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CAPITOLO 6
NEI BRONCHI DI ARES


X

Sul vecchio tavolo c'era solo una fioca luce, sospesa pochi centimetri sopra ad esso, come una sorta di lucciola sfocata e tecnologica.
Il luogo rimaneva per la massima parte nell'oscurità, ma i volti restavano visibili.
- Mi devo congratulare con te, adepto Stuart, per come hai portato a termine nel migliore dei modi una missione irta di difficoltà. -
- Vi ringrazio, ma raggiungere gli obiettivi che voi mi avete imposto è semplicemente il mio dovere. -
- Fammi vedere la tuta. -
Un braccio del ragazzo scomparve nell'ombra e riemerse con la valigia porta tuta. L'aprì ed un'espressione di velata soddisfazione comparve sul volto della sacerdotessa. Lei disse - D'accordo. - E lui la ripose, e le chiese cosa mai potesse servirle una tuta spaziale su Marte.
- Dobbiamo entrare - rispose - in quella che io ritengo essere una camera sigillata, entro la quale potrebbe essere intrappolata una bolla di atmosfera marziana del periodo rosso. -
- Una caverna sotterranea? -
- Sì, adepto Stuart. -
- Perché vorreste entrarvi? -
- Questo te lo spiegherò quando avrai portato a termine la missione che sto per affidare a te e ad i tuoi due attendenti. -
- Ora non siamo più militari, non hanno più la qualifica di attendenti. -
- Non fa nulla, è più importante la missione di come vi debbo chiamare. -
- Avete ragione, Grande Sacerdotessa. - E istintivamente prese una posizione molto vicina all'attenti. - Cosa dobbiamo fare? -
- Dovrete seguire ogni mossa dei tre marziani che avete portato qui, più un quarto di nome Brian Deacon. Voglio che voi sappiate cosa mangiano, cosa dicono, come si vestono, a che ora si coricano. Dovrete riferirmi tutto questo e, soprattutto, dovrete avvertirmi immediatamente, con la massima priorità, quando queste persone decideranno di recarsi su una loro proprietà, localizzata nell'altopiano ad ovest di Aphrodite. Su questo terreno c'è un grosso edificio non terminato, ed è molto probabile che vi si riferiscano chiamandolo con un nome tipo "la torre", "il bastione" o qualcosa di simile.
Inoltre, quando decideranno di andarci, è probabile che portino con loro le proprie quattro - disse quella parola con disprezzo - tute spaziali. -
Stuart si avvicinò alla Sacerdotessa, le ombre deformando mostruosamente il suo volto. - La caverna è sotto quel terreno? -
- Sì, adepto Stuart, e noi non possiamo permettere che dei non adepti entrino là sotto prima di noi. -
- Ho capito. -
- Ricordati, questa missione ha la priorità assoluta, non potete permettervi di lasciarvi sfuggire quei quattro. Se riuscirete, tu sarai un mio consigliere, altrimenti, verrete banditi dal Tharsis, e da ogni futuro governo marziano. Non ammetterò fallimenti, per questa operazione. -
- Sacerdotessa, vi posso assicurare che questa nuova missione verrà portata a termine con lo stesso impegno e la stessa cura delle precedenti. -
- Ne sono sicura. Hai domande da fare? -
- Più che altro, avrei da rivolgervi una richiesta. -
- Di cosa si tratta? -
- Vorrei che faceste in modo di portare mia moglie qui su Marte. Non sa neanche che io sono qui sano e salvo, credo sia convinta, come il resto della Luna, che la navetta prigionieri sia esplosa per un'avaria. -
- Non lo farò. Tutt'al più avvertirò l'adepta Stuart che tu sei qui. -
- Perché non lo farete? La Luna è capitolata sotto il governo europeo. Temo per la sua incolumità. -
- Adepto Stuart. Vostra moglie è un agente dell'Ordine Teutonico dei Cavalieri del Gran Tempio di Marte? -
- Sì signora. -
- E' un agente valido? -
- Uno dei migliori. - Disse con orgoglio.
- E la Luna è una zona critica, a tutt'oggi? -
- Di sicuro, Grande Sacerdotessa. -
- E allora, quale miglior posto per l'adepta Stuart di dimostrare il proprio valore contribuendo alla nostra causa?
Sulla Luna correrà di sicuro dei pericoli, come tu ne hai corsi per venire qui su Marte. Ciò non toglie che tu, come lei, vi dedichiate anima e corpo per far grandi noi templari e per rendere libero Marte. Credimi, sarà molto più soddisfatta di contribuire alla nostra causa lì sulla Luna, direttamente contro gli europei, piuttosto che qui su Marte, dove il suo valore sarebbe sprecato. D'altra parte capisco anche la tua apprensione, adepto Stuart. Capisco che lasciare la propria moglie a milioni di chilometri di distanza, su un altro pianeta, dove lei rischia la vita, sapendo per giunta che lei ti crede morto, sia fonte di preoccupazione per te. A questo io prenderò provvedimento.
Farò in modo che lei abbia notizie di te e della tua missione. Allo stesso modo farò anche in modo che qui su Marte giungano regolarmente sue notizie. D'accordo? -
- Sì Sacerdotessa, grazie infinite per il vostro aiuto. Vi prego di scusare i miei sciocchi dubbi. -
- Sei perdonato, ma ora, non perdere tempo. Sono oltre trenta minuti che abbiamo perso di vista Bulsara, Deacon, May e Taylor. Ritrovali. -
- Sarà fatto. -


XI

Intorno al tavolo c'erano le sei poltrone. Una era vuota. Su cinque si trovavano Deacon, i suoi amici e Leiber. Sul cristallo erano posati alcuni bicchieri, qualcuno pieno, qualcun altro no.
Avevano parlato a lungo. I tre astronauti avevano raccontato il loro travagliato viaggio, mentre Deacon aveva spiegato cosa fosse accaduto su Marte, come avesse conosciuto Erika e la Sacerdotessa e quale fosse la posizione di Leiber all'interno della setta.
- Perfetto. - Disse May. - Sembra che tutte le nostre difficoltà siano nate dopo che tu hai partecipato all'asta per acquistare il terreno della torre. Hai anche detto che sei andato lì sotto e ne sei uscito sconvolto. Giusto? -
- Sì. -
- Ora, ti degneresti finalmente di dirci che cos'hai trovato? -
- Certo, avete ragione. - Chiuse gli occhi, per richiamare alla memoria quei giorni. Gli risultava difficile parlarne, anche davanti a loro quattro. - Avete presente il terreno che ho acquistato? -
- Sì. - Fu la risposta paziente dell'uditorio.
- Sapete che c'è una torre non terminata su quel terreno. - Deacon stava riallacciando i fili del discorso, era molto concentrato.
- Ce lo hai già detto. -
- E vi ho detto anche che sono stato in quella torre, ma non vi ho detto che laggiù ho trovato un corridoio che portava ad una grotta sotterranea. -
- Proprio sotto la torre? - Chiese Taylor.
- Proprio sotto. -
- E molto grande? -
- Abbastanza, è una specie di tunnel di un sei o sette metri di diametro. -
- Strano, il rilievo geologico non ne segnalava a meno di cinque cento metri dall'edificio, e dovrebbero essere anche molto piccole, più di quella che tu hai visto. -
- Lo so, ma allo stesso modo quel terreno dovrebbe essere privo di ogni valore minerario e resistente. Tuttavia tu dici che lì sotto ci sono filoni d'oro e il terreno ha ceduto sotto il peso della costruzione. Come te lo spieghi questo? -
- Evidentemente l'analisi geologica che ha fatto fare l'altro - alludeva a Simâck - è completamente sballata. -
- La domanda allora diventa un'altra. Perché quell'analisi ha dato dei valori del tutto errati? -
- Di questo non ne ho la minima idea, dovrei io fare delle analisi accurate. -
- Non ce ne sarà bisogno, perché credo di avere la risposta, se avrete la pazienza di seguire tutto ciò che ho da dirvi. -
- Continua. -
- Ora, come vi ho già detto, sono entrato in questa grotta. Incuriosito l'ho esplorata. In fondo vi ho trovato una camera di equilibrio. -
- Una camera d'equilibrio? - Chiese Bulsara poco convinto.
- Sì, come ce ne sono sulla Europe, uguale. -
- Non parliamo della Europe, per favore. - May non sopportava l'idea di averla persa in quel modo.
- D'accordo. Comunque, trovai molto strano incontrare una camera d'equilibrio nelle profondità del Tharsis. E in quel momento decisi che avrei dovuto assolutamente scoprire cosa si celava dall'altra parte delle due porte stagne. Per scoprirlo avevo però bisogno di tempo, e la torre stava per essere abbattuta. Ho chiesto quindi ad Erika di darmi il detonatore e - Rivolto a lei, con una punta d'ironia - gentilmente hai acconsentito alla mia richiesta.
