Dieci Comandamenti

Terzo Comandamento

Monastero "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro".
(Es 20,8-11)

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Ricordati di santificare le feste

Terzo Comandamento

Sabato nel vocabolo ebraico, vuol dire "cessazione": quindi "sabatizzare", ossia "cessare" e "riposarsi". Il settimo giorno ricevette il nome di sabato, appunto perché, compiuto l'universo cosmico, "Dio benedisse il giorno settimo e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro servile che operando aveva creato".
(Gn 2,3).

In questo comandamento ci viene indicata una prescrizione in senso positivo, ossia di ricordarci del settimo giorno, di osservarlo e di astenerci dal lavoro per la santificazione del sabato. Secondo le indicazioni bibliche, il lavoro rappresenta quello che gli uomini svolgono abitualmente, la ragione per la quale Dio li ha messi sulla terra. Il giorno di sabato era, ed è tuttora, per il popolo d'Israele, il giorno consacrato al Signore: giorno di assoluto riposo per dedicarsi esclusivamente al culto di Dio, con la lettura dei testi sacri e la preghiera. Per i cristiani il giorno del Signore non è più il sabato, ma la domenica, perché in questo giorno, "il primo dopo il sabato" (Gv 20,19), è risuscitato Gesù ed è iniziata una nuova era. La risurrezione, infatti, è la vittoria di Cristo sulla morte, la sconfitta di Satana, il compimento delle Scritture.

La ragione essenziale per osservare il sabato è che si tratta di un giorno santo, cioè che appartiene a Dio. Di fatto la decisione divina ci dona la chiave per comprendere il significato del sabato. Questo tempo ci è necessario per mettere al centro della nostra vita la ricerca di una relazione con Dio. Ricerca che dà un senso a tutto il resto e che ci permette di rompere il giogo di schiavitù che ci lega all'opera delle nostre mani.

Dio ha messo un richiamo alla nostra condizione di creature, un invito a fermarci periodicamente e ritornare alla Sorgente della vita, in quanto la vita, contiene miriadi di possibilità allettanti: come trovare il tempo per fermarci ed avere quel distacco necessario per fare una scelta, per scoprire se vogliamo veramente fare le cose che noi facciamo? Malgrado le nostre pretese, non siamo i creatori dell'universo e arriverà un giorno in cui questo diventerà ovvio.

La Chiesa di Dio trasportò la ricorrenza festiva del sabato alla domenica, perché in questo giorno, per la prima volta, brillò la luce sul mondo e in esso, in virtù della risurrezione del Redentore che aprì l'adito alla vita eterna, la nostra vita, affrancata dalle tenebre, fu ricondotta nelle regioni della luce. Perciò gli Apostoli lo chiamarono "giorno del Signore". "Lungi dal sostituirsi al sabato, la domenica ne è dunque la completa realizzazione e, in un certo senso, l'estensione e la piena espressione, in riferimento al cammino della storia della salvezza, che ha il suo apice in Cristo"
(Giovanni Paolo II, Lettera apostolica "Dies Domini", 31 maggio 1998).

Giorno del Signore

La domenica ci dà l'occasione, per ritrovare il senso della misura, per riequilibrare le scelte che trascinano la nostra vita da un impegno all'altro e di compiere l'opera di Dio e di credere in Colui che Egli ha mandato (Gv 6,29). Contro la tentazione di amare solo noi stessi e di credere perduta ogni ora che non sia dedicata a produrre ricchezza e ad accontentare il corpo, ci viene offerta una sosta che ci dà modo di pensare a Dio, a noi stessi, alla famiglia. Infatti, come afferma Gesù nel Vangelo, ciò che conta nella vita è salvare la nostra anima: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?".
(Mc 8,36).

Dice il Signore: "In quel giorno non farete nulla: né tu, né tuo figlio, né tua figlia, il tuo servo o la tua serva, il tuo giumento e il tuo ospite che è in casa tua". Con queste parole siamo avvertiti di evitare assolutamente quanto può ostacolare l'esercizio del culto divino. Si intuisce, infatti, che è vietato ogni genere di lavoro servile, non davvero perché questo sia per sua natura disonorevole e malvagio, ma perché ci allontana da quel culto divino che rappresenta lo scopo del precetto. A maggior ragione, i fedeli, dovranno evitare in quel giorno i peccati, che non solamente distraggono lo spirito dall'esercizio delle cose divine, ma ci separano radicalmente dall'amore di Dio!

Non è perdere tempo usare il tempo per Dio, anzi è guadagnarlo. Dio ci ha dato la vita e ci offre la vita eterna. Chi ama Dio riceve quella divina sapienza che lo aiuta a non perdere tempo per cose inutili. Ricordiamo le parole di Gesù: "Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché vi affannate del resto?" (Lc 12,25-26); "Non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello... Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!... Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".
(Mt 5,36; 10,30-31; 10,39).

La prima parola della formula è "Ricordati"; il culto e l'ossequio religioso a Dio, formulati in questo comandamento, sgorgano infatti dal diritto di natura, essendo proprio la natura che ci spinge a consacrare qualche ora al culto di Dio. È un comando salutare, sia per il corpo che per lo spirito, per concedere un po' di tempo allo spirito affinché si rinfranchi nel pensiero di Dio. Perciò gli Apostoli stabilirono che fra i sette giorni il primo fosse consacrato al culto divino e lo chiamarono giorno del Signore.

Il pieno valore del comandamento esige che l'uomo ponga tutte le sue energie perché, nei giorni fissati, lontano dagli affari e dal lavoro materiale, possa attendere al pio culto del Signore e al mistico riposo, nei quali si celebra la rinascita dell'uomo nuovo a vita nuova. Coloro che erano avvolti nelle tenebre ora sono luce nel Signore e procederanno sui sentieri della bontà, della giustizia, della verità, come figli della luce, astenendosi dal partecipare alle insane opere delle tenebre.

