La Risurrezione
L'APOSTOLO PAOLO ANNUNCIA CRISTO RISORTO
LE APPARIZIONI PASQUALI NEL VANGELO DI MARCO
LE APPARIZIONI PASQUALI IN LUCA E NEGLI ATTI DEGLI
LE APPARIZIONI PASQUALI NEL VANGELO DI GIOVANNI
L’APOSTOLO
PAOLO ANNUNCIA CRISTO RISORTO
L’origine storica del Cristianesimo risale alla metà del primo secolo, allorché in varie parti del mondo antico troviamo la presenza di comunità cristiane formate da convertiti dalla religione ebraica e dal paganesimo. E’ in queste comunità che si riverbera la fede in un figlio del popolo di Israele, Gesù di Nazaret, ucciso a Gerusalemme agli inizi degli anni trenta, e che ora viene riconosciuto come il Cristo, equivalente greco del termine ebraico Messia, e come il Signore, il cui termine greco è Kyrios.
Secondo la maggior parte degli studiosi i primi scritti cristiani databili sarebbero le epistole attribuite a Paolo di Tarso, scritte per circa un decennio dall’inizio degli anni cinquanta. E’ in queste lettere che quasi tutti gli studiosi riconoscono essere presenti le più antiche professioni di fede nella risurrezione di Gesù.
Secondo
alcuni, Paolo sarebbe stato il vero iniziatore della religione cristiana.
Secondo altri egli sarebbe stato un secondo creatore.
In realtà, dopo la sua conversione, Paolo viene catechizzato da Anania,
capo della chiesa di Damasco e da lui apprende i fondamenti della fede
cristiana, venendo introdotto al culto della fede cristiana ed alla celebrazione
dell’Eucaristia, ricevendo quel patrimonio di insegnamento e di formule di
fede e di preghiera che rimarrà il fondamento di tutta la sua missione apostolica.
E
non sarebbe neanche di Paolo la più antica testimonianza della risurrezione di
Gesù, anche se tale testo è presente nel capitolo 15 della prima lettera
scritta, dall’apostolo, ai cristiani di Corinto:
“Vi ho trasmesso dunque,
anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri
peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno
secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito
apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di
essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi
a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto”(1Cor
15,3-8).
Dalla prima espressione si comprende che quanto Paolo annuncia lo ha mutuato da
altre fonti:
“paredwka
gar umin en prwtois o kai parelabon oti cristos apeqanen uper twn amartiwn hmwn
kata tas grafas”.
“Vi
ho trasmesso....quello che anch’io ho ricevuto”. Si tratta indubbiamente di
un annuncio che insieme ad altro materiale orale è stato trasmesso a Paolo da
Anania, capo della Chiesa di Damasco, ed anche da altri membri di quella comunità
cristiana. E se la lettera è stata scritta negli anni 54-55, ed è assodato che
verso l’anno 50 Paolo si trova a Corinto, si può dedurre che l’annuncio
ricevuto da Paolo è anteriore di molto a questo periodo. Possiamo, forse,
risalire alla seconda metà degli anni trenta, se non addirittura all’anno 33
e successivi. Quindi in un periodo molto vicino all’evento Gesù.
Poiché alcuni cristiani di Corinto non credono alla risurrezione dei
morti, Paolo parte dall’annuncio fondamentale del messaggio evangelico,
dichiarando apertamente che quanto egli proclama lo ha ricevuto da altri.
Da
un esame del termine kata
tas grafas ,
che significa: “secondo le scritture”, presente solo nei versetti 3 e 4 del
capitolo 15 della prima lettera ai Corinti, ed assente in tutto l’epistolario
Paolino, si comprende che la terminologia non appartiene a Paolo, ma è stata da
lui attinta ad una tradizione più antica. Nelle sue lettere, l’apostolo
preferisce usare altri termini, come “sta
scritto”.
Anche il termine apparve, in greco wfqh, “ophthe” al di fuori di questo testo, dove è presente quattro volte, è invece praticamente assente nell’epistolario Paolino, ad eccezione della prima lettera a Timoteo (1Tm 3,16).
Infine,
un altro segno della diversità di questo testo dagli altri attribuiti a Paolo,
è nella citazione degli apostoli, chiamati, qui, i
Dodici. E’, questa, l’unica volta in cui il termine è presente nelle
epistole di Paolo.
In conclusione, la proclamazione della risurrezione di Gesù da parte dell’apostolo Paolo, così come è presente in questo testo, appartiene indubbiamente ad una tradizione più antica dello stesso Paolo e della sua esperienza di Cristo Risorto, visto che egli raccoglie tale formula e la ripropone di sana pianta nella prima lettera ai cristiani di Corinto.
Nell’annunciare la storicità di Gesù risorto dalla morte, Paolo si appella alle testimonianze oculari di coloro che hanno vissuto con il Maestro: Cefa, i Dodici, cinquecento fratelli, di cui alcuni sono ancora vivi quando egli scrive ai Corinti. Poi Giacomo, e, dulcis in fundo, lui stesso, definitosi come un aborto, quasi ad indicare il modo violento, radicale, col quale Cristo lo ha chiamato alla sua sequela.
Considerando questi testimoni oculari, non si può non sottolineare il
loro disincanto e scetticismo verso Gesù. A cominciare da Pietro che lo aveva
rinnegato, a Paolo che aveva perseguitato i suoi seguaci, a Giacomo che, come
membro della famiglia di Gesù, aveva, forse, condiviso, un certo scetticismo
nei suoi confronti.
Confrontando queste testimonianze con quelle dei Vangeli, si nota
l’assenza della Maddalena. Ma la testimonianza delle donne nel mondo ebraico
è considerata senza fondamenti, e Paolo, non può certamente aver trascurato
questo elemento nella proclamazione della risurrezione di Gesù, anche perché
è conosciuto un suo larvato maschilismo.
In conclusione, noi non diciamo certamente delle amenità quando affermiamo che il testo che annuncia la risurrezione di Gesù, presente nella prima lettera di Paolo ai cristiani di Corinto, appartiene certamente ad una tradizione antichissima che risale solo a qualche anno dopo gli eventi in questione.
Si
tratta, quindi, di una preziosa
reliquia appartenente alla prima comunità aramaica, quella nella quale Gesù ha
vissuto ed operato.
LE
APPARIZIONI PASQUALI NEL VANGELO DI MARCO
Nel passare da Paolo ai Vangeli
occorre innanzitutto porre l’accento sulla diversa collocazione delle
apparizioni di Gesù Risorto da parte degli evangelisti. Come avremo modo di
vedere, i testi mostrano delle convergenze e delle divergenze, diversamente
interpretate dagli studiosi.
E partiamo proprio dal testo accreditato come il più
antico tra gli evangeli attualmente in nostro possesso. E’ quello redatto da
Marco.
Prendiamo in esame, per ora, solo il testo che va dal
versetto 1 al versetto 8 del capitolo 16. E’ ritenuto propriamente
dell’evangelista, mentre quello che va dal versetto 9 al 20 è considerato
posteriore e non scritto da lui.
“Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di Giacomo e Salome
comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù. Di buon mattino, il
primo giorno dopo il sabato, vennero al sepolcro al levar del sole. Esse
dicevano tra loro: «Chi ci rotolerà
via il masso dall'ingresso del sepolcro?». Ma, guardando, videro che il masso
era gia stato rotolato via, benché fosse molto grande. Entrando
nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste
bianca, ed ebbero paura. Ma egli
disse loro: «Non abbiate paura!
Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco il luogo
dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli
vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».
Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore
e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura”(Mc
16,1-8).
“Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria di
Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a imbalsamare Gesù”.
Non pare tanto possibile che le pie donne vadano al sepolcro per
imbalsamare il Maestro, visto che è trascorso un giorno e mezzo dalla sua
sepoltura. Del resto, come vedremo nel Vangelo di Giovanni, redatto per ultimo,
questo pio esercizio dell’unzione del cadavere di Gesù è già stato fatto,
da Nicodemo e Giuseppe D’Arimatea, nelle ore successive alla sua morte (Cfr.
Gv 19,39 ss.).
Ci
sarebbe quindi una discordanza tra Marco e Giovanni?
Oppure ci sarebbe un completamento tra i due racconti. Del resto sia le
donne che Nicodemo e Giuseppe D’Arimatea, secondo le testimonianze
evangeliche, sono stati presenti alle ore successive della morte del Maestro.
E’, quindi, probabile, che ad un primo intervento di unzione, eseguito dai due
discepoli di Gesù, le pie donne intendessero aggiungerne un altro, anche per
onorare quel Maestro che hanno seguito fin sotto il Calvario, diversamente dagli
apostoli che sono scappati, anche se nel quarto Vangelo è scritto che “il
discepolo che egli amava” era presente anche lui sotto la croce.
Quando
il sole è appena sorto, le pie donne vanno al sepolcro ponendosi la domanda su
come faranno a rotolare la pietra davanti al sepolcro.
Giungono al sepolcro e vedono che “il masso era gia stato rotolato via,
benché fosse molto grande”. E qui avviene
che entrando nel sepolcro le donne vedono “...un giovane, seduto sulla destra,
vestito d'una veste bianca”. Di fronte al loro timore, il giovane reagisce
rassicurandole: «Non abbiate
paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E` risorto, non è qui. Ecco
il luogo dove l'avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro
che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto».
Colpisce
quel senso di continuità che il giovane, vestito di una veste bianca, quindi un
angelo, conferisce tra la scena del Calvario (voi cercate Gesù Nazareno, il
crocifisso) e quella della risurrezione ambientata proprio qui, nella tomba
vuota (E’ risorto, non è qui). Il termine greco che
traduce l’italiano svegliarsi, indica chiaramente che il morto non c’è più.
