BATTAGLIA NAVALE DI MIDWAY
- NAVAL BATTLE OF MIDWAY -
VISTA DAI GIAPPONESI
Tratto dal libro
MIDWAY: The Battle That Doomed Japan di Mitsuo Fuchida Masatake Okumiya.
pubblicato da U.S. Naval Institute. Annapolis. Maryland. U.S.A.
La mattina del 26 maggio 1942, la squadra Nagumo lasciò Hashirajima. Le 21 navi che la componevano avanzarono verso sud-est, in formazione da crociera.
Niente lasciava supporre che fossero state avvistate da sommergibili nemici. Raggiunsi la mia cuccetta con la piacevole sensazione che tutto andasse bene. Purtroppo, non avrei tardato a provare una brutta delusione. Mi ero appena addormentato, quando fui svegliato da violenti dolori addominali. Il dottor Tamai, capo medico dell' Akagi, dichiaro che si trattava di appendicite e che bisognava operare immediatamente. Sarei, dunque, diventato un semplice spettatore degli importanti avvenimenti che si preparavano?
L 'appendicectomia fu praticata nel corso della notte stessa.
Il giorno dopo, un infermiere mi annunciò che, a mezzogiorno, ci saremmo trovati a 430 mg a sud di Tokyo e che, a quel. punto, avremmo fatto rotta verso est.
Nel frattempo, come previsto dal progetto, presero il mare altre forze navali.
Nella notte tra il 28 e il 29 maggio, le squadre giapponesi in rotta verso i loro obiettivi
incontrarono una sola difficoltà: la nebbia.
Ma, durante la giornata del 31 maggio, continuarono a succedersi i rapporti, lasciando
intendere che l'avversario sapeva già, o quanto meno sospettava fortemente, che la flotta
giapponese avanzava verso Midway. Intercettammo 180 messaggi, dei quali 72 « urgenti »; una quantità veramente eccezionale.
A 500 mg a nord-nord-est di
Wotjie, un nostro aereo da ricognizione scambiò alcune raffiche di mitragliatrice con un idrovolante americano.
Era la prova che l'avversario spingeva le sue pattuglie aeree fino a 1.000 km dalla propria costa.
Sommergibili nemici furono avvistati a circa 500 mg a nord-est e a nord-nord-est di
Wake, e questo ci permise di concludere che doveva esistere uno sbarramento a circa 600 mg a sud- ovest di Midway.
Il 1° giugno, la squadra Nagumo, che precedeva di circa 600 mg il grosso della flotta, e cioè la squadra
Yamamoto, entrò in una zona dalla visibilità molto scarsa. Le nubi sembravano incollate al mare; dal cielo scendeva una pioggerella sottile.
Già le navi non si vedevano più tra loro. A bordo dell' Akagi, l'ammiraglio Nagumo non era certo meglio informato sui movimenti e le intenzioni del nemico di quanto fosse lo Stato maggiore della flotta. Anzi, doveva esserlo ancor meno, perché le deficienze delle sue installazioni radio-telegrafiche non gli permettevano di intercettare i messaggi americani.
Di conseguenza, non possedeva nessuna delle informazioni che avevano indotto l'ammiraglio Yamamoto a sospettare che il nemico fosse al corrente del nostro arrivo. Questa era appunto l'eventualità più temuta dal contrammiraglio Kusaka, capo di Stato maggiore di Nagumo.
Prima di salpare, infatti, aveva insistito a più riprese perché la Yamato trasmettesse all' Akagi almeno le informazioni più importanti.
Ma, non essendo sicuro al cento per cento che il nemico ci avesse scoperti, lo Stato maggiore della flotta continuava a sperare di poter sfruttare ancora il prezioso vantaggio della sorpresa, e di conseguenza manteneva il silenzio radio.
Il 2 giugno, all'alba, la foschia incontrata il giorno prima dalla squadra Nagumo si era ormai mutata in nebbia molto densa, Neanche i proiettori più potenti riuscivano a lacerare quella coltre opaca.
È facile immaginare la tensione nervosa alla quale eravamo sottoposti, costretti com'eravamo a zigzagare in quelle condizioni. D'altra parte, dovevamo farlo a ogni costo, perché eravamo entrati in una zona pattugliata dai sommergibili nemici. La nebbia ci proteggeva dagli aerei, ma la difficoltà di navigare in quel modo creava pericoli tali, da annullare abbondantemente il vantaggio.
