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CAPITOLO
6
NEI BRONCHI DI ARES
VI
La
vita non era nient'altro che una gara, e quello che più contava
era l'arrivare avanti agli altri. Questo era stato praticamente l'unico
insegnamento impartito alla sua figlioletta dal generale Leiber. Arrivare
davanti agli altri per lei stava a significare comandare su più
persone possibile, così ora, per mostrare di essere una degna Leiber
si apprestava a percorrere la carriera politica. Ella avrebbe dovuto essere
fiera del posto che già occupava, comandava infatti più
persone di quante ne potesse comandare un generale, e se, nel mondo degli
affari, doveva ancora rispettare alcune regole, ovvero degli ordini impersonali,
di lì a poco ella avrebbe avuto l'opportunità di poterle
fare lei stessa, quelle medesime leggi. Eppure quella corsa per il potere
non la soddisfaceva in pieno, non riusciva a gustarsi le sue conquiste
perché, inspiegabilmente avevano tutte un certo sapore amarognolo
che non riusciva a togliere. A volte, quando era stanca, le capitava di
pensare alla sua scalata sociale come ad una sorta di gabbia, che le impediva
di muoversi come effettivamente avrebbe voluto. Le nasceva allora il desiderio
di fuggire, andarsene lontano e ricominciare, senza convenzioni sociali
e senza, soprattutto, templari. Poi, fatidicamente, nasceva la domanda:
fuggire, e dove? La fuga poteva anche essere metaforica. Poteva fuggire
dalla sua gabbia senza neanche dover traslocare, ma comunque le sembrava
necessario non ricominciare da sola, come un profeta nel deserto, ma con
qualcuno che le dimostrasse di non essere l'unica, di non aver intrapreso
una strada sbagliata; e allora, con chi? La stragrande maggioranza delle
persone che lei conosceva appartenevano alla setta, e chi non vi apparteneva
era comunque una persona che lei aveva utilizzato per poter salire la
scala gerarchica.
In definitiva non si era creata un'alta opinione della fetta d'umanità
che aveva avuto modo di incontrare, e, per estensione, riteneva che anche
il resto degli individui fossero dozzinali, stupidi o comunque con qualche
rotella fuori posto. Unica eccezione era stato Deacon. Per lui aveva provato
qualcosa. Lei lo aveva ammirato, per la sua intelligenza, per come si
era comportato e, al di sopra di tutto, per come si era sacrificato, mettendo
in gioco tutto se stesso, per il bene dei suoi amici. Ella non aveva mai
visto niente di simile se non nella finzione, e si era sentita affine
a lui per le condizioni in cui versavano, giungendo anche a sospettare
che tutto questo non fosse che la punta di ciò che realmente lei
provava verso Brian. Poi era entrata nel sotterraneo della Torre. Lì
aveva scoperto che in realtà Deacon non era altro che un criminale,
che occultava acqua solo per i propri interessi. Le tornò in mente
quell’immagine mentale della stanza chiusa.
- Un altro inganno dei sentimenti. Come probabilmente quest'idea della
"fuga". - Pensava con severità, con rabbia, verso se
stessa. - Non c'è nessuna fuga, non esistono mondi migliori, non
esistono persone migliori, sono solamente illusioni romantiche, esiste
solo la realtà razionale, esiste solo la mia scalata sociale. -
Leiber si stava recando ad esporre le proprie scoperte alla Grande Sacerdotessa,
e continuava a ripetersi gli elementi fondamentali del proprio discorso,
per renderlo chiaro e lineare in ogni suo punto, per stendere tutte le
grinze e togliere gli angoli in ombra. Si formulava domande e si rispondeva
nella propria mente in modo tale da poter rendere limpida ogni sfaccettatura
del proprio pensiero.
- Hai avuto altri contatti con Deacon? - Si disse.
- No, sono entrata nella torre da sola e in segreto. -
- Che torre? - No! la sacerdotessa non ti sta mica in testa, e non deve
poter fare simili domande. Riformula la risposta.
- No, sono entrata da sola ed in segreto nella torre sul suo terreno,
la torre che ha fatto costruire Simâck. - Così va meglio.
- Hai scoperto qualcosa? - Non aspettare che ti faccia domande banali.
Spiega autonomamente la faccenda della falda sotterranea, e le sue conseguenze.
Questa parte già la sai, vai avanti.
- Perché sei entrata? -
- Il fatto che fosse ancora in piedi, il fatto del detonatore...
perché la torre è ancora in piedi? Se Deacon avesse voluto
semplicemente nascondere l'acqua sarebbe stato sufficiente murare la porta
segreta, ed invece vi era tornato due volte, apparentemente senza fare
nulla. Di più, aveva impedito che la torre, con tutte le sue testimonianze,
fosse stata distrutta dalla stessa Leiber. Inoltre restava da chiarire
perché il vice-governo della Luna Occidentale avesse incarcerato
senza motivo apparente gli amici di Deacon. D'accordo, occultare fonti
d'acqua era su Marte un reato, apparivano comunque eccessive le ritorsioni
che venivano fatte a Brian. Dunque Leiber fu portata a pensare di essersi
sbagliata. Là sotto evidentemente non c'era acqua, e di conseguenza,
Brian non era un criminale o un essere abbietto. Si sorprese del senso
di sollievo che provò a quel pensiero, ma, a questo punto, cosa
avrebbe raccontato alla Sacerdotessa? Certo non poteva annullare l'incontro
o dire di aver fino a quel momento appoggiato una teoria fasulla. La Sacerdotessa
non amava la gente che falliva, era restia generalmente a dare una seconda
possibilità, senza contare che si aspettava grandi risultati da
Erika, per essere sollevata dal dubbio di tradimento. Non avrebbe potuto
far altro che improvvisare, dando a bere alla Sacerdotessa un mucchio
di sciocchezze, senza neanche sapere cosa si fosse trovato realmente sotto
quella dannata torre.
La Grande Sacerdotessa l'accolse con la solita pompa, la fece accomodare,
quindi le diede il permesso di parlare.
- Grazie, Grande Sacerdotessa. Sono venuta qui, chiedendovi questa udienza,
per riferirvi delle mie ultime scoperte. Prima però, per completare
il quadro, avrei bisogno di alcune conferme. -
- Cioè? -
- Mi servirebbero alcune notizie su un certo Simâck Enoch, precedente
proprietario di un terreno di Deacon. -
- Sì, Enoch - disse con familiarità - ho avuto modo di conoscerlo
bene. Uno stupido, con più fortuna di quanta ne meritasse, -
- Come mai, Grande Sacerdotessa? -
- Era riuscito a prendersi quel terreno, sarà stato l'anno scorso,
poco dopo che agenti segreti europei vi ebbero rintracciato dei ritrovamenti
marziani. -
- Cosa intendete dire? -
- Sorpresa? Ebbene sì, stando a sentire questi agenti segreti,
un tipo dai capelli rossicci, un tipo abbastanza sgradevole, ed una ragazza,
sotto quel terreno ci dovrebbero essere una gran quantità di reperti
risalenti a quando Marte possedeva la vita. -
- Perché allora il terreno non è diventato possesso del
vice-governo? - Erika aveva intuito a cosa potesse servire la camera d'equilibrio,
ma la sua parte razionale le impediva di credere a ciò che aveva
immaginato.
