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CAPITOLO
6
NEI BRONCHI DI ARES
I
Bugiarda!
Traditrice!
L'adepta Leiber era una doppiogiochista.
La sacerdotessa si congratulò con se stessa per aver fatto nascondere
dei microfoni in quello scantinato, anche se non ne aveva tratto delle
notizie confortanti. Tanto meglio! Aver ottenuto la confessione della
tedesca a sua insaputa le dava un vantaggio. Leiber avrebbe dovuto pagare
caramente per essersi presa gioco di lei. Ma come? Cosa le avrebbe fatto?
Semplice, l'avrebbe fatta giustiziare. Sì, avrebbe fatto reintrodurre
la pena di morte nel nuovo governo marziano. Magari anche le esecuzioni
pubbliche, certamente, ora che la setta poteva uscire allo scoperto ella
avrebbe dato una dimostrazione tempestiva all'intero pianeta rosso. Non
ci si poteva prender gioco della Grande Sacerdotessa senza esser puniti
in maniera esemplare.
La Sacerdotessa sembrava ormai convinta della propria decisione, stava
per fare estirpare quello che per lei non era che un cancro, quando gli
sopravvenne un dubbio. Il governo non si è ancora insediato - si
disse - la stessa setta non si è ancora resa ufficiale, e già
mostro dei traditori all'interno dei vertici dell'organizzazione?
Giustiziare Leiber pubblicamente non stava a significare che la Sacerdotessa
era infallibile e a prova di inganno, voleva bensì dire che era
fin troppo semplice ingannarla, che anche le persone che le stavano più
vicine non erano degne di fiducia, che sì, Leiber era stata stupida
e si era lasciata sorprendere, ma una persona un poco più furba
l'avrebbe potuta raggirare senza difficoltà. Che fare quindi? Giustiziarla
segretamente? Si poteva anche fare, ma il fatto di essersi sbagliata così
grossolanamente, di aver preso nella cerchia dei suoi più stretti
collaboratori una tale canaglia, di aver allevato in definitiva una serpe
in seno, tutto ciò le bruciava, minava l'altissima opinione che
ella aveva di se stessa. E allora? L'unica soluzione era di dare un'ultima
possibilità alla negra di discolparsi, sollevando dal peso dell'errore
la stessa Sacerdotessa. E se Leiber non avesse superato neppure quella
prova d'appello? La Sacerdotessa si era guardata le candide mani, le aveva
strette a pugno rendendo le nocche ancora più bianche. In quel
caso, allora, l'imputato sarebbe stato spazzato via.
Stabilito quindi tutto questo aveva liberato Deacon, un altro essere viscido,
e aveva fissato l'adepta negli occhi.
- Adepta Leiber, abbiamo molte cose di cui parlare.- Così aveva
detto. Poi, condottala in un'altra stanza, più confacente alla
dignità della Sacerdotessa - Adepta Leiber. -
- Sì, Sacerdotessa? -
- Sapete qual è il pilastro fondamentale di questa nostra confraternita?
-
- Certamente,- Lei si aspettava questa domanda e rispose senza aspettare
l'accusa diretta della sacerdotessa - è la fedeltà e, lasciatemi
dire, io ho sempre seguito questo precetto. -
- Ne sei sicura? -
- Certo, ed anche quando ho sorvegliato Deacon - andò direttamente
al nocciolo della questione - non ho mai tradito la vostra fiducia. -
- Spiegati meglio. -
- Vedete, quando parlavo con Brian, sapevo benissimo di essere spiata
insieme a lui, e sapevo anche cosa stavo dicendo, ma vi posso assicurare
che non lo penso. So che mi avete chiamato per render conto di un mio
possibile tradimento, ma io ho agito così con Deacon solo perché
sapevo che era l'unico modo per accattivarmi la sua fiducia. Era facilmente
intuibile che non mi aveva chiesto aiuti per poter entrare nella setta.
A Brian interessa solamente liberare i suoi compagni, la nostra setta
era e rimane solo un mezzo per raggiungere il suo obiettivo. Inoltre,
come mezzo, come strumento sarei stata trattata anch'io se mi fossi mostrata
un ortodosso ed integerrimo cavaliere; invece, mostrandomi simile a lui,
cioè facendo vedere che anch'io utilizzo la setta per i miei scopi
senza accettarla, ho potuto ottenere almeno in parte la sua fiducia. -
- Il che non è servito a molto, visto che non ti ha detto praticamente
nulla. -
- Sarebbe stato preoccupante se avesse parlato. Deacon non è uno
sprovveduto, se avesse parlato ciò avrebbe voluto significare che
il suo segreto non era molto importante. Stando così le cose, invece,
ciò che sa deve essere molto prezioso, e per questo credo che dovremo
continuare a sorvegliarlo. -
- E ho come la vaga impressione che vuoi esser tu ad ottenere questa missione.
- La rabbia aveva lasciato posto ad un'espressione più pensosa.
- Sarebbe un onore, e ad ogni modo, credo di essere l'agente più
qualificato, quantomeno per i buoni rapporti che ho avuto modo di allacciare
con Deacon. -
- Va bene, voglio però un rapporto al più presto. -
- Certamente Sacerdotessa, inoltre avrei da porle un'ultima domanda. -
- Cosa, adepta Leiber? -
- Vorrei sapere come avete intenzione di collocarmi nel futuro governo
marziano. -
- Tutto dipenderà da come porterai a termine questa missione, se
ti muoverai con successo avrai un posto nella nuova assemblea costituente,
altrimenti dovrai rinunciare a qualsiasi incarico di primo piano. Puoi
andare ora. -
- Grazie Sacerdotessa, per aver confidato nella mia fedeltà. -
L'imputata di tradimento se ne andò, lasciando la Grande Sacerdotessa
sola con le proprie riflessioni.
Ella era rimasta pensierosa. Leiber aveva dimostrato la propria innocenza,
sì, ma anche una mente più pericolosa di quanto la Sacerdotessa
immaginasse. Lei l'aveva presa tra i suoi più fidati cavalieri
perché la considerava una mente semplice, una persona che sapeva
portare a termine delle missioni, un'abile donna d'affari che poteva rimediare
delle cariche direzionali, ma comunque sotto il completo controllo della
Sacerdotessa. Ella credeva che Erika fosse una persona ricca d'iniziativa,
ma solo per quel che riguardava le imprese di demolizioni; insomma, poco
più di una marionetta. Invece aveva scoperto una mente molto più
complessa, capace di mentire in maniera sin troppo convincente a Deacon,
capace persino di prevenire i movimenti della Sacerdotessa, scoprendo
i suoi microfoni, ed anche di dettarle delle condizioni - che altro era
altrimenti il suggerimento di quella nuova missione, che nessuno al di
fuori della medesima Leiber avrebbe potuto portare a termine?- ed infine,
chi poteva essere sicuro che la tedesca avesse mentito a Deacon e non
alla Sacerdotessa? Con chi dei due era stata sincera, ammesso che fosse
mai stata sincera con qualcuno dei due?