Lì sotto, invece, ho preso la chiave della camera. - Dicendo questo tirò fuori l'inconfondibile tipo di chiave mettendola bene in vista, prova ineluttabile che effettivamente Deacon aveva trovato da qualche parte una camera d'equilibrio. - Poi ho tolto la vecchia parola d'ordine e l'ho sostituita. -
- Curioso. - Disse May. - Sia chiave che parola d'ordine, è raro che vengano usate entrambe. -
- Tuttavia è successo, e non senza motivo. -
- E quale sarebbe questo motivo, Brian? -
- Ora ci arrivo. - Deacon voleva ricostruire l'intero mosaico davanti a loro, per rendere accettabili le sue conclusioni. - In quella camera c'era anche uno schermo dotato di memoria autonoma. Ho frugato un po' nella memoria, una volta che con la parola d'ordine ho avuto accesso. -
- Come hai fatto a trovare la parola d'ordine? -
- In effetti, come avrei avuto modo di apprendere dalla memoria dello schermo, avevo solo una possibilità, se avessi sbagliato tutto il sistema si sarebbe bloccato per sempre. Avevo sospettato un simile mezzo di difesa, ed infatti ero molto titubante nel rispondere. Tuttavia mi è bastato solo un po' di buon senso. -
- Era una domanda, non un semplice codice? -
- Sì. -
- Qual era la domanda? -
- "Dov'è nata la vita intelligente" o qualcosa di simile. -
- E la risposta? -
- L'ho detto, bastava un po' di buon senso. La risposta era "Terra". Ma torniamo a noi. Nella memoria dello schermo sono registrati alcuni discorsi del vecchio proprietario, rivolti a chi avesse voluto entrare. Si chiamava Enoch, era un minatore ed ora è morto. La versione ufficiale parla di suicidio. -
- Non è così? -
- Lasciate che vi dica cosa dicevano quei monologhi, poi voi ne trarrete le vostre conclusioni.
Da quello che dice, la grotta la scoperse solo dopo che il terreno cedette. Fece fare delle analisi del suolo, ma non si riusciva a capire il motivo del cedimento. Enoch era però un uomo testardo, e per di più notevolmente ricco. -
- Il ritratto del perfetto commerciante d'acqua. -
- Sì, John. Ora, questo minatore voleva capire, ad ogni costo, cosa avesse provocato quel cedimento, quindi fece fare delle trivellazioni con delle sonde. -
- Cosa scoprirono? -
- Una caverna, ad una trentina di metri di profondità, di dimensioni gigantesche, proprio sotto la torre. La volta aveva parzialmente ceduto sotto il peso della nuova costruzione, provocando così il famoso cedimento. Nella caverna, sigillata non ostante tutto, resta un'atmosfera marziana del periodo due. Gli operai hanno avuto la cura di impedire contaminazioni tra la grotta e il mondo esterno anche quando hanno usato la sonda. Tra l'altro, proprio grazie a quella sonda Enoch riuscì anche ad avere delle immagini della camera sotterranea, e ne rimase tanto colpito che fece togliere armi e bagagli all'esterno e tappare il buco.
Questo però all'esterno, perché all'interno fece costruire quella camera d'equilibrio.
Ora, voi dovete sapere che appena lui ebbe comprato il terreno, prima ancora che fosse cominciata la costruzione della torre, ebbe la sventura di conoscere la Grande Sacerdotessa. Da quello che si deduce dai monologhi di Enoch questa gli fece un discorso delirante di alieni, ma voi già ne sapete qualcosa, no? Insomma, in parole povere lei gli ha chiesto di venderle il terreno perché sotto c'erano rovine extraterrestri.
Inutile dire che, con garbo, lui declinò la proposta della Sacerdotessa, anche se erano molto vantaggiose. La registrazione dice che lei gli aveva offerto qualcosa come mezzo milione. -
- Perché mai allora ha rifiutato? -
- Era un minatore, non era povero e non aveva bisogno di denaro per vivere, e quindi si poteva permettere di seguire progetti che non fossero solo a fine di lucro.
Quella torre, da quanto ho capito, era il sogno della sua vita, per questo non ha venduto. -
- Avrebbe potuto vendere dopo il crollo. A quel punto il sogno era in frantumi comunque. -
- Prima voleva trovare la causa del crollo, per soddisfazione personale. -
- E dopo averla trovata? -
- Ciò che ha trovato nella caverna... Non voleva assolutamente venderlo, sopra ogni cosa ad una pazza come la Sacerdotessa. Anzi, se avesse potuto si sarebbe portato tutto il terreno nella tomba solo per darle un dispiacere. I templari si erano fatti però più minacciosi, col passare del tempo. Prima avevano fatto in modo di mandarlo in rovina, poi erano arrivate persino minacce di morte. -
- A quel punto però gli sarebbe convenuto cedere alle pressioni e vendere, no? -
- Infatti, questo è un punto abbastanza oscuro nella vicenda. Forse non voleva vendere per orgoglio, o forse credeva di essere un personaggio scomodo e che, in ogni caso lo avrebbero ucciso, anche se avesse venduto. -
- Perché, anche se avesse ceduto? -
- Perché - intervenne Leiber - forse aveva intuito i lati peggiori della personalità della Sacerdotessa, e aveva pensato che agli occhi di lei era solamente un intralcio, da spazzare via, annientato, per pagare i fastidi che aveva creato alla setta.
Non mi potrò mai perdonare di essere stata sua complice. -
- Non ne parliamo, Erika, l'importante ora è che tu riesca ad uscire dalla congregazione. E al diavolo la Costituente e tutto il resto. - Disse Brian, prendendole la mano.
- Hai ragione. -
- Comunque, Simâck... -
- Chi? -
- Enoch. Dicevo, non voleva nascondere ogni traccia della sua scoperta. Per questo mise la parola d'ordine, in modo che chi e solo chi avesse risposto con buonsenso "Terra" avrebbe avuto a disposizione la chiave e avrebbe potuto entrare. Se un templare avesse scoperto la camera d'equilibrio avrebbe quasi certamente risposto "Marte" bloccando il sistema, ma, come poi ho scoperto dalle registrazioni, dare la risposta sbagliata avrebbe fatto saltare in aria l'intero condotto, dalla camera d'equilibrio alla torre. -
- Saltare in aria? -
- Sì, Simâck l'aveva fatto minare e aveva collegato le bombe alla porta stagna. -
- L'hai scampata bella. -
- Lo so, quando vi ho mandato il messaggio ero scosso anche perché sapevo cosa avevo rischiato. -
- Sì, va bene, ma perché la grotta non viene rilevata? - Chiese Taylor.
- Perché è stata fatta apposta per non poter essere rilevata. -
- Cosa vuoi dire? -
- Che la grotta è artificiale, perché purtroppo, per pazza che possa essere, la Sacerdotessa, al meno su un punto ha ragione. -
- Mi dispiace Brian - disse May - ma non ti seguo. -
- Mettendo da parte per un momento il nostro buon senso, lì sotto c'è roba aliena. -
Frederick batté un paio di volte le palpebre. - Va bene, adesso ci puoi dire a quali conclusioni sei giunto, veramente? -
- Non mi credi? -
- Ammetterai che è un po' difficile pensare che in giro per Marte ci siano dei manufatti alieni che vengono sistematicamente nascosti. -
- Lo so, è pazzesco. - Si fermò un secondo, poi con più vigore. - Ma come altro spieghi quello che ci è capitato da quando ho comprato il terreno? I pirati, i lunari, i templari? I governi stanno tentando di seppellire definitivamente le rovine marziane, magari uccidendo chi ne è vagamente a conoscenza, anche tra gli asteroidi o sulla Luna. Mi rendo conto di stare parlando come quella gente che diciamo essere pazza, però è così. -
- Sulla Luna non hanno tentato di ucciderci. - Intervenne disperato Taylor, che si ribellava ad una simile assurda ipotesi.
- Sulla Luna - riprese Deacon - il governo del blocco nord americano ha provato a mettere le mani direttamente su ciò che il blocco europeo vuole invece continuare a nascondere. -
- Ma ci deve essere una spiegazione che sia logica. - Implorò May.