- Colpa della crisi terrestre, ti ricorderai anche tu di quale fosse la
situazione un anno fa. Pochi fondi e poca organizzazione, soprattutto
per i servizi segreti vice-governativi. -
- Come avete fatto, Grande Sacerdotessa, a venire in possesso di queste
informazioni? -
La Sacerdotessa sorrise con garbo. - Da quando è cominciata la
crisi terrestre è diventato tutto molto più semplice, anche
per noi, non solo per tipi come Enoch. -
- E Simâck come si è comportato, venendo in possesso di quel
terreno? -
- Ha sempre negato tutto. Naturalmente! - La Grande Sacerdotessa era indignata
- Voleva tenersi tutto per sé. Abbiamo provato a lusingarlo, a
comprare il terreno, ma niente, ho fatto in modo anche di farlo fallire,
per poterlo prendere con l'acqua alla gola, ma lui non ha ceduto neanche
allora, e quando abbiamo mandato dei sicari per convincerlo con le cattive...
- Una pausa, come se cercasse le parole adatte. - ...Hanno esagerato.
-
- Lo hanno ucciso? - Dei brividi corsero lungo la schiena di Erika, già
scossa per le sue segrete deduzioni.
- Si tratta di suicidio. -
- Lo hanno - Sentiva la sua voce incrinarsi, tentò, tentò
di dominare le emozioni. - Hanno ucciso Simâck? -
- Gli adepti che hanno partecipato a quella missione sono stati declassati.
- Il tono della Sacerdotessa era distaccato, glaciale, come di una macchina.
- E dopo cos'è accaduto? -
- Hanno pignorato i suoi beni. A quel punto ero sicura di riuscire a prendere
il terreno all'asta, e per quattro soldi, a causa della fama che si era
fatto e del suo scarso valore commerciale. Tuttavia, per premunirmi, avevo
stanziato settecentomila dal fondo templare, ma tutto ciò non è
bastato, quel Deacon ha offerto la pazzia di settecento cinquantamila
e ce l'ha soffiato nuovamente sotto il naso.
Fortunatamente poi tu ce l'hai riportato.
Per la verità abbiamo avuto anche un'altra opportunità,
il giorno dell'attentato al vice-governo, ma mia sorella non lo ha riconosciuto
come proprietario del terreno e lo ha lasciato andare.
Altre domande? -
- No. - Era tornata calma e padrona di sé, almeno esternamente,
anche se dentro era ancora in subbuglio.
- Allora, cosa hai scoperto? -
- Che tutte le notizie che voi avete su quel luogo sono false. -
- Cosa? -
- Sì, o meglio, inesatte. -
- Spiegati meglio. -
Capì che stava facendo un discorso troppo frammentario, provò
a correre ai ripari. - Sotto la torre ci sono sì delle tracce di
quando Marte aveva l'acqua, - guai a parlare con la Sacerdotessa di periodi
uno, due e tre - ma si tratta semplicemente di un grande lago sotterraneo.
-
- E come fai dire una cosa simile? - Evidentemente la Sacerdotessa non
aveva gradito la rivelazione dell'adepta Leiber.
- Sono entrata nella torre, di nascosto e da sola. lì ho trovato
un sotterraneo nascosto, e nel sotterraneo ho trovato una camera d'equilibrio...
-
- E come hai fatto - la sacerdotessa l'interruppe bruscamente - a stabilire
che dall'altra parte ci fosse acqua, e non, per esempio, camere isolate
con l'atmosfera del Marte Rosso? -
- Perché, ricordatevi, sono stata a lungo a Batrax, e so riconoscere
i diversi tipi di camera di equilibro. - In realtà non era vero
e, ora che ci rifletteva sopra, la camera d'equilibrio sotto la torre
era leggermente diversa da quelle di Batrax. - E poi, nello stanzino antecedente
alla camera di equilibrio, si trova una tuta subacquea. - Non era vero,
ma sembrava una prova schiacciante a favore della tesi di Leiber.
- Sei entrata? -
- No, non potevo permettermi di rimanere sotto la torre troppo a lungo
per timore di essere scoperta. -
- Perché allora sono state messe in giro queste voci? - La Sacerdotessa
non stava più pretendendo il resoconto di una missione, stava ora
chiedendo aiuto ad uno dei suoi consiglieri. Questo stava a significare
che la Sacerdotessa aveva deciso di potersi fidare di Leiber.
- A quale governo appartengono gli agenti segreti in questione? - Erika
era sollevata del fatto di non dover più combattere per placare
la pericolosa ira della Sacerdotessa.
- Europa. - Disse secca.
- Allora credo che siano state solo messe in giro come specchietto per
le allodole, come diversivo per distoglierci dall'obiettivo primario,
l'indipendenza del Tharsis. -
- Dunque, - la Sacerdotessa si era fatta pensierosa - cambiamo totalmente
discorso. Quel Deacon ha una grossa fonte d'acqua e non solo non la sta
utilizzando, ma tiene segreta addirittura la sua esistenza. Per quanto
ne so sta compiendo un reato. Perfetto, potremo liberarci di quell'uomo
facendolo arrestare. -
La Sacerdotessa non aveva digerito il discorso fatto nello stanzino, e
sapere che sotto la torre non c'era altro che acqua l'aveva indignata,
cercava ora di vendicarsi su qualcuno.
- Grande Sacerdotessa, - disse Leiber - non credo che si possa fare. -
- Perché no? -
- Perché Deacon ha il terreno da troppo poco tempo, per sporgere
denuncia il proprietario deve possedere il terreno incriminato da al meno
sei mesi. E poi non abbiamo alcuna prova. -
- A no? E la tua testimonianza? -
- Per due motivi non può essere utilizzata. Primo perché
stavo commettendo io stessa un reato violando una proprietà privata
senza alcun motivo valido, e secondo, la camera d'equilibrio dimostra
semplicemente che Simâck era a conoscenza del lago sotterraneo,
può essere benissimo che Deacon non ne sappia niente. -
- Cosa proponi di fare allora? -
- Propongo di chiudere così la mia missione e tutto ciò
che riguarda quel terreno. -
- La tua missione allora si è conclusa con un fallimento. -
- Io non lo credo, anzi ho scoperto tutto ciò che c'era da scoprire,
il che era effettivamente poco, e ho dimostrato che il lavoro dei templari
era sprecato per le missioni che riguardavano quel terreno. Ho eliminato
in definitiva una fonte di dispersioni del nostro lavoro, cosa che era
invece nei piani dell'agente terrestre, ed in questa maniera ho neutralizzato
il suo lavoro. Poi il caso Deacon ha causato anche, come corollario, la
missione sulla Luna, ma quella missione non so come sia terminata. -
- Stanno tornando, tutti sani e salvi. Saranno su Marte entro una cinquantina
di ore. -
- Perfetto. Vedete, voi potrete rendere questa missione di dominio pubblico
su tutto Marte aumentando il vostro prestigio di un fattore smisurato.
Tutta la setta ne trarrà un beneficio immenso, e questo non potrà
che favorire il processo di indipendenza marziana. Dunque questa storia,
nonostante non tratti di alieni, ha portato ad un pieno successo. -
- Penso che allora vorrai il tuo posto nell'assemblea costituente. -
- Sì, ma non solo. -
- A no? E cos'altro vorresti? -
- Il grado di Sacerdote nella Marineris. -
- Perché mai? Non mi sembra che l'attuale Sacerdote stia facendo
un cattivo lavoro. -
- Tutt'altro. Il Tharsis è libero ormai da molti giorni e ancora
nessun vice-governo ha seguito il nostro esempio nonostante la Terra stia
chiedendo delle decime smodate per sostenere le spese di guerra; sì,
ci sono disordini, qua e là, però manca la spinta fondamentale,
qualcuno che sia in grado di prendere per mano chi desidera l'indipendenza,
come avete fatto voi qui nel Tharsis. -
- E tu pensi di essere in grado di seguire il mio esempio? -
- Sì, fatte le debite proporzioni, quando voi renderete di pubblico
dominio la prodezza sulla Luna, i templari saranno visti in un'ottica
completamente diversa, e quando gli abitanti del Marineris vedranno che
a capo del loro distretto c'è l'"eroe di Batrax", non
potranno fare a meno di seguirmi verso l'indipendenza. A quel punto solo
se fossero decisamente incompetenti gli altri Sacerdoti non riuscirebbero
a raggiungere l'indipendenza e ad unire l'intero Marte sotto il vostro
controllo. -
- Non so se sia possibile rimuovere un Sacerdote. -
- Voi potete farlo. -
- Non credo comunque che sia onesto nei confronti del Sacerdote di Marineris.