La Sacerdotessa capì di non essersi tolta il peso del proprio errore
di valutazione, e che anzi lo aveva aggravato. Aveva scoperto in Leiber
un pericolo maggiore che se fosse stata una semplice traditrice. Anche
se avesse agito in buona fede in quel momento, ella avrebbe potuto diventare
in futuro una seria minaccia. La continua ascesa della tedesca all'interno
della setta, ora la Sacerdotessa lo vedeva chiaramente, era un segno di
quanto ella fosse ambiziosa, e quella sua stessa ambizione l'avrebbe portata
prima o poi a rivaleggiare con la stessa Sacerdotessa. Certamente il posto
nell'assemblea costituente non era che il primo passo...
No!
Non poteva permetterlo. L'adepta Leiber andava eliminata finché
non costituiva una seria minaccia, ma non subito, doveva prima rivelare
il segreto di Deacon, confermando o meno le ipotesi che aveva fatto la
Sacerdotessa, e poi, poi un incidente avrebbe tolto di mezzo la rimpianta
e valorosa adepta.
A chi avrebbe affidato il compito di eliminare Leiber? Semplice, a Stuart,
che fortunatamente, ed in parte grazie alla stessa Erika, stava per prendere
la rotta di Marte. Stuart era l'uomo adatto. Era un soldato e quindi avrebbe
saputo uccidere senza farsi scrupoli; non apparteneva all'ambiente settario
marziano, per cui non avrebbe tirato fuori storie del tipo "non si
può eliminare un confratello marziano", ed infine, dopo la
sua diserzione non aveva a disposizione altri appoggi se non i templari,
a cui, rinunciando all'esercito regolare, aveva dimostrato la propria
lealtà assoluta.
No, la fedeltà di Stuart era assolutamente fuori discussione.
Paradossalmente, la sacerdotessa si affidava ad un uomo, fedele perché
traditore, per eliminare un adepto traditore perché fedele.
II
La
luce bassa del Grande Anello Solare entrava vermiglia attraverso una finestra,
riflettendosi sulla lama di una spada tedesca risalente alla prima guerra
mondiale. Leiber fissò un poco, distratta, quella striscia di fuoco,
poi tornò ai suoi documenti.
La missione per conto della Sacerdotessa era importante, ma con questo
non poteva certo attaccarsi a Deacon come fa la sabbia su un corpo sudato.
Sarebbe stato un comportamento fastidioso e sospetto, e nessuno voleva
insospettire Deacon; e poi, la cura dell'archivio era ormai per Erika
una sorta di rituale. Non necessario - poteva esser fatto tranquillamente
da una macchina - ma ella comunque preferiva farlo di persona, per ritagliarsi
dei momenti di privacy e di riflessione, anche perché non richiedeva
assolutamente impegno o grande concentrazione.
L'ora tarda, unita alla stanchezza che provava per la giornata pesante
la portavano a distrarsi e fantasticare su ogni documento. Era cosciente
di stare perdendo tempo, o meglio, di dare quest'impressione ad un eventuale
osservatore esterno, ma le piaceva crogiolarsi in riflessioni oziose,
lasciando vagare liberamente la sua mente, sapendo bene che spesso le
sue migliori intuizioni nascevano in quel modo. Fu così che, alla
vista del contratto di demolizione della torre di Deacon, Erika si adagiò
meglio sullo schienale della sua poltrona, e si mise a guardare, senza
per altro mettere a fuoco, quel documento. Era grazie a quella torre che
aveva avuto modo di conoscere Brian, la tedesca faceva fatica a tenere
gli occhi aperti, e sempre a causa di come aveva minato l'edificio Deacon
l'aveva potuta rintracciare come templare.
La torre però non era stata abbattuta, già, Brian aveva
insistito per lasciarla in piedi. La torre... In piedi - Erika stava chiudendo
lentamente le palpebre - in piedi, non abbattuta. Il detonatore nelle
mani di Deacon...
La torre... In piedi.
In piedi.
In...
Perché? - improvvisamente Erika era di nuovo sveglia e attenta
- Perché la torre non era ancora stata abbattuta? A quella domanda
Leiber si scosse dal torpore. Come mai Brian aveva cambiato idea? Aveva
anche pagato, e molto, per ottenere di usare personalmente il detonatore.
Perché? cosa gli era passato per la mente? Deacon aveva fatto la
sua strana richiesta dopo esser stato nella torre. Si ricordava che quell'uomo
aveva il volto congestionato. Leiber ebbe l'improvvisa sensazione che
tutto girasse intorno a quella torre e in quel momento l'occhio le cadde
su un particolare del contratto. Da lì si intuiva che Deacon, quando
aveva comprato il terreno, vi aveva già trovato la torre in quello
stato. Chi l'aveva fatta costruire allora? Nella speranza di avere qualche
delucidazione, magari contattandolo, ricercò il nome del proprietario
precedente a Deacon.
Non fu per niente un lavoro lungo o complesso, e quando apparve il nome
di Simâck, Leiber rimase senza parole.
Per sicurezza controllò che quello fosse lo stesso Simâck
morto suicida.
Era lui.
Leiber non ignorava le voci che giravano tra i templari sul suo conto.
Ma il dubbio più pressante venne dalla Sacerdotessa. Ella era a
conoscenza del fatto che fosse Deacon ad avere il terreno di Simâck?
E se era così, stava forse giocando con lui come il gatto fa con
il topo? E soprattutto, cosa aveva trovato Deacon sotto la torre?
- Dovrò andare a controllare personalmente. - Disse risoluta.
III
Il
Grande Anello era da poco tramontato, mentre il Sole aveva appena passato
il culmine del proprio percorso.
Dopo aver parlato con la Sacerdotessa Deacon era tornato a casa, aveva
osservato speranzoso il foglio notizie per un po', poi aveva deciso di
lasciare tempo al Tempo ed aspettare quindi almeno un paio d'ore, magari
provando a riposarsi un poco.
Inutile dire che, sempre restio all'uso di ogni tipo di sonniferi, i suoi
tentativi furono vani. Comunque, tornò a controllare le notizie
provenienti dalla Luna.
Nessun riferimento a una qualche evasione, ma le altre notizie erano tutt'altro
che incoraggianti. Alle 00.30, secondo l'ora del Tharsis, era apparso
un piccolo articolo, che riferiva di come diverse navi spaziali, probabilmente
da guerra, si stessero riunendo in un punto imprecisato a circa diecimila
chilometri dalla superficie terrestre.
