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pubblico 3 interviste che erano state effettuate per il portale Chitarra & Dintorni ora non più attivo
di Angelo Barricelli a Francesco Russo
di Francesco Russo a Giulio Tampalini
di Francesco Russo a Davide Serracini
1- di Angelo
Barricelli a Francesco Russo
Ho ascoltato il tuo CD e sono rimasto favorevolmente colpito da diversi brani. Che rapporto hai con la composizione?
Resistere alla tentazione della composizione per un chitarrista è veramente compito arduo e anch’io ho ceduto volentieri a questa tentazione. Pur avendo studiato armonia e contrappunto con Luciano Bellini e Nicola Samale, non sono un compositore professionista e questo sotto certi aspetti è un vantaggio nel senso che compongo quando ne ho voglia e quando sono ispirato senza essere pressato da commissioni o impegni impellenti. Nel comporre sono confluite anche caratteristiche del passato. In gioventù mi divertivo oltre che a risolvere i problemi di dama a realizzarne io stesso (alcuni sono stati pubblicati nella “Domenica Quiz”), in seguito ho proiettato istintivamente nella composizione musicale alcuni elementi maturati nel comporre quei problemi di dama.
La scintilla compositiva, almeno fino a questo momento, è scattata sempre sulla chitarra, dopo subentra il discorso dello sviluppo che spesso e volentieri è suggerito da quello che nasce inizialmente sullo strumento.
È stato molto stimolante comporre le musiche per alcuni spettacoli teatrali nei quali ho avuto anche la fortuna di conoscere persone come Mario Scaccia, Ugo De Vita, Silvano Tranquilli, Dino Cafaro. Ricordo che alla prima di uno spettacolo con Mario Scaccia in cui suonavo dal vivo era presente il grande compositore Sylvano Bussotti… e per fortuna il suo giudizio nei miei confronti fu magnanimo.
Alcune mie composizioni le ho raccolte nel volume Giochi sonori pubblicato dalla casa editrice “Il piano e la rosa” e registrate successivamente nel CD edito dall’ARAMUS Il suono dei colori
(http://www.aramus.it/NuovoAramus/cd.htm
Puoi entrare nello specifico di qualche brano?
Il titolo della mia prima pubblicazione Giochi sonori sintetizza un po’ il mio rapporto con la musica: un gioco meraviglioso. Le mie composizioni spesso ricalcano quindi l’aspetto giocoso. Prendiamo il mio brano Sublimazione, intesa come passaggio della materia dallo stato solido a quello gassoso. In questo brano la stessa melodia va realizzata a seconda dei tre stati della materia, liquido, solido e gassoso, rispettivamente con i glissati (agli allievi faccio l’esempio che lo strumento viene metaforicamente riempito d’acqua e muovendolo questa scorre dal ponte alla paletta e viceversa), con i suoni normali e con gli armonici.
Altri brani hanno un maggior spessore artistico e anche a distanza di tempo continuo ad apprezzarli sia quando li suoni che quando li ascolti. Uno di questi è Gong tibetano
(aggiungo il video in cui Giulio Tampalini lo esegue in un concerto svolto alla sala Baldini)
Ricordo che avevo la sesta in do (stavo facendo una trascrizione di “Per qualche dollaro in più” – La resa dei conti) e si aprirono nuovi scenari musicali. La cellula iniziale è su una scala pentafonica a cui seguì una sezione con la scala diatonica maggiore poi ancora una parte con una scala cromatica e per finire un’ultima con una scala esatonale: insomma un brano basato sulle diverse scale quindi diverse culture. Credo che nella musica come nella vita la convivenza tra diverse culture sia felice e proficua.
Hai realizzato molte trascrizioni: ce ne vuoi parlare?
In alcune circostanze credo che bisognerebbe tornare a quella che era la fase primordiale dello strumento musicale: intendo dire che la chitarra, come gli altri strumenti, prima di avere un repertorio e una propria letteratura era uno strumento musicale nel senso lato del termine cioè un “mezzo” per fare musica. Non va dimenticato che i primi brani strumentali sono nati come “riduzione” di composizioni polifoniche. La destinazione strumentale come viene intesa oggi, cioè come brano scritto per sfruttare al meglio gli idiomi dello strumento stesso, è una concezione che nasce in una fase storica recente (facendo i dovuti rapporti). Amo trascrivere tutti i brani che mi piacciono e che ritengo opportuno far eseguire agli allievi, parto da questo semplice concetto. Devo constatare che questa è un’attività che spesso richiede più tempo della composizione stessa: mentre oggi per comporre un brano non hai limiti, o meglio sei tu stesso a decidere quali regole rispettare e a porre i paletti, con la trascrizione devi sempre conciliare testo originale e chitarra. Una trascrizione può considerarsi riuscita quando, nel nostro caso, sembra scritta per chitarra. Per realizzare alcune trascrizione ho impiegato veramente tanto tempo, ma dopo “un colpo al cerchio e uno alla botte” arrivo al risultato desiderato grazie alle infinite possibilità che offre la chitarra. Si pensi ai numerosi effetti strumentali che ha (armonici, tambora, rasgueado, pizzicato, pizzicato alla Bartok, glissato, bending, tremoo ecc.) ampiamente utilizzati nelle mie trascrizioni per avvicinare la resa strumentale all’effetto desiderato. Spesso un effetto al momento giusto riempie più di un intero accordo e può quindi diventare un eccellente escamotage.
Ho la fortuna di curare la collana “La chitarra classica per tutti” per la Playgame (http://www.playgamemusic.com/index.php?pagina=22) distribuzione Carisch (http://www.carisch.com/catalogsearch/result/?q=francesco+russo), grazie al “vulcanico” Roberto Fabbri che mi ha ceduto il testimone (lui ha realizzato i primi tre volumi della collana) in questa bella avventura. Per questa collana ho curato 5 volumi con CD allegato:
12 Capricci di Paganini (mp3 Capriccio n. 2)
Celebri temi d'orchestra (mp3 Il Mattino)
J. S. Bach 2° vol. (mp3 Musette)
Le più belle arie d'opera (mp3 Habanera)
Con lo stesso Roberto poi collaboro alle Antologie di successi della Carisch, nelle quali ho realizzato diverse trascrizioni di brani di ogni genere musicale. La cosa che non tollero sono le etichette: secondo molti il musicista che fa dei lavori a carattere divulgativo non può farne altri a carattere filologico. Io sinceramente non mi sento imprigionato in questi schemi e mi farebbe molto piacere realizzare delle edizioni critiche del repertorio originale. Personalmente trovo estremamente divertenti e gratificanti le antologie che ho realizzato da solo o come collaboratore, nello stesso modo con cui apprezzo dei lavori critici come le bellissime pubblicazioni di Zigante su Villa-Lobos. L’importante è che le pubblicazioni sia a carattere divulgativo che filologico vengano fatte con passione, rigore e competenza
Anche al Maestro Morricone hai sottoposto delle tue trascrizioni…
La musica da film mi ha sempre appassionato e la considero un importante ponte tra la musica colta e il gusto popolare: pensiamo ai lavori di Rota, Piovani, Morricone e Bacalov (con quest’ultimi due ho avuto il piacere di frequentare dei corsi sulla musica applicata al cinema).
