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UN FONTANETESE ILLUSTRE IN ARGENTINA

Storia di Mario Teruggi

 

Alla fine dell’agosto 2002 il giornale argentino EL DIA riportava in prima pagina questo titolo “Murió el prestigioso científico platense Mario Teruggi”. Nei giorni successivi altri articoli ricordavano il commosso omaggio della comunità scientifica locale e dei colleghi del Museo di La Plata al professore scomparso, definito un intellettuale completo e una personalità squisita, che con passione aveva formato tantissimi discepoli. 
Mario Teruggi, nato a Dolores il 18 febbraio 1919, da padre d’origine fontanetese, fu dottore in Scienze Naturali, appassionato di geologia, settore a cui dedicò gran parte dei suoi studi, raggiungendo traguardi prestigiosi, con più di cento pubblicazioni scientifiche, fino ad essere continuamente richiesto da università e centri di ricerca di tutto il mondo. Specializzato in petrologia all’università di Oxford, lavorò come docente di Sedimentologia, presso l’Università de La Plata, città dove si era trasferito dopo la laurea. Ricoprì quindi l’incarico di Direttore del Museo di Scienze Naturali di Buenos Aires e del Museo di La Platea. Numerosi furono i riconoscimenti raccolti a livello nazionale e internazionale. Nel 1968, due ricercatori statunitensi dell’università di Harward diedero, in suo onore, il nome di Teruggite ad un nuovo tipo di roccia calcarea, scoperta in Argentina: un campione di questo minerale si trova nel Museo di Pavia. Nel 1971, ottenne dal Governo Italiano l’Ordine del Merito per l’attività scientifica. 
Il professor Teruggi non fu soltanto un uomo di scienze ; coltivò, infatti, vari interessi in campo letterario, pubblicando una dozzina di opere tra racconti e romanzi, insieme ad un apprezzato ed ampio studio critico sull’ultimo romanzo di James Joyce, “Finnegan’s Wake”. Fu anche curatore della pubblicazione del più completo dizionario del “lunfardo” (1998), vale a dire la raccolta di tutti quei vocaboli di uso comune nella parlata popolare rioplatense, quasi una nuova lingua all’interno della lingua spagnola, scaturita dalla mescolanza di vocaboli originari delle diverse lingue parlate dagli emigrati europei; molto usata anche nel canto popolare argentino.
Mario Teruggi fu molto attento al recupero delle sue origini italiane, da lui ben conosciute. L’ultimo suo lavoro, pubblicato postumo, fu la novella “Mi pariente Tarvisio” (1796-1854), dove il termine “pariente” non indica una parentela diretta, quanto la comunanza di cognome e delle origini con il protagonista; il libro racconta, infatti, la vita romanzata di un contadino nativo di Fontaneto povero e analfabeta, intenditore di musica, che dopo vari vagabondaggi giunse fino a Parigi, dove fu considerato il miglior conoscitore di violini d’Europa nel diciannovesimo secolo. Un testo quest’ultimo che rimanda in parte alla sua vicenda autobiografica e alla storia della sua famiglia.

Articolo da EL DIA del 24 agosto 2002:
"
Emotiva despedida al profesor Mario Teruggi"
http://200.26.107.200/ediciones/20020824/laciudad4.asp
(in lingua spagnola)

 

 

Mario Teruggi discende da una delle tante famiglie con questo cognome presenti a Fontaneto nel 1800. Il suo bisnonno Gaudenzio aveva sposato Giuseppina Cerri, il 26 febbraio 1848, come risulta dal registro dell’Archivio Parrocchiale. Dall’unione erano nati sette figli maschi: Pietro, Alessandro, Carlo, Angelo, Giovanni, Giuseppe, Antonio. Di questi, tre partirono insieme per l’Argentina seguendo il flusso migratorio, che nella seconda metà dell’Ottocento ha portato molti compaesani oltreoceano, in cerca di fortuna. Tra loro c’era Alessandro, il nonno del professor Teruggi. In Argentina i tre fratelli esercitano l’attività di macellai, impiantando una fiorente azienda di salumi nella zona di La Plata. Una volta raggiunto l’intento di migliorare la loro posizione economica, Pietro, che era già sposato con una fontanetese Martina Teruggi, ma non aveva figli, decise di rientrare in Italia, acquistando una proprietà in paese e conducendo una vita abbastanza agiata per i tempi. Il secondo fratello Angelo rimase celibe e non ritornò più in madrepatria, mentre Alessandro si sposò con una connazionale proveniente dalla Lombardia ed ebbe dei figli, tra cui Angelo padre del nostro professore. Agli inizi del ‘900, Alessandro Teruggi morì e la famiglia argentina si trovò in difficoltà; così Angelo, ancora piccolo, fu mandato in Italia, ospite degli zii, Pietro e Martina, che lo accolsero e lo crebbero come un figlio. Per alcuni dei dieci anni della sua permanenza a Fontaneto, il ragazzo frequentò il Collegio don Bosco di Borgomanero, ma alla soglia dei vent’anni scelse di tornare in Argentina, in seno alla sua famiglia, lasciando definitivamente il nostro paese. Passarono gli anni, l’Europa affrontò due guerre mondiali e la successiva ricostruzione; in tutto quel tempo, i rapporti tra le famiglie emigrate e quelle rimaste a Fontaneto si affievolirono, fino a ridursi ad un semplice ricordo. Verso la metà degli anni ’60, il figlio di Angelo, professor Mario Teruggi venne per la prima volta a Fontaneto, per vedere i luoghi dove era cresciuto suo padre e conoscere i parenti. In seguito diverse furono le visite, a volte collegate a impegni di lavoro e a convegni in Europa. In queste occasioni, Mario Teruggi soggiornava dai cugini di S. Antonio e di via Marconi, accompagnato dalla moglie Genoveva Dawson, studiosa di botanica e, ultimamente, dai figli.