Deacon si sentì gelare il sangue nelle vene. Si stava per verificare
la prima battaglia stellare della storia. Si stava forse per realizzare
l'invasione delle colonie lunari. Mentre Fred, John e Roger si trovavano
ancora lì! Sentì tutte le sue speranze raggrinzirsi e sfaldarsi
in polvere minuta. Certamente, ora che si stava per combattere la prima
battaglia spaziale della storia umana, il foglio notizie non avrebbe trovato
neanche un bit per parlare dell'evasione di tre minatori. Per avere qualche
informazione doveva forzatamente mettersi in contatto con i templari,
cioè con Leiber. La cosa gli diede fastidio, perché aveva
l'impressione di essere come un bambino troppo attaccato alla gonnella
della madre, ma la preoccupazione per i suoi amici era più forte
del suo orgoglio, quindi chiamò Leiber.
Sfortunatamente Leiber non si era resa rintracciabile.
Probabilmente, si era detto allora Brian, con una punta appena accennata
di dispiacere, Erika si trovava in dolce compagnia e non voleva essere
disturbata.
Non poteva quindi contattare Leiber. Quindi niente notizie dei suoi amici.
Non aveva certamente la minima predisposizione per occuparsi di affari
e restando attaccato come un vegetale al foglio notizie non avrebbe cavato
la proverbiale goccia d'acqua dal deserto marziano. Guardò con
un gesto meccanico l'ora. A dispetto del sole alto era notte fonda, mezzanotte
e trentotto minuti. Per quanto avrebbe dovuto restare così in ambasce?
Poco, si disse, se non voleva impazzire. Staccare la spina, qualche ora
per riflettere e scaricarsi, di questo aveva bisogno, e sentiva di non
poterlo fare a casa.
Dove, allora?
Ormai era in vettura e per le strade di Aphrodite, ma senza ancora aver
deciso la destinazione.
Lontano da tutto e da tutti, solo ed isolato, ma dove?
Ovvio.
Alla torre.
Era arrivato all'altopiano in tempo per uno spettacolo, quasi giornaliero
ma unico nel Sistema Solare. Il Sole era altissimo nel cielo e l'Anello
Solare stava sorgendo da est.
Era una sottile linea tra l'arancio ed il rosso, appena percettibile,
lì, lontano da ogni inquinamento luminoso e con l'orizzonte completamente
libero. Una specie di bordo di terracotta che ornava tutta la metà
orientale dell'orizzonte da nord a sud. Poi, piano piano, cominciò
ad alzarsi, prendendo di minuto in minuto sempre più vigore, staccandosi
dall'orizzonte e imprigionando tra la terra ed il lungo fuoco una sottile
striscia di cielo, già azzurro per la presenza del Sole, anche
lì in basso, tra Anello e orizzonte.
Quello spettacolo unico ebbe il potere di rasserenare un poco l'animo
di Deacon, che dopo un po' provò nuovamente il desiderio di entrare
dentro la torre a controllare nuovamente il suo segreto, come per assicurarsi
che nessuno lo avesse rubato. Mise la mano in tasca, e ne tirò
fuori il piccolo detonatore, come per assicurarsi che fosse sempre lì,
insieme alla chiave della camera d'equilibrio. Rassicurato, ed armato
di una luce portatile, rientrò nell'ampio atrio. Tutto era come
prima. Il silenzio, che qualcuno anticamente aveva chiamato sovrumano
- ora capiva anche lui perché - la solitudine, il velo di polvere
rosata, la dolce pendenza del pavimento e delle pareti; Deacon camminava,
assaporando l'eco dei suoi stessi passi, spaziò con lo sguardo,
oltre una vetrata che rendeva visibile una parte di paesaggio che sino
a poco prima era stata nascosta dalla mole gigantesca della torre.
Là Deacon vide una cosa che non avrebbe dovuto esserci.
Uscì di corsa all'esterno, girò intorno alla torre, fino
a raggiungere l'esterno di quella vetrata.
Lì la vide.
La toccò, come per accertarsi che non fosse un'illusione maligna.
Si guardò intorno.
Nessuno.
La vettura che Deacon stava toccando era vuota. Dove erano finiti il suo,
o i suoi occupanti? Deacon guardò per terra e vide delle impronte
allontanarsi dalla vettura in direzione dell'ingresso della torre. Di
corsa entrò nuovamente nell'atrio, sperando di poter seguire le
orme che l'intruso - ne contava una sola serie - aveva lasciato nella
polvere. Si rese presto conto che non era possibile, o almeno lui non
era in grado di farlo. Sul pavimento c'erano le tracce delle due precedenti
visite di Deacon e ora che vi faceva caso, anche quelle dell'intruso;
ma i percorsi di Deacon non erano stati lineari, si ricordava infatti
che la prima volta aveva passeggiato senza meta, mentre la seconda, alla
ricerca del cunicolo, era andato su e giù, era tornato sui propri
passi, era partito più volte da uno stesso punto preso come riferimento.
Tutto ciò aveva reso le tracce illeggibili, ed infatti, per quello
che riusciva a capire Brian, esaminando tra l'altro solo parte dell'atrio,
anche l'intruso si era mosso con molta indecisione, seguendo ora l'una
ora le altre tracce, ora addirittura nessuna.
Evidentemente anche quella persona era alla ricerca del cunicolo, o almeno
di quello che nascondeva.
Si sentì indeciso, cosa poteva fare? Scendere giù a controllare
chi fosse l'intruso? E a che pro? Era probabile che chi fosse lì
sotto potesse essere anche armato. Poteva sfruttare l'effetto sorpresa.
Ma per far che cosa? Tramortire l'intruso? No, eccesso di legittima difesa,
avrebbero arrestato anche Deacon, ed il cunicolo sarebbe divenuto di dominio
pubblico. Senza contare che l'intruso poteva essere un templare ed avere
quindi degli agganci.
Uccidere l'intruso? E come? No, Deacon non era un assassino. Scendere
giù era un'idea da scartare, e così fece. Perché
poi scendere? Per impedire all'intruso di scoprire il segreto? E come,
prendendolo a male parole? D'altra parte però l'intruso prima o
poi sarebbe dovuto risalire, rimontare in vettura e andare, chissà,
a lavoro, o più logicamente, pensò ricordandosi di che ore
fossero, l'intruso sarebbe tornato a casa, o da altri complici a riferire.
Ad ogni modo, pensò Deacon, era più saggio nascondere se
stesso e la propria vettura dietro ad una di quelle barriere frangi-schegge
che Leiber aveva fatto mettere e di lì osservare non visto chi
fosse mai lo straniero; riconoscerlo e se mai fosse stato il caso anche
pedinarlo, e sorvegliare così chiunque fosse a voler spiare la
sua torre.