- Certo, ma l'unica spiegazione che tenga conto di tutto è questa. Sotto la torre c'è una grotta artificiale che non è stata costruita da degli uomini. -
- Hai detto che questa sarebbe l'unica spiegazione in grado di tenere conto di tutto ciò che ci è capitato nelle ultime due settimane. - Disse Bulsara, pensieroso. - Ma, per quanto mi sforzi a pensare, non riesco a trovare un motivo valido per spiegare gli sforzi compiuti dai governi terrestri per fermarci. Sì, lo so, dici che vogliono nascondere le prove dell'esistenza di una civiltà non umana. Possibile però che una semplice grotta possa valere tutto questo? Mi sembra eccessivo. In definitiva ormai la nostra razza è in grado di sopportare un simile urto psicologico. L'esistenza di alieni su sistemi extrasolari è giudicata ormai molto più che probabile. L'uomo è ormai maturo per accettare la compagnia di altre razze, seppure estinte, senza dare in isterismi. Perché allora continuare a nascondere? -
- Già più volte - Disse Taylor. - in questi giorni ci siamo chiesti quale potesse essere il terribile segreto che tra le altre cose è costato la vita a Damon. Francamente però, per quanto possa essere eccezionale il ritrovamento di una grotta marziana, perché scomodare una nave da guerra per annientare una flottiglia tra gli asteroidi? -
- Ma insomma, vi rendete conto di cosa starebbe a significare - disse Deacon - questo ritrovamento? Un'altra razza intelligente! Ne parlate come se tutti noi ci aspettassimo che oggi o domani dovessero venirci a trovare degli alieni dicendoci: "Ciao, noi eravamo dietro la stella polare da tre miliardi di anni, voi non ve ne eravate mai accorti? Possiamo tornare domani a prendere il tè con voi? Sapete, ci piace tanto fare nuove conoscenze". Credete che sia così naturale accettare che siano esistiti i Marziani? Voi stessi state dimostrando, non credendomi, che è realmente una rivelazione scioccante, molto più delle affermazioni di Copernico sul moto del Sole. - Questa volta era stato Deacon a cedere alla tentazione di impreziosire il discorso con un riferimento alla storia terrestre. - Un'altra razza intelligente, e non scoperta tramite freddi e remoti segnali radio provenienti dall'altro capo della galassia, ma qui, sul secondo pianeta più vicino alla Terra, praticamente dietro l'angolo! Vedete, non è l'esistenza di razze aliene a mettere addosso i brividi, ad essere inquietante. L'universo, la nostra stessa galassia, sono giganteschi; la stessa statistica ci dice che noi non dovremmo essere soli. Ma il fatto che questi alieni ci siano passati così vicini, nel tempo e nello spazio, questo sì che può far accapponare la pelle. E' quasi come sentire il loro fiato sul collo mentre ci sfiorano e si estinguono. Questa sì sarebbe la più grande scoperta della storia dell'uomo, e dite che chi si prende cura di tenerla nascosta dovrebbe limitarsi nelle risorse? No, ammettendo che qualcuno voglia tenere nascosto ciò che si trova lì sotto, ed ammettendo che siano effettivamente resti di una civiltà sconosciuta, tutto ciò che ci è accaduto mi sembra seguire una logica, per quanto distorta possa apparire. -
- Tante belle parole Brian. - Disse Taylor, un po' piccato perché qualcun altro aveva dimostrato una certa dimestichezza con la storia terrestre. - Ma rimane ancora un interrogativo. Perché mai i vice-governi, i governi o chi per loro vogliono tenere nascosti i resti alieni? Cosa li spaventa a tal punto da voler uccidere per nascondere la verità? Hanno veramente paura dello shock culturale? Temono sul serio che ci comporteremmo di fronte ad una civiltà aliena, morta ed innocua, come gli indigeni del centro America si comportarono all'arrivo degli spagnoli, vivi ed armati fino ai denti? Dici che sarebbe una nuova rivoluzione copernicana, ma non siamo forse sopravvissuti anche a quello? -
- Non lo so. - Disse allora Deacon. - Potresti aver ragione oppure no. Per questo noi dobbiamo andare di persona là sotto, con queste tute spaziali. - E, dicendo queste parole, cominciò a domandarsi cosa avesse potuto distruggere una razza che era stata intellettualmente progredita, come lo erano anche gli esseri umani, e se i governi non si fossero impegnati a nascondere in realtà una qualche grave minaccia, che magari si era rivelata mortale per gli scomparsi alieni e che poteva mostrarsi ora letale anche per la razza terrestre.


XII

- Grande Sacerdotessa. - Il volto di Stuart appariva nitido dal foglio notizie della donna.
- Parla, adepto Stuart. -
- May, Taylor, Bulsara, Deacon ed una ragazza di colore sono saliti su una vettura, pochi minuti fa, li stiamo seguendo, e pare che si stiano dirigendo verso la torre. -
- Hanno con loro le tute spaziali? -
- Potrebbero averle in vettura, non le avevano, quando sono saliti a bordo. -
- Non perdono tempo. Solo ieri sono arrivati ed oggi già alla torre. Sta bene. Voi avete le vostre? -
- Tutte e quattro. -
- Ottimo lavoro. Non vi fate scoprire e non prendete iniziative finché non vi raggiungo. Gli faremo una bella sorpresa. - A quei quattro e a Leiber, pensò, furente per aver proposto il nome della tedesca come Sacerdote del Marineris.
Fuori il sole era già da tempo tramontato, e così stava anche per tramontare l'Anello. Nel cielo di cobalto alcune stelle stavano spuntando nella notte incipiente.


XIII

Erano arrivati alla torre quando il cielo era diventato nero, avevano attraversato l'atrio, scoccando occhiate alla carica direzionale, imperturbabile, ed erano arrivati davanti alla camera d'equilibrio.
Fino a quel momento avevano rimandato il problema, ma ora non si poteva più. Le tute erano quattro, ma le persone erano cinque.
- Chi rimane fuori? - Chiese May.
Tutti si guardarono tra di loro, nessuno voleva abdicare.
- Suvvia, mica si può entrare solo ora. Si possono fare dei turni. - Continuò l'ex capitano.
- Sì, ma chi resta fuori per primo? - Chiese Bulsara. La curiosità di vedere resti di una civiltà aliena era troppo forte.
Nessuno voleva restare appiedato per il primo turno, e nessuno pensava neanche lontanamente ad indicare lo sfortunato con una decisione di forza. Doveva essere una scelta libera, ma neanche così il problema sarebbe stato risolto sicuramente. Leiber avrebbe ceduto volentieri il proprio posto a Deacon, ma questi non avrebbe accettato, e tutti di nuovo al punto di partenza.
A rompere il silenzio imbarazzato fu Taylor.
- Va bene. Tiriamo a sorte. -
- Come? - Chiese Brian.
- Che ti devo dire, facciamo la conta. -
- Come i bambini? -
- Hai un'idea migliore? -
- No. -
- Allora facciamo come dico io, ognuno fa un numero con le dita, facciamo la somma e si conta da me in senso orario. -
- No, mi rifiuto di fare la conta, è ridicolo. - Disse Bulsara.
- Allora stai tu fuori al primo turno? -
- Dicevi di fare i numeri con le dita? -
- Sì. Allora, il primo che esce resta fuori il primo turno, il secondo sta fuori il turno successivo e così via. Facciamo turni da un quarto d'ora ciascuno, d'accordo? -
- Mi sta bene. -
- Okay. -
- Se insistete. -
- Ma guarda se a trent'anni mi tocca ancora fare queste cose. -
- Non ti preoccupare, cadetto Deacon, non è necessario che tu lo faccia. -
Tutti si voltarono. All'entrata c'era la Sacerdotessa, al suo fianco Stuart che, armato, teneva sotto tiro Deacon e gli altri. Dietro di loro sopraggiunsero i due attendenti di Stuart. Si disposero in linea, per tenere meglio sott'occhio i cinque. I lunari stavano rigidi sulle gambe e si muovevano senza troppa sicurezza per colpa della gravità marziana a cui non erano ancora abituati.
La sacerdotessa si avvicinò alla porta stagna.
- Come si apre questa? -
- Serve la chiave, mia cara. - Per la prima volta Deacon parlava alla Sacerdotessa senza nascondere il disprezzo che provava per lei.
- E dov'è questa chiave? -
- Qui. - E la mostrò.
- Dammela. -
- E perché dovrei? -
A quel punto si avvicinò Stuart. - Non ti azzardare mai più a parlare in questo modo alla Sacerdotessa. - E così dicendo diede a Deacon un colpo col dorso della mano, tanto forte da scaraventarlo a terra. Leiber urlò un - No! - disperato, aveva avuto anche l'impulso di lanciarsi verso Brian, ma May, al fianco di Erika, l'aveva trattenuta, stringendole la mano al braccio.
La chiave cadde a terra, senza rompersi, e Stuart la prese, porgendola alla Sacerdotessa. - Ecco qui la chiave, Grande Sacerdotessa. -
- Ottimo lavoro, adepto Stuart. -
Quindi inserì la chiave, ma la porta non si aprì.
- Allora, cadetto Deacon? Qui la porta non si apre. -
- Non chiamarmi cadetto. - Deacon si era rialzato, passandosi una mano sulla mascella indolenzita.
- Non importa come ti chiamo, devi semplicemente dirmi come aprire questa porta. -
Deacon sorrise. - Già, c'è un nuovo codice, dovete rispondere alla domanda, ma attenzione, avete solo tre chance, al terzo errore questo corridoio salta in aria. -
- Stai bluffando. - Latrò Stuart.
- Se volete correre il rischio, ma d'altronde non sono stato io a minare il corridoio, ma un tipo come Enoch Simâck, che voi forse ricordate, grande sacerdotessa. -
- Va bene, Deacon. - Disse la Sacerdotessa. - Dicci la parola. -
- Non serve certo. - Intervenne Stuart, sicuro di sé. - Sarà la sua data di nascita, fatemi leggere la domanda. - Lesse. - E' ancora più semplice, chiede dove sia nata l'intelligenza. "Marte". -
Niente.
