Viaggio nella memoria

 

cap1cap2 cap3cap4cap6cap7 cap8 cap9cap10|  cap11cap12|  cap13 cap14|

Home

Indice

Cap-5 La "signorina educanda"

 

Dunque dal primo Ottobre 1927 ero "la signorina educanda". E avevo tanto bisogno di educazione! Il collegio portava il nome di un martire del 4° secolo, noto e venerato in tutto l’Oriente: San Demetrio. La costruzione si ergeva splendida, maestosa, alla fine della Riva Nuova, con il suo bellissimo parco limitato dai bastioni della "Cittadella", che si spingevano fino alla "Fossa", un’insenatura, luogo di attracco delle barche provenienti dall’Isola di Preko (Oltre). Era stata, con il castello di Miramare, (noto oltretutto per l’ode carducciana) residenza estiva degli Asburgo. Era costituita da due blocchi di cinque piani uniti da una splendida loggia. Al primo piano si trovavano l’infermeria, il refettorio e due sale dove incontravamo i familiari per la visita mensile. Sotto, nel seminterrato, c’erano le cucine e la dispensa; al secondo piano c’era la "clausura", i locali dove le suore trascorrevano la loro vita quotidiana, e dove noi avevamo il divieto assoluto di entrare. Al quinto piano c’erano i dormitori. Il terzo e il quarto piano, senza alcuna divisione erano occupati da un salone bellissimo, con il pavimento in parquet, ornato di stucchi, di affreschi, di quadri, illuminato da enormi finestre che si aprivano in tutta l’altezza dei due piani e da scintillanti lampadari di cristallo. A seconda delle circostanze, era teatro, cinematografo, sala per i concerti e sala per la festa mascherata di carnevale. Una volta all’anno era sala da ballo: venivano invitati gli alti ufficiali delle varie armi presenti a Zara (Bersaglieri, Marina, Aviazione e Finanza) con le loro famiglie. Non mancavano mai le autorità cittadine: il Segretario del Fascio, il Podestà (l’odierno Sindaco) il Questore, il Prefetto e tanti altri. Faceva atto di presenza anche l’Arcivescovo Pietro Doimo Munzani, grassottello, rubizzo, con una faccia alquanto particolare, tanto da meritarsi un altrettanto particolare soprannome: "Culo di Bimbo". In questa occasione dovevamo fare gli onori di casa, dovevamo dimostrare di aver assimilato tutto ciò che le suore ci avevano insegnato: essere delle perfette padrone di casa, destinate a far parte dell’alta società (quante di noi ci sono arrivate?). Naturalmente a questa festa non tutte le educande erano ammesse. Le "piccole" e quelle che non venivano giudicate idonee se ne andavano a letto.

Attraverso la loggia si passava al secondo blocco: nel seminterrato c’erano i bagni e la lavanderia; il primo piano era occupato dalle cinque classi della scuola elementare pubblica intitolata a Vitaliano Brunelli, illustre concorrente di Carneade, perché non ho mai saputo chi fosse. Nei tre piani superiori trovavano posto le aule che, al mattino erano frequentate dalle studentesse che frequentavano l’istituto magistrale privato facente parte del collegio, e al pomeriggio servivano come aule da studio. All’ultimo piano si trovavano varie stanzette, ciascuna con un pianoforte verticale, dove ci venivano impartite lezioni, appunto, di pianoforte e solfeggio (do-do / re-re / mi-fa-mi-fa-mi / fa.sol-la-si……/ che barba !!!). Le educande erano circa 350 divise in tre categorie: le "piccole" della scuola elementare, le "mezzane" del biennio e triennio inferiore, e le "grandi", cioè le rimanenti che frequentavano le classi superiori. La maggior parte, anzi la quasi totalità, frequentava l’istituto magistrale interno, una diecina, forse meno, frequentavano il Liceo classico e l’istituto tecnico per ragionieri, istituti pubblici.