Mettendosi comodo sentì la massa della chiave. Tirò un sospiro
di sollievo. Aveva fatto bene a non lasciarla sotto la torre. In questo
modo, l'intruso, anche arrivando alla camera d'equilibrio, non avrebbe
mai potuto entrare, e nemmeno ascoltare le registrazioni. Quindi attese.
Mentre aspettava riprese corpo il fantasma della fantomatiche spie terrestri,
i misteriosi zii di Simâck.
Dopo alcuni minuti dall'atrio uscì una persona, si guardò
intorno e se ne andò. Non vide Deacon, che si era subito riparato
dietro la barriera. Una sola occhiata gli era infatti bastata.
Non c'era neanche bisogno di pedinarla.
Non era terrestre.
Era Erika Leiber.
IV
Finalmente
era entrata nella torre. Vi era entrata per ottenere delle risposte, ma
ora che si trovava all'interno dell'ampio atrio cominciarono ad assalirla
nuovi dubbi. Innanzitutto non sapeva cosa doveva cercare esattamente.
Qualcosa che potesse darle delle risposte, sì, ma come era fatto?
Doveva cercare qualche terminale, un oggetto minuscolo, un tesoro nascosto,
un passaggio segreto, un fantasma? E se ciò che stava cercando
non si fosse trovato più lì, se Deacon l'avesse portato
via? Ma più importante ancora, se fosse venuto lo stesso Deacon
e l'avesse scoperta? Allora si sarebbe giocata la sua fiducia. Non poteva
permetterlo.
Si pose un termine. Trenta minuti di ricerche e poi se ne sarebbe andata,
tornando caso mai quando fosse stata sicura di non essere scoperta, magari
quando il Sole fosse già tramontato e l'Anello fosse stato basso
sopra l'orizzonte e ci fosse stato solo un debolissimo rossore, come se
l'orizzonte, lontano, avesse preso fuoco. Presa quella decisione si sentì
più tranquilla, fece partire il conto alla rovescia e si mise alla
ricerca di Qualcosa.
A volte provava a seguire le tracce di Deacon, ma queste sembravano non
portare da nessuna parte. Il tempo passava e Leiber aveva accelerato il
passo. La costruzione era complicata e la tedesca non si ritrovava mai
dove credeva di essersi diretta. Spesso controllava il tempo e trovava
che i minuti volassero.
Stava per gettare la spugna, infuriata, quando si imbatté in una
serie di impronte insolitamente lineari. Le seguì speranzosa, ma
si trovò all'uscita. Quando se ne accorse la prima reazione fu
di rabbia, frustrata diede un calcio alla polvere, poi pensò che
una persona lascerebbe delle tracce così lineari solo se fosse
sicura del proprio tragitto, cioè quando sapesse dove fosse diretta,
in quel caso particolare era lampante, la destinazione era l'uscita; ma
cosa si poteva dire dell'altro capo del percorso, il punto di partenza,
il punto cioè dal quale Deacon aveva cominciato a camminare così
speditamente? Poteva essere lì il punto in cui Deacon aveva trovato
ciò che stava cercando? Leiber non lo poteva giurare, ma valeva
la pena provare, quindi cominciò a seguire le impronte sulla polvere
a ritroso. Dopo poco altre serie di tracce conversero nella stessa direzione.
Erika ne contò quattro, due in un senso e due in quello opposto.
Deacon aveva dunque intrapreso quel corridoio per due volte. Man mano
che si addentrava all'interno della torre la sabbia diveniva sempre meno
presente e quindi le orme si facevano sempre più incerte, ma ciò
non contava, perché Leiber aveva ormai una direzione da seguire.
Il corridoio continuava, ma su una parete si apriva un'apertura rettangolare.
Questa attirò l'attenzione della tedesca perché i suoi bordi
non erano inclinati come il resto della torre. Ne dedusse che dovesse
essere stata aperta in seguito al cedimento del terreno. Sentendosi vicina
a qualcosa di importante, Leiber l'imboccò. Scese le scalette metalliche,
accese la propria luce portatile - era stata previdente a portarsela appresso
- continuò a scendere, mentre sentiva il battito cardiaco aumentare
d'intensità, fino ad arrivare nella grande grotta circolare. Sapeva
di essere ormai a pochi metri dalla meta, anche se non c'era più
polvere rosata ad indicare le impronte di Brian.
Il tempo che si era posta era scaduto, ma non se la sentiva di tornare
indietro proprio in quel momento. Cominciò al contrario a camminare
con calma, esplorando la galleria. Qualunque cosa ci fosse là sotto,
doveva essere molto importante.
- Bella scoperta. - Si disse - Se non ci fosse niente le scalette e la
porta non esisterebbero, e un bel po' di cose sarebbero andate in maniera
diversa. Se qui sotto non ci fosse niente - pensò poi più
pessimista - mi sarei bruciata la fiducia della Sacerdotessa per niente.
-
Quell'affermazione l'indusse a riflettere più approfonditamente.
Leiber aveva scovato immediatamente i microfoni nella stanza, quando era
con Deacon; d'altra parte era quella una prassi della Sacerdotessa che,
seppur segreta, la tedesca conosceva da tempo. Comportandosi come si era
comportata con Deacon aveva deciso di correre un rischio calcolato. Sul
piatto della bilancia c'erano la fiducia di Deacon, con il suo segreto,
e quella della Sacerdotessa, con la sua potenza. Il primo era restio a
concederla, segno che la sua confidenza aveva un certo valore. Riguardo
alla fiducia della Sacerdotessa invece, si era resa conto invece, forse
troppo tardi, che era sin troppo semplice perderla, e forse troppo difficile
riconquistarla.
Era tuttavia sicura della sua ultima affermazione o forse stava diventando
troppo pessimista? Quando la Sacerdotessa l'aveva accolta l'ultima volta
la rabbia traspariva sulla pelle tesa in maniera palese. D'altronde, con
quello che aveva ascoltato, come darle torto? Tuttavia, anche dopo le
sue rassicurazioni, la sacerdotessa si era mantenuta fredda, non si era
comportata come normalmente faceva con i suoi più stretti collaboratori.
Brutto segno. Era probabile ch'ella pensasse ad Erika ancora come ad una
traditrice. Questo era stato un errore di valutazione di Leiber, e toccava
alla tedesca adesso riparare. C'era, nonostante tutto, ancora un modo
per riappropriarsi della stima della Sacerdotessa?
Se ella pensava che Leiber si fosse confidata con Deacon, forse allora
consegnarle il segreto di quel marziano le avrebbe dimostrato la fedeltà
di Leiber, riconciliandola con la Sacerdotessa; e allora avrebbe avuto
il posto nella costituente con tutti gli onori. Tutti gli onori all'interno
della setta templare.