Tanto più che, mentre la nebbia non disturbava i radar delle navi americane, impediva a noi di far decollare le pattuglie aeree di protezione. Di conseguenza, tutte le navi si tenevano continuamente in stato d'allarme. Alle 10,30, dovevamo effettuare un cambiamento di rotta, e, con quel tempo, era indispensabile confermare il cambiamento a tutte le navi.
Ma come ? I segnali ottici erano invisibili, i proiettori impotenti. Restava la radio, ma sarebbe stato come rivelare al nemico la nostra presenza e la nostra posizione. Sottoponemmo l'angoscioso problema all'ammiraglio. Alla fine, Nagumo si decise a utilizzare il centro di trasmissioni interne, a debolissima potenza. Il messaggio venne captato dalla Yamato, che si trovava 600 mg dietro di noi. La squadra nemica a nostra insaputa si trovava a poche centinaia di miglia e di conseguenza avrebbe potuto intercettare a sua volta il messaggio.
Ma non lo intercettò. La nebbia durò tutto il pomeriggio, fino a notte. Al contrario della tensione che regnava in plancia, nel quadrato dell' Akagi risonavano le risa. I piloti, il cui solo compito consisteva nel decollare al primo segnale, si dimostravano del tutto spensierati.
Nel pomeriggio, le condizioni atmosferiche attorno alla squadra Yamamoto migliorarono, tanto da permettere di riprendere il rifornimento di nafta. La nebbia avviluppava nel mistero i movimenti del nemico, e la cosa avrebbe avuto molte conseguenze. Gli idrovolanti non avevano potuto svolgere il previsto volo di ricognizione su Pearl Harbor.
I sommergibili non
inviavano alcun messaggio. Esisteva un'unica fonte d'informazione: l'ascolto
del traffico radiotelegrafico.
Fin dal 29 maggio, con questo mezzo,
l'ammiraglio Yamamoto aveva appreso che nel settore delle Hawaii esisteva una
vivace attività e che si andavano intensificando in particolar modo i voli di
ricognizione.
Stava per scoppiare la tempesta: per la prima volta dopo sei
mesi, il destino sembrava aver smesso di sorriderci. Nonostante questo, al piano
originale non fu apportata nessuna modifica. Tutte le navi tirarono avanti
nella nebbia.
Il 3 giugno, alle 3 di mattina, fui svegliato
dal rombo dei motori che venivano riscaldati. Mi alzai, ma mi accorsi che
riuscivo a malapena a reggermi in piedi.
L'Akagi si preparava a lanciare i
suoi aerei contro Midway.
Incapace di controllare il desiderio di assistere alla
partenza, scivolai fuori dell'infermeria. I corridoi erano deserti: tutto
l'equipaggio era ai posti di combattimento. Una volta scaldati i motori, gli
apparecchi della prima ondata vennero allineati sul ponte. Il capitano di
fregata Masuda, comandante l'aviazione dell' Akagi, dirigeva gli ultimi
preparativi. I miei camerati mi espressero la loro preoccupazione, nel
vedermi fuori dell'infermeria nello stato in cui ero mai riuscito a restarci, coi motori che
rombavano sul ponte. Guardai il cielo.
Il tempo era brutto, ma non tanto da impedire il volo. In compenso, il mare era
calmo. Avrei preferito ricognizioni in due fasi. Una sola ricognizione
sarebbe stata sufficiente solo se avessimo voluto semplicemente assicurarci che
nella zona non esistevano forze nemiche, mentre ci sarebbe interessato anche
scoprire la posizione effettiva del nemico, in modo da poter avere
l'iniziativa dell'attacco. Ma Nagumo voleva concentrare il massimo dei mezzi nell'operazione
contro Midway e impiegare per la ricognizione solo gli aerei indispensabili.
Non essendoci ragione di sospettare la presenza di forze nemiche nel settore,
aveva deciso che era sufficiente una ricognizione. Gli apparecchi incaricati dei voli di ricognizione partirono dall'
Akagi e dalla Kaga alle 4,30, contemporaneamente alla prima ondata
diretta a Midway. Per il lancio, le condizioni atmosferiche erano
ideali: brezza di sud-est e mare calmo. Quaranta minuti prima del levar del
sole, gli altoparlanti ordinarono: « Piloti a rapporto! Gli uomini si
precipitarono verso la sala di riunione sotto la plancia. Troppo stanco per
seguirli, restai al posto di controllo. Ben presto, li vidi tornare e correre
verso gli apparecchi. Il comandante dell'aviazione tornò accanto a me e
cominciò a impartire ordini.