-
- Sacerdotessa, voi nonostante tutto non vi fidate ancora di me. - Disse
così più che altro per costringere la sacerdotessa a dimostrarle
che non era vero, sapendo benissimo che lei non lo avrebbe mai ammesso,
anche se fosse stato vero, davanti ad Erika. - Altrimenti non avreste
queste titubanze; ma farmi Sacerdotessa di Marineris va tutto a vostro
vantaggio. Un personaggio famoso come lo sono io, messo nella Valles,
non può che aumentare la fiducia verso noi templari, e anche se
fosse vero ciò che dissi a Deacon in quel maledetto stanzino, sarebbe
solo la conferma che io voglio rendere indipendenti i vice-governi dalla
Terra; il che non è né più né meno ciò
che volete anche voi. Non vi chiedo un atto di cieca fiducia, vi chiedo
semplicemente di riconoscere, alla luce dei fatti, che io sono più
funzionale dell'attuale Sacerdote. Vi chiedo di ammettere che il vostro
consigliere, una persona che avete scelto voi personalmente, è
una donna indispensabile per la setta. -
La Sacerdotessa rimase pensierosa qualche secondo, poi parlò. -
Va bene, mi hai convinto, quando arriveranno Stuart e gli altri dalla
Luna, farò in modo che il consiglio dei dieci ti elegga Sacerdotessa
della Valles Marineris. Ma attenta, adepta Leiber, ti do un termine. Se
non riuscirai ad ottenere l'indipendenza del tuo settore entro una settimana,
verrai retrocessa a seguace semplice, non potrai nemmeno riottenere il
posto di consigliere, perché non tollero chi fallisce. D'accordo?
-
- Sì. -
- Puoi andare, ora. -
- Grazie, Grande Sacerdotessa. -
Uscì a passo svelto, quasi fuggendo, senza guardarsi indietro.
La sicurezza ed il sangue freddo che aveva ostentato alla Sacerdotessa
si dissolsero in pochi secondi. Tutta quella discussione le rimbombava
attraverso il cervello. Simâck, la Sacerdotessa lo aveva fatto fallire,
lo aveva fatto uccidere, era mandante di un omicidio, era un'assassina.
Avrebbe voluto fuggire allora da quella persona senza scrupoli. No, pensò
decisa Erika, l'avrebbe combattuta e sconfitta, lei poteva, lei non era
un'assassina.
Le venne in mente l'attentato alla sede del vice-governo.
Più di cento quaranta vittime, per colpa della carica direzionale
che lei aveva fornito.
Anche lei, Erika, era un'assassina. No, protestò, lei aveva fornito
il detonatore per un ideale, per una giusta causa, liberare il Tharsis.
Ma un ideale valeva cento quaranta vittime?
- No! - Urlò la sua mente, un ideale non vale nemmeno un assassinio.
Si poteva credere, si poteva sostenere, si poteva combattere, ci si poteva
anche sacrificare per un ideale. Ma nessuna ideologia era tanto perfetta
e nessuna causa tanto giusta da valere un solo assassinio. Quella risposta
equivaleva ad una condanna per Erika. La verità su Simâck
l'aveva svegliata da un torpore della sua anima, così come Deacon
aveva contribuito a risvegliare la sua coscienza, peraltro mai completamente
sopite. Ma il risveglio era doloroso.
Sentì lo stomaco stringersi, aveva la gola secca, continuava a
camminare velocemente, ormai senza meta.
I pensieri le si accavallavano, pensò che avrebbe dovuto parlare
con Deacon, ma il numero cento quaranta le affollava con le sue innumerevoli
sillabe ogni angolo della mente. E in mezzo a quel chiasso silenzioso
della sua anima emerse, come dal nulla, una frase della discussione di
poco prima, una frase che lei aveva detto alla Grande Sacerdotessa, quando
questa le aveva chiesto cosa avesse scoperto.
- Che tutte le notizie che voi avete su quel luogo sono false. -
Così aveva risposto alla Sacerdotessa.
Le aveva mentito.
VII
La
Terra continuava ad ingrandirsi. O meglio, sembrava ingrandirsi, in realtà
si faceva sempre più vicina.
L'equipaggio poteva vedere solamente un enorme disco nero che occultava
il Sole, ma ciò non sarebbe durato a lungo, perché la nave
avrebbe doppiato la Terra dirigendosi verso il Sole, avrebbe dato modo
ai suoi occupanti di vedere la parte del Pianeta illuminata dalla Stella.
La Terra da lì non era completamente oscura, piccole tremule macchie
di luce chiazzavano la sua superficie con un fascino quasi ipnotico per
chi le osservava.
- Non sono città, non è quella la loro illuminazione. -
Disse Bulsara, guardando quei crepitii dorati e cremisi.
- Infatti. - Disse Stuart. - Sono incendi giganteschi, titaniche fiamme,
le conseguenze della guerra. - Nella voce del soldato non c'era traccia
di compassione, anzi...
Bulsara continuò a guardare, improvvisamente incupito. Laggiù
erano nati i suoi antenati. Lì erano nati gli antenati di Tutti.
Quel pianeta, così grande, così ospitale, l'utero dal quale
proveniva ogni forma di vita conosciuta, custode unico della fiamma vitale
per milioni di millenni, a volte crudele, spesso indifferente nel distruggere
le sue creazioni con un'eruzione od un terremoto, ma che comunque aveva
dato da mangiare agli uomini fino all'avvento dell'era interplanetaria.
Poi vide l'alba, o meglio, per un complesso gioco di prospettive e di
parallassi, vide il Sole sorgere da dietro la Terra. Il cielo rimase nero,
come di sua abitudine. Le stelle, dove potevano ripararsi dai riverberi
che l'astro più vicino proiettava sugli oblò, continuavano
a brillare senza tremolii. Dall'altra parte la Terra cominciava a mostrare
gli immensi oceani blu scuro, i delicati arabeschi dei continenti, le
soffici nuvole bianche e le nere strisce del fumo della guerra.
Non era giusto che il Pianeta soffrisse così, anche se, non ostante
le profonde ferite che lo solcavano, manteneva intatto il suo fascino.
A turbare le riflessioni del secondo della Europe fu uno dei reattori
della nave, che si stava allontanando dallo scafo. Bulsara si voltò
verso Taylor per chiedergli banalmente se avesse visto, ma il primo a
parlare fu John, che aveva notato gli occhi umidi dell'amico. - Mal di
Terra? - chiese, senza toni ironici nella voce.
- Credo di sì. - Poi aggiunse - Forse ho capito perché la
Luna non si staccherà dalla Terra. - Chissà, forse era una
sorta di memoria collettiva, impressa nei geni, ma vedere quel posto così
grande, così vivo, così...
- Secondo la tabella di marcia ora siamo sotto tiro. - Disse Mairc a Stuart.