Rifletté ancora.
Valeva la pena, in fondo, riottenere la fiducia della Sacerdotessa? Sì,
si rispose, se voleva coronare i suoi anni di sacrifici, nel sopportare
quella pazza e tutte le fissazioni dei templari, con una brillante carriera
politica. Tuttavia, lo stesso pensiero di poter rimanere imprigionata
in quei rituali senza alcun senso, forse per il resto della propria vita,
le faceva sentire come una lieve sensazione di nausea. Tutto dipendeva,
in definitiva, da quanto le importasse il posto nell'assemblea costituente.
Dopotutto, si ricordava, aveva sopportato il peso di essere templare per
tutto quel tempo proprio per poterli tenere sotto controllo una volta
arrivata al potere. Per tenerli sotto controllo, ma non solo. I suoi sacrifici
non avevano avuto solamente fini altruistici. Avere un posto nel governo
marziano nutriva anche il suo ego, e ciò non era una motivazione
da sottovalutare, anzi; e buttare infine al vento tutti quegli anni passati
da templare perché, dopotutto, si era seccata di loro, non aveva
l'aspetto di una mossa intelligente, ma piuttosto il sapore della stupidità.
Tuttavia si prese un appunto mentale. Avrebbe dovuto riflettere meglio
sulla sua posizione futura all'interno della setta: sarebbe stata in grado
di divenire indipendente dalla Sacerdotessa, di conquistarsi uno spazio
proprio ed inviolabile, di rappresentare un argine di razionalità
in mezzo a quella fiumana di squilibrati, oppure era destinata a rimanere
con le mani legate, imprigionata dai rituali e dalla mentalità
della setta? Questa, si rese conto, avrebbe finito col diventare un'importante
discriminante, in base alla quale la tedesca sarebbe rimasta o meno tra
i templari. A quel problema spinoso avrebbe pensato comunque in un altro
momento. Ora, pensò ritornando al filone principale dei suoi pensieri,
ammettendo dunque che fosse venuta in possesso del segreto di Brian, lo
avrebbe dovuto consegnare alla Sacerdotessa? E se non le fosse bastato?
Se avesse continuato a pensare di lei comunque come ad un essere poco
affidabile? Se fosse risultato alla Sacerdotessa che Leiber sarebbe divenuta
dopo quella missione inutile, o peggio, pericolosa? In quel caso, altro
che costituente o governo, l'avrebbe attesa un incidente mortale.
Erika fece una smorfia insoddisfatta. Era fondata la sua ultima ipotesi?
Purtroppo poteva anche esserla. Nel suo scarso equilibrio psichico la
Sacerdotessa aveva sempre evitato di prendere una linea di condotta coerente.
Atti di magnanimità solenne avevano lasciato spazio ad imprevedibili
decisioni di fredda crudeltà.
Assecondare la Sacerdotessa si rivelava dunque un rischio.
All'altro capo del filo si trovava il gruppo di Deacon. Cosa potevano
offrire loro quattro? Il primo pensiero di Erika corse a rapporti umani
non deteriori, nei quali finalmente avrebbe potuto smettere di simulare
e dissimulare. Le venne in mente, senza capirne neanche il perché,
una vecchia camera sigillata, con le prese d'aria otturate, alla quale
venivano improvvisamente aperte le finestre per far uscire l'odore di
stantio. Pensando al gruppo di Brian era scaturita dalla mente della tedesca
quella stanza, e, affacciata a quella finestra, si era immaginata lei,
a respirare finalmente, come dopo una lunga apnea, aria fresca. Al momento
non capì il significato di quanto le era apparso in quel modo dalla
sua immaginazione, e non vi fece caso più di tanto. Ciò
che contava era che il gruppo di Deacon le offriva troppo poco, propendere
verso di loro voleva dire, così pensava, assecondare solamente
dei capricci, e lei non avrebbe voluto rimpiangere per il resto della
propria vita una decisione presa in un momento di debolezza. La verità
però era diversa, non così semplice. Ella si sentiva propensa
a lasciare la setta a vantaggio di Deacon e del suo gruppo, ma soprattutto
da Brian, pur sapendo che ciò sarebbe potuto essere fatale per
la propria carriera. E allora? Un antico scrittore terrestre, si ricordava,
una volta aveva scritto che il cuore ha le sue ragioni che la ragione
non comprende. Leiber aveva sempre pensato che fossero stupidaggini; era
sempre stata convinta di poter armonizzare, mettendola in posizione leggermente
subordinata, la sfera dei sentimenti a quella della ragione, che non potessero
così mai venire realmente in conflitto, non almeno in una persona
equilibrata come riteneva di essere. Ed invece eccola con la ragione che
la spingeva verso la Sacerdotessa, mentre l'emotività l'attraeva
verso Deacon. Da una parte i vantaggi materiali, il potere, il controllo,
la forza, ma, pensò poi più sulla difensiva, come discolpandosi,
anche la possibilità di potersi rendere utile alla popolazione
marziana. D'altra parte la prospettiva di un'amicizia sincera, di una
persona che aveva rischiato coscientemente la propria vita, per poter
salvare le persone a cui teneva. Razionalmente Leiber sapeva che probabilmente
sarebbe stato impossibile essere veramente Amica di Deacon, d'altra parte
provava emotivamente un certo disgusto per la Sacerdotessa. Pensò
ancora una volta a quali vantaggi avrebbe avuto schierandosi dalla parte
di Deacon.
- Dipende da cosa si nasconde qui sotto. - Si disse - Potrebbe essere
qualcosa in grado di conferire un grande potere. Ciò spiegherebbe
anche tutti i movimenti ai danni di Brian, movimenti che sono cominciati
casualmente solo dopo che lui ha acquisito questo terreno. -
Leiber si rifiutò di immaginare cosa potesse essere nascosto lì
sotto, perché era sicura che, facendosi un'immagine, anche labile,
di qualcosa, quell'immagine avrebbe potuta sviarla dal vero oggetto del
desiderio, il quale magari aveva un aspetto talmente ordinario da passare
facilmente inosservato.
- Ricapitolando, schierandomi - come suonava male quella parola associata
a quella persona - con Deacon, posso fare in modo che questo Qualcosa
resti a noi e non vada ad aumentare il potere dei templari. -
A quel punto, aveva capito, tutto dipendeva da quanto sarebbe stato possente
quel qualcosa, se fosse stato abbastanza forte da poterlo contrapporre
alla Sacerdotessa, allora Leiber avrebbe potuto disertare a cuor leggero.
Altrimenti sarebbe stata costretta a rimanere fedele.