-Pronti per il decollo ! -Gas ai
motori! L' Akagi procedeva col vento contrario e aveva
aumentato la velocità. Quando l'anemometro raggiunse il grado giusto, fu
impartito l'ordine di decollo. Il comandante dell'aviazione tracciò nell'aria
un cerchio con la sua lampada verde. Un caccia « Zero » saettò a pieno gas sul ponte si
sollevò, salutato dalla vibrante ovazione del l'equipaggio dell' Akagi. I
marinai agitarono freneticamente braccia e berretti. Il silenzio regnava sul ponte di lancio dell' Akagi, quello
stesso ponte che poco prima sembrava esplodere per il fragore. Alcuni uomini
riordinavano il materiale. Ma gli altoparlanti non tardarono a rompere la
quiete : Non c'era tempo da perdere: all'orizzonte, apparivano
già le prime luci dell'alba. A circa 150 mg dall'obiettivo, gli apparecchi della prima
ondata furono avvistati da un idrovolante nemico che, a loro insaputa, li segui fino
a Midway e riuscì ad avvertire la caccia, che era già
in allarme. Dalle 6,45 alle 7,10, si
svolsero accaniti combattimenti aerei, ma la superiorità tattica degli «
Zero » fini con l'avere la meglio.
La caccia americana non riuscì a
impedire il primo attacco su Midway.
-Nonostante questo, l'operazione non dette i risultati sperati, ora che
l'elemento sorpresa era stato annullato.
Il nemico, ormai sull'avviso, mandò in volo tutti i
suoi aerei, in parte perchè attaccassero, in parte perché non fossero
distrutti al suolo. Tomonaga, comandante della prima ondata, distrusse le
aviorimesse. Era un danno di ben poca importanza, per gli Americani, ma, d'altra parte, Tomonaga non aveva
apparecchi sufficienti per
annientare l'intero campo d'aviazione.
L'obiettivo base dell'incursione, e Tomonaga lo sapeva bene, era di
neutralizzare l'aviazione di stanza a Midway. Non i avendo raggiunto lo scopo,
Tomonaga concluse che sarebbe stato indispensabile un nuovo attacco per distruggere le portaerei
nemiche al loro ritorno.
Si portò quindi nuovamente verso le nostre portaerei e segnalò: « Necessario
secondo attacco. Orario:
07,00. »
Le nostre perdite furono
trascurabili. La contraerea americana aveva abbattuto tre bombardieri da
alta quota e uno da picchiata. Dei caccia, solo due.
A bordo dell' Akagi, dopo la
partenza della prima ondata, aspettavamo ansiosamente notizie sulla reazione
del nemico. Non dovemmo aspettare molto.
Il messaggio del tenente di vascello Tomonaga, che reclamav Alle 7,50 fu suonato l'allarme. Riuscii
a sollevarmi quel tanto necessario per costatare che la giornata era bella.
Nubi pesanti formavano una coltre a 1.800 m, ma, al disopra, l'aria era
chiara e la visibilità eccellente.Uno dei cacciatorpediniere che avevamo
di fronte, issò improvvisamente una bandiera : Aerei nemici in vista e
tutte le navi fecero subito fuoco su di essi. Ci domandavamo che
intenzioni avessero, quegli aerei: volavano troppo alti per sganciare i siluri
e troppo bassi per attaccare in picchiata. Erano in sedici, lontani l'uno
dall'altro, e si dirigevano verso la Hiryu. Una dozzina di « Zero » calò
su di essi e ne abbatte la metà. Mi meravigliai allora che il nemico non
avesse impiegato, in quella circostanza, la sua abituale tattica di attacco in
picchiata, tanto efficace. Il loro capo sapeva che i piloti non erano addestrati
all'attacco in picchiata, e perciò, avvistate le portaerei giapponesi, era
ricorso alla tattica dell'attacco in quota.
Avevamo quindi subito tutti i tipi d'assalto: coi siluri, da
alta quota, in picchiata, senza riceverne il minimo danno. Trassi la
conclusione che i piloti nemici non dovevano essere molto abili, e la mia
opinione fu condivisa anche dall'ammiraglio Nagumo e dal suo Stato maggiore.