“Egli vi precede in Galilea”, dice l’angelo alle pie donne, invitandole a
riferire ai discepoli ed a Pietro. Ed aggiunge: “Là lo vedrete, come vi ha
detto”.
Ed
esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di
spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura”(Mc 16,1-8).
Secondo la critica storica qui terminerebbe il racconto di Marco, mentre
il testo che segue sarebbe posteriore al testo e, per di più, sarebbe opera di
un altro autore, in quanto oltre a mancare in vari manoscritti tra quali il
codice Vaticano ed il Sinaitico, si presenta in uno stile diverso da quello
concreto e pittoresco di Marco. Uno dei segni di questa diversità di stile lo
possiamo cogliere nel termine seguaci
(Mc 16,10), che è presente solo qui, mentre è assente in tutto il vangelo di
Marco e tra i testi del Nuovo Testamento, ha un unico riscontro, e precisamente
nel versetto 2 del capitolo 9 degli Atti degli apostoli(At 9,2).
Marco, invece, per designare gli amici di Gesù, preferisce usare il
termine discepoli.
E allora il testo in questione potrebbe essere stato aggiunto nel secondo
secolo, e certamente non all’inizio del terzo, visto che Ireneo, morto nel
202, cita chiaramente Marco 16,19 come conclusione di tale Vangelo. Quindi, come
annota la Bibbia di Gerusalemme a proposito del testo che costituisce la
conclusione del Vangelo di Marco, “se non si può provare che ha avuto Marco
per autore, resta sempre, secondo l’espressione di Swete, «una autentica
reliquia della prima generazione cristiana»”.
Andiamo, allora, all’ascolto di questo testo posteriore a Marco e
redatto da un altro autore.
“Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima
a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni. Questa andò ad
annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto.
Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero
credere. Dopo
ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso
la campagna. Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro
vollero credere. Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li
rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano
creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro:
«Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi
crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E
questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome
scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti
e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai
malati e questi guariranno». Il
Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla
destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il
Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che
l'accompagnavano”(Mc
16, 9-20).
Il testo che abbiamo letto pare proprio che sia stato
aggiunto per compensare la chiusura tronca del Vangelo di Marco, visto che esso
termina quasi drasticamente
con le donne che fuggono atterrite dalla tomba senza dire niente.
Insomma,
questo testo appare come una sintesi delle apparizioni di Gesù risorto ed anche
se non è attribuito a Marco, è ritenuto canonico.
LE APPARIZIONI PASQUALI NEL VANGELO DI MATTEO
Il Vangelo di Matteo contiene sostanzialmente la stessa tradizione che è
presente in Marco. Anche Matteo, nel suo scritto, ci tiene ad annunciare, seppur
in forma rielaborata ed approfondita rispetto a Marco, la risurrezione di Gesù,
situandola nel contesto tipico di uno scenario apocalittico. E infatti
l’immagine del terremoto che precede la risurrezione, quella della
manifestazione di Dio che invia l’angelo al sepolcro, stanno ad indicare
finalmente la vittoria di Cristo
sulla morte.
Come appare nel testo che stiamo per ascoltare, Matteo mostra un Gesù più
elevato rispetto a Marco. E’ evidente che lo scrittore sacro ha avuto più
tempo per riflettere sulla missione del Nazareno. Tempo che gli ha permesso di
approfondire ed elaborare non solo i dati dell’evangelista Marco ma anche le
fonti dei lógia, i Detti di Gesù.
E veniamo al racconto della risurrezione, così come ci è presentato da
questo Vangelo tenuto in alta considerazione nell’antichità cristiana:
“Passato il sabato, all'alba
del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a
visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del
Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su
di essa. Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la
neve. Per lo spavento che ebbero di
lui le guardie tremarono tramortite. Ma
l'angelo disse alle donne: «Non
abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E` risorto,
come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a
dire ai suoi discepoli: E` risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là
lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto».
Abbandonato in
fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare
l'annunzio ai suoi discepoli. Ed
ecco Gesù venne loro incontro dicendo:
«Salute a voi».
Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù
disse loro: «Non temete; andate ad
annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».
Mentre esse erano per via, alcuni della guardia
giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi
si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di
denaro ai soldati dicendo: «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e
l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del
governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia».
Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni
ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.
Gli
undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro
fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.
E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi
è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte
le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con
voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»”(Mt
28,1-20).
La visita al sepolcro da parte di Maria di Màgdala e dell'altra Maria,
che è forse Maria madre di Giacomo e di Giuseppe (Mc 16,1; Lc 24,10; cfr. Mt
27,56 e 61), ripete testualmente quello che già Marco ha scritto. Ma quello che
viene dopo mostra già delle divergenze, nella narrazione, rispetto al vangelo
di Marco che è più antico. Qui la notizia della risurrezione di Gesù, data
dall’angelo, avviene nella cornice di una scena di sapore apocalittico,
caratterizzata dal terremoto, dalla manifestazione dell’angelo che rotola la pietra che
ostruisce la tomba e vi si siede sopra, quasi ad indicare, emblematicamente, il
dominio di Dio sulla morte.
Diversamente da Marco e da altri evangelisti, Matteo narra della presenza
di guardie al sepolcro, le quali alla vista dell’angelo tremano tramortite. Un
dato singolare che oltre ad far voler far riconoscere il miracolo della
risurrezione anche da parte di chi non fa parte della cerchia dei discepoli,
come le guardie, sembra essere una risposta dell’evangelista a coloro, e sono
le autorità religiose ebraiche, che hanno rifiutato l’idea della risurrezione
del Nazareno, attribuendo la tomba vuota ad un trafugamento di cadavere operato
da parte dei discepoli di Gesù per dimostrare la sua risurrezione.
E’ evidente che se la storia delle guardie al sepolcro è presente solo in Matteo, mentre è assente in Marco, vuol dire che Matteo Levi vuole dimostrare come sia assolutamente impossibile trafugare il cadavere del Maestro, con la presenza delle guardie al sepolcro. Insomma, Matteo ha voluto rispondere già qui all'accusa del trafugamento del cadavere di Gesù da parte dei discepoli; accusa che in seguito diventerà assai comune tra gli ebrei non cristiani.
Eppoi la storia del trafugamento di
cadavere sembra proprio inaccettabile da un punto di seriamente oggettivo. Visto
che la decomposizione del cadavere comincia nelle ore successive alla morte,
solo nella notte tra venerdì e sabato, gli amici di Gesù avrebbero potuto
rubare il suo cadavere dal tomba. Tra l’altro essi si trovano nel tempo dello
Shabbat, il Sabato dei Giudei. Anzi un sabato solenne caratterizzato dalla
coincidenza con la solennità della Pasqua. Sembra strano che i discepoli
abbiamo potuto fare questo nel giorno solenne del Sabato e della Pasqua ebraica.
Non bisogna trascurare, del resto, un elemento molto importante: nel mondo
religioso ebraico il trafugamento di cadavere è condannato con la pena di
morte. Del resto lo stesso vangelo di Giovanni, come vedremo successivamente,
con la notizia delle “...bende
per terra e il sudario, non per
terra con le bende, ma piegato in
un luogo a parte”, sembra voler dare un’altra picconata alla tesi del
trafugamento. Infatti, se il corpo di Gesù fosse stato trafugato dagli apostoli
o da qualcun altro, certamente lo avrebbero fatto con tutte le bende addosso,
senza prendersi il fastidio di srotolargliele, anche per non percepire,
umanamente, i cattivi odori del cadavere. E poi il sudario sarebbe stato
buttato, così, senza cura, da qualche parte. Invece è piegato accuratamente e
deposto in un anfratto del sepolcro. Ma delle bende e del sudario avremo modo di
parlarne quando prenderemo in esame il testo di Giovanni.
E
allora, chi avrebbe potuto rubare il corpo di Gesù, se gli stessi Giudei
sanno che la sua scomparsa può alimentare certe voci sulla risurrezione
e quindi essi per primi tengono a
dimostrare che il Crocifisso è morto e giace in un sepolcro. Solo molti anni
dopo si comincerà a diffondere la diceria del trafugamento di cadavere,
altrimenti già in Marco, che è il primo tra Vangeli scritti tra quelli in
nostro possesso, ci sarebbe una risposta a tale diceria. Risposta, invece, che
è presente nell’attuale testo di Matteo, redatto alcuni decenni dopo gli
eventi pasquali.
Infine, non bisogna trascurare un
fattore molto importante: Troppo turbati e timorosi sono gli amici di Gesù in
seguito ai giorni drammatici e cruenti della sua passione e morte. Figurarsi se
possono, con un colpo di mano, trafugare, di notte, durante lo Shabbat, durante
la solenne Festa di Pasqua, il corpo del loro Maestro.
Ma torniamo a Matteo rileggendo l’annuncio della risurrezione di Gesù.
E’ l’angelo a fare tale annuncio. Visto
che le guardie del sepolcro sono rimaste tramortite, l’angelo si rivolge alle pie donne, dicendo: «Non
abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E` risorto,
come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a
dire ai suoi discepoli: E` risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là
lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto».
Anche Matteo, come Marco, evidenzia questo invito dell’angelo rivolto
alle donne perché vadano ad avvertire i discepoli che, evidentemente, stanno
ancora in Gerusalemme, forse rinchiusi in quella stessa casa che li ha ospitati
nell’ultima Cena. Anche gli altri due evangelisti, Luca e Giovanni confermano
questo dato, anche se quest’ultimo presenta l’apparizione
di Gesù alla Maddalena solo successivamente alla scoperta della tomba
vuota.