Con Luis Bacalov (Castello di Crecchio 2000)
Sì, ricordo con grande piacere quell’incontro. Una volta diplomato in chitarra parlai al mio maestro di chitarra Bruno Battisti D’Amario (che tra le altre cose era il chitarrista del Compositore romano) di alcune trascrizioni che avevo realizzato a scopo didattico delle colonne sonore di Ennio Morricone e le sottoposi alla sua attenzione. D’Amario suonò ed apprezzò i brani e mi diede l’idea di farli vedere al Compositore stesso. A Morricone vanno i miei ringraziamenti per aver dedicato del suo tempo alla visione del mio lavoro e per avermi dato dei preziosi consigli. Conservo gelosamente i manoscritti con le correzioni di pugno del Maestro. Di quest’incontro parlo ampiamente in una pagina del mio sito (http://digilander.libero.it/ossurf/ennio_morricone.htm). Alcune di queste trascrizioni sono state successivamente pubblicate nelle antologie a cura di Roberto Fabbri.
Seconda parte http://www.chitarraedintorni.eu/russo_speciali_chitarre_in_intervista2.htm
Visto che hai citato il “nostro” Maestro D’Amario ci puoi descrivere gli anni di studio passati con lui?
Il mio primo approccio con lo strumento è stato da “strimpellatore” e gli studi classici iniziarono in un secondo momento: prima con Agostino Di Biagio (che abitava nel mio palazzo), poi con Francesco De Melis, ora musicologo, e successivamente con Bruno Battisti D’Amario, che, tra le altre cose, era il chitarrista dei miei idoli musicali Ennio Morricone e Fabrizio De André. Svolgevamo le lezioni in una scuola al centro di Roma a ridosso di Piazza Navona. Il clima delle lezioni era sempre cordiale e si era formato un bel gruppo: Piero Asaro, Fabio Refrigeri, Marco Santori, Claudio Scozzafava, Domenico Ascione, Luca Mancini, Marcello Camaiani, Maurizio Tisei, solo per citarne alcuni, tutti rigorosamente presenti, insieme agli allievi del conservatorio di Napoli e a quelli provenienti un po’ da tutte le parti d’Italia, alle storiche tombolate natalizie che il Maestro organizzava a casa sua. Si lavorava seriamente ma le risate non mancavano mai, come quella volta in cui ci imbattemmo nella neoletta Cicciolina al centro di un corteo improvvisato a suo favore. Apprezzavamo tutti in D’Amario quel suo modo di essere sì rigoroso, ma al tempo stesso persona disponibile con cui poter prendere il caffè e parlare di ogni cosa. Per tutti noi è stato sicuramente un solido punto di riferimento e lo dimostrava con l’estrema serietà con cui affrontava gli impegni didattici. Allora non mi rendevo bene conto di come fosse faticosa e logorante la vita del musicista “militante”, per questo oggi apprezzo ancor più quelle lezioni fatte immediatamente a ridosso di importanti impegni musicali: non erano rari i casi in cui veniva a lezione direttamente dall’aeroporto mostrando gli inevitabili segni della stanchezza.
Una delle qualità che maggiormente gli riconosco è la sua capacità di far quadrare il pezzo: affinché questo avvenisse curava molti fattori, primo fra tutti la diteggiatura della mano destra nella stessa misura di quella della mano sinistra. Era molto restio a farci suonare Bach perché ritenuto da lui grande sommo da non poter essere compreso se non con una notevole maturità musicale. Tutti noi allievi rimanevamo colpiti dalla sua eccellente lettura a prima vista, frutto, oltre che della grande esperienza, del lungo trascorso da turnista nelle sale d’incisione, importante attività per i musicisti delle generazioni precedenti alla nostra, oggi quasi del tutto scomparsa a causa della computer-music. Ammiravamo anche le sue notevoli doti di improvvisatore, residuo di una militanza in gioventù ad un complesso (prima si chiamavano così); conservo un suo disco in vinile in cui suona il Moto perpetuo di Paganini con la chitarra elettrica: considerando i tempi, credo sia stato veramente un pioniere in quella direzione.
(aggiungo questo link ad un video, non incluso nell'intervista, perché rende molto bene l'atmosfera appena descritta)
Preciso che parlo al passato per il semplice fatto che mi riferisco a periodi abbastanza remoti (anni ottanta).
Oltre al Maestro D’Amario ho frequentato dei Mastercourse con altri grandi della chitarra come David Russel, Jorge Cardoso, Oscar Ghiglia, ma non mi sembra lecito per questo considerarmi un loro allievo, pur avendo tratto notevoli vantaggi dai preziosi consigli che mi hanno dato.
A tavola con David Russel (Corsendonk 1987)
La didattica che importanza riveste nella tua vita?
Insegnare mi è sempre piaciuto, anche se il pensiero di vederla come mia unica attività crea dentro di me una sorta di inaridimento artistico. Credo che insegnare sia un continuo e proficuo scambio tra allievo-insegnante: può capitare a volte che questo processo di interscambio si inceppi e allora diventa tutto più difficile e bisogna quindi trovare altre strategie. Ogni allievo ha delle chiavi e trovando quella giusta riesci a capirlo e quindi a trasmettergli la passione. Insegnare è in ogni caso la mia principale fonte di sostentamento, come per la quasi totalità dei musicisti attuali, ed ho la fortuna di insegnare nell’Indirizzo Musicale, quindi posso avere un contatto a tu per tu con gli allievi.
Prove prima di un concerto
Le mie lezioni sono un po’ strane: faccio suonare da Bach ai Pink Floyd, tanto per intenderci, pur essendo molto esigente nella postura e nella tecnica. Insomma anche in questo campo credo che sia importante far suonare un po’ di tutto ma con rigore. Con la musica, e con il nostro strumento in particolare, abbiamo una meravigliosa macchina del tempo e dello spazio con quale possiamo liberamente muoverci in ogni angolo del mondo, in ogni periodo e genere musicale: perché limitare la visione musicale dei giovani chitarristi ad un ristretto spicchio culturale e temporale? La didattica dell’Ottocento e del Novecento si è basata quasi esclusivamente sul repertorio classico romantico di quei 3, 4 autori (Sor, Giuliani, Carulli, ecc.): come possiamo credere che un giovane di oggi possa appassionarsi al nostro strumento se continuiamo a proporgli una visione così ristretta della musica? Non che la musica dell’Ottocento vada cestinata, anzi sono convinto che costituisca ancora oggi l’ossatura tecnica del nostro strumento, ma deve essere proposta nella giusta misura, alternandola sapientemente con le infinite altre realtà del presente e del passato. Noi Maestri dobbiamo competere con i videogame che sono veramente divertenti! Se non offriamo del materiale accattivante come possiamo spingere un adolescente a suonare uno strumento rinunciando al divertimento così immediato che possono offrire queste macchine?
(St. James Infirmary - eseguito dagli allievi della SMIM Zanella ad un concerto di beneficenza - Roma, 3/6/2009 Aula Magna dell'Unuversità "La Sapienza" - collegamento non presente nell'intervista)
Rimanendo nella sfera didattica, hai qualche “segreto” tecnico?