- Quanto? -
- Ancora trentacinque, ti conviene cominciare a contare. -
Parlavano tra di loro, non si capiva bene cosa dicessero, e Mairc aveva
detto "ti conviene cominciare a contare" o "ti conviene
cominciare a pregare"?
Passarono secoli, poi il secondo pilota della navetta disse. - Li ho trovati.
Mio Dio, quante sono. -
Un altro interminabile respiro, poi uno dei reattori scomparve in un lago
di luce.
Mairc sibilò. - Hanno colpito un reattore. -
Stuart latrò. - Tempo! -
- Diciotto passati. -
- Dannazione. -
Passarono altri secoli, senza che nessuno ebbe il coraggio di respirare,
con il sangue che scorreva nelle orecchie come unico rumore. L'ex equipaggio
della Europe si guardava, senza più osservare l'esterno. I colpi
che andavano a vuoto erano invisibili a qualunque tipo di osservazione,
quindi non potevano sapere quale volume di fuoco fosse scagliato contro
quella nave, e l'incertezza era terrificante.
- Ne hanno colpito un altro. -
- Tempo! -
- Ventisei passati. -
- Ancora undici secondi. - Disse il copilota. - Dieci... Nove... Otto...
-
- Hanno preso il terzo! -
- Tempo! - Urlò disperato.
- Meno sei... Cinque... Bastardi! - Ringhiò - fuori il quarto e...
Fermi tutti, fuori anche noi, ce l'abbiamo fatta! -
- E ne sono avanzati giusto tre, comincia le manovre di recupero. - Poi,
fra sé e sé disse. - C'è mancato proprio un soffio.
- Quindi, rivolto a tutti i passeggeri. - Potete dare un ultimo sguardo
alla Terra, ce ne andiamo. - Disse, assaporando ogni parola.
- A Marte. - Sussurrò May, ricordandosi del saluto di quando era
commerciante d’acqua, non anni, ma solo fino a pochi giorni prima.
- Quante navi erano? - Chiese Bulsara, verso la cabina.
Sì, quante navi potevano essere? Una per schieramento? Una decina
o una dozzina per potentato? Sarebbero state in tutto più o meno
di cento navi da guerra?
Il secondo di Mairc si alzò, era l'unico ad aver visto col telescopio
parte della battaglia. Aveva registrato tutto perché era conscio
che quelle immagini sarebbero state un documento storico di incredibile
valore, nei secoli a venire. La sua fronte luccicava di sudore alla luce
artificiale della navetta, era sconvolto da ciò che aveva visto.
- Il computer ne ha segnalate più di venticinquemila. -
- Venticinquemila? - Venticinquemila navi spaziali armate. Era un numero
enorme. Anche se il novantanove per cento delle navi fosse andato distrutto
in quello scontro, ne restavano più che a sufficienza per invadere
l'intero Sistema Solare. May ripensò alla foga della guerra, vantata
da Stuart. Quanto avrebbe resistito il Tharsis? E l'intero Marte? Le navi
terrestri sarebbero arrivate sin là? Era la fine dei vice-governi
a vantaggio del controllo diretto dal Pianeta?
L'orizzonte si faceva fosco, proprio ora che tutti i pericoli sembravano
passati e proprio ora che Stuart, orgoglioso, diceva. - A meno che il
Sole non esploda entro i prossimi tre giorni, nulla ci potrà impedire
di raggiungere Marte.
VIII
Leiber
continuava a camminare, col cuore in gola, senza sapere dove andare. Sapeva
soltanto che si sarebbe dovuta allontanare dalla Sacerdotessa. Dopo un
po' si fermò, provò a mandare giù il groppo che aveva
in gola, inspirò profondamente e si guardò intorno. Si passò
un fazzoletto di vera tela intorno agli occhi, per asciugarli. Il suo
trucco rimase intatto. Era nella piazza, andò a sedersi su una
panchina nei pressi della fontana, la fissò. Diede un altro respiro
profondo. Adesso era più calma, finalmente quel malefico numero
se ne era andato dalla sua testa. Si disse che avrebbe dovuto rintracciare
Brian e parlare con lui, chiarirgli ciò che lei aveva scoperto.
Poi, per un momento, si odiò. Ebbe l'impressione di essersi comportata
come una bambina, per di più sciocca. Non era stata razionale.
Aveva già permesso che la preoccupazione per Deacon le facesse
compiere atti immotivati. Aveva buttato un'ottima occasione, forse per
scalzare la Sacerdotessa stessa, per un attimo di debolezza.
Ripensò per l'ennesima volta al discorso di poco prima, ma questa
volta in maniera nettamente diversa. Avrebbe dovuto dire la verità
alla Sacerdotessa e costringerla a nominare la stessa Leiber come capo
di una missione esplorativa sotto la torre; e invece...
Comportandosi così emotivamente aveva ottenuto solamente la probabilità
di poter diventare Sacerdotessa del Marineris, ed anche col compito a
termine di liberare la Valles. Se al contrario avesse condotto un corpo
di spedizione sotto la torre il suo prestigio sarebbe salito a tal livello
che avrebbe potuto competere con la Sacerdotessa in persona, e vincere.
Avrebbe potuto bruciare le tappe, ma piangere sul latte versato non serviva
a niente. Al contrario ciò che era necessario era freddezza e determinazione.
Pensò di aver ritrovato lo smalto di poche ore prima. - Forse non
è ancora tutto perduto. - Pensò. - Agendo con raziocinio
posso ancora rimediare a quel pasticcio. - Razionalità. Questa
doveva essere la parola d'ordine, la chiave per continuare la sua ascesa.
Non il sentimento, quello poteva condurre solamente alla rovina, ne aveva
avuto un esempio poco prima.
La fontana la rilassava, l'aiutava a pensare meglio.
Grazie alla razionalità avrebbe ripreso la propria corsa, come
le aveva insegnato il padre. Sentiva che ormai solo pochi passi la separavano
dalla meta. Il più era fatto, bastava semplicemente non avere altre
sbandate, la Sacerdotessa non costituiva un serio pericolo, solo un ostacolo
ingombrante; il vero pericolo veniva da lei stessa e da una sua eventuale
distrazione.
La fontana l'aiutava a diventare più riflessiva.
Doveva pensare a come rimediare a ciò che aveva fatto.
Pochi metri avanti ad Erika, vicino al bordo della fontana, c'era una
famigliola, i genitori con i figli. I bambini erano due, un fratellino,
di una decina d'anni, e la sorellina, che non ne aveva più di cinque.
Stavano mangiando qualcosa che gli avevano dato i genitori. Leiber li
stava osservando, senza peraltro dar loro molta attenzione. Per il resto,
la piazza era quasi completamente vuota. Il ragazzo finì prima
e strappò dalle mani della sorellina quello che stava gustando
con calma. La bambina cominciò a piangere, e la madre, che si accorse
dell'incidente, diede un ceffone al ragazzo, dicendo di non fare l'ingordo
e redarguendolo severamente. Il dolciume tornò nelle mani della
bambina, ed ora era il ragazzo che aveva le lacrime agli occhi.
Erika pensava ...Non fare l'ingordo... Non essere ingordo... L'ingordigia
è una passione, contraria quindi alla razionalità. Non poteva
essere razionale l'ingordigia, poiché non portava conseguenze positive,
come al contrario fa il comportarsi razionalmente. Come per la scalata
sociale, si disse.
L'ingordigia e la scalata sociale.
Inconsciamente Erika legò insieme le due cose.
