Settimo Comandamento
Il settimo comandamento del Decalogo proibisce il furto
Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni del prossimo e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo.
Esso prescrive la giustizia e la carità nella gestione dei beni materiali e del frutto del lavoro umano. Esige, in vista del bene comune, il rispetto della destinazione universale dei beni e del diritto di proprietà privata.
(Catechismo della Chiesa Cattolica 2402)
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Settimo comandamento: Non rubare
Il settimo comandamento rientra in quei precetti indispensabili per avere la vita eterna. Si legge nel Vangelo di Matteo: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso".
(Mt 19,17-19).
Il comandamento di non rubare è fondato su un principio che scende nell'intimo: "Non desiderare la casa del tuo prossimo... né alcuna delle cose sue"
(Es. 20,17).
Si tratta di una legge spirituale, che mira all'anima, sorgente dei pensieri e dei propositi. Secondo la frase del Signore: "Dal cuore partono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adultèri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze" (Mt.15,19). La giustizia deve essere, amata, vissuta nell'intimo del cuore, perché sia vissuta anche nelle opere. Occorre amare la giustizia per essere giusti. Il comportamento usuale di questo tempo, autorizza ad approfittare dell'ingenuità, debolezza, distrazione del prossimo per imbrogliarlo, al solo scopo del massimo guadagno economico.
Il rubare è propriamente un impossessarsi delle proprietà altrui contro la ragionevole volontà del padrone ed è un'offesa alla giustizia e, ancor più, alla carità. Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo.
Il furto si può perpetrare in molti modi. Quello per eccellenza è la rapina, ma ci sono anche altre forme meno comuni come il non osservare pienamente i contratti, le convenzioni, gli obblighi professionali, sia con frode o per negligenza, sia per imperizia. Particolarmente facile è la tentazione quando si tratta di contratti commerciali, compra-vendite, locazioni, o di contratti professionali come ad esempio quelli per cure mediche o di avvocati.
Commettono furto anche quelli che carpiscono denaro con parole finte e simulate, o con falsa mendicità; anzi il peccato di costoro è più grave, perché aggiungono al furto la menzogna. Anche quelli che non danno la mercede dovuta agli operai sono rapinatori e San Giacomo li invita alla penitenza con queste parole: "Piangete, o ricchi, ululando sulle sciagure che vi piangeranno addosso".
(Gc 5,1).
Il furto non è solo di cose, di denaro, di proprietà, di lavoro. Esso può anche riguardare il pensiero, la libertà, il cuore, la fede, la pace, l'amore. Così, è furto levare l'onore a un uomo, la dignità a una donna, la tranquillità a un familiare, la fede a un credente, l'innocenza a un bambino, la paternità o la maternità a un nato, la speranza a un anziano, la moglie a un marito, l'affetto a un bisognoso.
Il pentimento implica la restituzione del mal tolto ed è l'unica garanzia del perdono di Dio. Non soltanto chi ha commesso il furto deve restituire il maltolto a chi ha derubato, ma anche tutti coloro che hanno partecipato al furto sono obbligati alla restituzione. Chi, potendo restituire il mal tolto non ridà, non può illudersi di essere perdonato del male fatto e di ottenere il perdono divino della sua colpa.
"Chi rubava, ormai non rubi più; piuttosto lavori operando con le proprie mani quel che è buono, per avere di che dare il necessario a chi soffre" (Ef 4,2-8). Esclama il profeta Amos: "Ascoltate, voi che calpestate il povero e fate perire i miseri della terra dicendo: Quando passerà il mese e venderemo le mercanzie? Allora potremo diminuire la misura, aumentare il siclo e usare stadere ingannevoli".
(Am 8,4-5).
Se abbiamo fatto un male a qualcuno, Dio ci ordina di riparare come possiamo al danno arrecato e di non farlo più (Gv 8,11). In questo modo otteniamo perdono dal Signore, perché, c'è vero pentimento, solo quando c'è buon proponimento. Così fece anche Zaccheo: "Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto".
(Lc 19,8).
"Non vi affannate ad accumulare tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano, dove ladri scassinano e portano via. Accumulatevi tesori in cielo, dove tignola e ruggine non consumano, né ladri e scassinatori portano via. Infatti, dov'è il tuo tesoro, lì sarà pure il tuo cuore"
(Mt 6, 19-21)
Chi ruba, lo fa per procurarsi i mezzi per godere, ma la gioia procurata con mezzi illeciti, genera rimorso ed insoddisfazione nell'anima, inoltre, il denaro procurato ingiustamente, quasi sempre è speso malamente: "Badate di tenervi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è molto ricco, la su vita non dipende dai suoi beni" (Lc. 12,15). "Chi accumula ricchezze è il più povero dei poveri, perché non è padrone di se stesso: sembra un possessore, ma in realtà è dal denaro posseduto".
(Sant'Antonio di Padova)
Riflessione
Non rubare
La nostra vita non dipende dai beni che possediamo, ma dalla grazia che ci viene concessa. È Gesù stesso che ci raccomanda di non attaccarci esageratamente alle cose materiali e di fuggire lontani dall'avarizia che è un furto verso chi è bisognoso. Ricordiamoci che nulla abbiamo portato in questo mondo e nulla possiamo portare nell'altro. Usiamo ciò che possediamo, ma senza esserne posseduti: "Chi accumula ricchezze è il più povero dei poveri, perché non è padrone di sé stesso: sembra un possessore, ma in realtà è dal denaro posseduto".
(Sant'Antonio di Padova).
La ricchezza, quando è disonesta, porta sempre all’insoddisfazione nell'anima e alla rovina del corpo, perché il denaro procurato ingiustamente è sempre speso malamente. Chi ruba, infatti, è destinato a spendere per godere e a non godere ciò che spende. Appare felice, ma in realtà porta il rimorso nell'animo e il disprezzo e lo spreco dei beni, che sono da considerarsi un'offesa a Dio.
A volte chi spinge ad impossessarsi delle cose altrui sono l’invidia e l’avidità che condividono il desiderio avido imperioso ed insaziabile per realizzare tutte le nostre più celate ambizioni. L’invidia e l’avidità si potenziano vicendevolmente si accrescono alimentate dal profitto smisurato, dall’egoismo, dall’ingordigia dell’avere, dal piacere, dalla vanità, dalla ricchezza, che si abbatte come vento impetuoso distruggendo sentimenti e ogni morale e allora ogni cosa diventa legittima per i propri fini, compreso il rubare, e come un idolo esercita un fascino potente che ci spinge su una via senza ritorno. Per uscire da questa schiavitù dobbiamo importi una scelta radicale, tra la ricchezza, lo sperpero, il godimento e Dio, tra l’egoismo e l’amore, tra le cose infime della terra e le cose del cielo. A noi la scelta.