Avendo avuto grosse difficoltà con la mano destra (probabilmente perché sono prevalentemente un mancino) sono stato sempre alla ricerca di trovate “miracolose”. La prima che mi viene in mente è l’esecuzione della scala (o di qualsiasi melodia) alternando un dito della mano destra (escluso il pollice) con le altre due che suonano simultaneamente lo stesso suono (ad esempio m singolo e i/a simultanei). Faccio un breve esempio chiarificatore nella figura:
Inizialmente risulterà abbastanza difficile far sentire chiaro il suono emesso dalle due dita ma piano piano esse cominceranno ad avere la stessa dinamica e la perfetta sincronizzazione permetterà la corretta emissione del suono che anzi risulterà irrobustito grazie alla sinergia delle due leve. Se ben fatto garantisco grossi miglioramenti per la mano destra. Naturalmente bisogna realizzarlo con le 3 combinazioni possibili (i - m\a, m - i\a, a - i\m) e, successivamente, con le inevitabili variazioni che ognuno di noi saprà trovare. Ovviamente “miracoli” veri non ce ne sono e tutti i risultati che si ottengono sono frutto di impegno e costanza.
I tuoi studi musicali si sono estesi in diversi ambiti musicali oltre a quello chitarristico…
Nella vita e quindi nella musica, ogni esperienza che fai prima o poi torna utile.
Ho studiato direzione con i Maestri Lucano Bellini e Nicola Samale e devo dire che i loro insegnamenti mi sono stati di grande utilità dirigendo l’orchestra della Scuola ad Indirizzo Musicale nella quale insegno.
Un’altra importante esperienza sono stati gli anni in cui ho preso lezioni di canto insieme a mia moglie Antonella con la Maestra Alba Zurlo Anzellotti. Per l’Anzellotti l’emissione vocale doveva essere simile alla cordicella che viene tirata per accendere il motore della barca (ignoro il termine specifico). Questa idea l’ho proiettata sul suono del nostro strumento: a pensarci bene quando facciamo vibrare una corda non facciamo altro che metterla in moto. Sempre la Maestra citava spesso una frase di Toscanini: “La vera arte è formata da milioni di piccole cose”; col tempo ho apprezzato il profondo significato di questo concetto.
Ho frequentato corsi di musicoterapia con Fabio Trippetti e Giuseppa Pistorio ed ho messo in pratica diversi elementi assimilati per rendere più elastiche le mie lezioni nelle quali spesso rischio di avere un arido approccio da “solfeggiante”. Alcune strategie della musicoterapia le adotto su allievi con disagi.
Ho fatto diverse esperienze nel campo della didattica musicale: un corso Biennale di Perfezionamento post lauream svolto all’Univesità di Tor Vergata, un corso in Ungheria sul metodo Kodaly, un altro sulle percussioni con Daniele Vineis, tutti estremamente interessanti e utili.
Trovo che fare dei corsi in Italia o all’estero sia un’esperienza alla quale ogni giovane studente di musica non dovrebbe rinunciare: si viene a contatto con altre realtà musicali, si conoscono molte persone interessanti, si rimette in discussione il proprio mondo.
Terza parte http://www.chitarraedintorni.eu/russo_speciali_chitarre_in_intervista3.htm
Ed il concertismo?
Ho fatto diversi concerti, ma quando suono in pubblico non mi sento a mio agio, le cose vanno decisamente meglio quando dirigo. Credo sia giusto dare spazio a coloro che sentono il concertismo nel sangue e ne fanno l’attività primaria della propria esistenza. Il Concertista con la C maiuscola è a mio avviso colui che arriva a Mosca il 5 febbraio alle 8 del mattino e dopo un’ora deve fare un concerto: questa figura sinceramente non mi appartiene poiché prima che cominci a suonare “sul serio” devo fare lunghi esercizi di riscaldamento. O forse questi non sono altro che degli “alibi” di comodo; in ogni caso, per il momento, do il mio contributo alla musica e alla chitarra in altre direzioni. In ogni caso mantengo un rapporto quotidiano con lo strumento e questo credo sia indispensabile per qualsiasi musicista.
Concerto con il mezzosoprano Antonella Paolini (Roma 1992) Concerto di beneficenza all’ Università La Sapienza (Roma 2009)
Come vedi il nostro strumento?
Nella seconda metà del Novecento l’operato in tutti i settori, compreso quello musicale, è stato orientato verso la specializzazione: nel nostro campo abbiamo quindi apprezzato il lavoro di grandi artisti che si sono dedicati alla chitarra dell’Ottocento, Barocca e così via. Questa tendenza specialistica, a mio avviso, si acutizzerà ancor più in futuro, ma il chitarrista moderno dovrà contemporaneamente aprirsi ad ogni aspetto musicale. La figura del concertista solista che incanta le platee deve continuare ad esistere ed è giusto che sia così, ma il chitarrista attuale, oltre a saper leggere uno spartito ed essere dotato di solida tecnica, deve essere in grado di accompagnare un solista (cantante o strumentista), improvvisare, comporre, avere dimestichezza con varie tipologie di strumenti oltre alla chitarra classica moderna, conoscere l’enorme potenziale del computer, insegnare, organizzare e dirigere un ensamble: insomma deve essere pronto alle diverse esigenze delle quali il mondo della musica avrà bisogno. Nella vita artistica ti capitano le opportunità più disparate e a volte bizzarre: ricordo che mi è stato proposto di suonare in un circo e su una nave da crociera! Non ci sono andato perché già avevo degli impegni didattici ma sono sicuro che sarebbero state esperienze utili e divertenti. Sotto certi aspetti il musicista del terzo millennio deve paradossalmente avvicinarsi di più al musicisti del passato, alla figura del kappelmaister tanto per intenderci. Come dice giustamente Maurizio Colonna quando sappiamo suonare e leggere dei brani non abbiamo fatto altro che il 50% del lavoro che un musicista dovrebbe saper fare: non possiamo escludere il mondo dell’improvvisazione, prassi che come sappiamo era invece più che feconda nei musicisti fino al Romanticismo dove il compositore e l’esecutore erano la stessa figura. Insomma dobbiamo riprendere molto del passato proiettandolo in una dimensione futura. Quindi, sintetizzando, l’attività del musicista moderno deve essere duplice: da un lato estremamente aperta (ovviamente rinunciando all’approfondimento), dall’altro altamente specialistica (su un determinato periodo o su un singolo autore).
Qual è la situazione della chitarra a Roma?
L’eredità di grandi maestri che hanno operato e operano a Roma come Di Ponio, Gangi, D’Amario, Carfagna, tanto per citane alcuni, è stata raccolta e sviluppata da molti chitarristi della mia generazione. Ad importanti eventi stabili come la “Mostra di liuteria”, gli “Incontri con i Maestri”, il “Festival della chitarra” organizzati rispettivamente da Stefano Palamidessi, Francesco Taranto e Roberto Fabbri si sono recentemente aggiunte nuove iniziative come Il “Festival internazionale della chitarra classica” e il “Festival delle due città” (Treviso e Roma), che vedono come direttori artistici Edoardo Catemario e Andrea Vettoretti. L’unico rammarico è che spesso questi eventi non hanno la risonanza che dovrebbero avere e a volte capita di vedere le stesse facce, perlopiù degli addetti ai lavori. Questo è a mio avviso un grosso limite della chitarra e sinceramente non capisco le critiche mosse proprio dai professionisti alle operazioni divulgative, come ad esempio ai lavori di Giovanni Allevi o al CD di Sting “Songs from the Labyrinth” che invece hanno il grosso merito di far giungere al pubblico popular elementi di cui prima erano completamente all’oscuro, come dell’esistenza di uno strumento importante come il liuto. La chitarra polifonica (spesso preferisco questo termine a classica) è sostanzialmente poco conosciuta alle nuove generazioni che hanno la stessa identica fame di musica che avevamo noi alla loro età ma che, probabilmente, sono stati privati dell’opportunità di apprezzarne appieno il valore. Credo che manchino i canali necessari per approdare in certe aree culturali, per questo trovo molto importanti alcuni nuovi mezzi come You Tube con il quale tutti hanno la possibilità di ammirare i video dei mostri sacri della chitarra. In ogni caso sono ottimista e prevedo un nuovo crescente entusiasmo per il nostro strumento nelle nuove generazioni che certo non sono meno sensibili e intelligenti della nostra: probabilmente sono solo rimaste abbagliate da troppi specchietti per le allodole.