Riprendiamo in mano il testo di Matteo. Le
donne abbandonano il sepolcro e, con una
grande gioia e, nello stesso tempo con timore, corrono a dare l’annunzio ai
discepoli di Gesù.
Ed ecco Gesù viene loro incontro dicendo:
“cairete
”, un termine che la Bibbia della
CEI traduce con “Salute a voi”. Ed
esse, “avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono”. Allora Gesù disse
loro: «Non temete; andate ad
annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno».
L’evangelista Matteo, a questo punto, unico tra i redattori evangelici,
inserisce un proprio particolare, e cioè che i sommi sacerdoti vengono
informati, di quanto è successo, da alcuni soldati della guardia. E allora essi
deliberano di ricompensare in denaro gli stessi soldati, ingiungendo loro di
dichiarare che i discepoli di Gesù sono andati alla tomba, di notte, e
l’hanno rubato mentre la scorta stava dormendo. E poi aggiungono: «…E se
mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi
libereremo da ogni noia». I
soldati osservano quanto ordinato e così, come testimonia Matteo, “questa
diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi”.
A questo punto sorge la domanda circa questa notizia esclusiva solo di
Matteo. E’ evidente che l’evangelista vuole rispondere alle dicerie circa il
trafugamento del cadavere di Gesù da parte dei discepoli. Come lui stesso
precisa, queste dicerie sono presenti nel tempo stesso in cui il Vangelo viene
alla luce.
Intanto, ecco la manifestazione del Risorto che avviene in Galilea: “Gli
undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro
fissato.
Nell’apparizione di Gesù, che secondo Marco e Matteo avviene in
Galilea, egli: “avvicinatosi, disse loro:
«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»”(vv.18-20).
Si tratta indubbiamente un un’espressione di alto contenuto
Cristologico che si può dividere in due parti.
Nella prima il Risorto comunica, ai
suoi discepoli “prostrati” davanti a lui – ecco la manifestazione della
sua Divinità avvenuta in pienezza con la risurrezione - . Dicevamo, nella prima
il Risorto comunica solennemente, ai suoi discepoli, l’investitura ricevuta
dal Padre, “ogni potere in cielo e in terra”. Poi, nella seconda
parte, egli comunica questo suo potere esclusivo ai suoi discepoli. Essi
dovranno annunciare la Buona Novella ammaestrando tutte le genti e battezzandole
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, ed insegnando loro ad
osservare “Tutto ciò che vi ho comandato”.
Poi, la promessa della sua continua presenza in mezzo ai suoi: “Ecco,
io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
E’ la sua Promessa. Il suo essere Presente. Non una presenza
esclusivamente spirituale. Egli è Presente in tutti coloro che sono stati
battezzati nella Trinità. Egli è Presente in tutti i luoghi dove due o più
persone sono unite nel suo nome: Perché dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro”(Mt 18,20). E’ lo stesso evangelista Matteo a
ricordarcelo. Egli è Presente dove la Chiesa lo Proclama e lo Invoca: quindi,
nelle liturgie e soprattutto nel memoriale della sua Cena: la Santa Messa. E qui
la sua diviene una Presenza Sacramentale. Quasi Fisica. La Sua Viva Presenza.
LE APPARIZIONI PASQUALI IN LUCA E NEGLI ATTI DEGLI
APOSTOLI
Man mano che i Vangeli vengono messi per iscritto, i racconti pasquali si
arricchiscono sempre più. L’evangelista
Luca distingue quattro momenti legati ai racconti pasquali:
Partiamo,
allora, con l’annuncio della risurrezione, che appartiene alla tradizione formulare:
“Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si
recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono
la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del
Signore Gesù”.
Mentre
erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti
sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra,
essi dissero loro: «Perché
cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi
come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio
dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e
risuscitasse il terzo giorno». Ed
esse si ricordarono delle sue parole. E, tornate dal sepolcro, annunziarono
tutto questo agli Undici e a tutti gli altri.
Erano Maria di Màgdala, Giovanna e
Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli
apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad
esse. Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò
a casa pieno di stupore per l'accaduto”(Lc
24,1-12).
Anche nel testo di Luca, come abbiamo visto per quelli
di Matteo e Marco e come vedremo con Giovanni, c’è una straordinaria
concordanza circa la notizia della tomba vuota. Un elemento, questo, che abbiamo
considerato brevemente ma che continueremo a farlo, in modo più approfondito,
dopo l’esame dei vari racconti evangelici.
Quindi
tutti e quattro i vangeli concordano sulla tomba vuota. Non solo, ma anche sulla
visita al sepolcro delle pie donne, trova concorda tutti e quattro gli
evangelisti, anche se Giovanni, come vedremo, accenna solo a Maria Maddalena.
Le donne si recano alla tomba portando
gli aromi con cui ungere il corpo
del Maestro, ma una volta arrivate, trovano la pietra rotolata ed il sepolcro vuoto.
Entrate
nella tomba, “Mentre erano ancora incerte, -
come scrive Luca - ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti
sfolgoranti”. Di fronte a questi due uomini dalle vesti sfolgoranti, le donne
reagiscono impaurite e chinando il volto per terra. I due, che sono angeli,
annunciano solennemente alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è
vivo? Non è qui, è risuscitato”.
C’è
un altro elemento importante da considerare, in questo testo, ed è racchiuso
nella dichiarazione degli angeli, i quali ricordano, a quelle stesse donne che
hanno seguito il Maestro dalla Galilea, che quanto è accaduto era stato già
preannunciato da Gesù in terra di Galilea: “Ricordatevi come vi parlò quando
era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse
consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo
giorno”. Quindi, nel pensiero dell’evangelista, l’annuncio solenne degli
angeli alle pie donne raffigura la piena realizzazione delle parole profetiche
del Maestro circa il suo destino, quello del Figlio dell’uomo, che è
rifiutato dagli uomini(Lc 9,22; 18,31-33) ma è risorto da Dio. Tutto avviene in
piena conformità alle Scritture. Infatti l’evangelista usa, ancora una volta,
un termine che è suo esclusivo, ed assente negli altri vangeli sinottici, e cioè
Matteo e Marco, mentre è presente in Giovanni e in alcuni scritti Paolini. Il
termine “compirà”, che indica chiaramente come la vicenda di Gesù
Crocifisso e risorto corrisponde al piano di Dio, rivelato nella storia Biblica(Cfr.
Lc 9,22; 18,31-33).
Ecco, allora, che le donne si
ricordano delle parole che Gesù aveva detto in Galilea e portano l’annuncio
angelico della risurrezione agli Undici ed agli altri discepoli. Solo ora Luca
dice il loro nome. Si tratta di Maria di Màgdala, Giovanna, che è certamente
la moglie di Cusa, amministratore di Erode, Maria di Giacomo ed anche altre
donne che l’evangelista non cita.
Ma l’annuncio di Gesù risorto,
portato dalle donne andate al sepolcro, non convince i discepoli, i quali
interpretano la notizia come “un vaneggiamento”. A questo proposito è
opportuno porre l’accento sul fatto che, essendo giuridicamente poco credibile la testimonianza delle donne, sembra impossibile che gli
evangelisti l’abbiano inclusa nella tradizione pasquale. A meno che non sia
effettivamente storica, e quindi difficilmente oggetto di invenzione, tale
testimonianza.
Tuttavia,
in seguito a tale racconto, Pietro corre al sepolcro. Giunto, si china per
guardare dentro ma vede solo le bende che avvolgevano il corpo di Gesù. Pietro
torna a casa “pieno di stupore per l'accaduto”(v.12).
Sia questa visita di Pietro al
sepolcro che i racconti delle donne sembrano non essere, nell’intenzione
dell’evangelista, elementi fondanti della fede pasquale.
Il risorto non è stato visto finora,
e questo almeno secondo il testo del vangelo di Luca.
Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se
dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al
declino». Egli entrò per rimanere
con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo
spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma
lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l'un l'altro:
«Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo
il cammino, quando ci spiegava le Scritture?».
E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono
riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano:
«Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone».
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano
riconosciuto nello spezzare il pane”(Lc 24,13-35)
Lentamente il forestiero comincia a
rivelarsi. Per ora lo fa con la Parola di Dio racchiusa nelle Sacre Scritture.
E’ essa stessa a testimoniare l’Evento glorioso della Risurrezione. E
cominciando da Mosè, per indicare i primi libri della Bibbia attribuiti a Mosé,
e attraverso tutti i profeti, il forestiero comincia ad illuminare i cuori senza
speranza di questi due viandanti.
Arrivati al villaggio il misterioso
forestiero fa come se dovesse proseguire, ma i due discepoli insistono: «Resta
con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino».
“Resta con noi perché si fa
sera”. Sul loro volto la
tristezza di prima si è stemperata in un barlume di speranza. Le parole del
forestiero sono state un salutare unguento per il loro cuore ferito ed
angosciato dagli eventi dolorosi della morte di Gesù, che hanno proiettato la
comunità apostolica in una crisi profonda. E il loro invito viene raccolto
dallo straniero. Egli entra per “rimanere con loro”. E qui, mentre il
piccolo gruppo è raccolto nell’intimità della Cena, avviene qualcosa di
straordinario: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la
benedizione, lo spezzò e lo diede loro”.
Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla
loro vista. Ed essi si dissero l'un
l'altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi
lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
Gesù aveva cominciato a rivelarsi ai due discepoli con la Parola, ora lo
fa con lo spezzare il pane, questo gesto registrato per sempre nella memoria dei
suoi amici, in quella Cena di Addio che aveva segnato l’ultimo momento di
comunione e di intimità prima della passione.
E mentre poco prima la sua parola
aveva fatto rinascere la speranza, ora il suo gesto di spezzare il pane fa sì
che i loro occhi si aprano e lo riconoscano. E, nello stesso momento in cui il
loro cuore esplode di gioia, al vedere il Maestro e Signore, Egli scompare ai
loro occhi. Ma ormai non c’è più posto per la tristezza. E’ tempo di
muoversi, di tornare a Gerusalemme, alla comunità riunita nel Cenacolo che è
in attesa di qualcosa, di qualche notizia, di qualche indizio, anche se
c’erano state delle visioni da parte delle donne; ma si sa, le donne,
specialmente al tempo di Gesù, non sono molto credibili. E allora via, a
prendere nuovamente la strada del ritorno. A Gerusalemme trovano riuniti gli
Undici e gli altri della comunità che li ragguagliano su un’apparizione del
Risorto: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Ma i due di
Emmaus riferiscono ciò «che era accaduto lungo la via e come l'avevano
riconosciuto nello spezzare il pane». Gesù ha spezzato il pane con loro,
ripetendo il gesto Eucaristico dell’ultima Cena.
I
discepoli di Emmaus attribuiscono a Gesù il titolo di profeta. Essi, in
realtà, si aspettavano molto da lui se è vero che speravano che fosse lui
stesso il liberatore di Israele (v. 21). Ciò mostra, quindi, come fosse stata presente, nei discepoli, l’idea dell’attesa di un
messia politico, che fosse
in grado di restaurare l’antica grandezza di Israele.
Ma questa idea del messia non
si accorda con quella che il misterioso viandante (Gesù) prospetta ai due
accompagnatori: «il Cristo doveva percorrere l’itinerario della
sofferenza per giungere fino alla risurrezione» (v.34). Quindi, attraverso il
racconto di Emmaus veniamo a sapere come, attraverso gli eventi pasquali,
l’idea del Messia-Cristo passa dalla prospettiva trionfalistica alla
necessità della passione, così come preannunciato nelle
Sacre Scritture.
A questo punto ci chiediamo se questo racconto possa avere una sua attendibilità storica, visto che è presente solo in Luca. Ma questo è un elemento che non deve trarre in inganno, circa l’attendibilità storica del brano, perché è probabile che Luca abbia attinto questo racconto da qualche fonte, così come – nel suo spirito oculato di ricerca – ha attinto i racconti dell’infanzia di Gesù.
Del resto il racconto appare scritto secondo lo stile inconfondibile di Luca. Infatti alcune espressioni, come per esempio, “potente in opere e in parole”, che esprimono tutto il ministero di Gesù, sono presenti solo nel terzo vangelo, quello appunto di Luca.
Anche nel libro degli Atti degli apostoli, scritto dallo stesso Luca, troviamo un’espressione analoga: “Così Mosè venne istruito in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente nelle parole e nelle opere”(Atti 7,22).
Pure l’espressione “spezzare il
pane”, in greco “kai autoi exhgounto ta en th odw kai
Considerando, quindi, questi elementi importanti – ma ce ne sono altri dello stesso valore – non si può dubitare del fatto che il racconto di Emmaus appartenga all’evangelista Luca ed alla sua ricerca storica.
E allora non potrebbe, Luca, aver
avuto notizie da questi parenti di Gesù, così come, si pensa, potrebbe averle
avute sui racconti dell’infanzia. Del resto egli stesso, all’inizio
del suo Vangelo, afferma solennemente: ”Poiché molti han posto mano
a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, come ce li hanno
trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri
della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni
circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato,
illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli
insegnamenti che hai ricevuto.”(Lc 1,1-4).
I racconti della resurrezione, come quello di cui stiamo parlando, non
sono quindi frutto di una fede ingenua. Luca, e con lui gli altri evangelisti,
scrive fedelmente gli avvenimenti “come ce li hanno trasmessi”. Quindi
egli non crea ma ritrasmette ciò che ha ricevuto. E lo fa utilizzando lo stesso
linguaggio di Paolo, quando nella prima lettera ai Corinti annuncia
solennemente: “Vi
ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto”(1Cor
15,3).
Non può essere privo di fondamento storico un racconto narrato con
queste basi, anche se appartenente allo stesso stile del narratore. E’ lo
stesso contenuto del racconto a dimostrarlo. Quelli che riconoscono nel
misterioso viandante il Gesù Risorto non sono dei creduloni, ma giungono a
questa presa di coscienza solo dopo un lungo pensare sulle parole
scritturistiche del misterioso accompagnatore. Infine lo riconoscono allo
spezzare del pane. Come si può spiegare questo riconoscere Gesù nel misterioso
accompagnatore?
Innanzitutto, se Luca avesse voluto creare ad arte questo racconto
avrebbe facilitato questa conoscenza, senza aspettare il momento della cena.
Poi, il momento dello “spezzare il pane”, terminologia esclusiva di
Luca, evidenzia certamente lo stile inconfondibile col quale il Maestro aveva
compiuto questo gesto nel Cenacolo ed anche altre volte. Quindi nel gesto di
“spezzare del pane” i due discepoli riconoscono Gesù Risorto, e forse a
favorire questo riconoscimento è stato l’atto di spezzare il pane, che ha
costretto il misterioso forestiero ad alzare le mani, lasciando
intravedere i segni della passione: le stigmate.
Dopo
averli salutati con la parola "Shalom",
che significa “Pace a voi”, si presenta in tutta la sua corporeità,
come per dire: “Eccomi, sono io, Gesù, il Vostro Maestro. Guardate le mie
mani ed i miei piedi e toccatemi. Uno spirito non ha carne ed ossa come me”.
Lo aveva ricordato spesso ai suoi amici, che avrebbe
dovuto sopportare l'ignominia della croce; che sarebbe morto disprezzato,
reietto tra gli uomini, ma che alla fine avrebbe rivisto la Luce. Ed i suoi non
avevano capito tutto questo discorso fatto loro, in precedenza, da Gesù.
La
gioia dei discepoli, così intensa, potrebbe essere seguita da una delusione,
ecco perché essi restano ancora increduli, come sottolinea Luca nella veste di
illuminato cronista dei fatti. Ed è proprio per dimostrare che Egli è
veramente risorto, ecco che Gesù chiede da mangiare. Vuole dare un’ulteriore
e definitiva prova, dopo quella delle ferite ancora visibili alle mani ed ai
piedi. Vuol mangiare,
per dimostrare che è proprio
lui;
lo stesso Maestro morto sulla croce ed ora risorto corporalmente, come appare
dalla richiesta di cibo. Questa sottolineatura della risurrezione corporea, da
parte di Luca,
che scrive per le Chiese di origine pagana, è voluta proprio per dimostrare la
veridicità di tale risurrezione, specialmente ai cristiani di origine pagana,
che sotto l’influsso del Pensiero ellenistico avevano forti dubbi sulla risurrezione corporea. Anche se il versetto 40, è
assente in alcuni manoscritti importanti come il Vaticano ed il Sinaitico, è
presente nel Codice di Beza (D) e nella Volgata.
O forse Luca, a cui appare conforme anche il pensiero del quarto Vangelo, vuole porre fortemente in evidenza la corporeità di Gesù anche in polemica culturale con il docetismo, un’eresia, nata nel primo secolo, secondo la quale Gesù Cristo si era rivestito di un corpo solo apparente e solo in apparenza era nato, aveva sofferto ed era morto. Le origini del docetismo sono oscure, ma risalgono già all'età apostolica. La lotta a questa eresia è molto presente, nei primi tre secoli, tra i temi della letteratura cristiana.
Viene offerta al Risorto una porzione di pesce arrostito che lui prende e mangia davanti a loro. E’ evidente, nella logica del racconto, l’intenzione del Risorto nel voler mostrare la propria corporeità.
Poi, in continuazione con quanto detto sulla strada per Emmaus, Gesù dice: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi», lasciando, quindi, chiaramente intendere che è tutta la Bibbia a parlare di questo evento: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto»”.
E torniamo, qui, a ripetere che, secondo alcuni, gli evangelisti hanno rielaborato molti dei ricordi appartenenti al Gesù storico, per cui la profezia della sua morte sarebbe non autentica, in quanto Gesù avrebbe trovato la morte in Gerusalemme in maniera inaspettata. Noi, invece, ribadiamo quanto abbiamo scritto altrove. E cioè che Gesù ha avuto, certamente, una consapevolezza fuori dei canoni comuni circa il proprio destino di sofferenza e di morte.
Luca pone in evidenza, un dato suo originale che è già presente nel capitolo 22, versetto 37 dello stesso vangelo: “Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine»”(Lc 22,37). Quindi, ciò che è stato scritto di Gesù «deve» (dei) compiersi. E’ soltanto in un secondo momento che i discepoli comprenderanno questa necessità divina della passione. Anzitutto i discepoli di Emmaus ai quali Gesù spiega la Scrittura: «Doveva soffrire»(Lc 24,25-26), quindi tutti i discepoli: “Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi»”(Lc 24,44).
Nel nostro discorso sull’ultima cena abbiamo già trattato di questo argomento e lo ripetiamo ancora una volta: alla base di tutto quanto detto finora, noi crediamo che Gesù sia stato storicamente cosciente di andare incontro ad una morte violenta. Una morte cruenta seguita dalla sua risurrezione.
