Alleati stranieri in Italia 2a parte

Statunitensi, Cechi, Polacchi, Albanesi e Romeni

sopra il patch del 332° Reggimento statunitense che servirà come modello ai militari americani in Italia nel II dopoguerra. La coda alzata nel linguaggio della Serenissima Repubblica significava guerra a differenza del moderno U.S.A che già porta la scritta pace oltre alla coda flessa (vedi a fianco)

Il generale americano Pershing comandante supremo in Europa

 

 

Statunitensi

Gli Stati Uniti d’America dichiararono guerra alla Germania aderendo alla lotta delle Nazioni Alleate Europee, con il titolo di Nazione Associata al conflitto in corso in Europa il 6 aprile1917. Una Forza di Spedizione Americana ( A.E.F. ) venne creata ed addestrata negli Stati Uniti , allo scopo di essere inviata sul fronte Francese per prendere parte alle battaglie da tempo in corso. Volontari Americani erano però già presenti anche sul fronte Italiano, sia in quanto inquadrati in unità Britanniche, che in qualità di volontari giunti prima della data di entrata nel conflitto degli Stati Uniti, i quali combattevano con l’uniforme Italiana. Quando nel novembre del 1917 le prime divisioni dell’esercito U.S. giunsero in Francia per essere impiegate al fronte, venne dato ordine a tutti i cittadini degli Stati Uniti che combattevano da volontari negli eserciti Alleati, su tutti i fronti , di ricongiungersi in Francia al loro Corpo di Spedizione finalmente giunto nel teatro di operazioni. Il 332° Reggimento di Fanteria era stato creato il 30 Agosto 1917 a Camp Sherman, Ohio, e assegnamento alla 83a Divisione. Il reggimento comprende un gran numero di uomini dell'Ohio, includendone molti da Cleveland, Akron, e Youngstown (compreso un buon numero di emigrati italiani, n.d.r). Dalla 83a Divisione di Fanteria “ OHIO “ venne quindi tolto il 332° per l’invio in Italia: comandante del 332° Reggimento fù il Colonnello William Wallace. Un primo contingente di ufficiali e soldati della logistica s'imbarcò sul piroscafo italiano "Giuseppe Verdi" e raggiunse Genova via mare il 28 giugno del 1918. Proseguì poi in treno per Padova, ove già risiedeva il Comando della loro Missione Militare. Venne così qui creato il Quartiere Generale delle truppe U.S. presenti in Italia, mentre a Verona venne installato l’Ospedale Militare da Campo (AEF 331) ed a Vicenza l’Ospedale Militare di Base (AEF 102 ). Il 25 luglio del 1918, il 332° Reggimento Fanteria che nel frattempo si trovava in Francia, venne caricato su dei treni e trasferito in Italia. Il Reggimento raggiunse la stazione di Milano il 28 luglio del 1918 accolto calorosamente dalla popolazione Italiana e dalle Autorità locali. Identica accoglienza ricevette a Villafranca di Verona, ove il contingente venne fatto scendere dai treni e preparato ad essere trasferito a mezzo di camion nei vari quartieri loro assegnati. A Villafranca di Verona rimasero il 3° Battaglione assieme alla Compagnia Mitraglieri ed alla Compagnia dei Rifornimenti. A Custoza, nelle vicinanze dell’Ospedale Militare da Campo 331 prese alloggiamento il 2° Battaglione, mentre il 1° Battaglione con lo stesso Comando del Reggimento trovarono sede a Sommacampagna ( Verona ) unitamente alle unità di completamento (artiglieria, mortai ecc.). http://www.assitam.com/prima_guerra.html  http://www.associazionelagunari.it/uniformi_e_armi_2010_03_02.htm

Il Re passa in rassegna il reggimento americano

  Ma prima che giungessero questi, allarmati dal disastro militare di Caporetto, nel dicembre del 1917 arrivarono in Italia altri americani. Non erano truppe combattenti come in Francia, ma giovani volontari dell’”American Red Cross” che avevano firmato un ingaggio semestrale come conducenti di autoambulanze. In gran parte studenti universitari, erano ansiosi dì assistere «in prima fila» a quello che la stampa degli Stati Uniti, con un cinismo giustificato solo dalla lontananza, esaltava come «il più grande spettacolo del mondo». Si trattava di un piccolo contingente. In tutto circa 200 uomini, con compiti di natura assistenziale-propagandistica. In pratica erano stati mandati in Italia per infondere coraggio a chi combatteva in prima linea, per tirare su il morale dopo la catastrofica ritirata, per dire che tenesse duro perché dietro c’era la grande America (che stava arrivando ?!).
Sul fronte italiano gli americani erano stati raggruppati in cinque Sezioni delI’ARC (American Red Cross) con basi a Schio. Bassano del Grappa, Fanzolo, Roncade e Casale sul Sile. Ciascuna Sezione disponeva di venti autoambulanze «Ford» e «Fiat» e di una trentina di conducenti adibiti al trasporto dei feriti dai posti di medicazione agli ospedali da campo delle retrovie. Le Sezioni si occupavano anche della gestione dei «posti di ristoro» allestiti dietro le prime linee che fornivano ai combattenti generi di conforto. A Milano, in via Cesare Cantù n. 4, l’ARC aveva organizzato per il proprio personale un piccolo ma efficiente ospedale militare. Quando il fronte era tranquillo, questi ragazzi americani in divisa kaki si azzardavano a mettere piede nelle trincee dove distribuivano strette di mano, cioccolato, sigarette, caffè e pacche sulle spalle. Per questo, non sapendo come definirli i più li chiamavano “quelli della cioccolata) Bruno Traversari

  Fra questi oltre a Hemingway (link sotto) John Rodrigo Dos Passos (Chicago, 14 gennaio 1896 - Baltimora, 28 settembre 1970). Dos Passos, ricco di famiglia, è un radicale, il che (negli Stati Uniti dell'epoca) significa soprattutto essere un anarchico (poi comunista). Non a caso Dos Passos sarà tra i più accaniti difensori di Sacco e Vanzetti, i due emigrati italiani processati per le loro idee politiche. Sopraggiunta intanto la prima guerra mondiale, Dos Passos è dapprima sul fronte italiano nei ranghi della Croce Rossa dove presta servizio nella ambulanza francese e in seguito nel corpo sanitario statunitense del Norton-Harjes Ambulance Corps. In Italia come fra le truppe statunitensi non è ben visto per le sue idee anarcoidi e in maggio del '18 viene allontanato. Dos Passos esordirà proprio nel 1917 con il suo primo romanzo, One Man's Imitation - che viene pubblicato però nel 1920 lo stesso anno di "This Side of Paradise" di Francis Scott Fitzgerald.

Alla vigilia di Vittorio Veneto il 332° reggimento, venne inquadrato con il corpo inglese nella X Armata e dal 22 novembre (a guerra terminata) con la III Armata italiana. Gli Americani (molti erano Italo Americani) restarono in Italia fino alla fine di Gennaio del 1919 ed ebbero un solo caduto.

     

Hemingway venne ferito l'8 luglio 1918 e dalle sue vicende trasse il libro "Addio alle armi" incentrato sulla ritirata di Caporetto. (vedi link http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/hemingway.htm  

 

  Dal 28 settembre 1917 piloti statunitensi si addestravano con il corpo aeronautico italiano, (vedi Fiorello La Guardia http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/volo.htm ). I migliori poi venivano già imbarcati l'anno dopo con i gruppi da bombardamento italiani VI e XIV. E' il caso del ten. pilota Coleman De Witt da Tenafly NJ, uno dei pochi stranieri a ricevere la più alta onorificenza militare italiana (l'oro). Il velivolo Caproni Ca44 matricola 11669 era decollato da Tombetta per una azione sul fronte di Vittorio (Veneto) nei giorni dell'offensiva finale mentre le truppe erano impegnate nel passaggio del Piave. Ai comandi del Ca.44 De Witt e James Bahl, con a bordo Vincenzo Cutello e Tarcisio Cantarutti. Il velivolo venne intercettato ed abbattuto da un pattuglia di 5 caccia austriaci, tra i piloti Roman Schmidt and Emmerich von Horvath. Motivazione: Nel pomeriggio del 27 ottobre 1918, durante un’azione di bombardamento quale capo equipaggio di un Caproni C44 attaccato da cinque velivoli nemici da caccia invece di sottrarsi, atterrando, all’impari lotta, preferì accettarla senza esitazione trasfondendo forza ed energia nei compagni di volo col suo magnifico esempio di risolutezza ed ardimento. Due degli avversari furono abbattuti dal tiro infallibile dell’apparecchio accerchiato a bordo del quale si continuò a lottare, pur tra le fiamme fino a che, stretto e soverchiato dal forte numero dei nemici, precipitò e l’intero equipaggio scontò con la morte la sua audacia -  Al copilota James Bahl la Medaglia d'Argento  

After the Armistice the American troops formed part of the Allied force stationed in Austria and along the Dalmatian coast. The 1st and 3rd Battalions were at Cormons near Gorizia. Later in November the 1st Battalion was ordered to go to Treviso and the 3rd Battalion to Fiume. The 2nd Battalion was stationed at Cattaro (Bocche di.. Dalmazia) and a detachment from it was sent to Cetinje, Montenegro. In March 1919 the regiment was assembled in Genoa and by April 4th its last elements embarked for the United States.