Come in una rivelazione mistica si rese infine conto del perché
non riuscisse a gustarsi fino in fondo la propria ascesa. Capì
che tutto ciò che lei aveva fatto, per arrivare fino a dove era
arrivata, non lo aveva fatto seguendo la ragione, come aveva sempre fermamente
creduto. Ciò era stato solo una maschera delle sue passioni più
irrazionali, della sua avidità, della sua brama di potere. Tutto
ciò che ella reputava razionalità non era stato altro che
una maschera che nobilitava la sua ingordigia.
Ripensò allo scontro tra i due componenti dell'animo umano e capì
con limpidezza, come se finalmente avesse messo a posto tutti i pezzi
di un rompicapo. Passione e ragione erano entrambe necessarie, come lo
erano il cuore ed il cervello di un essere umano. Non si poteva vivere
senza, ed era ingiusto dare ad una delle due parti più valore che
all'altra. Ma su una cosa gli organi erano diversi dall'anima. Un dottore
qualsiasi poteva stabilire semplicemente ed in qualunque momento come
cuore e cervello fossero due organi separati, e dove finiva l'uno e dove
cominciava l'altro. Così non era all'interno dell'anima. Ragione
e sentimento non erano due entità monolitiche e separate, ma non
erano neanche un tutt'uno indistinto. Erano due parti distinte che si
compenetravano, sfumandosi, senza che si potesse dire dove potesse finire
esattamente l'una e dove cominciasse l'altra. Pensare che fossero separate
voleva dire essere troppo schematici, credere che fossero una sola cosa
stava a significare aver semplificato troppo. Ripensò a quando
divideva il mondo in bianco e nero, contrapposti, da una parte la razionalità,
superiore, e dall'altra l'emotività, inferiore. Aveva creduto che
subordinando l’una all’altra le avrebbe armonizzate. Per questo
riteneva che non potessero mai entrare in conflitto. La razionalità
aveva la precedenza e doveva vincere comunque, perché non poteva
non prendere la decisione più giusta. Non era passato molto tempo
da quando divideva ancora il mondo così nettamente. Solo pochi
minuti. Eppure adesso tutto le sembrava così diverso, così
nuovo.
La ragione le diceva, così credeva, di continuare la scalata, mentre
invece a spronarla era la sete di potere; dall'altra parte era sicura
che fossero stati i sentimenti che spingevano a lasciare quegli ambienti
deteriori in favore di una vita più serena. Che errore! Cosa c'era
infatti di più logico, di più razionale per un essere umano
che il vivere il più a lungo e il meglio possibile? E lasciare
la sua lotta stava a significare abbandonare lo stress, il sangue amaro
che si faceva stando a contatto con i templari, conservando comunque i
benefici che già aveva conquistato. Abbandonare la scalata voleva
dire cioè vivere bene e a lungo. Mens sana in corpore sano, dicevano
gli antichi, ed ora capiva quanto avessero ragione. Era di una linearità
così essenziale, di una logica così basilare da passare
inosservato a chiunque cercasse una rivelazione nella complessità.
Nuovamente tutte le convinzioni sulle quali aveva vissuto sino a quel
momento, tutti gli insegnamenti paterni, tutto crollava. Aveva definitivamente
rinunciato al suo "smalto", fondato sulla rigida contrapposizione
tra ragione e passione. Aveva in quel momento deciso di dire addio agli
obiettivi che si era prefissata, o almeno così le sembrò
in quel momento. In mezzo alla piazza, senza più le sue certezze
granitiche, ereditate dal padre, Erika si sentì nuda.
Di nuovo ritornarono alla superficie della sua mente le cento quaranta
vittime dell'attentato, che ostinatamente l'accusavano di essere un'assassina.
Tentò di riconcentrarsi sulla fontana, ma nella sua mente l'acqua
si tingeva di rosso, del sangue delle vittime.
Decise di rompere gli indugi e di cercare Deacon per parlargli.
Tirò fuori dall'apposito taschino il proprio foglio notizie, lo
spiegò e lo rese rigido, poi cercò il nome di Deacon. Trovò
tre Brian Deacon residenti ad Aphrodite, cercò allora quale fosse
quello che lei conosceva in base ai volti dei tre omonimi. Trovò
quello che lei ritenne l'"autentico" Brian Deacon ed ottenne
il suo numero di comunicazione ed il suo indirizzo, oltre ad alcune altre
informazioni non riservate. Una volta avuto il codice di comunicazione
di Deacon, lo chiamò.
Quando Deacon rispose apparve il suo volto sullo schermo.
Chiese. - Cosa vuoi? -
- Devo parlare con te. -
- Sì. Cos'hai da dirmi? -
- Non così, di persona. -
- E' importante? -
- Sì. -
- Dove ci incontriamo? -
- Posso venire a casa tua, ora? -
Un attimo di silenzio - Va bene. -
- Sarò da te tra pochi minuti. -
- Arrivederci. - E così chiuse la comunicazione. Benché
non glielo avesse mai dato, evitò di dirle il proprio indirizzo.
Lo fece per una norma di semplice educazione, perché se si fosse
comportato altrimenti sarebbe stato come dirle che era incapace di utilizzare
il foglio notizie.
Lui le aprì la porta di casa, di persona, e lei poté vedere
per la prima volta l'interno della casa di Brian. Non c'era dubbio che
Deacon apprezzasse le cose belle, e l'entrata del suo appartamento lo
dimostrava. Egli la invitò a sedere, in un angolo del salone, dove
si trovava un ripiano di cristallo e sei poltrone a formare un salottino.
Lei accettò, così come accettò quando le offrì
qualcosa da bere.
Terminati quei classici convenevoli, si sedette anche Deacon, e parlò,
freddo, l'aria indagatrice.
- Allora, cos'avevi da dirmi, di così importante? -
C'erano parecchi argomenti di cui trattare, lei sorseggiò il liquore
importato dalla Terra con calma, per prendere tempo, dentro la sua anima
era in subbuglio. Posò il bicchiere sul ripiano di cristallo che
separava i due. Il tavolino, benché non fosse sorretto da alcun
mezzo materiale, si rivelò estremamente saldo. Le poltrone, al
contrario, erano state progettate per essere leggermente cedevoli, quel
tanto che bastava da renderle estremamente comode.
- Brian. - Stranamente, non ostante tutto quello che stava passando ebbe
il tempo di osservare quanto le apparisse innaturale chiamare qualcuno
per nome dandogli del "tu", ma tant'è, era stata lei
la prima a farlo, con Deacon. - Sono venuta qui per parlarti di molti
argomenti. In primo luogo però devo dirti che i tuoi amici sono
stati liberati, e saranno su Marte tra circa due giorni terrestri. - Si
fermò, Brian aveva chiuso gli occhi, che erano d'improvviso diventati
lucidi, e aveva nascosto il naso e le labbra tra le mani, congiunte, mormorando
- Grazie a Dio. - Si chiese se stesse pregando o se si fosse liberato
semplicemente di un grosso peso. Dopo un po' Deacon riaprì gli
occhi, e con voce ferma disse. - Cos'altro hai da dirmi? -
- Riguarda la torre, e la Grande Sacerdotessa. -
Dall'espressione di Deacon sparì immediatamente ogni traccia di
commozione. Era evidente che con poche parole lei aveva rovinato forse
uno dei momenti di gioia più intensi per Brian. Gelido chiese -
Ebbene? -
- La Grande Sacerdotessa tiene d'occhio il tuo terreno da un anno, da
quando, per essere precisi, due agenti segreti europei hanno scoperto
che lì sotto c'è qualcosa che scotta. -
- Potresti descrivermi quegli agenti? - Disse, folgorato da un'improvvisa
idea.