- Come sei stupido. - Disse allora. - "Terra". -
Niente.
- Qual è la soluzione? Dimmela. -
- Perché dovrei? -
Stuart stava per dargli un altro man rovescio quando la Sacerdotessa, calma, disse. - Se non ce lo dici ti uccidiamo. -
- Così addio soluzione, e addio grotta sotterranea. -
- Hai ragione, cadetto. - La Sacerdotessa esibiva un largo sorriso. - Sono sicura che tu sarai molto più ragionevole se cominceremo uccidendo una traditrice. Vero, "ex" adepta Leiber? - Mentre la Sacerdotessa diceva queste parole, Stuart si era avvicinato ad Erika e l'aveva presa con violenza affianco a sé, spingendole la punta della sua arma dolorosamente contro il fianco. Il volto della tedesca tradì il dolore che provava, ma non le sfuggì un solo lamento. Gli sguardi degli ostaggi erano glaciali, la tensione era palpabile.
- Voi non oserete farlo. - Sotto la voce apparentemente calma di Deacon covava una profonda rabbia.
- E perché no? -
- Perché altrimenti io uso questo. -
- Scusa, ma dovremmo prenderla come una minaccia? - Disse Stuart, guardando la scatoletta nera in mano a Deacon.
- Certo ignorante. Questo è il detonatore della carica direzionale che mina l'edificio che si trova sopra le nostre teste. Credo che, se non la carica, almeno avrete visto le barriere frangi-schegge intorno all'edificio. -
- Non hai il coraggio di suicidarti. - Disse Stuart con disprezzo.
- No, hai ragione, non ho il coraggio di suicidarmi, ma se voi ucciderete Erika, allora, ad uno ad uno ucciderete anche i miei amici.
A me invece riserverete un trattamento diverso. Prima mi torturerete, se ancora non vi avrò detto la parola d'ordine. Poi, dopo, ucciderete anche me, e, se per caso doveste essere così così magnanimi da lasciarmi andare, dovrei comunque passare il resto della mia vita col rimorso di aver contribuito alla morte della donna che amo e dei miei tre migliori amici. A questo punto preferisco morire subito, e almeno, uccidere anche voi. -
- Non lo farai. -
- Per far brillare la carica devo semplicemente ripetere tre volte consecutivamente la parola chiave. -
- Non ci credo. -
- Erika. -
- Secondo me quello non è neanche il detonatore. -
- Erika. -
- E comunque quella non è la parola chiave. -
- Eri... -
- D'accordo, hai vinto. Non la uccideremo. - Disse la Sacerdotessa in tono conciliante, mentre Stuart scaraventava l'ostaggio tra le braccia di Deacon, leggermente deluso dalla mancanza di decisione che la Sacerdotessa aveva mostrato ben due volte nel giro di pochi minuti.
Deacon diede un bacio sulla guancia ad Erika.
- Non mi basta la tua parola. - Disse May. - Voglio le vostre armi... -
- Sì, contaci. - Interruppe sardonico Stuart.
- ...Così - continuò imperterrito - starete ben attenti a togliere le capsule energetiche e scaricare il colpo in canna.
Mi sembra una proposta equa, a noi le armi scariche e a voi gli strumenti per caricarle, così nessuno si fa male, va bene? -
- Suo malgrado la Sacerdotessa mormorò. - Va bene. - Stuart la guardo con rabbia.
- Ah, non è finita. - Disse Taylor con noncuranza. - Ci dovete dare anche una delle vostre tute. -
Si guardarono, la sacerdotessa fece un segno, Stuart annuì e, mentre il suo orgoglio templare bruciava a causa del comportamento permissivo tenuto dalla Sacerdotessa, ordinò ad un attendente. - Dagli la tua tuta. - Al che l'attendente tirò la valigia ai piedi di Bulsara, peraltro sbagliando il dosaggio della forza e rischiando quasi di colpirlo.
- Stai attento a cosa fai! -
- E' colpa della gravità di questo stramaledetto posto, meglio quella lunare. -
La Sacerdotessa fulminò con uno sguardo quel templare con così poco rispetto verso Marte e disse, rivolta a Deacon con astio.
- Ora, se ti aggrada, puoi anche dirci qual è la parola chiave. -
- Certamente. - Deacon era visibilmente divertito al pensiero della parola chiave. E, prima di pronunciarla - Per inciso, Stuart, avevi ragione. La parola chiave del detonatore non è "Erika". - Poi, con tono pomposamente inutile, parodiando la Sacerdotessa. - Ornitorinco carnivoro del Turkmenistan. -
Premette allora il pulsante d'apertura e la porta interna della camera d'equilibrio ubbidì all'ordine, mostrando una piccola stanza spoglia, della forma di un cubo di tre metri di spigolo, con un piccolo display su una parete.
Stuart, sorpreso dalle parole di Deacon. - Ma che razza di... -
- Ero sicuro che nessuno l'avrebbe mai potuta indovinare. Ora, signori. - Si era fatto serio. - Comincia il giro. -
Stuart disse all'attendente senza tuta. - Tu resta qui a fare da sentinella. -
Poi, uno dopo l'altro, gli otto personaggi, goffamente intabarrati, entrarono, forse per la prima volta nella storia, in un mondo una tempo popolato da alieni.


XIV

La porta esterna della camera di equilibrio si aprì.
Tutto era immerso nell'oscurità più totale. Solo una piccola isola illuminata si stendeva fin dove giungeva l'illuminazione della camera. Quella situazione non era inaspettata. Deacon accese la luce portatile e la puntò contro l'oscurità, facendo qualche passo avanti. Dopo di lui vennero, uno alla volta, templari e non.
Oltre l'antica frana la grotta circolare continuava fino ad immettersi nella grande camera sotterranea.
Le otto potenti luci graffiavano solamente il buio, senza che le dimensioni e la forma dell'immensa grotta potessero essere intuite. Pochi metri sopra di loro la volta mostrava delle crepe, accentuate dalle luci radenti. La parete del tunnel, illuminata, aveva uno strano colore, tra il violetto ed il verde. Chissà di che colore era stata originariamente quella sorta di vernice, ormai completamente deteriorata, dopo migliaia di millenni. Il pavimento della camera non si vedeva, doveva essere di parecchi metri più in basso. Deacon si sporse un poco provando un certo senso di vertigine davanti a quel baratro senza fondo e senza confini. A tutti batteva forte il cuore per l'emozione. Ormai era certo. La grotta non era naturale e non era stata creata da esseri umani.
Nel suo casco sentì una voce. Via radio stavano parlando Stuart e la Sacerdotessa. Erano tutti e otto sintonizzati sulla medesima frequenza.
Stuart chiese. - Come scenderemo? -
- Controlla il bordo, non credo che Simâck fosse tanto stupido da essersi limitato a fare la camera senza esplorare minimamente l'interno, e se l'ha esplorato, avrà anche dovuto scendere da qui, quindi potrebbe aver lasciato qualcosa, tipo una scaletta. -
Stuart si avvicinò al bordo della grotta, ispezionandolo con cura, alla ricerca di qualche appiglio. La parete era liscia. Taylor pensò che forse quella galleria circolare era stata un tempo una presa d'aria. Forse anche una strada per veicoli a levitazione. In ogni caso, si disse, quella civiltà, ormai estinta, per costruire delle simili strutture doveva aver raggiunto almeno il livello della cultura terrestre del ventiduesimo secolo.
Stuart disse. - Ho trovato qualcosa... Sembra un cavo, ancorato qui al bordo. Mi sembra un lavoro recente, di certo non di tre milioni di anni. Credo che lo abbia usato Simâck per calarsi. -
- Solo un cavo? - Chiese la sacerdotessa, che non gradiva l'idea di scendere appesa ad un filo come un ragno.
- Perché no? - Disse Deacon. - Piazzare una scaletta metallica avrebbe richiesto l'aiuto di operai, mentre ancorare un cavo no. Può averlo benissimo fatto personalmente. Non credo che Enoch volesse far vedere la grotta a qualcuno. -
- Sì, ma la camera d'equilibrio mica l'ha costruita da solo. -
- No, non credo che l'abbia fatto, ma si trova un centinaio di metri più in dietro. Può anche aver impedito agli operai che costruirono la camera di spingersi troppo in là. D'altronde una semplice grotta con una bolla d'atmosfera primitiva non impone certo l'esistenza di una civiltà extraumana. -
- Credi sul serio che degli operai avrebbero accettato una simile limitazione? - Chiese Stuart.
- Con il giusto conguaglio sono sicuro che quegli operai oggi hanno anche imparato a dimenticare il loro lavoro sotto la torre. -
Mentre i due parlavano, May si avvicinò al cavo, ne saggiò la resistenza e disse.
- Io vado. - Quindi, di lì a poco scomparve nel buio.