 

  LO SFORZO BELLICO AMERICANO da una rivista mensile del 1918

  Le spese della guerra civile poi le guerre indiane avevano prosciugato le casse statali e, in mancanza di nemici diretti alle frontiere (Messico e Canada), le autorità di governo avevano optato per una piccola forza militare volontaria appena necessaria per presidiare Forti, Frontiere e i territori indiani non ancora del tutto pacificati. L'Esercito regolare contava poco più di  100.000 uomini e quello della Guardia Nazionale ca 120.000. Ai compiti precedenti, con le guerre iniziate nel 1894 (si tratta di guerre per il controllo del mondo vedi capitolo http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/xxwar.htm in due parti) , s'era aggiunta la presa delle Filippine ex spagnole e dello strategico Canale di Panama. Il 3 giugno 1916 il congresso approvò il National Defense Act che si proponeva in un arco di 5 anni di raddoppiare la forza che sarebbe passata ad oltre mezzo milioni di uomini. Quando l'anno dopo venne dichiarata la guerra alla Germania, in seguito all'affondamento del Lusitania ed ai continui attacchi di sottomarini ai convogli americani per l'Europa, l' NDA sembrò poca cosa per affrontare i milioni di soldati degli Imperi Centrali  e dei suoi alleati. Furono creati (in base all'Emergency Army Bill) 32 campi di addestramento (attendamenti non disponendo di attrezzature fisse) dotati di ogni "confort" per portare a tappe forzate la forza combattente destinata al teatro europeo ad oltre un milione di soldati. L'unico corpo di lunga tradizione ampiamente utilizzato nelle guerre sopraddette furono i Marines. L'apporto di consiglieri Francesi e Inglesi fece in modo che i gap con gli alleati venissero superati in fretta specialmente nel campo delle artiglierie dove l'uso di cannoni uniformati facilitava il compito del rifornimento di munizionamento. Al primo Gennaio 1918 la marina comprendeva 34 corazzate in servizio e 4 in costruzione nella versione ultima della monocalibro Dreadnought. E' utile ricordare che la marina degli Stati Uniti aveva già dato esibizione della sua forza con una crociera intorno al Mondo chiamata della Flotta Bianca dal colore provvisorio dato alla navi. Il resto della flotta minore non era da meno facendo del paese già una seconda potenza mondiale marittima. Dal 1912 sulle navi non si accettavano più stranieri fonte di disturbo e indisciplina. La flotta mercantile poi messa a disposizione dei trasporti sarà in grado di far passare l'Atlantico ad un numero sempre crescente di soldati col loro equipaggiamento e la loro completa autonomia operativa. L'8 maggio 1917 una prima nave con un ospedale da campo lasciava le coste americane con scorta e a questa seguivano le altre. Fra il giugno 1917 e il Giugno 1918 la cifra mensile degli imbarchi non scese mai sotto i 10.000 uomini con punte di 38.000 in Ottobre e 49.000 in dicembre del '17.  Il totale degli uomini arruolati nel 1918 era comunque giunto a 2.300.000 uomini fra soldati e ufficiali. Superfluo citare l'industria degli armamenti che supportava questo sforzo e che abbondava nella tipica maniera americana. Solo alcuni esempi. 23 milione di granate, 1 mil. fra pistole e revolver, 23 mil. di proiettili d'artiglieria, 240.000 mitragliatrici e 2,5 mil. di fucili. L'aviazione da guerra era il punto debole della difesa americana, ma venne ben presto rimediato.

Manifesto della II guerra mondiale sullo stesso stile di risparmio. Meno zucchero

 

 

Oltre 20 grandi ditte fabbricano aeroplani su licenza. 70.000 acri di terra vennero seminati a Ricino per produrre lubrificante. La marina "civile" requisita ammontò a ca 700 navi a cui si aggiunsero quelle tedesche internate. 60.000 uomini erano riservati alla sola difesa da sottomarini in mare e sottocosta. Le navi mercantili venivano armate per questa evenienza. Nel luglio 1918 vi erano 151 cantieri navali aperti che avevano già varato 190 navi. La lavorazione il trasporto l'afflusso del materiale ai porti di imbarco impose all'esercito di creare un comando unificato per la gestione di molti tratti e la costruzione di nuovi, materiali ferroviari compresi: locomotive e vagoni di varia natura. Da una lettera spedita alla vigilia del 4 luglio 1918 (Indipendence Day) si ha un quadro della situazione. Nel 1918 a gennaio erano partiti dagli Usa 47 mila soldati e nei mesi seguenti, 48, 84, 117, 244, 276 a giugno (mese in cui cominciarono a schierarsi in trincea). Lo sforzo logistico al di là dell'atlantico venne replicato in Francia. Il commissariato provvedeva ad acquistare 30.000 tonnellate di prugne e fagioli, 273 milioni di litri di latte (conservato) e pomodoro, 20 mil. di coperte, 31 mil di mutande, 50 mil di paia di calze, 11 mil. di cappotti e 20 mil di paia di scarpe. Col. Wallace al centro

Il contributo economico - Secondo le note ufficiali comunicate alla stampa, le spese dei primi tre mesi di guerra (aprile-giugno 1917) degli Stati Uniti furono valutate in 120 milioni di dollari e quelle dell'anno fiscale che va dal 1° luglio 1917 al 1° luglio 1918 ascesero alla formidabile cifra di 12 miliardi e 800 milioni. La somma complessiva si aggirava quindi nel luglio 1918 attorno ai 13 miliardi di dollari, cioè ai 65 miliardi di lire. Le spese militari, in tempo di pace, erano inferiori ad un miliardo di dollari. Esse erano circa il doppio di quelle fatte nel solo giugno 1918, nel quale si raggiunsero i 500 milioni di dollari. Una parte non trascurabile delle somme sborsate dagli Stati Uniti in seguito all'immane guerra è rappresentata dai prestiti che gli stessi , concessero agli Alleati. Un comunicato ai giornali diramato in occasione dell'American Day del 1918, stabiliva il totale di questi prestiti in 5 miliardi e 970 milioni di dollari. Un dispaccio da Washington faceva ascendere i prestiti concessi dagli Stati Uniti agli alleati al 27 agosto 1918, alla cifra complessiva di 6 miliardi e 89 milioni di dollari. Questa cifra rappresentava gli anticipi effettivamente versati. I crediti già stabiliti la portavano a quasi 7 miliardi così suddivisi: Gran Bretagna 3,345,000,000, Francia 2,065,000,000, Italia 760,000,000, Russia 325,000,000, Belgio 154,250,000, Grecia 15,700,000, Cuba 15,000,000, Serbia 12,000,000 (i contributi a Serbia e Belgio sono chiaramente contributi ai governi in esilio per il mantenimento di un esercito di fortuna sul piede di guerra (in Grecia per la Serbia) o belligerante come nel caso del Belgio in territorio francese). Il Dipartimento del Tesoro rileva anche che tutte le domande di prestito fatte dal Governo italiano erano state subito soddisfatte. Queste spese, veramente enormi, furono sopportate senza alcuno sforzo considerevole, sia per la straordinaria ricchezza della nazione, sia per l'ottimo sistema seguito nell'applicazione dei nuovi tributi. Le tasse sul reddito e sui sopraprofitti di guerra fecero affluire nelle casse del tesoro 235 milioni di dollari nel solo giugno del 1918. Il concorso dei cittadini nordamericani ai prestiti nazionali fu superiore ad ogni aspettativa e costituisce una delle migliori prove dell'entusiasmo che si ebbe per la guerra nella potente Repubblica. Dalle comunicazioni ufficiali risulta che il Governo degli Stati Uniti ha autorizzato l'emissione di 14 miliardi di dollari per il Prestito della Libertà e 2 miliardi di dollari in certificati di guerra o « War Saving Certifìcates ». I tre prestiti di guerra vennero sottoscritti da 30.000.000 di persone delle quali 4 sottoscrissero il primo prestito, 9,4 milioni il secondo, 17.000.000 il terzo. Tutti e tre i prestiti furono sottoscritti per somme molto superiori a quelle richieste. Di un totale di sottoscrizioni ammontante a 11,822,778,800, se ne accettarono appena tante per 9,978,785,800 dollari.
Un altro grande coefficiente del contributo dato finora dagli Stati Uniti alla causa della civiltà consiste precisamente nell'invio di materiale bellico e di viveri ai propri alleati. Delle armi e delle munizioni inviate in Europa dalla grande Confederazione di oltre Oceano non si può ancora parlare, non essendo ancora state comunicate notizie ufficiali alla stampa, per non correre il rischio di fornire erronee indicazioni al pubblico. Per quanto riguarda i viveri è doveroso mettere bene in chiaro che allo scopo di dare un appoggio sempre più valido alla causa per cui si combatte, l'America effettuò grandi economie di derrate alimentari per poterne mandare enormi quantità agli alleati. Nei dieci mesi finiti il 18 aprile l'esportazione del grano e degli altri prodotti alimentari, quasi tutti destinati agli alleati, ammontò alla somma di un miliardo e 20,360,810 dollari. Il valore dei cereali esportati complessivamente passò da 63 a 112 milioni di dollari dal 1914 al 1917; quello della carne e dei derivati del latte da 147 a 404; quello dello zucchero da 1,8 a 77. E'superfluo dire che anche l'Italia ha risentito, in proporzione dei suoi bisogni, i benefici dell'aumentata esportazione nordamericana. Nel 1914 i nostri acquisti agli Stati Uniti si limitavano a tanta merce per il valore di 442 milioni di lire. Nel 1915 l'importo delle merci colà acquistate si elevò invece a 1749 milioni; nel 1916 a 2.202 e nel 1917 a 3.144.!!!
Il rappresentante del ministero degli approvvigionamenti nordamericano in Italia, Prof. E. Dana Durand, stabilitosi a Roma nel giugno 1918, studiò accuratamente il problema dei viveri nel nostro paese e suggerì al suo governo gli studi e le disposizioni necessarie per rendere più efficace il contributo degli Stati Uniti al nostro rifornimento. Egli spiegò diffusamente all'On. Crespi come fu possibile economizzare nel suo paese tanti generi alimentari da permettere una così forte esportazione. Queste economie furono effettuate mediante misure obbligatorie ed ufficiali e per azione volontaria della popolazione, specialmente nei riguardi del grano. Non si adottò un sistema di razionamento, ma si costrinse la popolazione a sostituire in parte il grano con altri cereali. Il ministro per gli approvvigionamenti proibì la vendita della farina di grano ai fornai od alle famiglie, a meno che l'acquirente non comprasse una quantità uguale di qualche altro cereale, come granturco, segala ed orzo. Gli Stati Uniti producono in larga misura questi altri cereali, specie di granturco, ed in tempi normali non vengono consumati in quantità molto considerevoli per l'alimentazione umana. Fu quindi necessario un non lieve sacrificio perché la popolazione accettasse una proporzione così grande di altri cereali per la panifìcazione, sebbene dal punto di vista quantitativo, le varie qualità di cereali nella loro totalità non difettassero. Per un accordo volontario fra i proprietari di alberghi e di ristoranti per parecchio tempo furono aboliti completamente in tali esercizi i prodotti granari In molte città e villaggi, lo spirito patriottico della popolazione bastò ad indurre la popolazione ad astenersi completamente dal grano. Gli americani effettuarono anche una forte economia nel consumo della carne, per fronteggiare le richieste dei paesi alleati, richieste che sono in continuo aumento. Hanno anche limitato di molto il consumo dello zucchero sottoponendosi ad un rigido sistema di prenotazione.