Deducemmo che non avevamo niente da temere, da un'offensiva condotta a quel
modo. Può sembrare paradossale, ma questa fu una delle cause che dovevano
contribuire alla nostra sconfitta.
Comunque, a quel punto la nostra squadra non era più in
formazione.
Avremmo dovuto raggrupparci, ma il ritorno di Tomonaga imponeva
una necessità più urgente, anche se i nostri piloti erano addestrati in
modo cosi superbo che appontare era per loro un giuoco da bambini, anche in
condizioni particolari.
Un quarto d'ora dopo che la portaerei si era messa
controvento, tutti gli apparecchi erano a bordo. Erano passate da poco le 9, e
già tutte e quattro le portaerei avevano concluso il reimbarco.
Circa un'ora prima del ritorno di Tomonaga
si era prodotto un avvenimento che modifica va completamente la situazione. Un
aereo ave va inviato un messaggio:portaerei nemiche in vista. La notizia elettrizzò tutti. L 'ammiraglio Nagumo decise che bisognava attaccare il gruppo, prima di procedere al nuovo
bombardamento di Midway, ma l'esecuzione del suo progetto incontrava numerosi
ostacoli: tutti gli « Zero » della seconda ondata erano decollati per potenziare la pattuglia da caccia impegnata
contro gli aerei di Midway. Di
conseguenza, contro il gruppo nemico avvistato restavano immediatamente
disponibili solo i 36 bombardieri da picchiata della Hiryu e della Soryu.
Il dilemma di fronte al quale si trovava l'ammiraglio era di difficile
soluzione. Se faceva partire i bombardieri, non poteva fornirli di una scorta
di caccia, e le perdite rischiavano di essere gravi. D'altra parte che fare
degli aerosiluranti allineati sul ponte dell' Akagi e della Kaga e
già carichi di bombe da 800 kg?
Secondo Nagumo, l'invio di bombardieri privi di scorta
comportava rischi troppo grandi. Era più prudente raccogliere gli aerei di
ritorno da Midway e i caccia della pattuglia da combattimento e riorganizzare
le forze, ritirandosi verso nord per sottrarsi a nuovi attacchi aerei.
In seguito, terminati i preparativi, la squadra sarebbe tornata
indietro e avrebbe sferrato l'attacco con tutti i mezzi riuniti.
Il ragionamento non mancava di logica. La squadra di Nagumo
era ben equilibrata e sembrava disporre di una buona superiorità. Quindi,
sarebbe stato facile annientare l'avversario scatenando tutti i nostri mezzi
offensivi in un unico attacco massiccio.
Niente di più ortodosso, ma non
potevamo fare astrazione dal fattore tempo. Nei combattimenti, la vittoria non
arride sempre al più forte, ma a quello che agisce più prontamente, con maggiore
audacia e decisione, riuscendo a prevenire gli imprevisti e a sfruttare le
occasioni. Sulle quattro portaerei della squadra Nagumo, diretta a nord,
si lavorava febbrilmente a preparare la forza d'assalto, che doveva comprendere 36 bombardieri da picchiata e 54
aerosiluranti. Fu impossibile offrire
loro una adeguata protezione, perché ben presto ricominciarono gli attacchi
nemici. La scorta venne limitata a 12 « Zero ».
I 102 apparecchi dovevano
tenersi pronti a decollare alle 10,30.
Quando l'aereo da ricognizione del Tone aveva segnalato la
presenza di una portaerei, avevamo cominciato ad aspettare l'attacco da un
momento all'altro e ci stupiva il fatto che tardasse tanto. Dopo la guerra,
saremmo venuti a sapere che gli idrovolanti di Midway tenevano gli
Americani perfettamente al corrente dei nostri movimenti e che il nemico
aspettava quindi il momento più favorevole.
Questo momento, secondo
l'ammiraglio Spruance, si sarebbe presentato al rientro degli apparecchi dal
bombardamento dell'isola. La preda era stata scoperta e il cacciatore aveva
tutti i vantaggi.
LA
TRAGEDIA DELLA SQUADRA DI NAGUMO
Tra le 7,02 e le 9,02, gli Americani scatenarono 131
apparecchi, tra bombardieri da picchiata e aerosiluranti.