- So solo che sono una donna, ed un uomo dai capelli rossi. -
- Rossi. - Disse tra sé e sé. Potevano e essere i sedicenti
zii di Simâck. Non era un'idea da scartare.
- Sì, ma non è questo il punto. La Sacerdotessa è
convinta che sotto la tua torre ci siano rovine marziane, e per un'ombra
di vestigia aliena farebbe qualsiasi cosa. -
- Spiegati meglio. -
- Hai mai sentito parlare di Enoch Simâck? -
- So che era il minatore che ha fatto costruire la torre, e che... E'
morto suicida. -
- Sì, suicida. Purtroppo non è così. E' stata la
Sacerdotessa. Prima ha fatto in modo di farlo fallire, poi ha inviato
qualcuno per costringerlo con la forza... -
- Solo - la interruppe - che i templari non sono riusciti a cavare il
proverbiale ragno dal buco e così lo hanno ucciso, facendolo sembrare
un suicidio, giusto? -
- Sì. -
- Non credevo che la setta fosse così potente. Non tanto perché
ha mandato dei sicari contro un minatore, ma perché sono riusciti
a rovinarlo, a mandarlo sul lastrico. Era una persona molto ricca, e io
credevo che l'alta borghesia marziana fosse semplicemente indipendentista,
non templare. -
- Per la maggior parte è come dici, ma può esser bastato
far girare una voce in quegli ambienti. Una voce che dicesse che Simâck
avrebbe ostacolato l'introduzione dell'arete, magari chiedendo l'intervento
armato della Terra. Allora quella che tu chiami alta borghesia potrebbe
averlo eliminato dall'alta finanza. Non sarebbe la prima volta che accade,
da quando si è cominciato a parlare della moneta marziana. -
- Usi il condizionale. - Deacon aveva visto Leiber uscire dalla torre,
e non si fidava di lei - Perché? -
- Le mie sono solo supposizioni. Non ho partecipato alla missione Simâck,
ed anzi, ne provo vergogna. -
- A sì? Tu sei una templare, perché mi dici questo? -
- Per metterti in guardia. - Per un istante la sua voce si era fatta supplichevole,
ma poi si era ripresa.
- Lo avevo capito da solo. - Nella voce di Deacon ci fu un leggero tono
acido, si alzò in piedi. - Perché mi dici questo? -
- Perché ho già tentato di convincere la sacerdotessa che
in quel terreno c'è solamente un lago sotterraneo, ho cercato di
chiudere così la "missione Deacon" ma non credo che la
Sacerdotessa sia disposta a credere questo, sono sicura che manderà
qualcun altro a controllare e questo potrebbe essere pericoloso per te
come lo è stato per Enoch. - Aveva parlato velocemente, prendendosi
solo un paio di pause per respirare, e si era alzata come Brian. Poi prese
un momento di pausa e parlò con un tono più sommesso. -
Non voglio un altro omicidio, sono già troppo colpevole. -
Deacon si era spostato, allontanandosi da lei e dalle poltrone, mentre
Erika stava parlando. Poi di scatto si era voltato. - Perché -
Aveva detto - la Sacerdotessa non dovrebbe crederti? - E, con una punta
d'ironia - Dopotutto, tu sei un suo consigliere. -
- Perché non si lascerà sfuggire quel terreno così
facilmente, dopo averlo seguito con tanta tenacia, e perché l'ipotesi
della camera d'equilibrio, per accedere ad un lago sotterraneo, non tiene
proprio. -
- E tu, come fai a sapere della camera d'equilibrio? -
La fissava negli occhi, sfidandola. Anche lei lo guardava negli occhi,
ma senza ostilità. Rispose senza esitazioni.
- Sono entrata di nascosto nella Torre. -
Non si aspettava che lei fosse tanto franca, e fu preso leggermente in
contro tempo.
- Ora però spiegami, a che razza di gioco stai giocando? -
- Cosa vuoi dire? -
- Non capisci? Ora te lo spiego meglio. Prima ti diverti a fare la parte
della brava templare, tant'è vero che arrivi ad essere un pezzo
grosso della setta, poi, quando puoi parlare faccia a faccia con me, dici
di non sopportare la vita che stai conducendo.
Bene, sembreresti sincera, ma poi ti vedo con i miei occhi uscire dalla
mia torre di nascosto, sì, non fare quell'espressione, ero nascosto
dietro le barriere frangi-schegge e ti ho visto.
Okay, a questo punto penso che di fronte a me hai fatto solo la parte,
ti comportavi così solo per farmi commuovere; ma tempo un giorno
o due e piombi in casa mia e rivelandomi tutti i segreti della setta.
Te lo ripeto: A che gioco stai giocando? -
- Io non sto giocando, voglio solo evitarti ciò che è accaduto
a Simâck, ti voglio salvare. - C'era un lieve tremito nella voce
di Erika.
- Qual è il tuo vero volto, Erika. - Si erano fatti più
vicini.
- Questo, ora ho lasciato tutte le maschere. - Si sentiva ormai nuda,
aveva gli occhi lucidi.
- Perché mi dici tutto questo? - Chiese in un sussurro.
- Perché... - I loro volti quasi si sfioravano. - Perché
solo adesso ho capito di amarti. - E lo baciò, con passione, stringendo
con le sue mani le spalle di Brian.
Poi, dopo quel bacio, ripeté, con la voce rotta dal pianto. - Ti
amo. - E gli diede un altro bacio, lunghissimo.
Deacon l'amava? Pensò che l'ammirava, sì, era intelligente,
bella, forse persino sincera, certo, lui ne era attratto, ma l'amava?
Aprì gli occhi, per vedere parte del suo viso. Sentiva il respiro
di lei. Ma quello non era il momento di pensare, perché Erika,
terminato quel secondo bacio, aveva cominciato a slacciarsi la camicetta.
IX
La
Terra si era rimpicciolita in fretta, fino a tornare una delle tante stelle
di fondo, solo più luminosa delle altre. D'altra parte il Sole
si era ingrandito sempre più, diventando tanto luminoso che gli
oblò vennero resi più scuri. Poi però anche il Sole
era passato e aveva cominciato a ridursi a sua volta di dimensioni. A
quel punto finalmente la navetta, col suo equipaggio, puntava direttamente
su Marte.
Come si trascorrono tre giorni a bordo di una piccola nave spaziale, sprovvista
di ogni apparato ricreativo, senza alcuna possibilità di fare neanche
attività fisica?
May ed i suoi compagni di viaggio ebbero molte ore a disposizione, per
dormire, ascoltare musica col foglio notizie, o perder tempo con i suoi
giochi, riflettere, discutere.
Erano passati due giorni di viaggio, Marte appariva come la stella più
luminosa, posta verso la prua del vascello interplanetario, mentre la
Terra, troppo vicina al disco solare, non era più visibile. L'ex
equipaggio della Europe era riunito, per passare qualche ora, a parlare.
May parlò. - Avete più ripensato alla Europe? -
- Sì. - Rispose Bulsara.
May certamente non si aspettava che John si disperasse per una nave che
non era sua, tuttavia era restato fino a quel momento estraneo ai loro
discorsi in modo preoccupante, tuttavia continuò a parlare, senza
chiedergli cosa avesse.