trasporto petrolio a Baku nel 1905

 

Il Petrolio Americano

Nel 1917 la produzione mondiale di petrolio ammontava a poco più di 65 milioni di tonnellate, produzione eguagliata e superata dalla Russia solo nei primi anni del '900. Altri piccoli produttori poi erano usciti dalla testa della classifica ma l'unico valido era il Messico. Gli altri tutti assieme non arrivavano al 11%. Gli Alleati chiesero al mercato americano 365 milioni di barili, vale a dire 27 milioni di barili in più della quantità di petrolio prodotta durante l'annata. Gli americani non si perdettero d'animo e cercarono di rispondere al meglio possibile alle richieste. Per far ciò furono presi i seguenti provvedimenti:
Si cercò di intensificare la produzione, sfruttando al massimo i pozzi già esistenti e ricercandone febbrilmente di nuovi. Infatti nel primo semestre del 1918 furono completati i lavori di installazione di circa 12.000 !!! nuovi pozzi dei quali 8390 diedero risultati soddisfacenti. Nel secondo semestre la ricerca è continuata con altri , ma più modesti i risultati.
Si cercò di migliorare la qualità del prodotti, applicando (quando possibile) i metodi scientifici più perfezionati di raffinamento. Oggi negli Stati Uniti esistono 359 raffinerie di petrolio, la cui capacità produttiva giornaliera è di 1.250.000 barili (pari a 2 milioni di ettolitri) di prodotto raffinato; vale a dire di circa 450 milioni di barili all'anno. Inoltre sono in via d'impianto altre 118 raffinerie, capaci complessivamente di altri 40 milioni di barili all'anno.

Non bastando i detti provvedimenti, si intaccarono fortemente gli stocks di petrolio esistenti in paese. Da un statistica del 1918 poi si rileverà che la Russia ha avuto un crollo produttivo con la rivoluzione e la sua partecipazione al totale mondiale di 522 milioni di barili da 159 litri cadauno si è ridotta a 67 poco sopra quella del Messico. Gli Stati Uniti dal canto loro grazie a quanto detto sopra arrivarono a 338 milioni di barili il 75% del totale mondiale !!! (integrando parte delle richieste col Messico che produceva il 12%).

Manifesto indirizzato ai canadesi per l'arruolamento

  L'organizzazione della Y.M.C.A di cui abbiamo già parlato al paragrafo Hemingway e della Croce Rossa intervenuta prima del dispiego delle forze statunitensi si esplicò anche in altre iniziative. Essi raccolsero i fondi necessari per donare al nostro esercito 110 autoambulanze e 37 ospedali da campo onde testimoniare anche coi fatti il loro amore all'Italia e alla sua libertà. L'Italia "geniale" venne lanciata dal Segretario permanente dell'Accademia degli Immortali Robert Underwood Johnson e fu da lui concepita assistendo alla proiezione di un film sulla nostra guerra. I suoi amici l'approvarono entusiasticamente e costituirono un comitato l'American Poets' Ambulance in Italy del quale fanno parte parecchie gentili poetesse ed i migliori cultori della poesia d'oltre oceano. Il Comitato si mise subito al lavoro colla massima alacrità e lanciò in tutti gli Stati Uniti milioni di circolari aventi per motto: "Per amore dell'Italia e della sua Libertà" e recanti questi tre epigrafi altamente lusinghiere per il nostro paese: "Tutti i viaggiatori hanno due patrie: la loro propria e l'Italia (Schiller] " "Apritemi il cuore e vedrete inciso dentro di esso:Italia" (Browning) «Ogni tempo speso fuori dell'Italia è tempo sciupato" (Grant Allen). Anche i giornali fecero un'attiva propaganda per la nostra buona causa dimostrando che l'Italia nello stesso tempo che combatte per se combatte per l'America, e combatte gloriosamente e che, per conseguenza, «una sollecita effettiva assistenza all'Italia si risolve in un'effettiva assistenza all'America ». L'appello non venne lanciato invano. Al 31 marzo 1918 il Comitato aveva già raccolto oltre 173,000 dollari. Nei primi venti giorni del novembre 1917 furono offerte all'Intendenza Generale del nostro Esercito le prime 50 ambulanze, recanti quasi tutte i nomi dei nostri connazionali che si resero maggiormente benemeriti della patria. Le altre furono consegnate alla Croce Rossa Nordamericana. Davvero magnifica è l'autoambulanza oculistica, composta di quattro veicoli contenenti quanto di più moderno e perfetto si possa immaginare. L'auto-carro chirurgico è costituito da un camion la cui carrozzeria è stata costruita in modo da potersi facilmente trasformare, in mezz'ora al massimo, in una saletta operatoria, a pareti di legno, compreso il tetto, ricoperto da una cappa di tela impermeabile. Davanti all'ampia portiera d'ingresso della saletta per l'accettazione dei feriti, cui si accede mediante una comoda scala, è montata su telai di ferro una tenda in tela impermeabile ben solida, a tetto spiovente, la quale costituisce un atrio per migliore difesa contro il vento e le intemperie. Il camioncino ricomposto serve a trasportare le strutture mobili della saletta operatoria e le suppellettili necessarie al suo funzionamento. In caso di bisogno può anche venire adibito al trasporto di alcuni uomini. La saletta operatoria, con la sua tenda di accettazione, può facilmente smontarsi dallo chassis e ricomporsi su qualunque terreno. Nell'auto-ambulanza camera-operatoria si legge questa iscrizione: « Dono di americani amici d'Italia in onore dei Mille ». In quella semplice: « Dono della signora Mary Thompson, in onore di Mameli »: e nell'automobile: «Dono di americani amici d'Italia in onore di John Keats »,
Quest'autoambulanza fu consegnata alle autorità militari di Bologna a Villa Baruzzi da H. Nelson Gay, rappresentante del Comitato in Italia, il quale, nel suo elevato discorso, disse fra l'altro che il dono era stato fatto dai poeti americani colla più viva speranza di salvare la vista ai nostri valorosi soldati, affinché possano, un giorno non molto lontano, vedere il sacro tricolore sventolare sopra Trento e Trieste.
     