Gli aggressori arrivarono da due parti, volando a fior d'acqua, in
fila. Quando si trovarono ameno di 5 mg, parvero dirigersi verso l'
Akagi. Ebbi l'impressione che non saremmo riusciti a sfuggire ai siluri. Ma i
nostri caccia stavano già mitragliando gli apparecchi nemici, approfittando del
fatto che anche gli Americani erano senza scorta. Seguimmo con interesse i
drammatici combattimenti, e gridammo di gioia ad ogni
aerosiliurante abbattuto. All'improvviso arrivarono i
bombardieri americani e piombarono come falchi sulle portaerei indifese senza
incontrare resistenza perché i nostri caccia, impegnati fino a qualche minuto prima
a respingere l'attacco degli aerosiluranti, non avevano avuto il tempo di riprendere quota.
Si può dunque dire che i bombardieri americani dovettero il
loro successo il sacrificio dei loro camerati degli aerosiluranti. Eravamo
stati sorpresi nelle peggiori condizioni possibili: col ponte coperto di apparecchi carichi di bombe e di siluri, e coi serbatoi pieni di carburante.
Gettai un'occhiata da quella parte e rimasi sconvolto alla vista
delle distruzioni causatesi in fretta. Sul ponte di lancio, subito oltre
l'elevatore centrale, era aperta una grande buca.
-Al riparo! -gridò Masuda. -Tutti quelli che non hanno niente di
preciso da fare, si mettano al riparo!
Non potendo essere di nessuna utilità, scesi la scala, barcollando,
e sbucai nella sala comandi, che trovai affollata di uomini ustionati. Risalii
sul ponte e vidi grandi colonne di fumo nero alzarsi dalla Kaga e dalla Soryu,
ugualmente colpite.
Era uno spettacolo orribile.
L' Akagi era fuori combattimento e aveva perso ogni mezzo per
comunicare con le altre navi. Di conseguenza, l'ammiraglio Kusala, capo di
Stato maggiore, dichiarò che bisognava trasferire, senza por tempo in mezzo, la
bandiera di comando sull'incrociatore leggiero Nagara. A questo punto, arrivò il capitano di corvetta Nishibayashi,
aiutante di bandiera dell'ammiraglio. -Qui sotto, stanno bruciando tutti i corridoi
-disse a Kusala. -Per
abbandonare la nave, ci resta un solo mezzo: calarsi lungo un cavo sul davanti
della plancia e raggiungere di nuovo l'isola lungo il passavanti.
L'imbarcazione della Nagara accosterà al fianco sinistro. Potrete raggiungerla per mezzo di una scaletta di corda.-Fuchida -mi disse il comandante dell'aviazione, -non può restare qui.
Farebbe meglio ascendere, finche è ancora in tempo.
Ma, nelle mie condizioni, non era facile. Aiutato da qualche
marinaio, uscii dall'oblò della lancia e mi lasciai scivolare sul castello
delle mitragliatrici lungo un cavo, che cominciava a fumare.
Mi trovavo ancora tre metri al disopra del ponte di
lancio. La scaletta che vi conduceva era incandescente, come la lamiera sulla
quale mi trovavo. Non c'era altro da fare che saltare. Saltai.
Nello stesso
istante, lo spostamento d'aria di un'altra esplosione nell'aviorimessa mi
scaraventò sul ponte, per fortuna in un punto non ancora raggiunto dalle
fiamme. Sotto la violenza del colpo, persi i sensi per un certo tempo. Quando
tornai in me, cercai invano di alzarmi: avevo le caviglie fratturate.
Alle 11,30, il trasbordo dello Stato maggiore e dei feriti era
terminato. Il Nagara si rimise in rotta, con la bandiera dell'ammiraglio
Nagumo che sventolava sul suo albero.
Il 4 giugno, alle 15,50, Yamamoto imparti l'ordine di silurare il relitto
dell' Akagi. Sulla Soryu, terza vittima dei bombardieri in
picchiata, le devastazioni furono gravi. Al momento dell'attacco, le squadre di
coperta stavano approntandosi al decollo degli aerei. Alle 10,30, la nave era diventata un inferno di
fiamme e di fumo, in cui le esplosioni si susseguivano senza sosta.
Nel frattempo, si scopri che il comandante Yanagimoto era rimasto
sul ponte. Nessun comandante, in tutta la flotta, era tanto amato dai suoi
uomini. La popolarità di Yanagimoto era tale che, quando doveva parlare
all'equipaggio, i marinai si ponevano in attesa con un'ora di anticipo, per
assicurarsi un posto in prima fila.