Dopo qualche minuto disse. - Sono arrivato, credo di essere sceso per un centinaio di metri al meno, probabilmente di più. Scendendo ho incontrato altri sei tunnel circolari come quello in cui vi trovate voi. -
- Adesso arriviamo anche noi. - Disse Bulsara, che non vedeva l'ora di entrare in quel mondo alieno.
Il pavimento sembrava in cemento o, perlomeno, di un materiale simile.
Lì in basso non era un solo vasto ambiente come il resto della grotta. C'erano vari grossi elementi metallici che ripartivano la sala in una serie di corridoi lunghi e rettilinei. C'era un corridoio che correva lungo la parete, sul quale se ne affacciavano molti altri, come se fossero stati scaffali ordinati di una biblioteca, con la differenza che quelli non erano affatto scaffali. Erano strane intelaiature di una qualche lega metallica, tutte uguali, larghe qualcosa come tre o quattro metri, lunghi una ventina e alti un po' più di quattro metri. Dietro a ciascuna di quelle strutture ne cominciava un'altra, sempre uguale, fin dove poteva arrivare l'illuminazione delle luci portatili. Sopra alcune intelaiature si trovavano delle grosse masse, con una punta rivolta verso la parete dalla quale erano scesi; altre invece ne erano sprovviste.
Cosa poteva mai essere quella struttura?
La Sacerdotessa, gridò, eccitata, dimenticando momentaneamente il suo contegno.
- Questa è una banca dati! Una gigantesca banca dati marziana, qui ci sono di sicuro le informazioni di tutta la loro vita. Una ricchezza di sapere enorme. Adepto Stuart seguimi, dobbiamo cercare delle interfacce. -
- Ma, Sacerdotessa, anche se ne trovassimo ancora di funzionanti, non credo che ci sia energia attivare queste strumentazioni. Forse dovremmo tornare forniti con più mezzi. -
- Quando torneremo avremo tutti i mezzi possibili ed immaginabili, ora come fonte d'energia useremo le capsule delle nostre armi. -
- Credete che i nostri caricatori e la loro rete energetica possano essere compatibili? -
- Noi tenteremo. -
- Ma rischiamo di rovinare qualcosa. -
- Ho detto che noi tenteremo. Non voglio concludere questo primo viaggio senza portarmi via niente di concreto, capito? -
- Sì Sacerdotessa, ma, anche se noi riuscissimo ad accendere qualche loro terminale, non credo che riusciremmo comunque a comprendere le loro informazioni; forse sarebbe meglio predisporre una nuova spedizione, con dei tecnici e dei decodificatori. -
- Adepto Stuart, vuoi forse disubbidire ad un mio ordine? -
- No, Grande Sacerdotessa. -
- Bene, allora seguimi, cerchiamo questo dannato terminale. -
I due gruppi si erano ormai separati, perdendosi di vista; la Sacerdotessa si era allontanata dal muro dove si trovava la corda, immergendosi tra i grandi elementi metallici. Deacon e gli altri invece avevano preferito seguire il perimetro della camera sotterranea.
Deacon rifletteva, c'era qualcosa che non andava. Attirò l'attenzione di Taylor toccandogli la spalla. Lui si voltò e Deacon allora indicò, sul proprio casco, il comando che controllava la radio, mentre mostrava l'altra mano con l'indice ed il medio distesi. Taylor capì al volo e si sintonizzò sul secondo canale.
- Mi senti John? -
- Sì, forte e chiaro. -
- Bene, avvertiamo anche gli altri di cambiare canale, non voglio che la Sacerdotessa ci ascolti. -
Dopo poco tutti e cinque furono sintonizzati sulla nuova frequenza.
- Che avevi da dire? - Chiese May.
- Non trovate che sia strano? - Disse Deacon.
- A cosa ti riferisci in particolare? -
- Questa camera l'hanno costruita gli alieni, apposta per non essere rilevata. Perché fare una banca dati nascosta? E' un contro senso fare una raccolta di informazioni che non possono essere poi utilizzate. -
- Non credo che ci sia nulla di particolarmente strano. Forse questa banca dati conteneva dei dati estremamente riservati, o magari nella loro società le banche dati erano riservate solo a pochi individui e dovevano essere nascoste, chissà, magari per loro mostrare una serie di memorie e terminali era un tabù. -
- Questa camera, qui sotto. - Deacon non credeva che la Sacerdotessa potesse avere ragione, e spiegava ad uno ad uno tutte le perplessità verso l'idea della donna. - Avrebbe dovuto esserci dell'oro qui, no? -
- Probabilmente hanno sfruttato essi stessi la miniera ed hanno utilizzato le cavità rimaste. -
- Per fare una banca dati?. -
- Perché no? -
- Una banca dati non si costruisce a più di cento metri sotto la superficie. E poi... L'oro non dovrebbe essere ancora più in profondità di questa camera? -
- Capisco cosa vuoi dire. Ma non è detto che più sotto non ci siano ancora altre camere; e poi noi non conosciamo niente della loro cultura, magari preferivano costruire città sotterranee. Non credo che abbiano avuto molti punti in comune con gli esseri umani. -
- E allora come spieghi i tunnel circolari? Sono di sicuro troppi e troppo grandi per essere prese d'aria e, se è per questo, non hanno filtri. Avrebbero riempito di polvere tutte le delicate memorie artificiali. Non possono neanche essere strade, perché finiscono troppo bruscamente nella parete. -
- Forse i filtri sono in punti che noi non abbiamo visto, chissà, sotto qualche frana, se effettivamente sono prese d'aria. Nel caso che fossero strade, ricordati che non abbiamo la minima idea di come possa essere stata la loro viabilità ed il loro codice stradale, sempre che ne avessero uno. E poi, i tunnel potrebbero anche avere una funzione che noi ignoriamo completamente, e che tuttavia non contraddice l'ipotesi della banca dati. Perché vuoi spiegare tutto in termini antropocentrici? -
- Forse hai ragione. -
Camminarono abbastanza a lungo, fino a quando non terminarono gli elementi. Più avanti, dopo l'ultima colonna di colossi metallici, c'era uno spazio libero per altri trenta metri, prima che gli si parasse davanti un'altra parete.
A quel punto pensarono che la pianta della camera fosse quadrata o rettangolare, interamente riempita, eccezion fatta per quello spiazzo, dagli elementi.
In questa parete c'era però un'apertura, forse una porta. Era alta non più di cinque metri e socchiusa da un vetusto pannello scorrevole di metallo rugginoso.
- Quanto meno sappiamo che non erano alti più di cinque metri. - Disse Bulsara.
- Non credo che fossero più alti delle porte che si costruivano. - Gli fece eco Taylor.
- Guarda qui, è tutta ossidata. -
- Già Fred. Mentre quegli elementi sembrano appena assemblati. -
- Saranno delle leghe speciali, adatte a resistere all'usura. -
- Perché? -
- Intendi dire perché fare delle leghe resistenti? -
- Dico, perché utilizzarle per degli elementi di memoria in una banca dati. -
- Non ti sembra logico? Le informazioni sono qualcosa che deve durare, no? -
- Per tre milioni di anni? -
- Saranno stati una razza molto puntigliosa. -
- Forse, Erika. Probabilmente sono solo io a voler credere ad ogni costo che questa non sia una banca dati. Non riesco ad accettare l'idea che la Sacerdotessa possa aver nuovamente ragione. -
- Proviamo ad entrare qui? - Disse May.
In effetti quel cancello non era ermeticamente chiuso e lasciava dello spazio, sufficiente a degli esseri umani per passare.
Dall'altra parte lo spettacolo era completamente diverso. Il soffitto era a non più di sette o otto metri, e c'erano vari tipi diversi di oggetti, dalle forme più strane, apparentemente senza alcun senso, ma solo per esseri antropomorfi.
Quella seconda stanza era abbastanza piccola, circa un sessanta per cinquanta metri, molto meno di un decimo, da quanto avevano intuito, della vasta camera degli elementi. Sulle pareti di questa seconda camera si trovavano molte altre porte, che lasciavano intendere come la struttura dell'edificio sotterraneo fosse molto più complessa di come l'avevano immaginata all'inizio. Un paio di quelle porte erano fatte di quel metallo resistente, ed erano ancora lucide ed ermetiche. Le altre erano tutte quasi in briciole.
Ad un certo punto May fu sicuro di aver individuato l'omologo alieno di una consolle umana. In effetti, con un po' di fantasia, si poteva pensare che quell'insieme di oggetti privi di un apparente scopo potesse essere stato un terminale utilizzato da qualche specie che di umano non aveva quasi nulla.
Da quello che poteva essere stata la sedia della postazione, poi, i compagni di Deacon cominciarono a fare supposizioni, per dedurre qualche informazione sulla conformazione fisica degli alieni.
Sembrava essere stata una poltrona anatomica, vagamente simile ad un antico triclinio senza gambe, poggiato direttamente a terra, per un essere alto (o forse sarebbe stato meglio dire lungo?) forse tre metri, o tre metri e mezzo. Sembrava che avesse avuto una corporatura esile e flessibile, a giudicare dalla forma flessuosa e sottile dello schienale, il quale terminava con quello che sembrava un poggiatesta dalla forma molto particolare.