Quarta e ultima
parte
http://www.chitarraedintorni.eu/russo_speciali_chitarre_in_intervista4.htm
A proposito di You Tube, ho notato una tua presenza nel mondo telematico...
Internet offre molto anche se è un’arma a doppio taglio: come tutti gli strumenti diventa positiva o negativa a seconda dell’uso che se ne fa. Come strumento in se è qualcosa di grandioso e mi piace usarlo, nei limiti delle mie competenze. Ho realizzato un sito http://digilander.libero.it/ossurf/index.htm, partecipo ai principali forum per chitarra nei quali dico la mia sugli argomenti che mi interessano ed espongo alcune mie “trovate”. Due esempi: una è un giochetto che mi è venuto in mete in seguito alla passione per gli strumenti storici nel quale un liutaio deve riconsegnare ad ogni chitarrista il “suo” strumento http://www.delcamp.net/forum/it/viewtopic.php?f=48&t=13316; l’altra riguarda la postura che si può assumere con le chitarre munite del “bottone” http://www.delcamp.net/forum/it/viewtopic.php?f=45&t=17616 che sintetizzo in quattro semplici punti:
1. inserire l’asola di un’estremità della cinghia nel bottoncino (fig. 1)
2. girare
la cinghia sopra e poi sotto la gamba sulla quale
poggia
lo strumento (fig. 2)
3
. inserire l’asola dell’altra estremità delle cinghia nello stesso bottoncino
o, in
alternativa,sedersi sopra la cinghia stessa(fig. 3)
4. lo strumento rimane in perfetto equilibrio (fig. 4)
Sempre grazie ad un forum per chitarra ho avuto modo di ricontattare allievi e amici di vecchia data come l’inarrestabile Maestro Angelo Barricelli (ride n.d.r.) conosciuto in un corso di perfezionamento ad Anzio nel lontano 1991.
Faccio parte di diversi gruppi su Facebook e ne ho creati due: uno sulle chitarre storiche
http://www.facebook.com/group.php?gid=52736883920#/group.php?gid=36748136217&ref=mf
e uno sul caro amico chitarrista Piero Asaro prematuramente scomparso
http://www.facebook.com/group.php?gid=52736883920#/group.php?gid=47018770655&ref=mf
Su You Tube, ho inserito un mio video in cui eseguo il Capriccio Arabo
Sempre grazie ad internet ho avuto la possibilità di conoscere (non solo formalmente) Giulio Tampalini dopo che mi aveva letteralmente “folgorato” ad un concerto che aveva fatto a Zagarolo. È a mio avviso uno dei più grandi chitarristi al mondo, grande intelligenza, sensibilità, cultura ed umiltà: pensa che dopo aver visto il suo DVD su Villa-Lobos, non so perché mi è venuto in mente di dargli dei consigli tecnici e lui, con grande umiltà, mi ha risposto che li avrebbe tenuti in considerazione! Credo che altri chitarristi del suo livello non mi avrebbero risposto nello stesso modo. Rispecchia il mio ideale di “concertista moderno”: grande personalità che gli permette di suonare senza pregiudizi qualsiasi musica ma sempre con estremo rigore e soprattutto senza farsi imbrigliare in nessuna “corrente”.
Comunque a volte stacco la spina (in tutti i sensi) col mondo telematico e mi immergo completamente nei miei lavori.
Hai accennato ad una passione per gli strumenti storici, ce ne puoi parlare?
È questa una passione che si è scatenata recentemente. Non amo tanto il temine “collezionista” perché mi dà l’idea della persona che metta in vetrina gli strumenti come soprammobili mentre a me piace suonarli.
Ho diverse chitarre romantiche: Gaetano Vinaccia, Gennaro Fabbricatore, Gaetano Guadagnino, Luis Panormo, Hauser-Brawn; italiane: Luigi Mozzani, Fratelli Masetti, Leone Sanavia, Pietro Gallinotti, Orlando Raponi, Enrico Piretti, Carlo Raspagni, Ennio Giovanetti; e ancora: Josè Ramirez II, Andres Marìn, Lucien Gelas. Le chitarre sono state restaurate e riportate all’originale splendore da bravissimi liutai quali Davide Serracini, Leonardo Petrucci, Amenio Raponi, Isidoro Guerrini e Lorenzo Frignani. Ogni strumento ha le sue caratteristiche e il suo fascino ed è un vero piacere trovare per ogni brano la chitarra che lo valorizzi al meglio. A volte comunque in questo campo si tende ad esagerare: sinceramente credo che ogni strumento vada preso in considerazione per quel che è, per come suona, per le sue peculiarità, oltre, ovviamente, per il suo valore storico. Contesto alcuni luoghi comuni del tipo “le chitarre di oggi non suonano come quelle di una volta” o viceversa. Detta brevemente, non sono né un fanatico degli strumenti storici, anche ne sono rimasto profondamente affascinato, né un sostenitore di quelli moderni: credo semplicemente che nel passato, come nel presente siano esistiti ed esistano ottimi liutai.
Armando Carrara, Francesco Russo con una Gennaro Fabricatore, Lorenzo Frignani col figlio Eugenio, Franco Scozzafava, Francesco Taranto con una Carlo Guadagnini (foto fatta nell'ambito della manifestazione "La chitarra ed il violino nell'arte paganiniana" - Biblioteca Casanatense, Roma 28 febbraio 2009)
aggiungo due video (non presenti nell'intervista) realizzati con chitarre storiche
(primo tempo del CONCERTO RV 93 di Antonio Vivaldi eseguito su una Gaetano Guadagnini del 1826 restaurata da Davide Serracini http://www.serracini.it/image/restauro/restauro_guadagnini.pdf )
BOLERO di Juliàn Arcas su una Fernandez Silva dei primi del '900 restaurata da Isidoro Guerrini)
(nella pagina collegata sono presenti i video del mio DVD)
Che “cadenza finale” vuoi dare all’ intervista?
Chiudo con una massima. Il maestro D’Amario ci diceva giustamente che “prima di essere dei chitarristi dobbiamo essere dei musicisti”, frase che io ho così sviluppato: “Prima di essere dei chitarristi dobbiamo essere dei musicisti, ma ancor prima degli artisti e, in primo luogo, degli esseri umani”. Avrebbe fatto rima il termine umanisti ma non c’entrava nulla e poi… non è un proverbio, dai!
Madagascar (Nosy Be 2009)
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2 - di Francesco Russo a Giulio Tampalini (settembre 2012) *
Quando si è accesa nella tua vita la “scintilla” della chitarra?