- Nel frattempo - concluse - mi conviene non prendere una posizione troppo
aperta, per avere la fiducia sia della Sacerdotessa che di Deacon. -
Nonostante tutto, a quel pensiero, Erika provò come una fitta al
cuore. Era tanto che non aveva più avuto occasione di provarla.
Si ricordava tuttavia cosa stesse a significare. La chiamavano coscienza,
il sentire come un comportamento potesse esser considerato giusto o sbagliato,
buono o cattivo. Lei, Erika, da tempo aveva cominciato a dividere le proprie
azioni ed i propri pensieri in tipi diversi di categorie: le decisioni
vantaggiose e quelle svantaggiose, senza più preoccuparsi del problema
etico, troppo vincolato alla sfera puramente emotiva. Ora invece il pensiero
di poter trattare Deacon come pura merce di scambio le aveva fatto provare
un senso di fastidio, che forse tradiva qualcosa, forse un'amicizia...
o forse qualcos'altro.
Sciocchezze! Deacon era solo un conoscente, niente più che un cliente
d'affari; gli altri tre nemmeno li aveva mai visti. Non c'era nulla che
potesse giustificare un'eventuale amicizia tra i due. Eppure... Forse
sentiva come un senso di affinità. Entrambi, seppure in maniera
molto diversa, oppressi dai templari, entrambi solitari in lotta contro
un nemico con ogni probabilità troppo grande, vittime e complici
di complotti che miravano come ultimo scopo a sovvertire l'ordinamento
dell'intero Sistema Solare.
E ad un tratto, come improvvisamente sotto l'influsso di qualche maligna
influenza che la sradicò da quei ragionamenti così intimi,
Erika vide l'intero ordine del Sistema Solare che veniva sconvolto. Vide
Marte unito sotto un'unica federazione di stati; e vide i templari a capo
di questo stato. Poi vide la Terra devastata dal conflitto, la Luna depauperata
nel suo vano tentativo di salvare il pianeta madre; vide il selvaggio
Venere ancora precariamente abitato. A quel punto, chiaramente, limpidamente,
le si mostrò come Marte avrebbe potuto varare una flotta di navi
spaziali da guerra e con questa invadere e conquistare prima le Libere
Lune Gioviane, poi Venere, ed ancora la Luna, per finire con la Terra,
ancora troppo stanca per potersi permettere di resistere. Negli occhi
della tedesca si formò la visione del Sistema Solare, dell'umanità
tutta ridotta ad un solo sconfinato Stato; ed a capo di questo Titano
ancora loro, i Templari, e tra i templari la stessa Leiber, ma a capo
di tutto la Grande Sacerdotessa.
Al diavolo la sacerdotessa! Erika sapeva di essere abbastanza abile da
poterla raggirare ancora, facendole capire che l'unico elemento veramente
indispensabile poteva essere solamente lei, Leiber. Il posto nella costituente
sarebbe stato solo il primo passo, poi avrebbe seguito di certo un posto
nell'esecutivo del governo del pianeta che avrebbe dominato il Sistema.
Contemporaneamente avrebbe poi scalato ancora altri gradi nella setta,
sicuro, perché nello scenario che Erika si era dipinta il governo
avrebbe continuato ad essere come la nascente burocrazia del Tharsis,
quasi interamente sotto il controllo dell'Ordine dei Cavalieri Teutonici
del Gran Tempio di Marte. Non avrebbe dovuto salire ancora a lungo, Leiber,
tra i templari. Era già consigliere personale della Grande Sacerdotessa.
Il passo successivo non avrebbe potuto che essere una promozione a sacerdotessa
anche per Erika. In quel momento, facendo parte del consiglio dei dieci,
sarebbe stata l'unico degno successore della Grande Sacerdotessa alla
guida della Setta e conseguentemente anche alla guida del Gigante.
Sì, il progetto era alla sua portata, e quella missione era di
un'importanza nodale per il futuro della tedesca, lo sapeva bene, quindi
con buona pace dei suoi sentimentalismi, l'avrebbe portata a termine,
così da soddisfare la Sacerdotessa, il suo lato razionale e la
propria ambizione.
Represse ferocemente nel proprio interno la propria coscienza che stava
urlando per il dolore e decise di proseguire con determinazione, fredda
e lucida.
Ora che era giunta ad una conclusione poté soffermare la propria
concentrazione su quella sorta di stanzino che già Deacon aveva
scoperto. Vide la porta stagna bordata di righe gialle e nere. Provò
ad aprirla, ma la spia restava ostinatamente rossa, e la porta, ignara
delle pretese della ragazza, testardamente chiusa. Lo schermo, dal canto
suo, non voleva saperne di accendersi e rimase nero malgrado tutti i tentativi
di Leiber.
Intuì che ci dovesse essere qualche sorta di codice, qualche parola
o chiave d'accesso; ma non provò a forzare niente, ben sapendo
che ad un suo errore l'intero sistema avrebbe potuto bloccarsi definitivamente.
Fissò la porta, cercando nella mente dove aveva già visto
una struttura simile.
Si ricordò di uno dei suoi primi lavori, molto prima delle cariche
direzionali, quando ancora l'impresa di Leiber non era conosciuta, anzi,
precisò, proprio grazie a quel lavoro ed alla sua ottima riuscita,
nonostante i problemi tecnici e la scarsità di tempo, ella doveva
gran parte della propria fama.
Probabilmente il primo vero successo personale di Erika.
Era avvenuto su Marte. - Erika non aveva mai avuto modo di lasciare l'atmosfera
marziana - Una delle cupole più antiche del pianeta rosso era stata
sommersa, col passare del tempo, dal livello del mare che, grazie al lavoro
dei minatori, cresceva sempre più. Pur tuttavia la cupola non era
stata abbandonata, ma adattata, riconvertita, per resistere alle nuove
condizioni ambientali. Era diventata così una città sottomarina
ed era stata ribattezzata Batrax, e con il passare degli anni era cresciuta
diventando uno dei centri più importanti del distretto centrale,
nel vice-governo di Marineris. Batrax era una città più
che benestante, era in verità notevolmente ricca, posizionata su
un tratto pianeggiante ad un migliaio di metri dal fondo della Valles
Marineris, un sistema di canyon sterminato, scavato dall'acqua del periodo
uno. Un chilometro circa dal fondo, ma un dislivello ripido, alle spalle
della città, che correva in salita per altri quattromila metri,
duemila dei quali ricoperti dall'acqua. Una città ricchissima,
Batrax. Purtroppo un pericolo incombeva su di lei.
Il terreno, di nuovo a contatto con l'acqua dopo milioni di anni di siccità,
in alcuni punti mostrava continui cedimenti. Già da tempo i cittadini
di Batrax erano corsi ai ripari costruendo qua e là dei contrafforti,
ma essi non erano bastati.