Nelle
grandi apparizioni di Gesù ai discepoli, come questa riportata da Luca, sono
presenti alcuni temi che ritornano come questo di Gesù Risorto che appare ai
suoi discepoli ed affida loro un incarico missionario, mentre nei vangeli di
Marco e di Matteo si tratta di un incarico affidato per la missione universale,
per il battesimo e l’insegnamento. In Giovanni, come vedremo in seguito, c’è
l’incarico a Pietro sulla guida della chiesa, il suo martirio e il suo
rapporto con il discepolo amato.
“Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse.
Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi,
dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre
nel tempio lodando Dio”(Lc
24,50-53).
“Li condusse fuori verso Betania…”.
Quindi, la scena è
ambientata a Gerusalemme. L’itinerario è quello usuale percorso da Gesù e
dai suoi amici: dal colle di Sion, attraverso il declivio collinare, giungere al
torrente Cedron e, di qui, salire verso il Getsemani ed il monte degli Ulivi.
Gesù conduce i suoi amici verso Betania che si trova dall’altra parte
del monte degli Ulivi. Secondo la tradizione tramandata dai primi cristiani, il
luogo dell’ascensione sarebbe costituito dalla cima del monte degli Ulivi.
Infatti qualche secolo dopo, al tempo di san Girolamo (IV secolo) vi si trova un
tempio a forma di rotonda a cielo aperto, detto «Imbomon», cioè posto «sulla
cima», con un diametro di circa 32 metri. Al centro di questo tempio una «roccia
sacra» ricorda il luogo preciso sul quale, secondo la tradizione, Gesù ha
posato per l’ultima volta i piedi prima di elevarsi verso il cielo.
L’attuale cappella, costruita dai Crociati e modificata dai Musulmani, che nel
1187 ne avevano fatto una moschea, murandovi le arcate e aggiungendovi una
bruttissima cupola, è a forma ottagonale ed ha un diametro di 6,60 metri.
Colpisce il testo di Luca che
presenta Gesù in maniera corporea, quando dice che è egli stesso a «condurre»
i suoi amici.
Poi, «alzate le mani li benedisse». A parte il riscontro del Vangelo di
Marco, nel quale Gesù «benediceva»(Cfr Mc 10,16) i bambini, l’espressione
«benedisse» è tipicamente di Luca e la troviamo presente anche nel miracolo
della moltiplicazione dei pani (Lc 9,16).
Poi Gesù compie un gesto solenne benedicendo i suoi amici proprio
mentre si «stacca» da loro per essere portato verso il cielo. Quest’ultima
espressione è omessa dal codice D, il codice di Beza, oltre che da altri
codici, forse perché si vuole evitare l’Ascensione il giorno stesso della
risurrezione, mentre, invece, negli Atti degli Apostoli, attribuiti allo stesso
Luca, l’Ascensione avviene quaranta giorni dopo la risurrezione.
E dopo che Gesù è asceso al cielo, i suoi amici, «dopo averlo adorato»
- espressione assente nel codice di Beza - tornano a Gerusalemme con grande
gioia, frequentando il tempio e lodando Dio. Davvero una degna finale per un
evangelista dallo stile elegante e raffinato come Luca.
Così il Vangelo termina nello stesso modo in cui era cominciato. Era
iniziato nel tempio di Gerusalemme, dove Zaccaria «officiava davanti al Signore»
e termina in quello stesso tempio dove gli apostoli lodano Dio con il cuore
colmo di gioia.
E come la nascita di Gesù era stata annunciata come «una grande gioia»
(Lc 2,10), così il Vangelo si chiude con la gioia degli amici di Gesù.
Pure
se nel mondo greco romano è presente l’immagine di grandi personalità rapite
prima o dopo la morte, nella rivelazione Biblica i personaggi vengono rapiti al
cielo a causa della loro amicizia con Dio e di un comportamento retto ed
esemplare. Questo tipo di narrazioni è certamente molto conosciuto nella
religiosità ebraica. Per questo, come già detto prima, ci saremmo aspettati
che Marco, Matteo e Giovanni, avessero presentato più di Luca, che non è
ebreo, il racconto dell’Ascensione.
Ed
è proprio quest’assenza del tema dell’Ascensione di Gesù negli evangelisti
di ceppo ebraico a creare degli interrogativi negli studiosi. Dubbi che, a
nostro parere andrebbero spiegati col fatto che l'ascesa di Gesù al Padre non
è avvenuta in questo modo, perché è nel momento
stesso della sua risurrezione che Gesù è asceso al Padre. La scena
dell’ascensione, presente due volte negli scritti i Luca, non sarebbe altro
che un’ultima apparizione del Risorto ai suoi amici, prima di tornare per
sempre al Padre. In tal caso l’Ascensione non sarebbe altro che l’ultimo
momento dell’esperienza visibile del Risorto. Ma già con la risurrezione, Gesù
vive in un’altra dimensione, anche se Luca e Giovanni si preoccupano di porre
l’accento sulla corporeità del Signore risorto.
Si tratterebbe, più che altro, di un’azione pedagogica, dimostrativa,
per dire che quel Gesù che si fa toccare non è un’immaginazione, né un’illusione collettiva
né frutto di autosuggestione. Ma è lo stesso Gesù, morto il venerdì santo,
ed ora risorto a tutti gli effetti.
In
tal caso, possiamo vedere che negli altri evangelisti, pur essendo assente il
genere letterario delle «ascensioni», sono presenti degli interessanti
riscontri.
In
Marco, che è il primo vangelo scritto di quelli attualmente in dotazione, c’è
la seguente espressione che conferma il dato di Luca: “"Il Signore Gesù,
dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di
Dio" (Mc 16, 19-20).
C’è qualcosa che lo mette in rapporto con Luca, in quanto nella finale
tardiva di Marco è presente, come già abbiamo detto in precedenza, il termine seguaci
(Mc 16,10), assente in tutto il vangelo di Marco e tra i testi del Nuovo
Testamento, mentre è presente nel versetto 2 del capitolo 9 degli Atti degli
apostoli(At 9,2). Quindi è probabile che l’espressione Marciana «fu assunto
in cielo e sedette alla destra di Dio» derivi,
in qualche modo, dalla tradizione di Luca.
Occorre, però, aggiungere che il racconto dell’Ascensione di Luca ha
influenzato anche il quarto Vangelo, se è vero che al capitolo 20, versetto 17,
Gesù dice a Maria di Màgdala: "Non sono ancora salito al Padre: ma
va’ dai miei fratelli e di’ loro: Io salgo al Padre mio e Padre
vostro, Dio mio e Dio vostro" (Gv 20,17).
Del resto sia il terzo Vangelo che il libro degli Atti
degli apostoli sono unanimemente attribuiti all’evangelista Luca e “né
nell’antichità, né ai giorni nostri è stato mai proposto con seri argomenti
altro nome”.
Non si può dubitare dell’unitarietà letteraria dei
due testi, anche perché al tema dell’Ascensione, più degli altri
evangelisti, è direttamente
interessato Luca.
E’ ovvio che, nel momento storico in cui è messo per
iscritto il libro degli Atti, la tradizione sulla risurrezione di Gesù
è giunta già ad un momento di elaborazione dei dati. Elaborazione che,
considerando lo stile di Luca e la sua fedeltà storica ai fatti (Cfr. Lc 1,3),
non significa creazione, ma elaborazione e sistemazione dei dati tradizionali.
Egli si
mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per
quaranta giorni e parlando del regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con
essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si
adempisse la promessa del Padre «quella,
disse, che voi avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece
sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni».
Così venutisi a trovare insieme gli domandarono:
«Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?».
Ma egli rispose: «Non
spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua
scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete
testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi
confini della terra»(At.
1,1-8).
Quindi
Gesù invita i suoi a non allontanarsi da Gerusalemme, fino a quando non si
adempia “la promessa del Padre”(v.4) fatta attraverso di lui, e quindi
saranno “battezzati in Spirito Santo” (v.5).
Gli apostoli sembrano ancora legati ad una prospettiva terrena del
Regno di Dio. Essi infatti chiedono a Gesù: “Signore, è questo il tempo in
cui ricostituirai il regno di Israele?(v.6)”.
Il Risorto non soddisfa la loro curiosità, limitandosi a dire: “Non
spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua
scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete
testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi
confini della terra”(v.7).
Ed
è questa chiusa solenne che precede
il momento dell’Ascensione di Gesù.
“Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una
nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo
mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro
e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù,
che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso
modo in cui l'avete visto andare in cielo»”(At.
1,9-11).
L’elevazione di Gesù in alto sta ad indicare che egli entra nella
sfera celeste, nel mondo di Dio ed è insediato alla destra del Padre.
L’immagine della nube che lo sottrae agli occhi dei suoi amici è
chiaramente riconducibile alle teofanie dell’Antico testamento (Cfr. Es 13,
21s.) ed anche a quelle del Nuovo Testamento (si legga per esempio Lc 9,34-35).
Quest’immagine
è presente anche nella parusia del Figlio dell’uomo (Mt 24,30). Ed è proprio
la parusia, tema che sarà molto sentito nelle prime comunità cristiane, ad
essere anticipata dagli angeli (uomini in bianche vesti)(v.10) che esortano gli
amici di Gesù ad andare oltre questa fase di struggente distacco dal Maestro:
“Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è
stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in
cui l'avete visto andare in cielo”(v.11).