 

           34 Reggimento speciale ceco

     

Cecoslovacco con cappello alpino (ci sono immagini con la penna)

 

Cechi

Allo scoppio della guerra molti Cecoslovacchi finirono sul fronte russo e qui, da prigionieri o disertori (50.000), diedero origine prima al battaglione armato Cesca Druzin, poi ad un corpo d'armata chiamato legione ceca. Dopo la pace di Brest-Litowsk il grosso della formazione iniziò una marcia forzata verso oriente che terminò diversi mesi dopo a Vladivostok sotto comando francese. Altri cechi, con l'aiuto francese, erano transitati dai porti del Mar Bianco e vennero riarmati in Francia. Anche i Cechi, fatti prigionieri in Italia come in Francia, godono d'un trattamento di favore e concorrono a formare battaglioni lavoratori dietro le linee di difesa dell'Adige !! (extrema ratio). E' una idea di Pettorelli Lalatta del servizio "ITO" della IV armata di coinvolgerli negli interrogatori dei prigionieri prima di Caporetto e di sfruttare il loro senso nazionalista. Il 4 ottobre 1917 in accordo con le autorità ceche in esilio l'operatività di nuclei, detti esploratori o squadroni di avvicinamento (la conoscenza del tedesco e delle consuetudini avversarie li facilitava) operanti già nelle nostre zone alpine venne ufficializzata. Il 21 aprile 1918, il consiglio ceco in esilio (con Masaryk futuro presidente della Repubblica), stipula un accordo per la formazione a Foligno di una divisione ceca in Italia (VI) dopo che Pettorelli Lalatta già dal 23 gennaio 1918 ne aveva tracciato il profilo: reparti d'assalto e non solo: "Per la costituzione di uno stato indipendente, Boemo-Slovacco fuori dai confini dell'Austria", così recitava il suo promemoria.

*Il 9 agosto 1918 il governo britannico riconosce il Comitato nazionale cecoslovacco, presieduto da Tomas Masaryck. Il 14 ottobre, a Parigi, si costituisce il Governo provvisorio cecoslovacco. Il 28 ottobre viene proclamata l'indipendenza della Cecoslovacchia. Il 14 novembre Masaryck viene eletto primo presidente della Repubblica cecoslovacca.

  La costituzione di uno stato in esilio dava una maggior copertura all'ex prigioniero combattente che secondo le vecchie regole sarebbe stato passato per le armi se catturato. Non era una certezza al 1oo% ma la sconfitta Austria al tavolo delle trattative avrebbe avuto a che fare con un problema giuridico in più, per crimini contro l'umanità (in effetti pochissimi o nessuno furono questi processi a differenza del secondo conflitto). La Divisione la comanderà il Bersagliere Gen. Andrea Graziani e vestirà all'italiana (cappello alpino senza penna) con propri fregi e simboli. Intanto però Pettorelli Lalatta  procedeva col suo nucleo.

IL CANTO
Dov'è la patria mia? Dov'è la patria?
Perenne l'acqua mormora nel verde.
Fremono i boschi penduli alle rupi,
Ogni giardino splende a primavera
Tutto è un incanto tutto un paradiso.
È la più bella patria che vi sia
È la terra boema, patria mia.
Dov'è la patria mia? Dov'è la patria?
Sei tu il paese prediletto da Dio
Dove ogni anima è fine, in bronzeo corpo,
Chiaro il pensiero, rapida l'azione
Che cerca libertà contro i tiranni
È la più bella patria che vi sia
È la terra boema, patria mia
.

  Dal racconto di Vittorino Tarolli "Spionaggio e Propaganda" Nordpress ed. - …. Essi, con entusiasmo, si apprestavano ad assolvere nuovi compiti nelle loro nuove divise. All'epoca la loro consistenza era di una compagnia (circa 200 uomini) nella quale, oltre agli 8 ufficiali, i 14 sottufficiali e 151 graduati e soldati erano inquadrati anche 1 ufficiale, 7 sottufficiali e 16 soldati italiani. Il mese successivo (febbraio) le compagnie inquadrate nella 6a Armata furono due, mentre anche presso le altre Armate si costituivano analoghi reparti, sempre alle dipendenze degli I.T.O. Nel corso dell'estate (come detto) si costituì un Corpo Cecoslovacco autonomo e, alla fine di settembre (1918), fu costituito il 39° Reggimento di esploratori cecoslovacchi. Alla fine della guerra i reparti cecoslovacchi, organizzati dal Gen. Andrea Graziani e sostenuti dal nostro Ministero della Guerra, furono il primo nucleo del neo costituito esercito cecoslovacco* a cui l'Italia fornì l'intero armamento, costituito di materiale bellico nazionale e di altro requisito al nemico…. E’ l'aprile de1 1918. Nel silenzio della notte, mentre le artiglierie tacciono, le note di un canto ceco (a lato) si alzano, prima sommesse poi vigorose, nella zona tra Stoccareddo a quota 1100, davanti a Col Rosso (Altopiano di Asiago). E’ il canto degli irredentisti boemi, proibito dalla polizia austro-ungarica. Dalle trincee una serie di teste si è alzata, si è tolta il berretto, ha chinato il volto, come in raccoglimento, i fucili sono riposti. Qualcuno osa chiedere: «Chi siete? Da dove venite?» - «Siamo cechi come voi, eravamo soldati austriaci come voi. Abbiamo disertato.

http://www.tatranci.sk/en/index.php?obrazky=13

http://www.tatranci.sk/en/index.php?obrazky=14 

galleria di immagini delle vicende successive in patria contro i magiari

 

Ora siamo soldati del libero Stato di Boemia». Il fatto è raccontato da Pettorelli Lalatta e fu ripreso più tardi in un discorso del Presidente del Consiglio S.E. Orlando. Riportiamo fedelmente l'epilogo: « Omero solo potrebbe descrivere la suggestiva solennità di quell'istante. Si videro allora le vedette rettificare la loro posizione, i soldati delle trincee ergersi in piedi, scoprirsi il capo e rimanere così fino a quando l'inno non cessò. Nulla di più semplice e più profondo. Passava nella notte veramente un soffio di epopea». Qualche ufficiale, arrischiando la forca, si portava ripetutamente negli avamposti austriaci per convincere i dubbiosi e per preparare sabotaggi. Fra loro si distinse il tenente Prejda Alessandro, che nella primavera del 1918 comandava la Compagnia esploratori "Astico". http://www.tatranci.sk/sk/index.php?obrazky=3

Il mattino del 24 settembre 1918, bersaglieri e cechi dei nuclei arditi andarono all'assalto della cima Tre Pezzi con successo. I nuovi arrivi (35° e 39° regg. esplorante) per l'assalto finale, fanno crescere la Divisione che passa al generale designato di corpo d'armata Piccione. Alcune fonti la indicano operativa nei giorni immediatamente successivi all'armistizio. Sicuramente dal 17 novembre i 6 reggimenti con l'aggiunta di 2 rgt. di artiglieria, cavalleria (montata e blindata) e genio si costituiscono su un Corpo d'Armata di due divisioni (VI Gen. Gaetano Rossi e VII Bersagliere Gen. Giuseppe Boriani). Di questo corpo fanno parte anche 136 ufficiali e 1031 soldati italiani. Dopo l'armistizio tutti i cechi prigionieri raccolti sul territorio nazionale confluirono in un deposito delle Milizie Territoriali a Gallarate per essere addestrati e vestiti poi, da aprile 1919, rimpatriati. Il primo nucleo dell'Esercito Ceco, a partire dal 17 dicembre 1918, rimpatriava ed il gen. Piccione assumeva il Comando Supremo delle truppe Ceche nella Slovacchia orientale in fermento per le nazionalità e i confini contesi con la vicina Ungheria. Qui si stava preparando una dura prova per la definizione dei confini. Ma questa è un'altra storia di Italiani all'estero che affronteremo in apposito capitolo.

 

INDEPENDENT BOHEMIA AN ACCOUNT OF THE CZECHO-SLOVAK STRUGGLE FOR LIBERTY By VLADIMIR NOSEK Secretary to the Czecho-Slovak Legation in LONDON 1918

Czech soldiers were driven to fight in the interests of their German and Magyar enemies against their Slav brothers and friends under terrible circumstances. The 11th Czech Regiment of Pisek refused to march against Serbia and was decimated. The 36th Regiment revolted in the barracks and was massacred by German troops. The 88th Regiment, which made an unsuccessful attempt to surrender to Russia, was shot down by the Magyar Honveds. A similar fate befell the 13th and 72nd Slovak Regiments. The 35th Regiment of Pilsen went over to the Russians in a body half-an-hour after arriving at the front. As regards Italy, over 20,000 Czechs surrendered voluntarily on the Italian front up to 1917, and 7000 during the last offensive on the Piave in June, 1918.