Leiber non ricordava bene, erano passati parecchi anni, forse era stato
un cedimento, forse un errore di valutazione dei tecnici che l'avevano
costruito, forse lavori non eseguiti perfettamente, fatto fu che uno dei
contrafforti cedette e un gigantesco fiume di fango e detriti cominciò
la sua marcia per seppellire la città.
Dal momento in cui era stato segnalato il primo cedimento strutturale
del contrafforte fino all'impatto tra la città e la corrente di
detriti gli esperti non avevano pronosticato più di ventiquattro
ore. Forse neanche abbastanza per completare l'evacuazione, figurarsi
per salvare Batrax. Tuttavia, per una serie di coincidenze, Leiber aveva
offerto il proprio aiuto ed era riuscita, grazie ad una serie di esplosioni
e grazie ad una nuova ardita e disperata tecnica, escogitata da lei stessa,
a deviare il flusso di fanghiglia su un altro percorso quando era arrivato
ormai a poche decine di metri dagli avamposti della cittadella.
Quel successo le diede denaro, fama, e la possibilità di conoscere
una persona, che poi introdusse l'allora giovane Erika, alla corte della
Grande Sacerdotessa.
Nel periodo di tempo che trascorse a Batrax, comunque, aveva visto delle
porte simili a quella. Le chiamavano camere di equilibrio, e si usavano
quando si doveva passare da un ambiente pressurizzato in acqua.
Cosa c'entrava però una camera d'equilibrio nel Tharsis, a migliaia
di metri sopra il livello del mare?
La risposta più ovvia che le venne in mente fu che al di là
di quelle rocce si trovasse una vastissima riserva d'acqua, imprigionata
sin dal periodo uno, e tenuta nascosta all'umanità.
Tutto lì il segreto di Deacon?
Perché poi tenere nascosta una riserva d'acqua? Perché probabilmente
una tale riserva avrebbe potuto danneggiare gli affari dei minatori. Più
acqua su Marte voleva dire meno viaggi e quindi meno compensi per i commercianti
d'acqua. Questo cosa c'entrava con Deacon? Semplice, i suoi tre amici,
tanto cari, erano dei minatori, e dunque, pensò, l'acqua doveva
essere la principale fonte di ricchezza dei quattro. Inoltre, anche Simâck
era stato minatore, dunque anche lui aveva voluto tenere nascosto quel
giacimento per i propri traffici. Tutto quadrava. E la grotta non risultava
in nessuna carta proprio a causa di Simâck, probabilmente aveva
fatto contraffare tutti i documenti - occultare risorse idriche era, su
Marte, un reato - e per poter nascondere meglio la sorgente vi aveva fatto
costruire sopra senza però aspettarsi che la grotta avrebbe poi
ceduto.
Leiber rimase delusa dalla propria spiegazione alla camera d'equilibrio.
Si aspettava chissà quale segreto, che l'intrepido Brian avrebbe
dovuto nascondere per fini nobili. Invece risultava che Deacon non era
nulla più che un occultatore d'acqua, dunque - pensò con
disprezzo - un semplice criminale. Ad ogni modo lei avrebbe esposto le
proprie conclusioni alla Sacerdotessa mostrandosi particolarmente dura
verso Deacon. Se lo meritava.
V
La
Terra, benché si stesse allontanando e fosse visibile solamente
un piccolo spicchio illuminato, mentre il resto del pianeta era in ombra,
appariva tuttavia maestosa.
- Pensate che ci avvicineremo ancora, e parecchio. - Disse il pilota della
navicella.
- La useremo come fionda gravitazionale? - Chiese May.
- Prima useremo la Luna, ma dopo - disse Stuart, che usciva proprio in
quel momento dalla cabina di pilotaggio - sfortunatamente, toccherà
anche alla Terra di spingerci. -
- Come mai "sfortunatamente"? - Chiese Bulsara, perplesso.
- Perché proprio in orbita alla Terra, e proprio in questo momento,
si sta svolgendo una battaglia stellare. -
- Non è possibile. -
- Sì invece, e noi, se vogliamo poter arrivare su Marte, dovremo
passare a meno di diecimila chilometri dal centro della battaglia. -
- Non potremmo individuare una rotta che passi lontano dalla battaglia?
-
- No - disse May - Per poter arrivare su Marte in tempi misurabili in
giorni e non in anni è necessario utilizzare la Terra ed anche
il Sole, altrimenti la nave non potrebbe mai raggiungere una velocità
abbastanza elevata. -
- E usando la Terra, ma ad una maggiore distanza? -
- Non credo che sia una questione di mille o duemila chilometri. Qual
è il raggio d'azione delle loro armi, Albert? -
- Intorno ai cinquantamila chilometri. -
- E le navi sono a diecimila chilometri dalla superficie? -
- Grossomodo, per quanto ne sappiamo, sì. -
- Ciò vuol dire che per essere al sicuro dovremmo passare a sessantamila
chilometri dalla Terra. Troppo. Non è possibile. -
- Andiamo incontro a grossi rischi? - Chiese Taylor.
- Non so dirlo con precisione. - Rispose Stuart - Ci avvicineremo allo
scontro quando avremo già raggiunto una notevole velocità,
o almeno così dicono i piloti; quindi, avendo noi slancio ed essendo
le altre navi spaziali praticamente ferme, non dovrebbero essere in grado
di inseguirci. Inoltre credo che le navi militari abbiano altro a cui
pensare piuttosto che darci la caccia.
I problemi sorgono se delle navi relativamente fuori dallo scontro decidessero
di abbatterci. -
- Quante probabilità hanno di colpirci? -
- Tutto dipende da quale sarà l'effettiva distanza a cui ci avvicineremo,
ora non possiamo saperlo, non abbiamo dati precisi, solo poco più
che supposizioni, perché sono informazioni segrete e quelle sono
navi con congegni antirilevatori, difficilissime da rintracciare. Ci sono
moltissime variabili. -
- Ma volendo prendere un esempio particolarmente sfortunato? -
Stuart sospirò, concentrandosi. - Va bene, allora, considerando
che voi due ne sapete più di me in fatto di rotte e di navigazione,
la situazione è pressappoco questa. Quando siamo saliti a bordo
di questa nave, fuggendo dall'altra, ci stavamo dirigendo verso la Terra.
Abbiamo dovuto quindi invertire la rotta, perdendo così gran parte
della nostra velocità, perché altrimenti, seguendo quella,
non avremmo potuto agganciarne nessun'altra che fosse stata in grado di
portarci su Marte in breve tempo. -
- D'altronde l'altra traiettoria non doveva portarci oltre la Terra. -
- Giusto. - Riprese Stuart - Una volta invertitala ci siamo diretti verso
la Luna. Quando la doppieremo saremo di nuovo di fronte alla Terra. -
- A questo punto - disse May - immagino che utilizzerete i reattori alla
massima potenza. -
- Così mi hanno detto i piloti.