Cosi, quel giorno, decisero di salvarlo a
qualsiasi costo.
Il primo capo Abe, campione di lotta giapponese della Marina, fu
incaricato di andarlo a prendere e di portarlo via con la forza, se necessario.
Quando arrivò sul ponte di comando della Soryu, Abe vide il comandante
Yanagi moto, immobile, la sciabola sguainata, lo sguardo fisso avanti a se.
Avanzò verso di lui. -Comandante -disse, -vengo da parte dei suoi uomini, per portarla al sicuro. L'aspettano. La
prego, venga con me sul cacciatorpediniere.
Non ottenendo risposta, Abe avanzò di nuovo, con l'intenzione di
prendere il comandante con la forza e di portarlo via. Ma, a questo punto,
Yanagimoto si voltò a guardarlo. Il suo viso esprimeva una tale decisione, che
il sottufficiale si arrestò; poi, con gli occhi pieni di lacrime, tornò
sui suoi passi.
Mentre lasciava il ponte, senti il comandante cantare il
Kimigayo, l'inno nazionale. ,
Alle 19,13, a 30038' di latitudine nord e 179°13' di longitudine
ovest, la Soryu affondò nella sua tomba liquida, trascinando con se 728 uomini,
tra i quali il comandante.
Nessuno dei testimoni che assistettero a quella scomparsa notò il
minimo segno della presenza di un sommergibile, ne alcuna scia di siluro.
Prima che la Soryu affondasse, si erano prodotte alcune esplosioni, ma
provenivano indiscutibilmente dalle munizioni che erano a bordo. I resoconti
americani attribuirono al sommergibile Nautilus l'onore di aver dato il colpo
di grazia alla Soryu. Errore manifesto, perché tutti noi presenti possiamo
testimoniare che i siluri non contribuirono in alcun modo all'affondamento
della nave.
LA FINE
DELLA HIRYU E LA TRISTE RITIRATA
Per quanto la sconfitta fosse ormai quasi certa, dovevamo
continuare a combattere finché disponevamo di una sola frazione, sia pure
minima, dei nostri mezzi offensivi.
Il contrammiraglio Sunumu Kimura, capo
della 10 Squadriglia di cacciatorpediniere, ricevette l'ordine di restare
vicino alle portaerei colpite con il Nagara e con sei delle sue unità, essendo
stato l'incrociatore incaricato di raccogliere l'ammiraglio Nagumo e il suo
Stato maggiore. Il resto della squadra, concentrato attorno alla Hiryu,
prosegui verso nord.
Ma, quando anche la Hiryu fu messa fuori combattimento, gli
ufficiali di Nagumo si resero conto che la battaglia era perduta e che
rimaneva una sola linea di condotta: evitare nuove distruzioni. Ma ognuno sentiva le proprie responsabilità e non osava proporre un ripiegamento.
La situazione era chiara. Le nostre forze
aeree erano state annientate, mentre il nemico disponeva ancora di almeno una
portaerei intatta. Non eravamo riusciti ad annientare gli aeroporti di Midway,
e le nostre navi restavano nel raggio d'azione dell'aviazione nemica con base a
terra. Il risultato finale della battaglia era dunque ormai scontato.
L'ammiraglio Nagumo se ne rese conto e decise di
ritirarsi, per salvare le forze che gli restavano. I cacciatorpediniere
ricevettero l'ordine d'invertire la rotta per tornare presso le portaerei
colpite.
La squadra si diresse verso nord-ovest. La Hiryu, in fiamme, cercò
di seguirla, ma fu ben presto distanziata. I cacciatorpediniere Kazagumo e
Yugumo restarono al suo fianco. A Tokyo, lo Stato maggiore generale aveva
seguito con crescente inquietudine lo svolgimento della battaglia.
Quando
apprese che la Hiryu aveva subito la stessa sorte dell' Akagi e della Soryu,
comprese che l'operazione doveva finire in una sconfitta. Avevamo perduto le nostre quattro più belle portaerei.
L'aviazione di Midway non era stata distrutta. Il nemico disponeva ancora di almeno una, se non due, portaerei intatte. Di conseguenza, gli strateghi di
Tokyo conclusero che sarebbe stata una follia proseguire l'operazione.