Capitano dei Bersaglieri Martinez Giuseppe da Acireale
Motivazione della Medaglia d'Argento al V.M. "Primo fra i primi, conduceva la compagnia all'assalto di ben munite posizioni e dopo lunga lotta metteva in completa fuga l'avversario. Instancabile e ardito, con l'esempio, otteneva dai dipendenti la calma e la tenacia che valsero al mantenimento delle posizioni conquistate, nonostante l'intenso fuoco avversario. Ferito mortalmente, spirava sul campo, dopo avere incitati ancora alla lotta i bersaglieri che lo avevano soccorso". M. Semmer (Altopiano di Bainsizza) 18-25 agosto 1917

  Of recent cases we need mention only the "treachery of Carzano," where, on September 18, 1917, some Czech officers went over to the Italians, communicated to them the Austrian plans of campaign and led them against the Austrians whose front was thus successfully broken through. "On the morning of June 15 1918,, we started a vigorous offensive on the whole front between the Tyrolese mountains and the Adriatic, with a power that can be attained only by complete co-operation of all the units and with an accurate execution and a common and uniform action. But, just at the beginning of the attack, it became apparent that the enemy were making a counter-attack according to a well-defined plan, as in the case of a projected vigorous offensive. It was also found out that the enemy was perfectly aware of the extent, the day and the hour of our attack. The intended surprise, so important for the success of an offensive, has thus failed. In due course Italy also obtained, from documents which some deserters handed to the Italian high command, information which gave her a sufficiently precise idea of our dispositions. English, French and Italian officers and men captured by us declare unanimously that their regiments were advised on the evening of June 14 that the Austrian offensive would start at two o'clock on the following morning. As an example we may mention only the following facts: The battalion of bersaglieri received, at 3.20 on June 14, a quantity of ammunition at 72 to 240 cartridges per man. The Pinerolo Brigade took up fighting position at 2 o'clock at night. An order, captured late on July 14, said: 'According to reports received, the enemy will commence early on June 15 their bombardment preparations for attack. At midnight hot coffee and meat conserves will be distributed. The troops will remain awake, armed and prepared to use their gas-masks.' "For some time now the Italian command have tried to disorganise our troops by high treasonable propaganda. In the Italian prisoners-of-war camps the Slavs are persuaded by promises and corruption to enlist in the Czecho-Slovak army. This is done in a way prohibited by law.

35° reggimento ceco

  Their ignorance of the international situation and their lack of news from home, partly caused by Italian censorship, are exploited by means of propaganda without scruples. An order of the 5th Italian Army Corps (1658 Prot. R. J.) of May 14, 1918, refers to active propaganda by Czecho-Slovak volunteers with the object of disorganising the Austro-Hungarian army. The Italian military authorities on their part deceive the Czecho-Slovaks by telling them of the continuous disorders and insurrections in Bohemia. In the above-mentioned order it is asserted that in the corps to which it is addressed, as well as in other corps, some attempts of the Czecho-Slovak elements have been successful in causing confusion among enemy ranks. Some of our Czecho-Slovak soldiers deserted and went over to the Italians. Others remained in touch with them and declared themselves ready to stay in our positions as a source of ferment for future insurrections. Although the high treason miscarried owing to the heroic resistance which our troops, without distinction of nationality, offered to the enemy, it is nevertheless true that some elements succumbed to the treacherous enemy propaganda. "The gunner Rudolf Paprikar, of the machine gun section, according to reports of the 8th Army Corps jumped off the river bank into the Piave below Villa Jacur and swam across under danger of being drowned. He betrayed the position, strength and composition of his sector, and through observation and spying, he acquired some valuable information by which our projected attack against Montello was disclosed. Further, he revealed to the enemy some very secret preparations for the crossing of the river Piave, and also supplied him with plans of the organisation of troops, battery positions, etc."The principal part in the treachery is attributed by the Italian high command, not without reason, to Lieutenant Karel Stiny of an infantry regiment, who deserted near Narenta. It appears from the detailed Italian official report in which his statements are embodied, that he betrayed all our preparations on the Piave and provided the enemy with a great deal of most important information. Let us mention further that Stiny in his mendacious statements to the Italian command about the Austro-Hungarian situation at the front and in the interior, followed the line of all traitors in order to appear in a favourable light. It is characteristic that in his declaration about our offensive he said that many Austro-Hungarian troops would have surrendered if it had not been for the German and Bulgarian bayonets behind their backs. "It is proved by various documents to what extent the Czechs have forgotten their honour and duty. By breaking their oath to Austria and her emperor and king, they have also forgotten all those who were with them at the front, and they are responsible for the blood of our patriots and the sufferings of our prisoners in Italy. The false glory which is attributed to them by the Italian command, who have lost all sense of the immorality of these proceedings, cannot efface the eternal.
    http://openlibrary.org/books/OL7229756M/Independent_Bohemia_an_account_of_the_Czecho-Slovak_struggle_for_liberty.
Una notte due pattuglie boeme, guidate rispettivamente dai ten. Keller e Jankowich, escono per una perlustrazione e per eventuali colpi di mano. Hanno però la sfortuna di incappare in un grosso pattuglione nemico, uscito per lo stesso scopo. Lo scontro è inevitabile. Alla fine i cecoslovacchi riescono a rientrare alla base, trascinandosi dietro quattro feriti e lasciando sul terreno due morti. Lo sganciamento è riuscito grazie ai due tenenti, i quali con le loro armi hanno aperto un micidiale fuoco di sbarramento per attardare gli austriaci. Sembra però che siano stati fatti prigionieri. La cosa mantiene in agitazione tutti gli ufficiali e la truppa.   Lasciamo alle pagine delle Memorie dell'Abignente raccontare il successivo drammatico sviluppo degli avvenimenti: "…La notte è trascorsa insonne, e l'alba si è levata tra le brume mattinali… quando odo un clamore in linea. D'un balzo sono ad una feritoia ed osservo. Dalle trincee austriache prospicienti si ergono due pertiche da cui pendono, impiccati, due cadaveri…La brezza mattutina fa oscillare le lugubri forche, ed un volo di corvi volteggia di già in alto sulle misere spoglie dei due Boemi. Alcuni soldati Cechi, intorno a me, piangono come bambini…Ed un gigante biondo, dagli occhi azzurri come quelli di un bimbo, mi grida - Vendichiamoli, signor Tenente! - Sì, amico mio, stanotte li vendicheremo…La vendetta è compiuta. Nell'oscurità, senza esplodere un colpo, dopo aver varcato i reticolati siamo giunti alle linee nemiche inavvertiti, coi pugnali nudi. Soffocate le vedette li abbiamo sorpresi nel sonno. Trecento austriaci giacciono ora sgozzati in fondo alle trincee. Ma il ritorno è stato funebre. Coi nostri feriti, abbiamo portato indietro pietosamente anche i due cadaveri gonfi ed orrendi. I fanti Boemi ed i miei bombardieri li hanno trasportati su improvvisate barelle per dar loro onorata sepoltura…".

Soldato polacco con la divisa francese degli Chaussers

Soldati polacchi dei nuovi reggimenti Garibaldi e Nullo

  Polacchi
  Dalla divisione del loro paese, fra Austria, Prussia e Russia nel XVIII secolo, i Polacchi non avevano mai smesso di sperare in un redivivo stato sovrano nazionale. La passeggera ventata Napoleonica, in cui avevano creduto e combattuto, sarebbe rimasta viva nelle loro coscienze per un secolo. Il generale Dabrowski nel 1797 aveva costituito in Italia una legione di ex prigionieri sotto le bandiere delle repubbliche italiane del Nord. Altri polacchi nel 1848 si batterono per l'indipendenza italiana. Cracovia e Lvov (Galizia polacca, Leopoli) appartengono al territorio dell'impero Austroungarico e qui i Polacchi sono gli unici a poter, anche a bassa voce, parlare di Polonia. Vienna tollera lo spirito nazionalistico, solo per indirizzarlo in funzione anti Russa. Pilsudski, futuro eroe polacco, prepara in segreto i quadri militari del futuro stato e, allo scoppio della guerra, con cinismo si schiera coi suoi bersaglieri (strzelcy=tiratori) contro i russi. Due brigate polacche, comandate da Polacchi, con vessilli polacchi sono in linea sui Carpazi. La leva austriaca intanto raccoglie migliaia di altri giovani che vengono mandati sul fronte italiano e balcanico, prima come reparti mononazionali, poi in seguito al rifiuto di prestare giuramento di fedeltà all'Imperatore, sparpagliati in tutti i reggimenti. Questo succedeva molto spesso in tutti i reparti austriaci sul fronte italiano: per evitare rivolte e rivendicazioni nazionalistiche le etnie minori dell'Impero (Sloveni, Croati, Bosniaci, Serbi, Cechi, Polacchi, Romeni, Italiani etc.) venivano distribuite a pioggia in tutti i reggimenti. Alla fine del 1916, all'Asinara in un campo di "prigionia attenuata", c'erano 2000 polacchi. Il 4 aprile 1917 il Governo Italiano, nonostante l'opposizione dell'ambasciatore Russo ormai privo di poteri (il 15 marzo lo Zar aveva abdicato e in ottobre scoppia la rivoluzione), dichiara che fra gli obiettivi della guerra vi è la creazione di uno stato Polacco, (contrario agli interessi di Mosca). Gli esiliati e fuoriusciti Polacchi da tempo in Occidente premevano per la costituzione di un'armata polacca alleata. In Italia viene formata solo una compagnia che opera con la III armata. La guerra sta volgendo al termine e la costituzione di tre reggimenti polacchi giunge alla vigilia dell'armistizio. D'ora in poi, fino a gennaio del 19, in Italia si formeranno 10 reggimenti polacchi con oltre 35.000 uomini. I reggimenti portavano il nome di personaggi polacchi, illustri e non, fra i quali il garibaldino Francesco Nullo (morto in Polonia), Giuseppe Garibaldi e Dabrowsky. Dopo alcuni mesi, secondo gli accordi, tutti i reggimenti formati in Italia vengono mandati in Francia e qui vestiti e riarmati. L'armata azzurra (divisa francese blu horizon) di Haller, 100.000 uomini poteva ritornare finalmente nel rinato Stato Polacco.
     