Rimasi stupefatta di fronte alla vastità delle camerate, delle aule, del refettorio, mi colpirono le gradinate di marmo che si snodavano fino al quinto piano. Tutto era pulito, ogni rumore era felpato. Mio dio, com’era lontana Kolane! Quando mio padre se ne andò, ero una bimba felice, entrata in un mondo di sogno. Un sogno, per la verità, di breve durata. Tutta la nostra vita era regolata dal suono di una campanella: sveglia alle 6, un’ora di tempo, anche meno, per lavarci, vestirci, rifare il letto, metterci in fila per andare alla messa. A messa finita, in refettorio per la colazione; chi parlava a tavola, era punita; chi faceva rumore con la seggiola, veniva punita. Se per le scale, per i corridoi, che io facevo sempre di corsa, ci si imbatteva in una suora, bisognava mettere il freno a mano e, piegando la testa e portando indietro il piede destro (per carità, mai quello sinistro) fare un elegante inchino accompagnato dal saluto di rito: "Sia lodato Gesù Cristo, reverenda madre". Se si incontrava la madre Superiora, il saluto era lo stesso, ma la "reverenda", diventava "reverendissima". Era troppo! Avevo promesso che avrei sopportato le calze lunghe, le scarpe che mi facevano male, (dove erano finite le mie kjirice?). Quando potevo, me le levavo, in chiesa, in refettorio, dovunque capitasse, e spesso mi dimenticavo di rimettermele. Quanta differenza da Kolane!

Avevo anche promesso che mi sarei impegnata nello studio; ma quella obbedienza continua, assillante, con la prospettiva di punizioni, se si veniva meno, non mi andava giù. Le educande trascorrevano in famiglia le vacanze di Natale, di Pasqua e le vacanze estive. A Zara dovevamo avere una "raccomandataria", una persona di fiducia che tenesse i contatti tra noi, le suore, e i nostri genitori e che alla domenica e alle altre festività, aveva la facoltà di chiedere il permesso di portarci con sé in libera uscita, sempre che non fossimo in punizione. La mia raccomandataria era la madrina di Lydia, la "zia Meri". Tutte le domeniche veniva a trovarmi: quanto a portarmi fuori, spesso si sentiva dire: "Per favore, si accomodi in parlatorio, la signorina educanda non esce, è in punizione". La scuola aumentò il mio disagio: ero stata iscritta alla prima classe elementare, temevo di essere la più anziana, ma non avevo tenuto conto delle eventuali ripetenti. La frequentavano poche collegiali, e soprattutto bambine esterne. La maestra si chiamava Carla de Stermic’; mi piacque subito, ed io piacevo a lei, mi dava importanza, credo che scambiasse per maturità e sicurezza, quella che invece era sfacciataggine. Sembrava che, edotta da mio padre sulla mia triste "historia" con le suore di santa Maria, volesse a tutti i costi convincermi che quello era un episodio da dimenticare. Ben presto diventai la prima della classe e alla fine dell’anno ottenni la promozione in seconda con "ottimo" in tutte le materie. Ma se tutto questo mi dava non poca soddisfazione, rimaneva in me la nostalgia per quell’isola, per la vita che avevo fatto fino ad allora a Kolane; sentivo la mancanza dei miei amici, della mia casa, di tutti gli animali che la riempivano di gioia di vivere. C urlij, oh il mio adorato cane ! dov’era in quel momento? E alla sera, a letto, con la testa sotto il guanciale, soffocavo i miei singhiozzi. E’ strano, non mi mancava la mia famiglia, mi mancavano terribilmente tutti quegli elementi che significavano libertà, indipendenza. Io che ero abituata a vivere all’aria aperta tutto il giorno, che pur di non rimanere chiusa in casa, avevo la forza e il coraggio di sfidare i rigori dell’inverno con la bora che ci piombava addosso dal Velebit, con le dita delle mani e dei piedi gonfi per i geloni, come potevo sopportare una vita del genere? A Kolane ogni giorno c’era qualche cosa di nuovo: una gallina che faceva il suo primo uovo macchiato di sangue, l’agnellino appena nato che non si reggeva sulle sue zampette, la sveglia al canto del gallo, un fiore sbocciato all’improvviso, un uccellino stremato dal freddo e dalla fame, da portare in casa, al caldo, per curarlo, nutrirlo… e la gioia di vederlo riprendere il volo una volta ristabilito. Cosa avevo fatto di male per essere stata privata di tutto questo? A letto non sempre mi struggevo in lacrime: mi succedeva a volte di pensare a tutto questo non come a un mondo perduto, ma come a qualche cosa che mi apparteneva di diritto, che nessuno avrebbe mai potuto portarmi via. Quindi stavo vivendo solo un intermezzo, un periodo di transizione, che prima o poi sarebbe finito. Allora io sarei ritornata là e dopo la lunga assenza, tutto mi sarebbe apparso più bello. Avrei gustata la gioia di ritrovare i pastorelli, i maialini, le caprette, i boschi di ghiande. Avrei scambiata ancora la mia merenda con quella dei miei amici, avrei ritrovato anche le zanzare. Benedette zanzare, rimpiangevo anche quelle, nel male facevano pur parte della mia vita. La nostalgia era struggente.

 cap1cap2 cap3cap4cap6cap7 cap8 cap9cap10|  cap11cap12|  cap13 cap14|