Ecco, dunque, come fu concepita, messa in atto e perduta la
battaglia di Midway. Ora vorremmo analizzare le cause di questa sconfitta e
tornare su certi punti.
Midway fu una « vittoria del servizio informazioni », ha
scritto Samuel E. Morison, il famoso storico americano della guerra navale. Condividiamo in pieno la sua opinione: senza dubbio, la scoperta del piano
giapponese molto prima che venisse messo in esecuzione, fu la causa principale
della nostra sconfitta. Il successo dei servizi segreti americani implica una colpa da parte nostra: avremmo dovuto
proteggere meglio il segreto dei nostri
piani.
Inoltre, al successo americano corrisponde una insufficienza dei
nostri servizi d'informazione. Per esempio, non possedevano il radar. Due giorni prima di
salpare per Midway, venne installato il radar su due corazzate, che furono
cosi le prime navi nipponiche a esserne munite. Le autorità navali reclamavano
i radar da mesi, per le portaerei, ma la nostra industria elettronica era cosi
poco sviluppata, che quei due primi radar erano solo modelli sperimentali. Dall'inizio dell'incidente della Manciuria
fino ai primi di dicembre del 1941, il Giappone aveva riportato solo facili
vittorie su un nemico poco agguerrito. Fu dunque con apprensione che
s'imbarcò nell'impresa della guerra del Pacifico. Le grandi vittorie dei primi
mesi sbalordirono lo stesso Giappone ne più ne meno che gli altri Paesi. A
poco a poco, i timori dei Nipponici si dissiparono. La popolazione civile e i
militari cominciarono addirittura a nutrire una sorta di disprezzo per i
nemici e manifestavano un'arroganza, che al momento di Midway condizionava
ancora il pensiero egli atti degli ufficiali e dei soldati delle grandi unità
combattenti. Questo eccesso di sicurezza è stato giustamente definito «
malattia della. vittoria ».Era andato tutto cosi bene, fino a quel momento, che i
nostri strateghi navali concepirono l'attacco contro Midway tenendo conto più
del loro intuito che dei mezzi e della tattica del nemico. Eravamo alla
ricerca di una battaglia tra flotte, e il modo più sicuro per ottenerla consisteva nell'attaccare la posizione nemica
più vitale. Se gli Americani si
fossero rifiutati di uscire per difendere Midway, tanto meglio avremmo
occupato l'isola e creato un posto avanzato, cosi come avevamo fatto con le basi delle Aleutine. Nello stesso tempo, avremmo ampliato il nostro
perimetro difensivo, mettendoci in condizione di agire lungo la catena delle
Hawaii: ogni avanzata sarebbe servita da trampolino di lancio per la seguente. Il nemico sarebbe pur stato costretto ad accettare la battaglia. Davamo per
scontato il fatto che non potesse agire altrimenti, e questa cecità non era di
stretta pertinenza della flotta. Durante una conferenza preliminare, uno dei
rappresentanti dello Stato maggiore dichiarò: Il 3 giugno, la maggior parte
delle nostre perdite fu causata non dallo scoppio delle bombe, ma dalle ustioni.
Ustioni che avrebbero potuto essere evitate, almeno in parte, se gli uomini
fossero stati convenientemente vestiti. I nostri marinai portavano camicie
dalle maniche corte e calzoncini. E perché no? Fa caldo, ai tropici, e, quando
non si ha niente da temere da parte del nemico, perché indossare le pesanti e
ingombranti tute antincendio? La sostituzione delle bombe con i siluri fu messa
in atto partendo dallo stesso concetto: perché mettere le bombe al riparo, nei
luoghi più protetti ? Perché non ammassarle semplicemente sul lato sinistro del
ponte? Tanto, il nemico non avrebbe mai colpito le nostre navi. Indecisi, esitanti, noi Giapponesi soccombiamo facilmente alla
vanità. Adattabili, ma sprovvisti d'audacia e d'iniziativa,
siamo inclini a fidarci molto degli altri e siamo troppo pronti a
inchinarci davanti ai superiori. La nostra irrazionalità ci porta spesso a confondere il sogno con la
realtà. Solo quando un atto precipitoso ci conduce alla
sconfitta, cominciamo a ragionare logicamente, in genere per
trovare attenuanti al nostro comportamento. MIDWAY VISTA DAGLI OCCIDENTALI LE PIU'
GRANDI BATTAGLIE NAVALI MIDWAY:
CARTINA DELLA BATTAGLIA MIDWAY: LE FORZE
IMPEGNATE NELLA BATTAGLIA BATTAGLIA
DI MIDWAY: GIUDIZIO FINALE DELLO SHINANO
-A che ora si alza il sole ? -domandai al tenente di vascello
Furukawa.