- Probabilmente non la rivedremo più. -
- Certamente io non torno sulla Luna a reclamarla. - Disse Bulsara. -
E poi avevamo deciso già di liberarcene. -
- Già. - sorrise - Avremmo dovuto venderla a Heinlein. Chissà
invece adesso cosa starà facendo, lui e gli altri. -
- Non lo so e non mi interessa per nulla, spero solo di non doverli incontrare
nuovamente. -
- A me dispiace di più per la nostra nave. Lo so che sarebbe dovuto
essere comunque il suo viaggio con noi come equipaggio, ma comunque, non
mi va a genio l'idea di averlo concluso senza aver neanche consegnato
il carico d'acqua. -
- Sarebbero stati un bel po' di areti. -
- Sì - sorrise - cosa pensi che ne faranno? -
- Della Europe? Non lo so, spero solo che non vada a finire nelle mani
di Heinlein. Magari la sequestrano gli eserciti terrestri. Sai, ho visto
sul foglio notizie che l'Europa ha vinto il conflitto in orbita e ha spedito
le sue mille e cinquecento navi superstiti intorno alla Luna, dandole
un ultimatum, che scadrà tra poche ore. -
- Che condizioni ha posto? -
- Resa incondizionata, o la flotta aprirà il fuoco contro la Cupola.
-
- E i vice-governi lunari cosa dicono? -
- Ancora non hanno fatto sapere niente, ma credo di sapere quale sarà
la risposta. - Bulsara lanciò un'occhiata a Taylor, aspettandosi
qualche battuta sferzante sul carattere dei lunari, ma egli non disse
niente, restando chiuso nelle proprie meditazioni. Allora Roger guardò
Frederick, che riprese a parlare per coprire il soverchiante silenzio
della navetta.
- Bel colpo di fortuna per il blocco europeo vincere la battaglia spaziale.
-
- Sì, sulla Terra stava per capitolare, ma ora con sedici miliardi
di lunari possono provare anche a ribaltare le sorti del conflitto. -
- Già, così da potersi poi riprendere anche il Tharsis.
Forse sarebbe stato meglio se avesse vinto un qualsiasi altro blocco.
-
- Perché, credi che gli altri governi non vogliano Marte tutto
per sé? No, dovremo solo aspettare, e vedere come sarà ridotta
la Terra quando sarà finita la prima guerra planetaria. -
- Sì, però all'Europa le mille cinquecento navi da guerra
ormai non gliele toglie più nessuno, e bastano per poter tenere
sotto scacco Luna, Venere e Marte. -
- Non credere, Fred, delle navi da guerra sono molto più costose
da mantenere rispetto alle altre navi. Non fare i conti pensando alla
Europe. Come energia non consumava quasi niente, e certo non quanto possa
consumare un singolo schermo energetico. E poi il carburante, gli armamenti...
-
- Ho parlato con Stuart. -
Era Taylor. La voce piatta, aveva interrotto il dialogo dei due piloti.
Essi lo guardarono, sapendo che quanto aveva da dire sarebbe stato importane.
Il geologo, prima di parlare, diede un'occhiata verso i lunari che, ad
una mezza dozzina di metri da loro, stavano dormendo. Poi si avvicinò
ai due, abbassando il tono della voce.
- Sarà stato una ventina di ore fa, ho aspettato il momento adatto
per dirvi di cosa abbiamo parlato, quando si fossero addormentati. -
- Di cosa avete parlato? -
- Della loro setta. - Era circospetto.
- E allora? -
- Siamo finiti in mano ad un branco di pazzi. Lui, gli attendenti, i piloti,
la moglie che Stuart ha lasciato sulla Luna. Sono tutti pazzi. -
- Cosa te lo fa credere? - Chiese May.
- Mi ha riempito la testa di storie su Marte. -
- Di che tipo? -
- Del tipo che fino a tre milioni di anni fa c'era una civiltà
altamente civilizzata. Dei marziani alieni. - La parola "alieni"
uscì a fatica dalla bocca di John, che aveva smesso di credere
alle favole da molti anni.
- Ma va! - Cercò di sdrammatizzare Roger. - E io che credevo tu
dicessi sul serio! -
- Ma io sto parlando sul serio. - gemette Taylor. - E purtroppo anche
loro. -
Bulsara era poco convinto. - Stai parlando sul serio? -
- Sì. -
- E come prove cosa prendono, favole antiche? -
- E magari vanno anche alla ricerca delle città di cristallo marziane.
No, sono più contorti. Parlano di complotti e di insabbiamenti.
Per questo oggi la gente comune non sa niente. Per quanto riguarda le
loro fonti, parlano di meteoriti trovati sulla Terra e provenienti da
Marte, con all'interno fossili di organismi viventi, ma il loro pezzo
forte sono le sonde perse nello spazio. -
- E hanno un qualche fondamento? -
- Non conosci la storia del volo spaziale? - Taylor si era fatto ironico.
- Non posso certo conoscere tutte le sonde spedite in tre secoli e mezzo
di volo spaziale. -
- Comunque, qualche fondamento c'è. Non del meteorite, che per
quanto ne so si sarebbe perso sin dal ventiduesimo secolo; ma il fatto
che parecchie sonde dirette su Marte abbiano fatto fiasco non è
una novità. -
- Ma questo cosa dimostra? - Disse Bulsara. - Le sonde che si perdevano
risalgono agli albori dell'astronautica. E' logico che in quell'era pionieristica
gli scienziati commettessero degli errori, d'altra parte stavano muovendo
i primi passi in un mondo nuovo. E poi, se le sonde si perdevano tre o
quattro cento anni fa, che diavolo c'entrano "marziani" estinti
da tre milioni di anni? -
- Non lo so, ma per loro sembrano prove schiaccianti, te l'ho detto che
sono pazzi. D'altronde si fidano di storie risalenti al novecento o al
duemila. -
- E allora? -
- E allora? - Ripeté Taylor, leggermente scandalizzato dall'ignoranza
storica dei suoi due amici. - Quello è stato uno dei periodi più
superstiziosi della storia. Sì, lo so, non c'è bisogno che
me lo diciate voi che in quel periodo hanno inventato il volo spaziale
e il computer, ma, dico io, credevano ancora all'oroscopo o peggio credevano
che una razza potesse essere superiore ad un'altra. E voi mi venite a
dire che storie di quel periodo sono attendibili? -
- Cosa intendi parlando di superiorità di una razza? - Chiese confuso
Bulsara, pensando a dibattiti dell'epoca vertenti a come una cavalletta
fosse superiore ad una formica.
- Così chiamavano i gruppi etnici. Avevano la razza "gialla",
la razza "nera", "bianca" o "ebrea". -
- Ah. - Disse, poco convinto da quella stranezza.
- Ti capisco Roger, ma ti assicuro che la pensavano così. E comunque
questi sono soltanto due esempi; in quei due secoli non si contavano gli
avvistamenti U.F.O. o i maghi, e le sette hanno proliferato come non mai.
C'erano sette politiche, razziste, pseudo-celtiche, esoteriche, persino
sette templari; un calderone incredibile. D'altronde è stato un
periodo di grossi cambiamenti, sai com'è, quando finisce un millennio.
E' un po' la stessa situazione che ci fu in Italia e in Europa durante
il cinque ed il seicento. Da una parte c'erano Leonardo Galileo e Newton,
e dall'altra Giordano Bruno, Nostradamus e i Rosa-Croce. - Si fermò,
guardando le espressioni dei suoi compagni, che lo fissavano come se fosse
stato lui l'alieno, e concluse. - Forse dovreste studiarla un po', la
storia. -
- Sbaglio o tu sei scappato da dove dovevi studiarla? -
- Non volevo dedicarci tutta la mia vita, ma come vedi, non ho buttato
via ciò che ho imparato. -
- Torniamo a noi. Abbiamo capito che questa gente non ha tutte le rotelle
al proprio posto, va bene. Allora, appena messo piede su Marte, li ringraziamo,
li salutiamo e poi non ci facciamo più trovare. Tuttavia non dimentichiamoci
che ci hanno salvato la vita e, se possibile evitiamo di urtare il loro
modo di vedere le cose. Non vorrei che dovessero rinfacciarci qualcosa,
o peggio. -
Marte divenne sempre più grande, finché non fu visibile
anche il Grande Anello Solare. Nonostante le sue dimensioni - era infatti
la struttura più grande mai creata dall'uomo - non era facilmente
visibile, in quanto la quasi totalità della luce che rifletteva
dal Sole era concentrata sulla superficie marziana. Aveva tuttavia una
tenuissima luminescenza, superiore alla luce cinerea della Luna, dovuta
alla luce che rifletteva lo stesso Marte verso l'Anello, e che quindi
tornava verso il Sole. Era tuttavia molto più semplice rintracciare
le stazioni che circondavano l'Anello. Piccole stelle armate, per difenderlo
dagli asteroidi in orbite anomale.