Jozef Pilsudski (Zulowo, Lituania, 1867 - Varsavia 1935) Marszałek (maresciallo) fu, dopo lo deportazione in Siberia per falsa accusa di complotto contro  lo zar Alessandro III, tra i fondatori del Partito socialista polacco. Dal 1894 propugnò sul giornale clandestino "Robotnik" gli ideali socialisti e dell'indipendenza polacca. Arrestato nel 1900, riuscì a fuggire dall'ospedale militare di San Pietroburgo, dov'era stato trasferito (1901).

Pilsudski

  Durante lo guerra russo-giapponese (1904), si recò a Tokyo sperando di ottenere il sostegno del Giappone per un'insurrezione in Polonia. Contrariamente al capo del Partito democratico nazionale polacco, Roman Dmowski, che intendeva appoggiarsi, per lo rinascita della Polonia, alla Russia e additava nella Germania il secolare nemico della nazione polacca, Pilsudski riteneva che obiettivo politico della Polonia dovesse essere la disintegrazione della Russia nelle sue parti principali e la liberazione, per mezzo della forza, dei paesi incorporati nell'Impero. Dopo il 1905, in Galizia, continuò l'attività rivoluzionaria, con l'acquiescenza dell'Austria, con lo costituzione di un'organizzazione militare segreta. Scoppiata la grande guerra, fu a capo di una delle legioni polacche nella Polonia russa, organizzate sotto il comando austro-ungarico. Alla fine del 1916 assunse la carica di ministro della Guerra nel Consiglio di Stato, organizzato nei territori polacchi da Austria e Germania, ma il rifiuto di collaborare ulteriormente allo sforzo bellico degli Imperi centrali gli costò l'arresto e la prigionia a Magdeburgo. Nel novembre 1918, dopo il crollo tedesco, tornò trionfalmente a Varsavia e fu nominato capo dello Stato e comandante dell'esercito (1918-22). Il suo sforzo di portare le frontiere della Polonia fino a Kiev e al mar Nero, col proposito di federare Polonia, Ucraina, Bielorussia e Lituania, portò alla reazione sovietica, che Pilsudski riuscì a fermare sulla Vistola, con l'aiuto dell'Intesa, nell'ottobre 1920. Nel maggio 1923 lasciò la carica di comandante dell'esercito e si ritirò a vita privata. Di fronte all'instabilità dei governi democratici, col sostegno dei militari attuò un colpo di stato e s'impadronì di nuovo del potere (12 maggio 1926). Pilsudski instaurò di fatto un regime dittatoriale, ricoprendo il ruolo di primo ministro (1926-28 e 1930) e, soprattutto, quello di ministro della Guerra (dal 1926 fino alla morte). In politica estera, staccò lo Polonia dalla Francia, suo tradizionale alleato, riavvicinandola alla Germania col patto di non aggressione del gennaio 1934, ma poi ....... Profilo da Enciclopedia Treccani Questo capitolo e più diffusamente trattato ai link seguenti sempre interni al sito: piantine (confini)
Formazione dello stato tedesco
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/tedesco.htm
piantine vicende polacche
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/polonia.htm
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/polonia1.htm
La sistemazione dei confini nel 1922
http://digilander.libero.it/trombealvento/guerra2/varie/polonia2.htm
la guerra e il massacro di Katyn
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/39/polonia.htm 
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/39/poloniakatyn.htm
http://digilander.libero.it/freetime1836/cinema/cinemawajda.htm
il primo dopoguerra
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/dopoguerra1/controllo2.htm
http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/allenstein.htm 
personaggi
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/anders.htm
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/sikorsky.htm 

http://www.cheminsdememoire.gouv.fr/page/affichepage.php?idLang=fr&idPage=19826  Polacchi in Francia

     

 

 

Inno Italiano- Già l'aquila d'Austria le penne ha perdute, Il sangue d'Italia, Il sangue polacco bevè col cosacco, ma il cor le bruciò.  

Inno Polacco- marcia, marcia Dabrowski, dalla terra italiana alla Polonia.

 

Truppe albanesi inquadrate nell'esercito italianoAlbanesi

Si conosce la costituzione di reparti Albanesi (vedi immagine a dx) inquadrati da ufficiali italiani, ma non il loro impiego sul territorio nazionale.

 

LO STATO NAZIONALE ROMENO

Romeni  Sunto da http://www.geocities.com/serban_marin/basciani2002.html   

La Romania, come stato nazionale, risaliva a tempi molto recenti e lo era per la dissoluzione dell’impero ottomano ma principalmente per gli avvenimenti del 1848 quando le sollevazioni europee portarono alla rivoluzione (incompiuta) in Moldavia, Valacchia e Transilvania ma base della successiva evoluzione (1859) quando, sotto incitamento e suggerimento di Napoleone III re di Francia, il popolo di Moldavia e Valacchia elesse Alexandru Ioan Cuza come principe. La Guerra di Crimea (1853-1856) ed il suo seguito portò infatti la situazione dei Principati Romeni o Danubiani all'attenzione delle potenze europee e nel Trattato di Parigi (1856) il protettorato russo fu sostituito dalla loro autonomia sotto la garanzia degli stati europei, garanti Francia, Prussia (Germania), Regno di Sardegna. Contrari Austria, Gran Bretagna ed Impero Ottomano a cui ancora devolvevano un contributo. Nel 1866 il principe tedesco Carol di Hohenzollern-Sigmaringen fu scelto come principe, con una mossa atta ad assicurare un appoggio tedesco per la futura indipendenza. Nel 1877 Carol condusse le armate rumene contro l’impero ottomano a fianco dei Russi (avevano chiesto il diritto di passaggio, ma erano in difficoltà coi turchi a Plevna). Il 19 giugno 1878 l'Impero ottomano chiese un armistizio e la Romania si ritrovò vincitrice avendo solo 10.000 vittime. Nella successiva sessione di pace in luglio, oltre l’indipendenza, la Romania acquisisce la Dobrugia (la Dobrugia è la regione costiera che va dal delta del Danubio a Costanza), ma è costretta a cedere il sud della Bessarabia alla Russia (la Bessarabia a grandi linee è quella che noi conosciamo oggi come Moldova o Moldavia). Con la nuova costituzione del 15 marzo 1881, Carol I viene nominato ufficialmente primo Re di Romania. Dopo essersi dichiarata neutrale nella Prima Guerra dei Balcani (8 ottobre 1912 - 30 maggio 1913), la Romania si unì a Grecia, Montenegro, Serbia e Turchia contro la Bulgaria durante la Seconda Guerra dei Balcani (16/6- 18/7/1913). Con il trattato di pace firmato a Bucarest nel 1913, venne annesso alla Romania anche il sud della Dobrugia rimasta bulgara e abitata da una colonia di tedeschi. Sul trono intanto era salito nel 1914 il nipote di Carlo, Ferdinando

 

PRIGIONERI  DI GUERRA ROMENI IN ITALIA  DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Se la guerra era fra Italia e Impero d’Austria altrettanto non si poteva dire dei prigionieri che erano delle più svariate nazionalità che lo componevano. Esclusi quelli di etnia italiana che erano stati mandati in Galizia (Russia) ci fronteggiavano dal carso ai balcani, Romeni, Ungheresi, Cechi, Polacchi e tutte le etnie jugoslave che vorranno poi riconoscersi inutilmente in una. Durante la prima parte del conflitto su precisa indicazione del ministero dell’Interno i prigionieri non furono assolutamente utilizzati per alcun tipo di lavoro manuale all’esterno dei campi. Tuttavia questa disposizione non fu mantenuta per troppo tempo, ben presto anche gli italiani si decisero ad adottare quelle disposizioni contenute nell’articolo 6 del Regolamento dell’Aja che permetteva l’impiego di prigionieri di guerra in lavori esterni stante la carenza di uomini (specialmente in campagna) impegnati nel conflitto. A partire dal 1916 in numero progressivamente maggiore – anche per via delle pressanti richieste provenienti dai proprietari terrieri dell’intera penisola – i soldati prigionieri furono utilizzati con continuità nei lavori agricoli e, sia pur in misura ridotta, anche nell’industria. Anche il sud fu interessato a questo fenomeno. Uno di questi campi era ad Avezzano zona colpita poco prima (13 gennaio 1915) da un sisma. Ancora molti mesi dopo le macerie giacevano a terra. Posto alla periferia Nord di Avezzano il campo occupava una superficie pari a circa 30 ettari divisi in quattro distinti settori; le prime costruzioni furono realizzate utilizzando materiale ricavato dalle baracche adoperate in precedenza per fronteggiare l’emergenza provocata dal terremoto, in seguito la maggioranza delle strutture del campo furono costruite in muratura e legno. Il campo era capace di ospitare 15.000 prigionieri e soldati , sottufficiali e ufficiali del Regio Esercito destinati alla loro sorveglianza. «[…] l’opera dei prigionieri di guerra deve essere considerata soltanto quale esperienza di carattere eccezionale per bisogni ai quali non sia possibile altrimenti provvedere, è principio stabilito e inderogabile che il lavoro dei prigionieri non deve fare concorrenza sotto nessun aspetto al lavoro libero» .da sx 2 Polacchi, Cechi, Albanesi I prigionieri inviati ad Avezzano appartenevano a tutte le principali nazionalità inserite nei confini della duplice monarchia e naturalmente tra questi non mancavano i romeni originari della Transilvania, del Banato e della Bucovina e gli ungheresi provenienti dalle stesse zone. Con il passare del tempo però la presenza romena nel campo andava facendosi man mano più numerosa acquisendo una sua precisa fisionomia; questa sorta di specificità con il tempo divenne ben riconoscibile anche tra l’autorità e la popolazione. La situazione dei prigionieri romeni con l’arrivo del 1918 era però destinata a cambiare radicalmente. V’erano rumeni nel Nord Italia, per esempio, ben 3.600 nel campo di Mantova, 2.000 a Cavarzere, 800 rispettivamente a Ostiglia e Cavanelle ecc. L’avvenimento che avrebbe fatto di Avezzano il principale centro di aggregazione dei romeni transilvani (sotto l’Ungheria) fu il Congresso delle nazionalità oppresse svoltosi a Roma tra il 27 marzo e il 9 aprile del 1918 che riunì nella capitale d’Italia rappresentanti delle principali nazionalità comprese nella monarchia austro-ungarica. Al termine dei lavori i delegati  delle diverse nazionalità convenuti a Roma tra le altre richieste avanzarono la proposta di formare unità armate autonome su base nazionale, poste sotto la giurisdizione dei diversi comitati nazionali, e di offrire ai soldati di queste nuove unità lo status giuridico di alleati . 