Gli affanni della terra, quando sono eccessivi, sono un pericolo e possono creare effetti sempre più negativi. È imprudenza il volersi forzare a continua attività per guadagnare sempre di più; al riguardo disse Gesù ad un uomo avaro e materialista: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio" (Lc 12,20-21). È per questo che Dio ci educa alla saggezza per mezzo della sua sapiente e amorosa Parola. I suoi comandi non limitano la nostra libertà, ma, anzi, la espandono e la conducono nella direzione giusta, verso la fonte della vita, dell'amore, della pace, della gioia.

La domenica è soprattutto il "Giorno del Signore", da santificare con la preghiera, l'ascolto della Parola, la riflessione personale, la carità fraterna, il culto della Messa, il nutrimento dell'Eucarestia. È il giorno che celebra la risurrezione di Cristo, il giorno solenne dell'assemblea cristiana in cui Gesù spezza ancora il pane con noi e ci comunica il suo amore. È l'incontro con la Persona che amiamo e dalla quale siamo amati, poiché nell'Eucarestia, Gesù ci dona veramente il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Parola, il suo Spirito, la sua Anima, la sua Divinità. È il giorno della fede in cui comprendiamo che cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna.

La festa è un grande dono di Dio per l'uomo. Dio stesso si è riposato il settimo giorno, perciò l'uomo, che rispecchia l'immagine di Dio, è chiamato a fare altrettanto e deve impegnarsi a farsì che anche i poveri possano godere del giusto riposo dalle attività quotidiane. La festa è una protesta contro le schiavitù del lavoro ed il culto del denaro.

E' necessario allora, che la festa torni ad essere non soltanto un giorno di riposo dal lavoro, ma il giorno nel quale si dà grande importanza alla gratitudine verso Dio e nel quale la vita riacquista quella bellezza che, durante i giorni feriali, viene inevitabilmente mortificata a causa della fatica del lavoro, dello studio, dei problemi della vita quotidiana.

Il sabato celeste poi, secondo il commento di san Cirillo al passo apostolico "E lasciato un altro sabato al popolo di Dio" (Eb 4,9), consiste in quella vita, nella quale, vivendo con Cristo, godremo di tutti i beni, essendo estirpata ormai, ogni radice di peccato, secondo il detto: "Non vi saranno leoni, non vi passeranno belve; ma ivi si aprirà una strada pura e santa" (Is 35, 8s). In realtà, lo spirito dei santi consegue nella visione di Dio tutti i beni. Santificare la festa vuol dire inserire nella vita terrena un ritaglio dell'infinita e sconfinata festa del paradiso, ossia nella domenica senza tramonto che ci impegna a seminare la festa del cielo, nei solchi della nostra esperienza umana.

Nei giorni festivi i cristiani devono andare in Chiesa per assistere alla santa Messa, per avere l'incontro gioioso con il Signore e, attraverso la parola del Vangelo, ritrovarsi come i discepoli di Emmaus con il cuore che ardeva nel sentire parlare Gesù. Anche noi possiamo durante la Messa incontrare il Signore Gesù: egli ci fa ascoltare la sua Parola e, come ha fatto con i pescatori del lago, con Levi e con il giovane ricco, ci invita a lasciare tutto e a seguirlo.

Basta riflettere sul fatto che tale divino comandamento può essere rispettato senza alcun sacrificio. Dio non ha imposto ardue fatiche da affrontarsi in suo onore: ha voluto semplicemente che trascorressimo i suoi giorni festivi liberi da cure terrene. Non è dunque indizio di sfrontata temerarietà il rifiuto di obbedienza?

Ricordiamo i terrificanti supplizi a cui Dio sottopose i violatori del comando, che sono narrati nel libro dei Numeri. Per non incappare in questa grave offesa a Dio, sarà bene ripetere mentalmente e molto spesso il monito "ricordati" e tenere costantemente dinanzi agli occhi gli insigni vantaggi che abbiamo detto scaturire dal rispetto dei giorni festivi.

Tocca a noi decidere e scegliere se accettare l'invito e seguire Gesù con il cuore pieno di gioia oppure rifiutare ed andarcene tristi, come il giovane ricco, perché tante altre cose ci attirano più di Dio.

Riflessione

Ricordati di santificare le feste

La Parola di Gesù è come un fuoco per incendiare i nostri cuori d’Amore, perché l'amore è come il fuoco, se non viene alimentato si spegne, allora va sostenuto in ogni momento, ed esige del tempo e deve essere curato con dedizione, anche solo attraverso dei piccoli gesti, per alimentare i rapporti affettivi, ed è simile al fiore che ha bisogno di acqua, di luce e se non riceve la giusta attenzione, la pianta si seccherà e morirà. In questo fuoco il Signore parla e purifica i nostri cuori che talvolta sono aridi, rimasti senza acqua da tanto tempo, e basta una scintilla per far divampare un incendio come succede in tempo di siccità.
Questo fuoco è una fiamma che arde, ma non distrugge e fa emergere la parte migliore e più vera di noi.

La vita umana non si identifica con la luce del sole, come avevano cantato i poeti latini e greci, ma con l’attesa della luce di Dio: "Questa è la Luce, è l’unica Luce, e un’unica cosa sono coloro che la vedono e la amano".
(S. Agostino)

Accendi in noi Signore il fuoco del tuo amore! Questa è una preghiera audace, ma sappiamo che questa fiamma ha il potere di salvarci.