Suono la chitarra fin dall’età di sette anni e per alcuni anni ho vissuto l’esperienza musicale come un gioco e ancora oggi ritengo che il “gioco” sia una delle attività più creative dell’uomo. Se parliamo della musica come ragione d’essere, come via preferenziale di conoscenza di sé, come esigenza di espressione e desiderio di lasciarsi impressionare dal flusso delle infinite voci del mondo, questa sensazione mi ha accompagnato a partire dall’età di quindici anni e non mi ha più abbandonato. La chitarra è stato il mezzo più raffinato, forte e brillante con il quale ho deciso di approfondire queste sensazioni.
Quali sono stati i tuoi maestri e cosa ti hanno dato?
I maestri che ho incontrato sono stati fondamentali e li ringrazio ancora per quanto mi hanno offerto. Vorrei ricordare il mio primo insegnante, il compositore Antonio Giacometti, che mi ha impostato mentalmente verso la passione e la curiosità del fare musica; in seguito ho studiato al Conservatorio a Brescia con Gianluigi Fia, che è stato capace di trasmettermi l’amore per l’oggetto stesso della chitarra, per il profumo del legno e la sensazione tattile delle corde sotto le dita. Dall’età di sedici anno ho studiato con Marco De Santi, che mi ha insegnato il percorso fondamentale attraverso cui la musica diventa esperienza di verità e trasformazione di sé e degli altri. Angelo Gilardino mi ha offerto la prospettiva di conoscenza della musica come tramite verso una dimensione profonda dell’esistenza. Rilevanti sono state anche le masterclass che ho frequentato: con il chitarrista svedese Magnus Andersson ho approfondito l’approccio stilistico verso la musica contemporanea, mentre Tilman Hoppstock mi ha indicato la via del virtuosismo musicale e l’estrema varietà delle opzioni interpretative; inoltre i contatti che ho avuto con Oscar Ghiglia e Dusan Bogdanovic mi hanno trasmesso da un lato la linea della fantasia, che dipinge immagini musicali realizzate pienamente nell’atto interpretativo e dall’altro la pienezza gioiosa e luminosa dell’atto musicale.
Come organizzi una seduta di studio?
Nel corso degli anni ho cambiato notevolmente il mio metodo di studio così come l’organizzazione complessiva della seduta giornaliera di lavoro. In età adolescenziale dedicavo la maggior parte della giornata alla tecnica, applicata ai brani che studiavo. Personalmente non ho mai considerato molto la tecnica pura, basata su esercizi astratti di semplice movimento ginnico delle dita, quanto piuttosto l’approfondimento delle difficoltà specifiche dei brani. Con ciò ho sempre cercato di raggiungere la padronanza necessaria per assecondare le mie idee, visto che non ho mai optato per un virtuosismo spettacolare fine a se stesso, quanto piuttosto per una traduzione fedele di quanto avevo in mente e che volevo esprimere. Una volta acquisita questa scioltezza, mentale più che fisica, ci si può dedicare, così come faccio da alcuni anni, agli aspetti puramente musicali del repertorio. Aggiungo che oggi, tra i vari impegni, le ore da dedicare allo studio sono certamente minori, quindi è fondamentale la capacità di ottimizzare al massimo il tempo a disposizione.
Ho avuto il piacere di ascoltarti in diverse circostanze e sono rimasto sempre colpito dalla qualità e dal volume del tuo suono. Ovviamente ciò è dovuto in gran parte alla tua “cavata” la quale però è evidentemente supportata da un ottimo strumento: ci puoi parlare della chitarra e delle corde che usi?
Lo studio che ho fatto sulla ricerca del volume sonoro è sempre stato teso ad ampliare al massimo la mia gamma dinamica, che sta alla base, insieme alle scelte agogiche e timbriche, del mio stile interpretativo. Grazie alla dinamica posso sottolineare i rapporti di tensione e rilassamento, le voci interne, l’azione e la ricezione, che stanno all’interno di ogni percorso e linea musicale.
Da alcuni anni suono una chitarra straordinaria che mi ha offerto la possibilità di ottenere un suono potente, ma che sa essere all’occorrenza molto raffinato, con un timbro ricco ed una proiezione in sala eccezionale. Il liutaio è l’inglese Philip Woodfield, oggi molto conosciuto in Gran Bretagna, e le sue chitarre mi hanno regalato soprattutto una grande serenità, perché sono in grado di assecondare le mie esigenze sonore senza perdere mai brillantezza. Anche i colleghi che hanno acquistato di recente i suoi strumenti sono rimasti ugualmente entusiasti dell’eccezionalità di queste opere d’arte. Uso corde D’Addario J45 Normal Tension, alternate a J46 Hard Tension
(Dionisio Aguado: Rondò op. 2 n. 2 http://www.youtube.com/watch?v=Yx7wOgal7Xg)
Sei mai stato “tentato” dagli strumenti storici, magari per la musica romantica?
Sono affascinato dagli strumenti storici per la loro capacità di ricreare l’atmosfera originale dei periodi ai quali si riferiscono; ascoltare Giuliani o Mertz su chitarre d’epoca è come mettersi di fronte ad un quadro sonoro autentico del mondo da cui le loro opere provengono. Bisogna considerare il fatto che per affrontare il repertorio su strumenti antichi è richiesto un approccio tecnico specifico, per esempio riguardo all’uso delle unghie, che difficilmente si intreccia con la tecnica moderna. Per questo motivo i migliori interpreti su strumenti originali sono specialisti del settore e io finora non ho mai suonato questi strumenti in concerto anche se spero vivamente di poterlo fare in futuro.
Da poco ti sei sposato e hai avuto Leonardo, un bellissimo bambino, come riesci a coniugare la vita frenetica del musicista con quella familiare?
Ho capito fin da giovane che la vita dell’artista solitario in giro per concerti non faceva completamente per me e credo di aver sentito sempre nel profondo l’esigenza di crearmi un nucleo familiare, un porto al quale fare ritorno dopo ogni esperienza musicale. Da un lato bisogna ammettere che la famiglia toglie un po’ di spazio al tempo dell’attività lavorativa, ma dall’altro mi offre una serenità eccezionale per affrontare gli impegni quotidiani e in questo quadro il rapporto con mio figlio, anche se è ancora all’inizio, rafforza ancora di più questa sensazione. Devo sottolineare che, affinché questi delicati meccanismi possano funzionare, bisogna avere accanto una persona, come mia moglie, che capisca e ami quello che faccio.
Cosa fai prima di un concerto?
Da quando studiavo a scuola da ragazzo penso di non essere mai arrivato completamente preparato ad un esame, così come è accaduto puntualmente ai concorsi di chitarra a cui ho partecipato, pertanto ho imparato a sfruttare al meglio le ultime ore, gli ultimi minuti prima di ogni appuntamento. Ancora oggi dedico la giornata del concerto a riprendere e approfondire il repertorio della serata, con la massima concentrazione e ottimizzando il tempo necessario. Poco prima di suonare mi capita di dormire per una mezz’ora circa in camerino, e spesso mangio qualcosa, in modo da avere le energie necessarie per affrontare la serata.
(Mario Castelnuovo Tedesco: Tarantella
http://www.youtube.com/watch?v=-2nH46BMFmE&feature=related)
Ho sempre apprezzato la tua versatilità, nei concerti infatti spazi tranquillamente in ogni periodo storico e non disdegni di suonare anche delle buone trascrizioni, ma ci sono degli autori con i quale senti di avere particolare empatia?