Ci si attivò per cercare di arrivare alla formazione di un contingente romeno reclutato tra i prigionieri provenienti dalla Transilvania, dalla Bucovina e dal Banato. Il professor Mândrescu e l’ex ministro romeno in Italia, il principe Dimitrie Ghica, furono i principali responsabili delle trattative condotte con il governo italiano in vista della formazione della Legione romena; per coordinare meglio le azioni i romeni con l’appoggio di un gruppo di ufficiali, fondarono il 6 giugno del 1918 a Cittaducale un Comitato d’Azione che riuscì ad ottenere, il 15 ottobre 1918  !! dal ministro della Guerra Zuppelli, il permesso per la costituzione di una Legione romena posta sotto i comandi del generale di brigata Luciano Ferigo che in seguito avrebbe ricoperto l’incarico di addetto militare a Bucarest. Già al nord sembra che operassero dall’estate alcune compagnie inquadrate nell’VIII, V e IV Armata italiana  in addestramento per colpi di mano e per la battaglia finale.

(i tedeschi della Dobrugia sono un gruppo etnico tedesco, insediatosi la intorno all’anno 1840, quando il territorio era ancora sotto la sovranità ottomana. Erano prevalentemente contadini e rappresentavano l’1,5% della popolazione totale. Dopo la guerra tra Russia e Turchia del 1877-1878, la Dobrugia passò prima alla Russia, mentre la Dobrugia meridionale, dove vivevano poche centinaia di tedeschi, restò alla Bulgaria. Le città principali della regione rumena sono: Constanţa (Costanza), Mangalia, Tulcea, Medgidia. Le città principali della Dobrugia bulgara sono: Dobrič, Silistra

L’intervento armato della Romania nella grande guerra (27/8/1916, 18 mesi dopo di noi che già avevamo quasi un anno di ritardo) era stato ponderato e riponderato anche se come nazionalità potevano (come l’Italia) vantare “diritti” su territori “irredenti” ai confini con l’Ungheria austriaca (ma frammischiati a ungheresi). Nel progetto la pochezza delle forze romene doveva unirsi a quella russa di cui coprivano il fianco meridionale. Il 4 agosto 1916 era stato firmato il protocollo segreto della loro entrata in guerra con molte promesse poi non rispettate da parte degli alleati. Gli Inglesi era dal 1915 che avevano missioni militari nel paese per verificare la fattibilità del loro intervento. Nel 1915 il T.Col. Christopher Thomson fu inviato a Bucarest in qualità di addetto militare inglese. Una volta sul posto, questi maturò rapidamente il convincimento che una Romania male armata ed impegnata su due fronti contro Austria-Ungheria e Bulgaria sarebbe stata un impedimento, più che un vantaggio. Tale opinione fu tuttavia accantonata da parte di Whitehall, e quindi egli firmò l’accordo militare con la Romania. Da questo momento i romeni (austroungarici) presenti in Italia passano (a richiesta) dallo status di nemici a quello di internati con le relative facilitazioni.
I
l soccorso da parte dell’Intesa, di armi e rifornimenti, dai territori greco albanesi non era fattibile per le difficoltà in cui già navigavano loro stessi nel fronteggiare Turchi (disfatta di Gallipoli), Bulgari e Austriaci.

  Furono giusto i componenti di queste tre compagnie a formare il primo nucleo della Legione la cui base fu deciso che dovesse impiantarsi nel campo di concentramento di Avezzano, quando ormai la guerra volgeva al termine. Gli atti successivi furono tutti oltre il 4 novembre 1918 come il riconoscimento ufficiale da parte del Governo italiano del Consiglio Nazionale dell’Unità Romena diretto a Parigi da Take Ionescu (22/11/1918).  Poiché la guerra era finita ma la pace lontana i rumeni ricevevano regolare addestramento e armamento. Era chiaro che nei piani dei dirigenti del movimento nazionale romeno questi soldati una volta tornati in Transilvania, avrebbero dovuto rappresentare una delle principali forze di occupazione del territorio offrendo una supplementare legittimazione alle aspirazioni delle autorità romene. cartolina emessa a fine conflitto per la legione Romena Le reazioni degli ungheresi non tardarono a farsi sentire. Secondo le cronache del campo numerose erano le risse che scoppiavano tra gli appartenenti ai due gruppi dando un bel daffare alla non troppo numerosa guarnigione italiana di guardia. Gli ungheresi e gli slavi furono i soli a non volere costituire  in Italia forze di collaborazione. Le prime partenze dei Legionari romeni alla volta della Romania cominciarono ad aversi solo verso l’inizio dell’autunno del 1919; il 20 ottobre partì dal porto di Taranto il piroscafo “Meran” con un battaglione di legionari perfettamente equipaggiato, ed entro la fine dello stesso mese era programmata la partenza di un’altra imbarcazione. Era previsto che una volta arrivati i legionari sfilassero in parata a Bucarest assieme agli ufficiali italiani che li avevano inquadrati e addestrati e che li accompagnavano nel viaggio di ritorno, davanti al re di Romania (Ferdinando I). I romeni non erano d’accordo e per loro gli italiani potevano anche restare a casa perché lì  (era una scusa !?) si rischiavano scontri con  formazioni bolsceviche e irredentiste magiare (come ci succederà in Cecoslovacchia per la definizione dei nuovi confini etnici ed economici, ma tutto era previsto). La presa di posizione romena provocò non pochi malumori al ministero della Guerra (Caviglia) che sapeva esservi ufficiali inglesi e francesi a fare la stesa cosa senza che nessuno si stupisse. L’Italia era quindi ritornata ad essere lo zerbino di tutti, anche degli ultimi arrivati alla porta risorgimentale. Orlando, primo ministro, preferì chiudere la questione concludendo lapidariamente che «i benefici non si fanno a chi non li desidera» ma noi li avevamo già fatti. La vicenda dei legionari romeni si concluse dunque con un quasi incidente diplomatico premonitore in qualche modo delle non sempre ottime relazioni, che intercorsero durante gli anni Venti e Trenta tra l’Italia e la Romania Alberto Basciani, Università “La Sapienza”, Roma

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Le difficoltà dei Russi sul fronte Occidentale (ma ne avevano uno anche meridionale) non portarono quindi a concrete collaborazioni (Gli Alleati, era previsto, avrebbero inviato, non certo attraverso il Bosforo, 300 tonn. di rifornimenti al giorno !!!) e già 4 mesi dopo le improvvisate armate (male armate, addestrate e guidate) romene riparavano dietro la linea russa che ora era anche diventata in molti punti la prima linea. Le mosse iniziali erano state a loro favorevoli, ma il contrattacco di von Mackensen riportò indietro l’orologio.

  Ferdinando I (nato Hohenzollern-Sigmaringen) (24/8/1865 – Sinaia, 20/7/1927) fu Re di Romania dal 10 ottobre 1914 fino alla sua morte. A seguito della rinuncia del padre e del fratello maggiore Guglielmo di Hohenzollern-Sigmaringen, il giovane Ferdinando divenne erede al trono dello zio Carlo I nel novembre 1888. come conseguenza del "tradimento" verso le sue radici tedesche, l'Imperatore Guglielmo II fece cancellare il suo nome dal registro della Casata Hohenzollern.

According to interlude plans, the Russian troops would begin the offensive at the same time with the Romanian ones. The Anglo-French troops would land at Salonik, in order to stand against Bulgaria, which intended to attack Romania. These plans never came through, as the Allies' Salonik actions were overcome by a strong German-Bulgarian offensive, while the Russian troops arrived too late. As a consequence, the Central Powers troops occupied two thirds of the Romanian territory. With the help of the Russian troops the front was stabilised, at the beginning of January 1917, on the Siret River, the Danube and the St.George branch.