Deacon non stava seguendo i ragionamenti degli altri quattro. Era assorbito da un altro pensiero, un lampo, un ricordo di qualcosa che aveva visto poco prima di entrare in quella seconda stanza. Aveva l'impressione che fosse importante, e provava un senso di pericolo imminente. Non riusciva però a ricordare esattamente cosa avesse intuito. Forse era solo uno scherzo giocato dall'eccitazione di quella scoperta sensazionale. Ma si volle comunque togliere la curiosità, e per questo tornò nella camera principale. Camminando vicino ad una parete l'accarezzò, come se le antiche conoscenze di una razza inimmaginabile potessero in quel modo arrivare fino a lui. Quando riosservò la mano vide che parte della vernice, marcita da tempo immemorabile, era rimasta attaccata al guanto. Tutto si stava sgretolando silenziosamente, durante il lentissimo passare dei secondi, dei giorni e dei millenni. Si passò la mano sulla coscia, per pulire il guanto, e passò nuovamente quella porta rugginosa. Davanti a lui, a trenta metri, uno di quegli infiniti elementi si stendeva per tutta la sua lunghezza. Deacon gli puntò contro la luce portatile, che però ne inquadrava solo una parte.
Muovendo la luce, da lontano, riuscì, per la prima volta ad avere una visione completa di uno di quegli elementi. Capì che quello che aveva intravisto era stata più che altro un'intuizione, come se il suo cervello avesse inconsciamente ricomposto tanti particolari del misterioso elemento per formare un mosaico di ricordi. Ora che lo aveva visto e aveva capito cosa fosse comprese anche il perché di quella strana sensazione di pericolo. Capì che non ostante i milioni di anni di tempo ed i milioni di chilometri di distanza che separavano le due specie, c'era al meno una passione che le aveva unite. Forse, dopotutto gli alieni non erano stati troppo diversi dagli esseri umani.
Quegli elementi non facevano assolutamente parte della memoria di una banca dati.
La forma rimaneva invariata, non ostante tutte le diversità di era pianeta e cultura. Aerodinamici, con l'ugello ad una estremità e l'ogiva all'altra, erano delle rampe di lancio con dei missili balistici.


XV

Erano completamente circondati dagli elementi.
- Guardate quanti. - La Sacerdotessa non era più nella pelle. - Qui deve esserci immagazzinata una quantità di informazioni incredibile, non vedo l'ora di trovare un terminale. -
Stuart stava dando dei piccoli colpi con le dita all'apparecchio radio, che si trovava all'altezza dell'orecchio destro.
- Adepto Stuart. - Chiese lei preoccupata, avendo notato i movimenti del soldato. - Non mi senti bene? -
- No, Grande Sacerdotessa, vi sento anche troppo bene. -
- Cosa vuoi dire? -
- Voglio dire che sento la vostra voce, limpida come se stesse parlandomi senza interfacce, sento anche il respiro del mio attendente, e poi, basta. -
- E allora? -
- Che fine hanno fatto May e gli altri? -
- Forse questi elementi fanno da scudo ai loro segnali radio. -
- Non credo, sentiremmo allora qualche scarica, ma non è così, il canale, fatta eccezione per noi tre, è completamente vuoto. Comunque, a scanso di equivoci, proviamo. Tu - rivolto all'attendente - Vai dietro ad un elemento e parlami. -
Poco dopo. - Mi sente, Stuart? -
- Forte e chiaro, torna pure qui.
Dunque, non è colpa degli elementi. -
- E allora? -
- Allora, Grande Sacerdotessa, suppongo che abbiano cambiato frequenza. -
- Rintracciali, voglio sapere cosa si dicono. -
Al primo tentativo Stuart sentì immediatamente delle voci, limpide.
- Dov'è Brian? -
- Non lo so, era qui prima. -
- Cerchiamolo... -
Un sorriso si stese sul volto del lunare, poi, verso la sacerdotessa. - Sono sul canale due. -
- Buon lavoro, adepto Stuart, mettiamoci anche noi su quel canale. -
- Allora però noi non dovremo più parlare, per non farci scoprire. -
- E noi non parleremo. Ma voglio sapere perché si sono nascosti a noi. -


XVI

L'esplorazione della camera più piccola proseguiva. Venivano trovati strani oggetti dalle forme inusuali e dagli incerti scopi.
- Credi che funzioni ancora qualcosa, Fred? -
- Non so, Roger. Certo alcuni sembrano conservati molto bene, altri invece sono quasi distrutti dal tempo, però penso che qualcosa sia ancora utilizzabile. -
- Ti sbagli. -
- Come fai ad esserne così sicuro, John? -
- Questa roba ha come minimo tre milioni di anni. L'usura del tempo c'è stata, anche se alcuni oggetti a prima vista possono sembrare ancora quasi nuovi. Guarda quelle porte, sono ancora lucenti, ma sono della stessa forma che gli hanno dato i loro costruttori? -
- Cosa vuoi dire? Sembrano integre. -
- Già. Hai mai provato a poggiare una barra di ferro su due cavalletti distanti tra di loro?. -
- Francamente no. -
- Troveresti che dopo un mese la barra non è più perfettamente diritta, ma leggermente incurvata verso il basso, piegata dal proprio peso. Tutti gli oggetti solidi, anche i più rigidi, in lunghi periodi di tempo si comportano come fluidi. E qui si parla di milioni di anni. Questi oggetti avevano già smesso di svolgere i loro compiti quando ancora i nostri antenati stavano imparando a camminare eretti. No, per tornare all'esempio della porta, sono sicuro che si sono deformate, magari solo di qualche millimetro, ma abbastanza da non poter più scorrere correttamente nei propri binari. Stesso discorso per i loro computer e tutti i loro strumenti. Certo, con dei tecnici preparati tutti questi oggetti potranno essere recuperati, ma ora secondo me sono inutilizzabili. -
- Uno bello smacco per la Sacerdotessa. -
- Pretendeva che un oggetto potesse durare in eterno senza la minima manutenzione, rimanendo integro. -
- Piuttosto, controlliamo dove portano gli altri passaggi. -
- Giusto Fred. Ci siamo tutti? -
- No, siamo solo in quattro. Vediamo, Fred, Roger, Erika. Dov'è Brian? -
- Non lo so, era qui, prima. -
- Cerchiamolo, forse è tornato indietro; non credo che sia andato avanti senza dir niente. -
Infatti, lo trovarono poco oltre la porta. Stava fissando il grosso elemento che lui sapeva essere un'arma mortale.
- Brian. - Disse May, alle sue spalle. - Brian, mi senti? - Ottenne risposta solo quando gli toccò una spalla, allora disse.
- E' un arsenale. -
- A cosa ti stai riferendo? -
- A tutto questo. - Fece un gesto col braccio verso i missili. - E' un gigantesco arsenale, altro che banca dati. Guarda lì, riesci a vedere che è una rampa con un missile? -
- Mio Dio, hai ragione! Non l'avevo notato prima. -
- Certo che no. Eravamo ebbri di emozione, come potevamo pensare che anche gli alieni estinti abbiano avuto i nostri stessi difetti? -
Fece saettare la macchia luminosa della sua luce portatile verso la parete dalla quale erano scesi.
- Hai notato quante sono le aperture circolari? - In effetti ricordava vagamente un alveare. - Ora ho capito a cosa servirono. -
- Cioè? -
- Sono i passaggi per i missili. Le rampe sono mobili e possono trasportare le armi fino all'entrata dei tunnel. E le porte ancora intatte, quelle, sai dove portano? -
- No. -
- A dei rifugi sotterranei, per questo sono più resistenti delle altre. E' tutto così lampante. - disse sconsolato.
- Non potevi pretendere che la civiltà aliena fosse una sorta di stato perfetto. Forse non dovresti essere sconvolto perché anche loro hanno costruito un arsenale. -
- Non è questo che mi turba. Avrai forse notato, mentre camminavamo, che alcune rampe non sono dotate di missili. -
- Sì, e allora? -
- A cosa serve avere una Santa Barbara se non la si tiene sempre nella massima efficienza? Voglio dire questo: se un governo è in pace, l'arsenale è intatto. Se un governo è in guerra l'arsenale non è intatto. -
- Quindi, quando è capitata la catastrofe, gli alieni del Tharsis si trovavano in guerra, e allora? -
- Erano troppo progrediti tecnologicamente. -
- Non ti seguo. -
- Sappiamo tutti come Marte sia ancora oggi il più soggetto, tra i pianeti abitati, al pericolo di bombardamento meteorico. -
- Sì, generalmente per colpa del campo gravitazionale di Giove, che perturba di tanto in tanto le orbite degli asteroidi. -
- Dunque, una civiltà nata su Marte avrebbe dovuto puntare da sempre ad una protezione contro i meteoriti. Dannazione, la Terra è protetta da uno scudo spaziale da più di trecento anni, e non ci sono arrivati loro che erano ad un passo dalla fascia di asteroidi? Mi sembra poco credibile. -
- Non possiamo neanche dire che la civiltà è stata troncata sul nascere, a giudicare da queste grotte. -
- Appunto, erano tecnologicamente molto avanzati, abbastanza da poter intuire il pericolo che stavano correndo e anche da poter progettare e costruire uno scudo spaziale come il primo che fu costruito in orbita alla Terra. Bastava avere una serie di radar neanche molto potenti, e delle batterie di missili con testate nucleari, giusto? -
- Mi sembra un discorso logico. - May aveva intuito dove Deacon voleva andare col suo discorso, ma la conclusione era così pazzesca che non voleva pronunciarla lui.