Sicuramente nella musica romantica e in quella del Novecento mi sento completamente a mio agio. Ritengo di possedere fondamentalmente due inclinazioni, la prima fortemente sentimentale e l’altra più esploratrice, pertanto dovunque riconosco queste componenti, riesco a muovermi con estrema naturalezza. Sono inoltre un appassionato di musica contemporanea, forse per via del rapporto diretto e personale che si può creare tra interprete e compositore, tanto che ogni anno inserisco nel mio repertorio almeno una decina di brani scritti di recente, che spesso eseguo in prima assoluta.
Nei tuoi concerti non sei nuovo a trovate di grande interesse come quella di presentare un ventaglio di brani facendo di volta in volta scegliere al pubblico quale suonare; mi sembra questo un buon espediente per avvicinare ascoltatore e interprete, elemento questo che, a differenza di quello pop o jazz, forse è stato lacunoso nel mondo classico, cosa ne pensi a proposito?
Sono sempre attento alle reazioni del pubblico mentre suono in concerto e, se è vero che da un lato ogni artista sul palco deve dimenticarsi del pubblico per entrare in contatto profondo con la musica che propone, d’altro canto credo sia sbagliato eliminare mentalmente uno dei protagonisti dell’atto stesso del momento concertistico, cioè la gente presente in sala. La riuscita di un concerto dipende sempre da tre fattori: una buon contenuto musicale, una valida lettura da parte dell’interprete e una ricezione attiva da parte del pubblico. Se viene a mancare uno di questi elementi, il prezioso momento dell’offerta musicale non ha luogo e perde il suo valore profondo.
Per tutte queste ragioni vivo con attenzione ciò che accade intorno a me mentre suono e non esito a cambiare repertorio se la serata lo richiede, o addirittura propongo al pubblico stesso di scegliere ciò che desidera ascoltare.
Un’adeguata presentazione e una maggior semplicità possono giovare a fare apprezzare appieno i contenuti della musica classica ed è cosa ormai abbastanza usuale, sempre gradita al pubblico, notare musicisti che descrivono, prima di suonare, le caratteristiche dei brani che stanno per eseguire.
(Francisco Tárrega: Variazioni sul Carnevale di Venezia
http://www.youtube.com/watch?v=UwSWXjOg0Gs&feature=player_embedded#!)
Tra i tuoi tanti pregi apprezzo particolarmente la disponibilità, l’umiltà e l’intelligenza: non ti fai mai coinvolgere dalle polemiche, quando suoni non ti chiedi “da chi” è organizzato il concerto, voli sempre “sopra le nuvole” e questo ti fa onore, cosa ne pensi a proposito?
Ti ringrazio del giudizio generoso, a tal proposito vorrei risponderti che, vivendo ogni anno a contatto con tanti amici e organizzatori, noto anch’io in alcune occasioni la presenza di giudizi inutilmente avversi riguardo a colleghi o altri operatori del settore. Pur comprendendo le ragioni di tali opinioni, cerco anche di capire istintivamente le possibili ragioni dell’altra parte, e sono portato a credere che un maggior equilibrio e senso di collaborazione gioverebbe di più a tutti.
Come nota di colore, aggiungo che probabilmente anche il mio passato da sportivo a livello agonistico – ho giocato per anni a calcio - mi ha trasmesso l’idea che solamente una squadra unita e animata da un comune obiettivo risulta vincente, visto che le individualità da sole non bastano a garantire la vittoria.
Leggo dei tuoi numerosi concerti in tutte le parti d’Italia ma ti sei esibito poco all’estero, come mai? Quando pensi di intensificare l’attività internazionale?
I paesi all’estero in cui mi esibisco con una certa regolarità durante l’anno sono l’Inghilterra, dove ho un’attività fissa di concerti e masterclass ogni anno e la Germania, per il resto si tratta di appuntamenti più occasionali. Sicuramente vorrei sviluppare l’attività all’estero nei prossimi anni e ritengo che sia i nuovi dischi, sia i concerti e ulteriori progetti miglioreranno la mia presenza in Asia e America. Molti mi hanno detto che rappresento efficacemente, accanto ad altri validissimi miei colleghi, un modello musicale tipicamente italiano, frutto di un intreccio tra portamento della melodia, temperamento e fantasia, e noto ogni volta all’estero quanto ciò sia accolto con immenso entusiasmo in tutti i luoghi in cui mi esibisco.
Una caratteristica che hanno le tue interpretazioni è quella di non buttare mai nessun suono “lì” ma ogni nota ha una precisa collocazione stilistica e formale e riesci a creare sempre rinnovato interesse in chi ti ascolta. Ovviamente dietro si vede che c’è un grosso lavoro ma hai qualche segreto per far sì che ciò avvenga nell’ambito dell’intero concerto?
Direi che la tensione ideale che mi spinge a dare un senso ad ogni nota e ad ogni passaggio, abbia a che fare soprattutto con una tendenza che possiedo di immaginare la musica ancor prima di suonarla.
La prima cosa che avverto, prima di eseguire ogni singola nota, è una delle infinite voci che stanno dentro a quel suono, il canto di un violino, la voce di una cantante, la polifonia di un quintetto di fiati o di un’orchestra, oppure anche una serie di immagini molto vive, concrete o astratte, che si rivelano alla fine nel suono della chitarra.
L’interprete deve essere in grado di creare queste variegate visioni sonore per trasportarci in una dimensione artistica in cui ci dimentichiamo dello strumento e veniamo conquistati solamente dalla musica pura. Per riuscire a mantenere questo flusso sonoro-emozionale nell’arco di un intero concerto, mi rifaccio a quanto detto sopra, facendo appello cioè a tutta la mia sensibilità anche verso l’atmosfera in sala durante i concerti.
Tra le molte incisioni che hai fatto a quale sei più affezionato?
Considero tutti i miei dischi come belle fotografie musicali di un momento o di un periodo, e, in quanto tali, dedico a loro affetto e una specie di nostalgia da album dei ricordi. Anche dopo poche settimane, ogni registrazione riguarda per me qualcosa di passato, verso cui provo interesse e amore, ma che raramente riascolto in seguito.
Capisco bene gli interpreti che a distanza di qualche anno decidono di registrare nuovamente lo stesso programma su CD e a questo punto mi verrebbe la tentazione di fare a qualcuno la proposta di sapore “morandiano” – forse mai realizzata fino ad ora - di incidere lo stesso programma su CD ogni anno, per venti o trent’anni, in modo tale da notare la lenta e continua evoluzione dell’interpretazione negli anni.
(È possibile ascoltare e scaricare liberamente il file mp3 del brano “Estudio sobre una sonatina de Alard” contenuto nel doppio CD “Francisco Tárrega Integrale delle opere per chitarra”, per il quale il Convegno Nazionale di Chitarra di Alessandria nel 2003 gli ha conferito il premio “Chitarra d'oro” come miglior disco di chitarra dell’anno) MP3
Ho visto il bel dvd su Villa-Lobos, molto ben curato, pulito e “sentito” però devo riscontrare che dal vivo riesci a trasmettere emozioni che probabilmente in sala d’incisione vengono filtrate, sbaglio?