LE
APPARIZIONI PASQUALI NEL VANGELO DI GIOVANNI
Nel
quarto vangelo sono distinti quattro momenti legati ai racconti pasquali: La
tomba vuota (Gv 20,1-18) e l’apparizione del Risorto a Maria Maddalena (Gv
20,11-18); l’apparizione di gruppo dinanzi ai discepoli (Gv 20,19-23); la
seconda apparizione di gruppo presente Tommaso (Gv 20,24-29) e l’apparizione
sul lago di Genezaret (Gv 21,1-25).
“Nel
giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino,
quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù
amava, e disse loro: «Hanno
portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». Uscì
allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro.
Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro
e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide
le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per
terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro
discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano
infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai
morti.
I discepoli intanto se ne tornarono di
nuovo a casa. Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva.
Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti,
seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il
corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna,
perché piangi?». Rispose loro:
«Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma
non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna,
perché piangi? Chi cerchi?». Essa,
pensando che fosse il custode del giardino, gli disse:
«Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a
prenderlo». Gesù
le disse: «Maria!».
Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico:
«Rabbunì!», che
significa: Maestro!
Maria di Magdala vuole andare subito, di buon mattino -
come dice il Vangelo - al sepolcro. E’
ancora buio quando giunge al sepolcro, ma la pietra è ribaltata.
La Maddalena corre a dirlo subito ad informare i discepoli. Allora Pietro
ed “il discepolo che Gesù amava” corrono subito ad ispezionare la tomba.
L’evangelista
non accenna all’idea che Gesù sia risorto.
Altrimenti Maria Maddalena non avrebbe detto: “Hanno portato via il
Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!”. Anzi, all’autore
del vangelo è nota l’ipotesi del trafugamento del cadavere sviluppata nella
sezione apologetica del Vangelo di Matteo (Cfr. 20,2-11).
Giovanni
e Pietro sono i primi, della cerchia dei Dodici, a visitare il sepolcro.
Giovanni, indubbiamente più giovane, arriva primo: si china per terra,
guarda dentro ma non entra. Aspetta l'arrivo di Pietro. Dopodiché entra
insieme a Lui: vede le bende per terra e il sudario,
non per terra con le bende, ma piegato
in un luogo a parte. Per ora interpretiamo secondo la traduzione
ufficiale della CEI e vediamo che ci sono due indizi chiarissimi di una realtà
evidente: se il corpo di Gesù fosse stato trafugato dagli apostoli o da qualcun
altro, certamente lo avrebbero fatto con tutte le bende addosso, senza prendersi
il fastidio di srotolargliele. E poi il sudario sarebbe stato buttato, così,
senza cura, da qualche parte. Invece è piegato accuratamente e deposto in un
anfratto del sepolcro. Ci
sarebbero, quindi, due segni evidenti di un non trafugamento di cadavere. Le
prime obiezioni alla risurrezione, da parte delle autorità religiose giudaiche,
si basano solo sul trafugamento di cadavere, e non sul fatto che la comunità di
Gesù non poteva conoscere il luogo del sepolcro, come sostengono alcuni
studiosi. Se fosse così, tale obiezione avrebbe trovato una risposta nei
Vangeli, specialmente in quelli più tardivi. Invece l’unica obiezione è
quella del trafugamento di cadavere.
Come
possiamo evincere dai Vangeli, è impossibile tale possibilità: chi avrebbe
potuto rubare il corpo di Gesù, se gli stessi Giudei
sanno che la sua scomparsa può alimentare certe voci sulla risurrezione
e quindi essi per primi tengono a
dimostrare che il Crocifisso è morto e giace in un sepolcro.
Ma a queste prove appena accennate, bisogna aggiungerne
un'altra, ancora più probante: i discepoli di Gesù, quelli che dopo la
Pentecoste hanno irradiato in tutto il mondo il kerygma della morte e
risurrezione del Maestro non sono dei pazzi, sono persone normali; essi sono
stati capaci di diffondere la loro esperienza di fede e testimoniarne la verità
a presso della vita.
E
coloro che hanno raccolto le testimonianze dei discepoli, vedendoli affrontare
stoicamente la morte in nome di tali annunci,
hanno a loro volta testimoniato fino all'effusione del sangue questo stesso
Vangelo. Non si può spiegare altrimenti il poderoso slancio missionario del
Cristianesimo primitivo, irradiato dall'evento storico di Cristo morto e
Risorto.
Impressiona
in questo brano, l'atteggiamento di Giovanni evangelista allorché
“vide e credette”.
Che cosa ha visto Giovanni, per arrivare a credere? Il
sepolcro vuoto; Le bende per terra ed il sudario piegato accuratamente in
disparte. Basta questo, a Giovanni, per suscitare la fede nel Crocifisso? O c'è
dell'altro? E perché, contrariamente a Pietro che ha visto il sepolcro vuoto,
le stesse bende per terra, il sudario piegato, Giovanni “vede e crede”?
Forse la risposta sta nei versetti
successivi, allorché il vangelo conclude: “Non
avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare
dai morti”(v.9).
Forse,
contrariamente a Pietro, Giovanni “vide e credette” perché viene
illuminato, nella sua fede verso il Risorto, dalla Parola di Dio racchiusa nelle
Antiche Scritture? Un concetto che troviamo presente anche nella scena di Emmaus
e che appartiene alla tradizione di Luca.
Eppure, a parte questo, le descrizioni dei vangeli non collegano la fede pasquale con il sepolcro vuoto. Anzi, quasi sempre non è la Scrittura e neppure l’esperienza del sepolcro vuoto a provocare la fede, ma l’incontro con Gesù stesso. Basta leggere i vangeli per rendersene conto.
E allora, vista nella prospettiva globale delle tradizioni evangeliche,
che danno priorità alla manifestazione personale del Risorto, dalla quale
scaturisce la fede dei discepoli, sembra impossibile pensare che con quel
“vide e credette” il vangelo voglia dimostrare il salto di fede da parte di
Giovanni. Possibile che egli intraveda nel buio della tomba, nelle “bende per
terra”(v.7) e nel “sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra
con le bende, ma piegato in un luogo a parte”(v.7) l’alba radiosa della
risurrezione di quel Maestro che aveva visto morire sulla croce, e che Pietro,
assente sotto la croce, non riconosce neanche ora come Risorto?
Insomma,
è la Bibbia, insieme con il
sepolcro vuoto, ad illuminare, “l’apostolo che Gesù amava”, a credere
nella risurrezione di Gesù in quella tomba buia e vuota, o c’è dell’altro?
A
questa domanda ha dato una risposta un sacerdote di Tivoli, don Antonio Persili,
il quale fin dagli anni di seminario si è portato appresso, come
un’ossessione, quell’espressione di Giovanni:
«vide e credette».
Per
niente soddisfatto delle interpretazioni tradizionali (tomba vuota e panni
giacenti sulla pietra sepolcrale= risurrezione), don Persili cominciò a
studiare gli usi e costumi funerari ebraici, interessandosi soprattutto del
testo greco dei Vangeli. I risultati dei suoi studi, di straordinaria valenza,
sono pubblicati nel volume Sulle tracce del Cristo Risorto.
Come
sappiamo, la sepoltura di Gesù avviene subito dopo la sua deposizione dalla
croce. Giuseppe D’Arimatea, aiutato dai suoi servi, “avvolge subito il corpo
di Gesù in una tela, e così avvolto lo traspora sulla pietra dell’unzione,
avendo cura di non toccare assolutamente il corpo di Gesù con le mani”. Quindi
la tela, che sarebbe la Sindone attestata dai Sinottici (sindÒna
Cfr.Mc
15,46; sindoni
Cfr. Lc 23,53; sindoni
Cfr Mt 27,59) avvolge sopra e sotto il corpo di Gesù, isolandolo da qualsiasi
contatto esterno. Ciò allo scopo di evitare che il suo sangue
si disperda, perché essendo considerato come l’elemento vitale, la sede della
vita, il sangue deve essere preservato. E se la terra è bagnata dal sangue, la
stessa deve essere seppellita con il cadavere. Ecco perché lo stesso Persili
citando il Talmud scrive a proposito della sepoltura per morte violenta: “Si
metta solo sui suoi vestiti una copertura e si seppellisca anche la terra su cui
eventualmente era caduto il sangue”.
E allora, nel procedimento di avvolgimento del corpo di
Gesù, “Le parti sovrabbondanti della tela vengono ripiegate accuratamente al
di sopra del corpo. Poi, mentre alcuni tengono ferme le ripiegature, Giuseppe
[D’Arimatea] provvede ad avvolgere e legare il corpo di Gesù con le fasce,
mentre Nicodemo versa la mistura profumata, che viene assorbita internamente dal
lenzuolo ed esternamente dalle fasce. Al termine, il corpo di Gesù...è tutto
avvolto nelle fasce, che ricoprono
e tengono fermo il lenzuolo”.
Ad
ogni modo, “comunque sia stato l’avvolgimento del corpo di Gesù, il segno
della risurrezione consiste nella posizione che le «othónia»
e il sudario presero
dopo la risurrezione”.
Nell'originale greco è scritto che Giovanni vide (blepei keimena ta
othonia).
La versione ufficiale della Conferenza episcopale italiana traduce questa
espressione con "vide le bende".
In realtà il verbo (keîmai), da cui viene il participio keímena, non
significa genericamente "essere lì" né tantomeno "stare per
terra". Esso indica una posizione precisa, significa giacere, essere
disteso, orizzontale; come di una cosa bassa in opposizione ad una elevata,
eretta, come per esempio il mare calmo rispetto al mare agitato. “Il significato che Giovanni vuol dare a questo
verbo è quello di far risaltare che prima le fasce erano rialzate (come un
mare agitato), perché all’interno c’era il corpo; dopo la risurrezione,
invece, le fasce erano abbassate, distese (come un mare calmo), giacendo
nel medesimo posto in cui si trovavano quando contenevano il corpo di Gesù.