- Allora dimmi Fred, oppure qualcun altro, rispondetemi. Come può una civiltà, giunta fino all'invenzione dei missili balistici, nata e vissuta sotto l'ombra incombente delle meteoriti, non aver sviluppato un programma di difesa spaziale? Da quello che vediamo noi, essi il livello tecnologico per difendersi lo avevano raggiunto. Allora perché il periodo uno è stato spazzato via, come si suppone oggi, da una meteorite? -
- Forse era troppo grande per essere deviato con i loro mezzi. -
- Forse Marte non è stato distrutto da un meteorite. - Rintuzzò Deacon. - Forse a distruggere Marte sono stati gli alieni stessi. Forse - Il tono di Deacon si era fatto inquietante. - questi missili sono delle armi definitive. -
- Vuoi dire che una civiltà si sarebbe autodistrutta? -
- Temo che questa sia un'ipotesi fondata. -
- Ma una civiltà, un essere intelligente non può autodistruggersi. -
- I vostri sono pregiudizi, la stessa razza umana, John tu lo sai meglio di me, ha corso più volte il rischio di auto distruggersi. -
- Sì, ma non lo ha mai fatto. -
- Ciò non significa che un giorno un'altra civiltà non si sia spinta troppo in là. -
- Una razza intelligente non può fallire così, in questo modo. -
- La storia dell'evoluzione sulla Terra è ricchissima di fallimenti. Si chiamano estinzioni. Generalmente sono dovute a mancanza di adattamento da parte di una o più razze verso l'ambiente che muta. Qui abbiamo invece l'esempio di un'estinzione di un'intera biosfera causata dal comportamento sconsiderato di una razza intelligente. -
- E' terribile. -
- Credo che dovremmo imparare molto da quello che è successo qui. - Disse Deacon.
- Siamo stati molto fortunati. - Era Taylor.
- In che senso? -
- Intendo come razza umana. Non credo che avremmo avuto molte chance di poter competere con successo contro una razza aliena aggressiva a soli ottanta milioni di chilometri di distanza e con un vantaggio nei nostri confronti di tre milioni di anni. -
- Non tutto il male viene per nuocere. - Disse May. - Ora potremo finalmente studiare la loro cultura per capire... -
- No! -
- Perché Brian? -
- Non possiamo permettere che la tecnologia di queste armi vada a gente come la Sacerdotessa. Ci siamo liberati dalle armi definitive troppo faticosamente. Solo col trattato di Mercurio siamo riusciti a mettere al bando quelle tecnologie, ed ora che Marte rischia di dover entrare in guerra con i governi terrestri rischiamo di mettere in mano ai templari un'arma in grado di devastare un intero pianeta. No, dovremo tenere nascosta questa grotta, non per sempre, ma al meno fin quando la situazione politica non sarà nuovamente stabilizzata. Allora potremo rendere di pubblico dominio tutto questo. Credo che Enoch fosse giunto alle mie stesse conclusioni. Per questo probabilmente non ha voluto vendere la sua terra neanche quando era ridotto in miseria. -
- Ma noi, come faremo con la Sacerdotessa? -
- Non vi dovrete assolutamente preoccupare di questo. - era una voce femminile, ma non era quella di Erika. Un brivido corse lungo la schiena di May e dei suoi amici. - Questa magnifica scoperta verrà presto alla luce, e se avete ragione voi, con le nuove armi che potremo sviluppare neanche la Terra oserà mai attaccarci, anzi, saremo noi a poter imporre il nostro volere sugli altri pianeti. Per quanto riguarda voi, non avrete la possibilità di fermarmi. - Dette queste parole la Sacerdotessa fece segno a Stuart di andare a prenderli. Lui prese un'altra arma da una tasca nascosta della sua tuta e, nuovamente letale, partì alla ricerca dei traditori.
May fece segno a Deacon di continuare a parlare, poi indicò agli altri di sintonizzarsi sul terzo canale.
- Allora, che facciamo? -
- Io propongo di andarcene subito, magari chiudendoli qui dentro. - Disse Bulsara.
- Li vuoi far morire d'inedia? - Chiese Erika.
- Si può fare in modo che la camera di equilibrio si apra solo dopo un certo tempo, oppure possiamo togliere la chiave, tramortire l'altro attendente, in modo che sia poi lui a reinserirla ed aprire dunque la porta. Per adesso noi dobbiamo solo allontanarci, ho forti dubbi che siano ancora pericolosi. Sono soldati. Conosceranno di sicuro le tecniche di lotta meglio di noi, e forse, ma mi vorrei sbagliare, potrebbero essere ancora armati. -
- Credo che John abbia ragione. - Disse il capitano. - Perciò ci conviene muoverci, ed in fretta. Voi spegnete tutte le luci, anche quelle del casco. Ne terremo accesa solo una, ed al minimo, per essere meno rintracciabili. D'accordo? -
- Sì. - Fu la risposta unanime.
- Bene, allora andiamo. -
Fecero a Deacon cenno di seguirli, con le luci spente. Brian chiese, sempre a gesti, dove fossero diretti ed Erika mimò l'atto di salire una fune. Quindi si sintonizzarono tutti nuovamente sul secondo canale.
La Sacerdotessa stava parlando, travolta dalla propria megalomania. - ...In questa maniera tu vuoi impedire il progresso, vuoi limitare la conoscenza umana, decidere ciò che è giusto sapere e cosa no, chi sei per prendere queste responsabilità a nome dell'umanità? -
- Innanzitutto ripristinare la tecnologia per le armi totali non è progresso, è un atto di pazzia. Il progresso contribuisce a migliorare la vita, non a distruggere i pianeti. Poi, noi non vogliamo decidere cosa sia giusto conoscere per l'umanità, ma solo cosa sia giusto che tu, Grande Sacerdotessa, non possa mai conoscere. L'umanità potrà conoscere tutto questo tra qualche anno, quando nessun pazzo scatenato avrà in mente di utilizzare quelle armi. -
- Tu vuoi aspettare qualche anno, allora? -
- Sì, fin quando la situazione interplanetaria non sarà di nuovo più pacifica. -
- Quando la Terra ci avrà ridotto in schiavitù vorrai dire. Ma voi non riuscirete nel vostro squallido intento di distruggere Marte, perché quando la Terra deciderà di attaccarci, tutto Marte, unito, risponderà con le armi e la tecnologia che tu che non sei adepto chiami aliena, perché non capisci che loro non sono altro che i nostri autentici antenati, e ci hanno lasciato tutto questo apposta perché noi lo scoprissimo e lo potessimo utilizzare.
Grazie a queste armi saremo in grado di distruggere le loro miserevoli flotte, e anche se hanno preso la Luna lo stesso potremo sconfiggerli senza difficoltà. Anzi, non è neanche necessario che ci attacchi la Terra. Saremo noi i primi a colpire, quando loro ancora non saranno preparati.
Un paio di missili come questi contro la Cupola, come dimostrazione delle nostre intenzioni, e io sarò a capo del Sistema Solare. -
Erika si sentì rabbrividire ricordando come anche lei avesse fatto simili discorsi. Capì come si fosse fatta contagiare dalla pazzia della Sacerdotessa credendo invece di controllarla.
- Grande Sacerdotessa. - Disse Stuart, che stava cercando i cinque marziani. - Avete intenzione di distruggere la Cupola lunare? -
- Per adesso è solo un'ipotesi. -
- E tutti i templari in missione sulla Luna cosa faranno, Grande Sacerdotessa? - Stuart evidentemente pensava alla moglie.
- Quegli ibridi Marziano-Lunari? - Disse con disprezzo. - Non sono abbastanza puri... - Poi, ricordandosi di Stuart aggiunse, senza troppa convinzione. - Tuttavia li faremo evacuare, come abbiamo già fatto per quei tre, che d'altra parte non si sono dimostrati molto riconoscenti. -
May si ricordò dell'ultima volta in cui aveva avuto modo di parlare con Heinlein e parlò. - E di che avremmo dovuto essere riconoscenti? Tu non hai salvato la vita di tre persone, hai solamente concluso un'operazione coll'intento di aumentare il tuo prestigio, con l'intento di avere un maggiore controllo su noi quattro, proprietari di rovine aliene. Morivi dalla voglia di rinfacciarci il tuo grande atto d'eroismo, ma un'azione è veramente nobile solo quando è disinteressata. E questo non è il tuo caso. -
I cinque stavano avvicinandosi alla corda.