Chasseurs ( Bersagliere romeno e ufficiale)

Romania re-entered the war. A war that the following day ended by the armistice signed at Compiegne. http://www.cimec.ro/istorie/Unire/inainte_eng.htm

 

Mentre l'esercito romeno avanzava vittoriosamente in Transilvania, il generale August von Mackensen lanciò il primo contrattacco, guidando una forza multinazionale composta dalla 3ª Armata bulgara, una brigata tedesca e due divisioni del VI Corpo d'armata ottomano, che giunsero in Dobrugia (a sud a tergo delle armate romene**) nei primi giorni di settembre, mantenendosi sul lato sud del Danubio e dirigendosi verso Costanza. D’ora in poi la situazione per i romeni e i russi si fece negativa. Il 15 settembre, il Consiglio di Guerra romeno decise di sospendere l'offensiva in Transilvania e di dedicarsi alla offensiva Mackensen. Il piano (la cosiddetta offensiva Flămânda) era di attaccare le retrovie delle Potenze Centrali attraversando il Danubio a Flămânda, mentre le forze romene e russe poste sul fronte avrebbero dovuto lanciare un'offensiva in direzione sud verso Cobadin e Kurtbunar. Il 1º ottobre, due divisioni romene attraversarono il Danubio a Flămânda e crearono una testa di ponte larga 14 chilometri e profonda 4. Lo stesso giorno, le divisioni romene e russe attaccarono sul fronte della Dobrugia, ma con poco successo. Tale fallimento, insieme ad una forte tempesta nella notte tra il 1 ed il 2 ottobre persuase il generale Alexandru Averescu a cancellare l'intera operazione. La cavalleria di Erich von Falkenhayn entrerà a Bucharest il 6 dicembre 1916. La corte ed il governo romeno ripararono a Iaşi: solo le piogge insistenti e le strade impraticabili salvarono i resti dell'esercito romeno; più di 150.000 soldati furono catturati dai tedeschi. Risale anche a questa fase l’impiego dell’Alpen Korps in cui militava il giovane tenente Rommel. L'11 novembre, Rommel guidò la compagnia da montagna Württemberg alla conquista del Monte Lescului. L'offensiva spinse all'indietro i difensori romeni, che lasciarono le montagne e si ritirarono in pianura entro il 26 novembre 1916 prima dell’arrivo dell'inverno. Ulteriori avanzate in altri settori montagnosi, effettuate da parti della 9ª Armata di Falkenhayn ridussero allo stremo l'esercito rumeno, la cui situazione in termini di rifornimenti stava diventando critica e metteva a rischio le linee russe. La 4ª Armata romena (sfuggita grazie al tempo), rimase sulle montagne della Moldavia a protezione di Iaşi nei confronti delle ripetute offensive tedesche. Furono effettuati numerosi tentativi per ricostruire l'esercito romeno fortemente indebolito e solo l’arrivo di un contingente francese (1.600 uomini comandati dal generale Henri Mathias Berthelot) e di consistenti scorte (fucili, granate, mitragliatrici) permise entro la primavera del ‘17di riportare gli effettivi dell'esercito romeno a 400.000 uomini, organizzati in 15 divisioni di fanteria e 2 di cavalleria.

**Initially the Ottoman war effort focused on fighting the Russians in the Caucasus and protecting its remaining European territory and the coast of western Anatolia from Allied attack. The disastrous Austro-Hungarian defeat at the hands of Russian forces in the Brusilov Offensive of June 1916 prompted an urgent German request for Ottoman troops to help stabilise the situation in Galicia (western Ukraine). The Ottoman 15th Corps (about 24,000 men) arrived in the region at the beginning of August. It remained on the Eastern Front for just over a year. After Romania joined the war on the Allied side in August 1916 the Ottoman 6th Corps (approximately 36,000 men) took part in the conquest of the country by the Central Powers. The Ottoman troops subsequently remained on the Eastern Front, guarding positions in Dobrudja, until they were withdrawn to Turkey in April 1918 to take part in the Caucasus offensive.

On the 18th of November / 1st of December 1918, the deputies unanimously decided the unification of Transylvania, the Banat, Crisana and Maramures with Romania, keeping at the same time a local autonomy, in accordance with democratic rules, including the equalities of nationalities and religions. At Alba-Iulia, as formerly at Cernauti, on the 25th of November actually a plebiscite of all Romanians in Austro-Hungarian Monarchy took place. Also at Alba-Iulia, on the occasion of the Assembly, the Great Romanian National Council was formed of 200 elected members and 50 co-opted members. The following day, this Council named a provisional government, the Ruling Council of Transylvania, led by Iuliu Maniu. The Council sent a delegation to Bucharest, led by the Caransebes bishop, Miron Cristea (the future patriarch of Romania), who, on the 1st/14th of December, submitted the Alba-Iulia Declaration to King Ferdinand the 1st. On the 11th/24th of December, King Ferdinand promulgated the decree of union sanctioning (including Bukovina and Bessarabia). The protests of Karolyi government at Budapest were futile. (la differenza nelle date (13 giorni) è dovuta al calendario Giuliano da loro usato in quanto ortodossi)

 

La situazione sociale in Russia volgeva comunque al peggio perché già da quella primavera movimenti e partiti borghesi rivoluzionari avevano preso il potere con la grande incognita di quello operaio (comunista marxista) che non si esponeva. Lo scoppio della rivoluzione d’ottobre diede poi il la al definitivo tramonto dei sogni romeni nonostante questi si impegnassero nell’estate a frenare i tedeschi. Quando i bolscevichi conquistarono il potere in Russia cercarono contatti con gli imperi centrali per chiudere “onorevolmente” il conflitto dopo una serie impressionante di disfatte e la secessione di molte regioni del paese non ultima l’Ucraina la vera confinante e “antagonista” della Romania. La richiesta d'armistizio per Romania e Russia porta la data di dicembre 1917, ma le trattative ebbero alti e bassi con ripresa degli scontri. Il 27 gennaio 1918 in una prova di forza più ideale che materiale i Soviet dichiaravano guerra alla Romania mentre si svolgevano le febbrili e controverse riunioni di pace con gli imperi centrali (si concluderanno il 3 marzo a Brest Litovsk) e mentre l’Ucraina autonomamente firmava la pace con gli imperi centrali (9/2/18). Anche alla Romania (circondata ormai da nemici) gli imperi centrali indirizzarono una formale intimazione alla resa il 6 febbraio 1918. Il 7 maggio 1918, alla luce della corrente situazione politico-militare in quello scacchiere, la Romania fu costretta a concludere il Trattato di Bucarest con le Potenze Centrali (quadruplice) con l’obbligo di tenere un esercito di pura rappresentanza (32.ooo uomini). La Romania (o quello che restava) faceva gola a tutti i contendenti affamati (grano e petrolio). Il 5 marzo vennero firmati i preliminari che di fatto spogliavano e “ripartivano” il paese. Via Danubio poi i tedeschi avrebbero raggiunto i ribelli antisoviet ucraini e quelli caucasici con base al porto di Odessa. L’intesa con poco sforzo non riconobbe il trattato e tutto si limitò a questa “esibizione” di forza poiché già erano impegnati a combattere oltre agli imperi centrali il massimalismo dei Soviet in varie parti del paese a sostegno delle armate Bianche (in contrapposizione a quelle Rosse). La spinta alle rivendicazioni romene e a quelle delle altre nazionalità era stata comunque affermata al congresso di Roma… The Rome Congress of Austro-Hungarian Empire nationalities, voting a motion in favour of recognising the right of each nation to form an independent national state or to unite with its own national state in case it existed…. E ribadita anche da altisonanti dichiarazioni di esponenti politici del governo italiano: Il Gen. Enrico Caviglia era sobbalzato sulla sedia quando sentì alla riunione del Patto di Roma (Patto che riunì dall'8 aprile 1918 in Campidoglio tutti i rappresentanti dei popoli dell'ex Impero centrale per affrontare la situazione dei Balcani e le conseguenti trattative di pace a guerra vinta !!!) del 10 aprile 1918, pronunciare questa frase da V. Emanuele Orlando "...la Jugoslavia rappresenta un interesse vitale per l'Italia. Noi ci impegneremo a fare guerra all'Austria in difesa dei popoli Sloveni, Croati e Bosniaci", gettando a mare, come facevano gli "interventisti liberali e democratici" (Albertini e Salvemini) il "Patto di Londra" della nostra entrata in guerra. Quanto detto per gli Jugoslavi valeva anche per gli altri come abbiamo visto. I tedeschi riuscirono a riparare i giacimenti petroliferi di Ploieşti estraendo un milione di tonnellate di petrolio e requisendo due milioni di tonnellate di grano. Ma come si dice non tutto il male viene per nuocere e il giorno prima che chiudesse il conflitto la Romania rientrava come per magia in guerra (10/11/1918) passando a riscuotere la sua parte. Il paese che ne risulterà sarà uno dei più grandi d’Europa con una superficie di Kmq 295.000 (di poco inferiore all'Italia e più del doppio !!! di prima della guerra) e 16 milioni di abitanti. (oggi 238.000 kmq con 22 milioni di abitanti). Il controllo romeno della Transilvania, dove abitavano circa 1.662.000 ungheresi, fu molto mal digerito dalla neonata Ungheria indipendente. Per questo motivo, nel 1919 fu anche combattuta la guerra Ungaro-Romena tra la Repubblica Sovietica d'Ungheria (comunista) ed il regno di Romania.

 

 


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