Anche nei versetti successivi troviamo l’espressione “Giunse
intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende
per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le
bende, ma piegato in un luogo a parte”(Gv 20,6-7). Nell’originale greco
Simon Pietro entra nella tomba e “qewre‹
t¦ ÑqÒnia ke…mena”(v. 6) (traslitterato: theôrei
ta othonia keimena).
Giovanni e Pietro avrebbero visto non le fasce a terra, ma le fasce
distese, afflosciate, senza essere state sciolte o manomesse, restando immobili
al loro posto.
Quindi le tele, o le fasce o le bende, come si vuole chiamarle, erano
afflosciate su se stesse in quanto il corpo di Gesù non c’era più. Ed a
conferma della sue straordinaria tesi interpretativa, Persili aggiunge che è
arbitrario far giacere le bende per terra, secondo l’interpretazione ufficiale
della CEI, perché se così fosse, colui
che ha messo per iscritto, questo Vangelo di Giovanni, avrebbe dovuto dirlo
espressamente, aggiungendo una determinazione di luogo, se esso fosse stato
diverso da quello in cui le fasce si trovavano.
Anche in riguardo al sudario sarebbero stati commessi degli errori di
interpretazione. Innanzitutto il sudario non va confuso con la sindone che
avvolge, o avvolgeva all’interno delle fasce, il corpo di Gesù per evitare
che il sangue andasse disperto. In realtà si tratta di “un fazzoletto di
tela, di forma quadrata o rettangolare, che poteva avere dai sessanta agli
ottanta centimetri di lato, usato normalmente per asciugare il sudore, per
pulire il naso, insomma per usi igienici, che solo in casi particolari poteva
essere anche utile per usi funerari”
(Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo Risorto, Edizioni C.P.R.,
seconda ristampa 2000, 146).
Secondo la versione della CEI, Pietro
vide “il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende,
ma piegato in un luogo a parte”(v. 7). Quindi, secondo questa versione il
sudario si troverebbe spostato rispetto al punto in cui si trovava quando il
corpo di Gesù era stato sepolto.
Keímenon (keímenon),
come già keímena (keímena),
è participio di keîmai (keîmai),
giacere. Questo significherebbe che il sudario non era disteso come le
altre bende, ma appariva arrotolato (entetuligmenon,
dal verbo entylísso -, che significa avvolgere, arrotolare) in una
posizione unica, singolare, come sembra voler significare
l’espressione eis
ena topon (eis héna tópon), che le versioni correnti traducono
banalmente come "in un luogo". Significa che il sudario, a differenza
delle fasce distese, appariva sollevato, in maniera quasi innaturale, forse
perché su di esso i profumi avevano avuto un effetto inamidante.
Se
questo fu lo spettacolo che si presentò ai due apostoli, si può comprendere
perché a quella vista il discepolo che Gesù amava poté intuire ciò che era
accaduto. Non lo avevano portato via. Era risorto nel suo vero corpo, come aveva
promesso.
E allora, secondo questa sconvolgente e straordinaria tesi, il brano
evangelico andrebbe così tradotto e letto:
“5.
(Giovanni) chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò.
6.
Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e
contempla le fasce distese (afflosciate, vuote, ma non manomesse),
7.
e il sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso, ma al contrario
avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, rialzato, ma non sostenuto
nell’interno, perché vuoto) in una posizione unica (straordinaria,
eccezionale, perché contro la legge della gravità) (Gv 20,5-7).
Quindi se le fasce erano rimaste al loro posto, afflosciate su se stesse
ma ancora avvolte, era il segno che Gesù era veramente risorto, sottraendosi in
maniera misteriosa alla sindone, alle bende ed al sudario che lo avvolgevano.
Questo significherebbe che nel momento della risurrezione Gesù ha
acquisito muovi attributi che lo hanno esentato dalle leggi dello spostamento
dei corpi.
Se è così, saremmo ancora più in sintonia con le successive apparizioni del Risorto.
Infatti egli appare “a porte chiuse” e scompare nello stesso modo. Così
come avviene sulla strada di Emmaus, dove appare affiancandosi ai discepoli in
cammino, per poi scomparire al momento di spezzare il pane.
Intanto, anche padre Jean Galot, illustre professore della Gregoriana, in
un recente saggio su La Civiltà Cattolica ha citato ricerche aggiornate
che confermano le "scoperte" di don Persili.
Secondo
la tradizione presente nel quarto vangelo, dopo che i discepoli se ne tornano a
casa e Maria Maddalena resta piangente vicino al sepolcro, alla stessa appaiono
due angeli, seduti ai lati del sepolcro, dove era stato deposto Gesù,
chiedendole: «Donna, perché piangi?».
La risposta di Maria non lascia
ancora presagire la risurrezione, anche se “il discepolo che Gesù amava”
aveva già creduto senza vedere. «Hanno portato via il mio Signore e non so
dove lo hanno posto», risponde Maria. Ed è proprio in questo momento che,
voltandosi indietro, vede Gesù che sta lì in piedi,
ma non lo riconosce.
«Donna,
perché piangi? Chi cerchi?». E
lei, pensando che sia il custode del giardino, gli dice:
«Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a
prenderlo».
Gesù le dice: «Maria!».
E lei, allora, voltatasi verso di lui, gli dice in ebraico:
«Rabbunì!», che
significa: Maestro!
Rabbunì
è un appellativo più solenne del consueto Rabbi. Lo troviamo anche
nella scena della guarigione del cieco di Gerico, quando si rivolge a Gesù
dicendogli: «Rabbunì,
che io riabbia la vista!»(Mc 10,51). Un appellativo usato spesso quando ci si
rivolge a Dio. Esso si avvicina molto alla solenne professione di fede di Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»(Gv
20,28).
Forse
Maria si butta ai piedi di Gesù, abbracciandoli adorante, come attesta già
Matteo con un racconto analogo(Cfr. Mt 28,9), perché subito dopo Gesù le dice:
«Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei
fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro»
Anche se Luca presenta l’ascensione di Gesù in un
periodo successivo, è con la risurrezione, secondo la tradizione del quarto
vangelo, che Gesù ascende veramente al Padre. La discordanza con Luca potrebbe
essere spiegata nel senso che quest’ultimo presenterebbe la scena
dell’Ascensione di Gesù come un’ultima sua manifestazione alla sua comunità.
Il
racconto si chiude, quindi, con l’esecuzione dell’incarico affidato da Gesù
Risorto a Maria di Magdala. Ed è lei a portare ai discepoli la lieta notizia:
«Ho visto il Signore» e
anche ciò che le aveva detto” (Gv 20,18).
Veniamo all’apparizione di gruppo, quella fatta da Gesù dinanzi ai
suoi discepoli. E’ assente Tommaso, chiamato Didimo.
Il brano che stiamo per prendere in esame appartiene
alle cosiddette apparizioni per un incarico, in quanto Gesù
appare visibilmente ed affida ai suoi interlocutori un incarico preciso. Dello
stesso tipo sono i brani paralleli di Matteo 28,16-20 e Luca 24,36-49.
Concordemente alla versione parallela di Luca, l’ambientazione
geografica di questa pericope è situata in Gerusalemme, e forse nella stessa
Sala del Cenacolo.
Matteo, invece, ambienta il brano parallelo su un monte che Gesù aveva loro fissato. Delle discordanze nei racconti pasquali avremo modo di accennare nelle pagine successive, anche se la questione è ancora aperta.
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano
chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei,
venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse:
«Pace a voi!». Detto
questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace
a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».
Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse:
«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi
e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»”(Gv 20,19-23).
La sera di quello stesso giorno, della risurrezione ovviamente, sarebbe
la nostra domenica in quanto è il primo giorno dopo il sabato. Mentre i
discepoli sono riuniti “a porte chiuse”, per
paura dei Giudei, appare Gesù e porge loro il classico saluto ebraico:
Shalom: Pace a voi. Subito dopo mostra loro le mani ed il costato, per
dimostrare la continuità fisica tra il Crocifisso morto sul Calvario e lui, il
Risorto.
Effetto di questa dimostrazione è la gioia che pervade i discepoli nel vedere nuovamente il loro Maestro.
Poi,
Gesù li saluta nuovamente: «Shalom! Pace a voi! Come il Padre ha mandato me,
anch'io mando voi». Quindi compie un gesto che i discepoli sanno essere
compiuto da Dio stesso nel momento della creazione, quando crea l’uomo (Gn
2,7). Gesù alita sui suoi amici e dice: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non
rimessi»(Gv 20,19-23).
Nella teologia dell’evangelista, l’azione di Gesù risorto che alita
sui suoi discepoli, sta a significare una nuova creazione, compiuta dal Risorto.
Egli intende ricreare l’umanità, dando inizio ad un mondo nuovo, conferendo
ai suoi amici un solenne incarico. Ecco perché all’inizio parlavamo di un
brano, il presente, che appartiene alle apparizioni per un incarico. Gesù
invia i suoi discepoli a testimoniare la verità della risurrezione, per dar
vita ad un nuovo popolo che, in forza di quello Spirito ricevuto dal Risorto,
continui la missione di rinnovare l'umanità: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non
rimessi».