Bene, la Luna in questo periodo dista dalla Terra circa quattrocentomila
chilometri. Supponendo che le navi terrestri si trovino a diecimila chilometri
di quota sulla Terra, e poiché queste navi si troveranno quasi
in linea con la Terra e la Luna, dalla parte opposta della Terra rispetto
a noi... -
- Come fai ad essere così sicuro che si trovino proprio dove hai
detto? Fino a poco fa non sapevi dove potessero trovarsi. -
- Mi sono servito del mio intuito. La battaglia serve per assicurarsi
predominio dello spazio, dunque il potere sulla Luna, e non appena sarà
finita le navi vincitrici useranno la Terra come fionda per raggiungere
la Luna e conquistarla. -
- Non aspetteranno neanche un po'? - Chiese Taylor.
- Aspettare, e che cosa diavolo dovrebbero mai aspettare? Sono navi militari.
- Aggiunse poi con disprezzo verso Taylor.
- Non so, fare delle riparazioni o curare i feriti, ad esempio. -
- No, basterà una singola nave in funzione per mettere sotto scacco
l'intera Luna. -
- Tutto così immediato? Oggi il cielo... Domani la Luna? - Disse
May.
- Ricordatevi che non è un banchetto, è la guerra - disse
orgoglioso Stuart - e questa inoltre ha avuto dei tempi forsennati, grazie
alle tecnologie moderne. E' già tanto che questa battaglia si sia
combattuta a ben tre settimane dall'inizio del conflitto vero e proprio.
Dicevi "oggi il cielo e domani la Luna"? Sbagliavi. Se questa
guerra dovesse essere riassunta in una frase, questa sarebbe: adesso il
cielo, e la Luna tra un paio d'ore. -
- Dà le vertigini. - Disse Bulsara.
- Merito del progresso, ma torniamo a noi. Sappiamo che fino a quando
non avremo oltrepassato la Terra, lo stesso Pianeta ci farà da
scudo contro le loro armi ed i loro rilevatori. Non appena però
avremo doppiato la Terra dovremo percorrere qualcosa come circa settantamila
chilometri entro il loro raggio d'azione. - Mentre diceva queste cose
stava anche tracciando lo schema della rotta, con i pianeti e le relative
orbite, sul foglio notizie, con uno speciale stiletto separato dal foglio
notizie stesso. Il computer del foglio notizie elaborava i segnali che
riceveva da Stuart e faceva comparire sullo schermo, in tempo reale, solamente
linee precise e distanze con approssimazione finissima. Questo mentre
l'ex equipaggio della Europe annuiva tutt'intorno a Stuart. - Bene, a
questo punto sappiamo di avere i quattrocentomila chilometri che separano
la Luna dalla Terra tutti da utilizzare come rincorsa, per cui dovremmo
essere in grado di percorrere i settantamila chilometri all'interno del
raggio d'azione dei terrestri in non più di trentasei o trentasette
secondi, inoltre le loro navi non sono nelle condizioni migliori per colpirci.
-
- Dici? -
- Bene, immagina di essere un soldato posto di fianco all'uscita di un
tunnel, e per di più immagina di voltare le spalle al tunnel perché
stai combattendo contro nemici che provengono da tutt'altra parte. Immagina
ora che una vettura esca a tutta velocità, senza preavviso, dal
tunnel. Anche essendo prontissimo di riflessi, anche girandoti istantaneamente
con l'arma imbracciata e caricata, quando la vettura sarà di fronte
a te la vedrai sfrecciare troppo velocemente per poterla colpire, e solo
quando sarà più lontana avrai probabilità di puntarla
con più successo, ma allora sarà il fattore distanza a rendere
arduo il colpire quella vettura. Fuor di metafora, il tunnel è
la Terra, la vettura siamo noi mentre il povero soldato sono le navi nemiche.
-
- Se le cose stanno così non dovremmo avere molti problemi. -
- Magari. Poco fa erano i lati positivi. Devi considerare che non ti sparerà
addosso un semplice e solitario soldato, ma tutta una serie di armi dotate
di sofisticatissimi puntatori, appartenenti alle navi da guerra più
moderne che l'uomo abbia mai concepito. -
- Pensi che sia certo che ci sparino contro, non potrebbero ignorarci?
D'altra parte noi siamo inoffensivi. - Chiese Bulsara.
- No, quando ci avranno scoperti, una nave qualsiasi troverà il
tempo per liberare una torretta e spararci contro. Non si viola lo spazio
aereo di una zona in cui si sta svolgendo una battaglia. Potrebbero pensare
che a bordo della nostra navetta ci sia qualche pezzo grosso in fuga verso
Marte, qualcuno per cui valga la pena di abbatterci, o peggio potrebbero
non pensare proprio ed abbatterci solo in quanto oggetti volanti non autorizzati.
Non dobbiamo sperare nel loro buon cuore. -
- In che cosa dobbiamo sperare, allora? -
- In questa nave. - Disse sicuro Stuart.
- Ah sì? -
- Ha un meccanismo di difesa eccezionale, unico nel suo genere, progettato
appositamente da un adepto. -
- E sarebbe? -
- Dovete sapere che questa nave ha sette reattori di propulsione nella
parte terminale della fusoliera; sei disposti come un esagono regolare
ed il settimo al centro di tale esagono, e questi reattori resteranno
spenti da quando saremo nei pressi della Terra fin quando non dovremo
rallentare, nei pressi di Marte. Bene, noi possiamo distaccare i sei reattori
esterni, questi si allontaneranno di alcuni metri dallo scafo, seguendo
comunque la rotta sulla quale siamo incanalati. -
- In questo modo i reattori faranno da scudo alla navetta? -
- Sì, possiamo fare in modo che tutti e sei i reattori si trovino
tra noi e le navi nemiche e poi, passato il pericolo, possiamo recuperare,
e reinnestare, i reattori superstiti. -
- Di quanti reattori necessita questa nave - chiese May, preoccupato dell'eventualità
che si stava prospettando - per decelerare? -
- Dicono al meno tre, e ce la facciamo per un soffio. -
- E cosa succederebbe - chiese Taylor - se restassimo con meno di tre
reattori? -
- Non riusciremmo a rallentare abbastanza per restare in orbita intorno
a Marte, in quel caso dovremmo chiedere soccorso alla Grande Sacerdotessa,
per farci recuperare. -
- Altrimenti? - Incalzò John.
- Non riusciremo più a tornare indietro, e ci perderemo per sempre
nello spazio profondo. -
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