La tua domanda centra uno dei punti essenziali riguardanti le registrazioni musicali: spesso le idee e le emozioni che in una esecuzione dal vivo fluiscono spontanee rischiano di venir frenate dal mezzo tecnologico, microfono o telecamere. Personalmente nelle registrazioni audio sento di aver raggiunto un buon livello di naturalezza rispetto al mezzo tecnico, parlando invece dei video in studio come quello a cui fai riferimento, ho dovuto prestare grande attenzione alla pulizia dei suoni, vista l’impossibilità di correggerli in fase di editing, e ciò può aver filtrato un po’ di spontaneità. Per i video preferisco comunque di gran lunga le esecuzioni “live” in concerto, con tutta la loro carica di freschezza.
(Villa-Lobos: Studio n. 11 http://www.youtube.com/watch?gl=IT&hl=it&v=cpXowkU0ma0 )
Nonostante il tuo “classicismo” sei sempre ben disposto verso il “nuovo”: ti si può contattare su Facebook, hai molti video su Youtube, hai un bel sito, fai concerti e lezioni via web, di recente ho assistito ad un tuo concerto via web in mondovisione, quindi non credi, come pensano molti, che le nuove tecnologie siano solo nocive alla cultura e alla vita in generale?
Oggi è impossibile prescindere dall’uso delle tecnologie, viviamo in un’epoca in cui l’homo sapiens sta evolvendo rapidamente verso la figura dai tratti ancora misteriosi dell’homo informaticus. Questo contesto ibrido tra realtà concreta e proiezione virtuale possiede alcuni svantaggi, come ad esempio la perdita del contatto personale “in carne e ossa” tra le persone, ma aumenta in modo esponenziale il nostro raggio di comunicazione. Ricordo quanto fosse difficile, solo pochi anni fa, accedere a dischi, registrazioni, spartiti di ciò che riguardava i chitarristi nostri colleghi o nostri idoli. Oggi tutto questo è enormemente migliorato, non c’è dubbio. Anche riguardo ai concerti, esistono piattaforme come Youtube in grado di proiettarci nel mondo o di seguire gli artisti che amiamo, senza che ciò impedisca, se lo vogliamo, di prendere un treno o un aereo – magari un “modernissimo” low cost – per recarci personalmente sul luogo del concerto.
Prendiamo ad esempio Facebook, che oggi spopola a livello planetario: se è vero, come affermano alcuni, che questo portale sta ridisegnando lo stile dei nostri rapporti interpersonali, rendendoli in parte più effimeri e superficiali (così come i nostri giudizi che sempre di più si limitano ad un “mi piace” o “non mi piace”) dall’altro lato esso non ci impedisce di uscire di casa e avere ampie e serene relazioni con i nostri parenti, amici e vicini di casa.
Alla fine il mio giudizio riguardo alle tecnologie informatiche applicate alla musica e alla vita è assolutamente e incondizionatamente positivo.
Ti ringrazio per la disponibilità che anche in questa circostanza hai dimostrato, e per salutarci ti chiedo, come da canone, dei “progetti futuri” e/o dei “sogni nel cassetto”: vuoi parlarcene o per scaramanzia preferisci evitare?
I progetti sono sempre tanti, sia in ambito familiare che musicale, comunque dal punto di vista professionale vorrei realizzare alcune idee discografiche a cui tengo particolarmente, ampliare le occasioni in Italia e all’estero in cui presentare la mia musica e infine incrementare le mie posizioni di insegnamento (sia stabili che masterclass) per approfondire gli incontri con tutti i mie allievi, considerando che il campo della didattica negli ultimi anni mi sta appassionando molto.
(M.M. Ponce Lesson by Giulio Tampalini http://www.youtube.com/watch?v=GqbOoYnDRsM)
* L’intervista è stata effettuata per via telematica. Le foto, i file audio e i collegamenti video sono stati inseriti di comune accordo con lo stesso Tampalini.
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3 - Intervista di Francesco Russo a Davide Serracini
Come nasce la tua passione per la liuteria?
Fin da quando ero bambino mi piaceva lavorare il legno con utensili di fortuna, ma senza alcuna competenza. Un giorno sono entrato nella bottega di un liutaio per fare riparare la mia chitarra cui si era rotta la paletta e sono rimasto letteralmente folgorato. Al tempo frequentavo all’università la facoltà di ingegneria meccanica. Solo qualche anno dopo ho trovato il modo per concretizzare quella passione nata improvvisamente trasferendomi a Milano per frequentare la Civica Scuola di Liuteria
Credo che alla base del lavoro che ti sei scelto entri molto il rapporto con il legno. Cos’hai da dire a proposito? Quali sono i legni che preferisci per la realizzazione delle tue chitarre?
Il legno è un materiale eccezionale, mi ha sempre dato l’idea di poterci fare qualunque cosa e la costruzione di uno strumento musicale è il modo migliore di utilizzarlo. Una chitarra è composta di vari tipi di essenze di legno, ognuno con uno scopo preciso. Per la tavola armonica uso l’abete rosso o il cedro che scelgo personalmente presso vari fornitori in base al colore, al tipo di venatura, alla sensazione tattile, alla sonorità, al peso. Fondo e fasce delle mie chitarre sono prevalentemente in palissandro indiano o del Madagascar. Più raramente utilizzo acero e cipresso che pure danno ottimi risultati. Per i manici prediligo il mogano kaya, ma spesso uso anche la cedrella se voglio uno strumento più leggero. La tastiera è sempre di ebano e il ponticello di palissandro indiano.
Ti sei diplomato alla Civica Scuola di Liuteria di Milano, che ricordo hai di quell’esperienza e degli insegnanti?
Ho un ricordo bellissimo. L’ambiente della scuola è stato per me l’ideale, ho potuto imparare e lavorare nelle migliori condizioni. Ogni giorno ero contento di frequentare le lezioni come non mi era mai capitato in tutte le altre esperienze scolastiche. Tutti gli insegnanti delle varie materie sono altamente qualificati, non lo dico per circostanza, e non è stato difficile avere anche un buon rapporto umano, tanto che con alcuni si è instaurato un vero e proprio rapporto di amicizia.
I liutai sino alla fine del Novecento si formavano quasi esclusivamente nelle botteghe di altri liutai (fatte le dovute eccezioni): che differenze riscontri rispetto a chi, come te, si è formato in una scuola?
Credo che la scuola offra un percorso molto importante per chi vuole imparare la liuteria. Da un lato è molto professionale perché la maggior parte delle ore sono dedicate da subito alla pratica in laboratorio, dall’altro offre la possibilità di approfondire gli elementi teorici, storici e scientifici. Sicuramente dopo la scuola è molto utile, avendone la possibilità, frequentare la bottega di un professionista che è l’unico che possa insegnare a realizzare concretamente degli strumenti, a organizzare il lavoro in modo da ottimizzare tempi, costi e metodi di costruzione.
C’è una cosa molto preziosa che la scuola solamente può dare: lo scambio di idee e informazioni durante tutte le attività tra insegnanti e studenti. Condividere il laboratorio con 5-15 persone è un’ esperienza che arricchisce molto.
Ho notato una certa evoluzione nei tuoi strumenti: inizialmente erano più essenziali poi via via sono diventati sempre più rifiniti. Oltre a questa differenza più di carattere estetico, che tipo di evoluzione c’è stata?