Il legame con Necochea
A questa vicenda se ne intreccia un’altra, anch’essa molto interessante, che presenta anche un aspetto curioso. Verso la fine dell’Ottocento, dei quattro figli di Gaudenzio Teruggi e Giuseppina Cerri, rimasti in Italia, anche Giovanni partì, successivamente ai fratelli per l’Argentina e in modo autonomo rispetto a loro. Egli si aggregò ai parenti della moglie, Maria Teruggi. La coppia, che aveva già in figlio, si stabilì nella zona di Nicocea, ma, data la distanza, non riallacciò alcun rapporto con gli altri due fratelli che vivevano da qualche tempo in Argentina, né mantenne i contatti con il ramo d’origine a Fontaneto. La famiglia di Nicocea si ampliò con la nascita di numerosi figli. L ’incontro tra i discendenti delle due famiglie emigrate avvenne casualmente e in modo originale. Infatti, verso gli anni 1980/90, una pronipote di Giovanni, ora geologa, Liliana Teruggi, nativa di Nicocea, conobbe il prof. Mario Teruggi suo docente universitario e insieme ricostruirono i legami di parentela.

Attualmente la dott. Liliana T. vive e lavora a Firenze, lo stesso avviene per due dei figli del professor Mario Teruggi che per lavoro, considerata anche la difficile situazione economica argentina, hanno seguito il percorso inverso del nonno, trasferendosi in Europa. Daniele, sposato con due figli, vive a Parigi, dove lavora come musicista, dopo essersi perfezionato alla Scuola Superiore di Musica della Sorbona, mentre la sorella Lili con la famiglia abita a Baveno ed insegna all’università di Milano. Un terzo figlio Bernardo, anche lui musicista, è rimasto invece in Argentina.



Nota personale
Chi scrive questa testimonianza ha conosciuto il protagonista Mario Teruggi da bambina, quando veniva ospite a casa, in occasione delle sue graditissime visite ai cugini italiani. Si sa che le persone assumono agli occhi dei bambini una veste più familiare; col tempo, crescendo compresi il ruolo del professor Teruggi, ciò non toglie che la sua simpatia e la sua affabilità lasciarono sempre in secondo piano con noi, la sua profonda preparazione culturale e i meriti scientifici; solo ora leggendo i ritagli dei giornali argentini e la sua biografia, l’immagine che ne conservo nella memoria, si arricchisce di nuovi particolari. Personalmente, continuo a ricordare una figura alta e ben proporzionata, dalla voce tonante, la montatura degli occhiali quadrata e il sorriso aperto, che amava intrattenersi con la mia anziana nonna sui ricordi del passato di Fontaneto, prendendo in seria considerazione anche i più minuti particolari dei suoi racconti. Memorabile era poi il suo evidente apprezzamento della cucina piemontese, con tanto di complimenti alla cuoca, oppure le battute scherzose scambiate con un fratello della nonna, assai arguto, il quale negli anni ‘70 era stato anche suo ospite in Argentina. Nel corso di quelle visite, sia lui che la moglie erano dunque affabili conversatori e riuscivano a intrattenersi con tutti. Con gli adulti probabilmente accennavano ai problemi economici, che negli ultimi decenni affliggevano il loro Paese, forse toccavano anche gli aspetti politici; con me parlavano della Terra del Fuoco e dei paesaggi naturali ghiacciati, dove vivono i pinguini, oppure degli indios del Sud, di cui spesso mi donavano dei manufatti, ad esempio, delle borse di fibre intrecciate, resistentissime, piccole ma capaci di allargarsi a dismisura. Ricordo, infine, i suoi giovani figli, che, molto sportivamente, un anno accolsero l’invito ad esibirsi con numeri di magia e musica, alla festa del paese. 
Forse è questo lo spirito degli italo-argentini : è la capacità di sentirsi a proprio agio sempre, perché cittadini del mondo. 

 

 

Testimonianza di Silvia Grazioli
Nata e residente a Fontaneto D’Agogna
Insegnante nella locale scuola media

 

 

           

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