-Alle cinque, comandante.
-Sono usciti, gli aerei da ricognizione ?
-Non ancora. Partiranno insieme con la prima ondata.
-La ricognizione si svolgerà dunque con- temporaneamente
all'attacco ?
-Si, comandante. Come al solito.
-Quanti voli di ricognizione sono previsti ? Furukawa mi condusse
davanti alla carta murale.
-Verranno effettuati sette voli, tra sud ed est, centrati su Midway.
Impiegheremo un apparecchio dell' Akagi, uno della Kaga, due idrovolanti del Tone, due dello Chikuma e un
ultimo della Haruna.
Il volo sarà di trecento miglia, per tutti, salvo che per l'apparecchio della Haruna, che è un modello novantacinque e può compiere solo metà di quel percorso.
-Comandante, si prega di affrontare il vento, velocità
relativa quattordici metri al secondo
Fiammate esplosero dagli scappamenti. I ponte divenne un
inferno di rumori.
-Pronti per il decollo! - ordinò il comandante
dell'aviazione.
Seguirono altri otto « Zero ». Poi, toccò a bombardieri da
picchiata, ognuno dei quali era carico di una bomba da 250 kg. Nello spazio di un quarto d'ora, da quattro portaerei
decollarono 108 apparecchi. Le portaerei erano: l' Akagi, la Kaga, la
Soryu e la Hiryu. Gli aerei descrissero un ampio cerchio sopra la
squadra, si misero in formazione, salirono a 4.000 m, poi fecero rotta verso
sud-est. Erano le 4,45.
« Preparare il decollo della seconda ondata! » Poco dopo,
gli apparecchi, caricati sugli elevatori, apparvero sul ponte e furono sospinti nei loro posti di partenza. Gli
addetti alla stiva portarono i siluri e li fissarono sotto le fusoliere. Tutti
lavoravano febbrilmente.
Ne ho trovato la spiegazione nei rapporti americani. Si
trattava di 16 bombardieri del Corpo dei Marines, decollati da Midway
un'ora prima.
In tre minuti, tre bombe centrarono il ponte: la prima lo sfondò
davanti all'elevatore di prua; le altre due colpirono quello centrale,
devastando il ponte e appiccando il fuoco ad alcuni serbatoi di carburante e ad
alcuni parchi munizioni.
All'inizio delle ostilità, i Giapponesi erano in
ritardo anche tecnicamente, rispetto agli Americani, e non riuscirono mai a
mettersi alla pari.
« L 'unica cosa che potrebbe crearci dei fastidi, nel corso
di questa operazione, è che il nemico non osi affrontare la nostra flotta e si
rifiuti di uscire dalle basi. » .
I giovani ufficiali e i marinai erano afflitti quanto i loro
capi da questa « malattia della vittoria ».
Durante le esercitazioni teoriche che precedettero
l'operazione, quest'arroganza arrivò a rasentare la stupidità. Secondo il
calcolo delle probabilità, erano necessari nove colpi a segno, per affondare
due portaerei. Questo calcolo fu ridotto arbitrariamente a tre colpi a segno per
affondare una portaerei. E, in seguito, fu ridotto ancor più. Lo stesso si
fece per quanto riguardava le perdite degli aerei.
In ultima analisi, le profonde ragioni non solo della
sconfitta di Midway, ma del fatto di aver perso la guerra, vanno ricercate nel
carattere nazionale giapponese. Un carattere impulsivo, che spesso rende le azioni del nostro
popolo imprevedibili e contraddittorie. La tradizione del
provincialismo causa ristrettezza di vedute e dogmatismo,
rifiuto di abbandonare i pregiudizi, lentezza nell'adottare i
mutamenti più necessari che le nuove concezioni di vita impongono.
Per farla breve, come Nazione manchiamo di maturità
e non sappiamo mai quando e come dobbiamo sacrificarci per
raggiungere lo scopo.
Queste le debolezze del carattere nazionale
giapponese, che si rifletterono sulla sconfitta di Midway,
rendendo inutili gli eroismi e l'abnegazione degli uomini che là
combatterono.