E’ naturale che col tempo si diventi più precisi nelle rifiniture, cosa che si ripercuote automaticamente anche sulla parte funzionale dello strumento. D’altra parte ho sviluppato anche un progetto personale per migliorare le caratteristiche tecniche delle mie chitarre. Sono partito dal progetto di Hermann Hauser purché mi piace la semplicità e la sua idea di chitarra che ho potuto interpretare. Grazie al parere di alcuni chitarristi che hanno provato i miei strumenti ho cercato di capire il rapporto tra progetto costruttivo e risultato sonoro, che è un problema estremamente complicato. Ho provato a migliorare i miei strumenti facendo piccole modifiche graduali al progetto originale. Non che abbia la presunzione di dover migliorare il progetto di Hauser, ma piuttosto trovare la mia strada e migliorare le mie chitarre, non le sue.
Partecipi spesso a mostre e manifestazioni di liuteria, trovi queste esperienze utili?
Le mostre sono molto importanti e mi hanno permesso di conoscere la maggior parte dei musicisti e colleghi liutai che oggi frequento. Più che essere un’opportunità per vendere, sono un modo per farsi conoscere e un momento importante di confronto con chitarristi e liutai. Detto questo, devo anche constatare che purtroppo spesso si rivelano una delusione perché i visitatori sono pochi, ci si annoia e c’è il rischio di perdere soldi e tempo prezioso.
E’ difficile organizzare una mostra e far muovere le persone, ma a volte manca da parte degli organizzatori un’attenzione verso noi liutai che alla fine diventiamo gli sponsor e basta
Cosa pensi a proposito degli strumenti storici? Hai fatto diversi restauri di strumenti importanti: hai avuto la stessa gratificazione che hai nel costruire i tuoi o il restauro è per te meno stimolante?
Credo che siano fondamentali per capire la liuteria. Facendo alcuni restauri di chitarre importanti come Guadagnini, (ecco la relativa scheda)
Panormo, Staufer, ho potuto avere la sensazione di entrare nella mentalità di quei liutai, cercare di capire alcune tipologie costruttive. Restaurare uno strumento importante è molto stimolante perché si possono imparare cose nuove.
È sempre emozionante far suonare uno strumento costruito cento o duecento anni fa ma probabilmente la costruzione di un mio strumento sarà sempre più gratificante.
Tu stesso hai realizzato diverse chitarre romantiche su modelli Johann Georg Staufer e René La Cote, secondo te il risultato sonoro si avvicina agli strumenti originali?
Credo che il suono sia abbastanza vicino, io ho cercato di utilizzare legni simili ed essere fedele il più possibile al disegno di questi strumenti. Ho cercato inoltre di trovare le corde giuste, che forse è la cosa più importante per potersi avvicinare alle sonorità originali. Il problema è che usare corde di budello oggi non è facile, sono molto costose, durano poco, non si possono perciò utilizzare quotidianamente, magari solo in certe occasioni.
Prima di iniziare la tua avventura nel mondo della liuteria hai frequentato la facoltà di ingegneria meccanica: trovi che quegli studi siano poi serviti al tuo lavoro?
Ho trascorso sei anni alla facoltà di ingegneria, ho dato quasi trenta esami fra vecchio e nuovo ordinamento (visto che mi sono trovato in mezzo alla riforma universitaria). C’erano molte materie che mi hanno appassionato. Ho assimilato bene importanti concetti di fisica, chimica, matematica e meccanica che utilizzo per affrontare ogni giorno le questioni che amo risolvere. Mi piace cercare problemi e trovare soluzioni tecnico-scientifiche. Una certa dimestichezza con alcuni software che usavo in facoltà hanno facilitato la realizzazione di alcuni rilievi di strumenti che ho realizzato, come quello della Panormo del 1844
Foto dal sito http://www.iror.it/pubblicazioni/disegni/chitarra_panormo.htm
Oltre a strumenti classici costruisci anche diverse chitarre cosiddette acustiche (folk), c’è un mercato fiorente anche in quella direzione?
Per adesso sono all’inizio, ma sembra che possa essere una buona opportunità. A me piace perché è un ambiente nuovo e molto diverso da quello della chitarra classica e la diversificazione di sicuro porta nuove esperienze e insegnamenti. Senza esagerare naturalmente, non si possono costruire chitarre classiche acustiche, mandolini, violini, etc.. e mantenere il massimo livello in ciascuno.
È proprio con uno strumento folk che hai vinto il premio “Liutaio dell'anno” al A.D.G.P.A. GUITAR INTERNATIONAL RENDEZ-VOUS 2010 che ti ha dato la possibilità di partecipare al Festival guitare Issoudun il 28-30-31 ottobre in Francia: cosa ti è rimasto di queste esperienze?
E' stata una bella esperienza oltre che una piccola soddisfazione per il premio. Ho avuto la possibilità sia di conoscere musicisti interessanti e un ambiente per me nuovo, quello della chitarra acustica francese, sia di confrontarmi con altri liutai. Mi piace sempre scoprire liutai più bravi di me, è molto stimolante. Allo stesso tempo ho potuto misurare il mio lavoro e capire, dai complimenti ricevuti, di aver fatto scelte giuste.
foto dal sito http://www.adgpa.it/la_convention.htm
Hai costruito e restaurato anche diversi mandolini, continua ad interessarti a questo strumento?
Al mandolino mi sono appassionato molto durante la scuola e nel periodo immediatamente successivo. Poi gradualmente l’ho un po’ trascurato perché da queste parti il mercato del mandolino è quasi inesistente. Contemporaneamente è cresciuto il mio interesse a favore della chitarra classica ed acustica e la necessità di specializzarmi sempre più. Tuttavia quando capitano dei bei mandolini da restaurare gli dedico la massima cura.
Copia di un mandolino di P. G. DeSantis del 1888 Copia di un mandolino di G. B. Maldura del 1898
Per concludere, quali principi adotti per la costruzione delle tue chitarre e quali peculiarità presentano?
Costruisco le mie chitarre utilizzando il metodo cosiddetto “alla spagnola”, quindi la chitarra prende forma su una solera (controforma esterna) su cui viene montata e ogni pezzo è lavorato esclusivamente a mano con l’aiuto di poche macchine elettriche semplici.
Alla fine la mia chitarra classica è uno strumento di circa 1,5 kg, quindi non troppo pesante.
La tavola armonica ha uno spessore non troppo sottile per durare nel tempo ed avere un buon sostegno ed equilibrio relativamente al suono. Manico e tastiera sono modellati per la massima comodità e per avere un assetto delle corde molto basso.Il manico può essere anche sottile perché rinforzato con delle barre di carbonio interne, mentre la tastiera è leggermente bombata. La verniciatura può essere fatta a gommalacca data a tampone, ad acrilico oppure mista acrilico gommalacca (in tal caso la gommlacca viene data solo sulla tavola armonica) Attualmente sto usando molto la vernice acrilica perché da’ ottimi risultati sonori, è sottile ed elastica (quindi asseconda molto i movimenti del legno), ha un’ottima trasparenza ed è molto resistente agli urti e al contatto con la pelle. La gommalacca rimane sempre una vernice eccezionale per caratteristiche acustiche ed estetiche, ma è molto delicata e richiede più manodopera.
C’è un insegnamento prezioso proveniente dai miei maestri di liuteria che mi torna sempre in mente quando lavoro: si può sempre spostare un po’ più in là il proprio limite, il limite di quello che si crede sia possibile fare. Perciò, grazie anche ad una grande pazienza, so che posso sempre migliorare.
Copia di una chitarra Georg Staufer 1829 CLASSIC Gran Concert Modello Martin
http://www.serracini.it/mainframe.htm
Laboratorio: Via Bologna, 17 - 00043 Ciampino (RM)