Intorno all'Anello si trovavano anche le stazioni orbitali simili a Luna
tre, che permettevano agli astronauti di prendere gli astrotraghetti verso
la terraferma.
La navetta di Mairc stava per attraccare ad un molo pressurizzato. Non
era dunque necessario indossare tute spaziali per uscire dalla navetta,
anche se le norme imponevano ad ogni astronauta di portare con sé,
al di fuori dell'atmosfera e ad eccezione di alcune zone delle stazioni
orbitali, sempre una tuta spaziale. Generalmente le tute erano personali,
e gli astronauti non le lasciavano che nelle loro case, sulla superficie
di un pianeta. Tutti gli occupanti stavano raccogliendo le proprie tute
spaziali, chiudendole in apposite valigie. Tre il gruppo di May, due Mairc
ed il suo secondo. Quattro il gruppo di Stuart. Il particolare non sfuggì
a May, che si ricordò dell'ultimo messaggio di Deacon, dove questi
chiedeva all'equipaggio della nave di portare su Marte quattro tute spaziali.
Sembravano passati secoli, da quando avevano ricevuto quel messaggio.
Il viaggio sembrava ancora normale, non avevano avuto ancora a che fare
con templari, generali lunari, navi da guerra o falsi S.O.S.
Frederick chiese a Stuart. - Come mai portate via quattro tute? -
- Come ho avuto modo di dirti l'altro giorno, nel nostro gruppo ciascuno
di noi ha il proprio compito, il mio era quello di liberarvi, quello di
Alex era di trasportarvi fin qui, ma nessuno di noi ha ricevuto ordini
di dover rispondere alle tue domande. -
- D'accordo, d'accordo, mi puoi dire solo se l'hai presa dalla scorta
di questa nave? -
- Dove altro avrei dovuto prenderla? -
- Grazie mille. - Disse, dirigendosi verso la cabina dove si trovava Mairc.
Egli, dopo l'attracco, stava dando gli ultimi controlli attraverso il
cruscotto della navetta. Quando ebbe finito May gli chiese. - Quante tute
hai a bordo? -
Alexander si mise subito sulla difensiva. - Ho rispettato le norme, non
c'è bisogno di preoccuparsi, e poi siamo arrivati. -
- Allora, se avete rispettato le regole, potresti darci un'altra tuta?
-
- Ne avete una con qualche avaria? - Disse preoccupato.
May sapeva che sarebbe stato difficile ottenere una tuta senza fornire
un valido motivo. - Sì, la mia, quando ero all'esterno, per salire
qui a bordo, il check mi ha avvertito che c'era una piccola falla. Non
più di un micron, ma comunque abbastanza. Potrebbe essere il check
ad avere dei malfunzionamenti, ma comunque sia la mia tuta non è
più in perfetta efficienza. -
Ogni nave spaziale aveva per regolamento un certo numero di tute di riserva,
per supplire appunto a casi simili a quello che stava millantando May.
Per regolamento interplanetario le tute di scorta erano di numero almeno
uguale a quello degli occupanti della nave.
Mairc aveva annuito leggermente alle parole di May. - Certo, - disse -
puoi prenderne una in fondo, nello stipetto a destra. E' bordato di rosso,
come di norma. -
- Grazie. -
- E la tuta guasta? -
- La farò riparare nel Tharsis, poi restituirò questa. -
- D'accordo, bisogna però denunciare questo prestito. -
- Naturalmente, anche se non ho mai capito perché tutte queste
complicazioni intorno alle tute spaziali. -
- Chi mai può capire cosa si trova nella testa di un burocrate.
- Disse mentre stava preparando i documenti riguardanti il prestito della
tuta spaziale. -
- Devo firmare sul libro di bordo? -
- Oh, non è necessario, basta che inserisca il codice personale.
-
- Ecco qui. -
- Perfetto, libro di bordo aggiornato. Ora possiamo andare. -
Su Marte, allo sbarco dell'astroporto, con sua grande sorpresa l'ex equipaggio
della Europe fu accolto da molti giornalisti del foglio notizie e dalla
Grande Sacerdotessa, che seguendo il suggerimento di Leiber, li utilizzò
per propagandare l'influenza della setta templare, resa ormai nota al
pubblico; ma soprattutto la Sacerdotessa tenne a specificare il proprio
posto di predominio all'interno dell'organizzazione templare.
La Sacerdotessa ebbe modo di parlare in privato con i tre, ma si limitò
a poche frasi di circostanza, del tipo - Sono molto felice che voi siate
qui. -
Non fu toccato l'argomento degli alieni marziani.
May e compagni tentarono di sgusciare il prima possibile e non ebbero
problemi nel farlo.
All'uscita dell'astroporto li attendeva Deacon, insieme a Leiber, con
la vettura di lui.
Ci furono grandi abbracci ed un po' di commozione. Roger chiese. - Come
stai? Eravamo preoccupati per te, per quel messaggio che ci hai mandato.
-
- Io sto benissimo, piuttosto, voi mi dovrete raccontare un bel po' di
cose. -
- Ma Brian, come sei scortese, ancora non ci hai presentata questa dolce
signorina. - Disse Taylor con un grande sorriso.
- Scusate, lei è Erika Leiber, mi ha, anzi, ci ha aiutati mentre
voi eravate a zonzo per il Sistema. -
- Piacere di conoscerla. - A turno i tre si presentarono, intuendo immediatamente
il legame che univa Brian alla nuova conoscente.
- Se siete qui - Aggiunse Brian - su Marte è anche merito suo.
-
- Grazie infinite - disse May - anche se per noi era più che sufficiente
sapere che lei ha aiutato Brian. -
- Potete anche darmi del tu. - Erika era leggermente imbarazzata, e per
la prima volta da che si ricordasse, si sentiva più a suo agio
dando del "tu" piuttosto che del "lei" a dei nuovi
conoscenti.
- Vedo - Intervenne Deacon - che avete portato quattro tute con voi. -
- Sì, ce lo avevi chiesto tu, ricordi? A proposito, a cosa ti serve?
Spero che sia importante, perché ho dovuto dire, per averla in
prestito, che la mia tuta era danneggiata. -
- Hai fatto bene, e la tuta è veramente importante, anche se forse
ne serviva una quinta. -
- Potevi anche chiederlo prima. -
- Non sapevo ancora che mi sarebbe servita, non avevo ancora conosciuto
Erika e i templari. -
Un dubbio assalì Taylor. Stuart li aveva aiutati a fuggire. Erika,
così aveva detto Brian, li aveva aiutati ad arrivare su Marte.
Stuart era un templare. - Brian. - Disse - Non sarà mica templare,
vero? -
Deacon lo guardò. - Di certe cose sarà meglio parlare in
luoghi meno affollati. -
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