassi E fa tremare la gente. |
Mi son Gefreiter e, porca mastela
guai chi me disi de far demoghela. Chi che se lagna ch'el pan xe cativo mi lo denuncio al sior general. |
Io son sottocaporale
guai a chi mi dice de far "demoghela" Chi si lagna che il pane è cattivo io lo denuncio al signor generale. |
Siura mare femo li fritiele.
Nu lu puoso parchì, Ma manca l'uoio, La fareîna e 'l miele. |
Signora madre facciamo le frittelle.
Non lo posso fare perchè, Mi manca l'olio, La farina ed il miele. |
Oûn monumento gira el mieîo fugulier
Li sire quil'altar sa vistiva in festa
La nuona sul scaldeîn cuntiva la fiabula
Zì zutaradi i fugulieri da tanta pasiensa
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Era un monumento il mio focolare
Le sere quell'altare si vestiva a festa
La nonna sullo scaldino raccontava la fiaba
Sono sepolti i focolari da tanta pazienza
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Quante zugade, ani fa,
Pian, pian a miere i signemo
Invisse nu' i magniendi li ue
E quil, ca pariva 'un biel arbito,
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Quante giocate, anni fa,
Pian pianino a migliaia siamo
Invece noi mangiavamo le uova
E quello, ch'era sembrato un bell'alberello,
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IL LORO SACRIFICIO RICORDI AGLI UOMINI LE VIE DELLA GIUSTIZIA E DELL'AMORE, SULLE QUALI FIORISCE LA PACE |
El Carso ga mile boche
El Carso ga boche de piera
..........................
Le zivete co'i oci sbaradi
...........................
Noi daremo sto dolor del Carso
Ne manca parole
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Il Carso ha mille bocche
Il Carso ha bocche di pietra
..........................
Le civette con gli occhi sbarrati
...........................
Noi daremo questo dolore del Carso
Ci mancano le parole
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