- Belle parole, ma avresti avuto il coraggio di dirle da una cella sulla Luna? -
- No, ma con questo non vuol dire che qualcuno di noi quattro si senta vincolato a voi templari per qualsiasi motivo di riconoscenza, e anche se così fosse stato, hai bruciato la tua carta quando ci hai minacciato di morte. Nel momento in cui hai voluto riprendere la vita che ci hai salvato, ci hai sciolti da ogni vincolo di gratitudine. -
- Sei bravo a destreggiarti con le parole. - Disse la Sacerdotessa con tono acido.
- Tu invece no, "Grande Sacerdotessa". -
- Ma la vostra abilità non servirà ancora a lungo. - Era Stuart. - Perché ora siete sotto tiro. -
- Avevi un'arma nascosta? - Chiese Bulsara, gelato, mentre si voltava lentamente verso il militare, che li aveva presi alle spalle.
- Certamente. - Rispose il lunare. La Sacerdotessa rideva, poi improvvisamente seria, con la voce che sembrava un proiettile di ghiaccio, disse.
- Uccidili, ci riprendiamo le loro vite con gli interessi. -
Mentre l'ex colonnello dell'esercito del vice-governo della Luna Occidentale si avvicinava al gruppo di marziani, May non poté fare a meno di pensare, come in un sogno, a quanto i templari avessero gusto per le entrate teatrali.
Taylor sentì stringersi lo stomaco, aveva la bocca asciutta, non voleva certo morire in un'esplosione d'energia, fece quindi un enorme sforzo per riuscire ad articolare le parole in modo da sembrare calmo.
- Faresti un grande errore, Albert. -
- Perché mai? - I due erano vicini, e Stuart puntava la sua luce, con la mano destra, sul viso di Taylor, mentre con la mano sinistra puntava sul cuore del biondo marziano.
- Perché noi siamo avversari della sacerdotessa. -
- Ah sì? - Disse divertito. - Si dà il caso che io sia un adepto. -
- Già, anche Erika però è un adepto. -
- E' una traditrice. -
- No, qui ti sbagli, ha capito molto, invece. -
- E cos'avrebbe capito di tanto importante da farla rivolgere contro la Grande Sacerdotessa? -
- Per esempio che lasciarle il comando della setta templare vuol dire distruggere le colonie lunari. -
- Non è detto. -
- Come no. - Parlò in modo irritante, in modo da costringere Stuart a rispondere e a prolungare il discorso.
- E' soltanto un'ipotesi. -
- Che diventerà presto realtà. -
- Ebbene, se deve essere, sarà. -
Taylor sentì un moto di disperazione a quelle parole. Possibile che fosse così ottuso? Tuttavia non si lasciò scoraggiare, non poteva, se voleva rimanere vivo.
- E tutte le colonie se ne andranno via in una bolla di vapore col tuo consenso? Non ti ricordi cosa mi hai detto mentre ci dirigevamo su Marte? lì, sulla Luna, tu sei nato, cresciuto da genitori marziani, ma su suolo lunare. Tutti i tuoi amici, i tuoi ricordi, la tua vita. Sei disposto a bruciare tutto? -
- Se così dev'essere, così sarà fatto. -
- E tua moglie, anche lei la lascerai evaporare nello spazio, perché così vuole la Sacerdotessa? -
- Sono un soldato, ed eseguo gli ordini. -
- Giusto, sei un soldato, ma anche un soldato ha una coscienza, la Sacerdotessa non può averti privato di quella, no? -
- La guerra è guerra, pretende delle vittime e dei sacrifici, anche dolorosi, se necessario. -
- Giusto, tu conosci il valore della guerra, sei un combattente. Ma distruggere la Luna non sarebbe un atto di guerra, sarebbe un'orribile rappresaglia. Uccidere miliardi di persone, per la maggior parte inermi, semplicemente come dimostrazione di forza, non è guerra, è un crimine contro l'umanità intera, ed il semplice fatto di poterlo pensare per un solo attimo è segno di follia. -
- Non ti permetto. La Sacerdotessa... -
- Tu conosci il valore dell'onore e del coraggio. Mi sapresti dire quale onore porta uccidere un bambino? -
- La Sacerdotessa... -
- E due bambini? -
La sacerdotessa gridò. - Non l'ascoltare! -
- E mille bambini? -
- Ti vogliono solo confondere. -
- E un milione? -
- Uccidili! -
- E un miliardo? - Taylor parlava velocemente, con rabbia. - E un intero pianeta? - Sì, pianeta Luna, pensò amaramente. - Tutto ciò non porta onore. E neanche è un atto di coraggio. Il coraggio e il valore di un vero soldato si vedono nello scontro, nel duello. Corpo a corpo, su due aero-battelli o su due astronavi. Non importa se uno contro uno o mille contro mille. Ciò che importa è l'onestà del conflitto: armi pari e audacia. Il vincitore deve essere più forte, più valoroso... - Vide che la mano sinistra di Stuart, quella armata, tremava leggermente, mentre la mano destra, con la luce, ora illuminava il petto di Taylor. Capì che quello era il momento di agire. Improvvisamente mosse, con un gesto fulmineo, il suo braccio destro verso l'esterno e verso l'alto, andando a colpire con il dorso della sua mano l'arma di Stuart, che esplose un colpo. Lo spigolo di un elemento divenne incandescente ed esplose, fortunatamente senza conseguenze per le persone. L'arma non fece in tempo a toccare il suolo perché Bulsara, che era sulla traiettoria descritta dall'arma, la prese al volo. Mentre l'arma era ancora in aria, però, Taylor, sfruttando l'istante di sorpresa di Stuart, aveva dato un colpo col palmo della sua mano sinistra contro la visiera del casco del lunare. In quel modo il cristallo aveva colpito dolorosamente il suo volto, ed egli aveva così perso l'equilibrio, tra l'altro ancora instabile per colpa di quella gravità a cui non era abituato. Allora Taylor, quando Stuart fu a terra, finì la sua frase. - Ci vogliono soprattutto nervi saldi, per vincere una guerra. - Rivolto agli altri. - Corriamo, su. -
La Sacerdotessa gridava stridula. - Cos'è successo? -
- Abbiamo disarmato il tuo soldato, ora anche l'arma carica è nelle nostre mani. -
- Adepto Stuart! -
- Sacerdotessa... -
- Non dire niente, sarai degradato. -
- Dov'è finita la potenza dei templari, Sacerdotessa? - Chiese Deacon.
- Aspetta e vedrai, quando saremo fuori di qui, la sperimenterete tutta sulla vostra pelle. -
Avevano ormai cominciato a salire il cavo.
- Ma di che forza vai parlando? Non vedi che la tua è solo un'illusione? I tuoi adepti non ti seguiranno nella realizzazione dei tuoi piani sanguinari. Già l'adepta Leiber, un tuo consigliere personale, ha preferito tradirti piuttosto che continuare sulla tua strada. Anche un uomo fedele come Stuart, che ha buttato via quanto aveva costruito sulla Luna per un tuo ordine, anche lui è roso dai dubbi. La tua base, che tu credi solida, si sgretolerà, si scioglierà come neve all'Anello, e tu resterai sola e senza potere, perché questo è il destino delle persone come te. -
- No! Ti sbagli, voi tutti vi sbagliate, e ve lo dimostrerò ora. - Poi all'attendente. - Tu, vieni con me, dobbiamo uscire di qui. -
- Vieni Erika, sei quasi arrivata, dammi la mano. -
- Ho capito dove si trovano, sono già al cavo, inseguiamoli; ti sei tradito Deacon! -
- Forza, sbrighiamoci. Scusatemi. -
- Non fa niente. - Disse May. - Ma tra poco saranno qui. -
- Probabilmente anche l'altro è armato. - Taylor era preoccupato.
- Non voglio spargimenti di sangue. -
- Non ce ne sarà bisogno, Erika. Scansatevi. - Bulsara puntò l'arma che aveva preso a Stuart contro il punto dove il cavo era ancorato al muro. Fece fuoco, ma mancò il bersaglio di alcuni centimetri. Non ostante ciò la piccola esplosione derivata dal colpo di John fu sufficiente a lacerare il cavo. - Bene. - Aggiunse, soddisfatto del proprio lavoro. - Per adesso non ci possono raggiungere; e nessuno impedisce a quell'altro là fuori di ancorare un'altra fune. In questa maniera nessuno si farà del male. -
- Non credo. - May era più cupo. - Una volta che la Sacerdotessa sarà libera, noi saremo nuovamente in pericolo. -
- Qualunque decisione dobbiamo prendere, sarà meglio prenderla fuori di qui. -
- Giusto, John. Andiamo. -
La Sacerdotessa gridava, stridula. - Non potete lasciarci così! -
I cinque cambiarono stazione.