Anche Giovanni, come Luca, si mostra attento alle prerogative corporee
del Risorto, riferendo che, dopo aver salutato i suoi discepoli, Gesù “mostrò
loro le mani e il costato”(v. 20). Eppure,
c’è un aspetto interessante da considerare nel brano in esame, ed è quello
di un Gesù Risorto che non appare più limitato dallo spazio e dal tempo, in
quanto appare e scompare, ed entra a porte chiuse nel Cenacolo. E’ una
prerogativa del risorto, questa. Egli si sottrae alle leggi della fisica; appare
e scompare improvvisamente, come nelle Teofanie di Dio nell’Antico Testamento
(Gen 18; Gs 5, 13, etc.).
“Tommaso, uno dei Dodici,
chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli
altri discepoli: «Abbiamo visto il
Signore!». Ma egli disse loro:
«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel
posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò»”.
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro
anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse:
«Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti
qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio
costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso:
«Mio Signore e mio Dio!».
Gesù gli disse: «Perché
mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono
stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che
Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel
suo nome” (Gv 20,24-31).
Dopo
la prima manifestazione ai discepoli, assente Tommaso, otto giorni dopo, secondo
la cronologia Giovannea, Gesù si manifesta nuovamente agli Undici. Ma è bene
presentare l’antefatto di questa manifestazione: l’incredulità di Tommaso
verso il Risorto. Egli non ha creduto neanche ai suoi amici.
Un’incredulità espressa molto bene dalla celebre espressione: «Se non
vedo nelle sue mani il
segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia
mano nel suo costato, non crederò»(v.25). Nella risposta di Tommaso appare, ancora una volta, la
contrapposizione caratteristica del quarto vangelo tra il «vedere» e il «credere».
La stessa che abbiamo letto, in positivo, nell’entrata di Giovanni nella
tomba. Egli «vide e credette»(Gv 20,8).
E
allora, otto giorni dopo i discepoli sono nuovamente in casa e stavolta è
presente anche Tommaso. «Venne Gesù, a porte chiuse». Ancora una volta
l’evangelista pone l’accento su questo potere di attraversare la materia, da
parte di Gesù. Come non pensare alla tesi di don Antonio Persili, secondo la
quale, nel momento della risurrezione, Gesù passa attraverso le bende che si afflosciano su se stesse. Ma
al di là del fenomeno l’evangelista vuol dire che il Risorto è un essere non
vincolato allo spazio ed al tempo.
Attraversa le porte per essere con i suoi amici. E, dopo aver salutato dicendo
Shalom, Pace a voi, per prima cosa si rivolge all’incredulo Tommaso: «Metti
qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio
costato; e non essere più incredulo ma credente!»(v.27).
E’ chiaro come l’evangelista sia
interessato a mettere l’accento sulla medesima identità
del Cristo risorto con il Gesù pre-pasquale, quello che ha vissuto con
loro prima dell’esperienza di pasqua. Colui
che finalmente Tommaso ha visto, non è un semplice spirito, o una fantasia, ma
è veramente quel Gesù Nazareno che aveva preannunciato la sua passione e
morte, è stato crocifisso, trapassato al cuore da un colpo di lancia, morto
alle 3 di pomeriggio e quindi sepolto nelle vicinanze del Calvario.
A questo
punto abbiamo la manifestazione di fede da parte di Tommaso: «Signore mio e Dio
mio!»(v.28) nell’originale greco:«`O
kÚriÒj mou kaˆ Ð qeÒj mou».
E’ certamente la più alta confessione di fede di tutto il Vangelo.
Senza mezzi termini Tommaso professa la Divinità di Gesù Risorto.
Forse
qualcuno potrebbe pensare che se nel Vangelo c'è questo episodio è perché
faceva comodo, a chi l'ha scritto, raccontare un fatto, creato da lui o
addirittura dalla Comunità cristiana, per inculcare nei fedeli una finta
risurrezione di Gesù. Ma coloro che hanno messo per iscritto tutti questi
fatti, non avrebbero certamente presentato Tommaso come Colui che non credeva,
quindi in una luce non proprio positiva, se non ci fosse stato un fondamento
storico di questo episodio.
Dopo la manifestazione di fede da parte di Tommaso, Gesù prende
nuovamente la parola e, rivolgendosi allo stesso Tommaso, dice: «Perché mi hai
veduto,
hai creduto:
beati quelli che pur non avendo visto
crederanno!».
Ancora una volta emerge la contrapposizione tra il vedere ed il credere.
E’ l’immagine dell’autentico discepolo, quella che traccia Gesù, non
mostrando la contrapposizione dei verbi vedere e credere, ma proclamando beati
coloro che crederanno in Lui, sulla testimonianza degli apostoli(Cfr. At 1,1),
senza aver avuto il privilegio di incontrarlo.
Il
capitolo si chiude con la seguente testimonianza: “Molti altri segni fece Gesù
in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro.
Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di
Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv
20,24-31). Con questa solenne confessione di fede in Gesù Cristo Figlio
di Dio, abbiamo una prima conclusione del Vangelo di Giovanni. A cui seguirà,
successivamente, una seconda aggiunta.
Il capitolo 21 chiude il
quarto Vangelo, quello cosiddetto di Giovanni. In realtà la chiusura originaria
sarebbe stata fatta alla fine del capitolo 20, versetti 30-31. Quindi il
capitolo 21, che stiamo per prendere in esame, sarebbe un’aggiunta successiva,
probabilmente fatta dall’evangelista stesso oppure da un suo discepolo.
“Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare
di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso
detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due
discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io
vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te».
Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero
nulla.
Quando gia era l'alba Gesù si presentò
sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù.
Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?».
Gli risposero: «No». Allora
disse loro: «Gettate la rete dalla
parte destra della barca e troverete». La
gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. Allora
quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro:
«E` il Signore!». Simon
Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché
era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la
barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se
non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con
del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù:
«Portate un pò del pesce che avete preso or ora».
Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di
centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò.
Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E
nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi
sei?», poiché sapevano bene che
era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e
così pure il pesce.
Questa era la terza volta che Gesù si
manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a
Simon Pietro: «Simone di Giovanni,
mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli
rispose: «Certo, Signore, tu lo
sai che ti voglio bene». Gli
disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo: «Simone
di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli
rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene».
Gli disse: «Pasci le mie
pecorelle».
Gli disse per la terza volta: «Simone
di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro
rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli
disse: «Signore, tu sai tutto; tu
sai che ti voglio bene». Gli
rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico:
quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma
quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti
porterà dove tu non vuoi». Questo
gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto
questo aggiunse: «Seguimi».
Pietro allora, voltatosi, vide che li seguiva quel discepolo che Gesù
amava, quello che nella cena si era trovato al suo fianco e gli aveva domandato:
«Signore, chi è che ti tradisce?».
Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù:
«Signore, e lui?». Gesù
gli rispose: «Se voglio che egli
rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo
non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma:
«Se voglio che rimanga finché io venga, che importa a te?».
Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha
scritti; e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera.
Vi sono
ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una,
penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero
scrivere”(Gv
21,1-25).
Gesù si manifesta nuovamente ai suoi discepoli. Stavolta cambia lo
sfondo geografico. Sembra
affiorare, all'inizio del racconto, un senso di incertezza, ma anche di attesa.
Dietro l'invito di Pietro che dice: "Io vado a pescare", questo gruppo
di amici, "quasi orfano" del loro grande "Amico", decide di
accompagnarlo sulla barca. Ma, per tutta la notte,
non riescono a prendere niente.
Quindi, il capitolo 21 è stato
aggiunto successivamente. Ma questo non significa che esso sia un corpo estraneo
nel quarto Vangelo, anche perché, come abbiamo visto ora, l’autore del
capitolo si è sforzato di tener fede allo spirito di tutto il Vangelo. Del
resto non troviamo alcun elemento che dimostri il fatto
che il vangelo di Giovanni sia mai stato letto senza quest’ultimo
capitolo. Ed anche se questo testo tradisce un’altra mano redazionale, che
denota un stile leggermente diverso da quello del Vangelo, ed ha qualche tratto
di Luca (come l’episodio della pesca miracolosa), appartiene indubbiamente
alla tradizione Giovannea.
Piace di chiudere la riflessione su questo testo controverso, ma non tanto come abbiamo visto, con le parole che ci vengono dall’attuale Pontefice, Giovanni Paolo II, il quale proprio davanti alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, il 26 aprile 2001, ebbe a dire: “L'incontro con voi in questo tempo pasquale richiama alla mia mente il capitolo 21 di Giovanni, nel quale l'Evangelista presenta il Cristo risorto a colloquio con Pietro ed alcuni altri Apostoli in una pausa del loro abituale lavoro di pescatori. Erano reduci da una notte di fatica sul lago di Tiberiade. Era stata una pesca infruttuosa. Pietro ed i suoi compagni l'avevano svolta confidando solo nelle loro forze e nelle loro conoscenze di uomini esperti di "cose del mare". Ma quella stessa pesca fu poi eccezionalmente abbondante quando essa fu affrontate poggiando sulla parola di Cristo. Non furono allora le loro conoscenze "tecniche" a riempire la rete di pesci. Quella pesca eccezionalmente abbondante avvenne grazie alla Parola del Maestro, vincitore della morte e, pertanto, vincitore anche della sofferenza, della fame, dell'emarginazione, dell'ignoranza”.
A conclusione di questo capitolo riandiamo a quanto Padre Jean Galot, professore emerito di Cristologia alla Pontificia Università Gregoriana, ha detto in un intervista rilasciata a 30 GIORNI: “Il punto di partenza del movimento della fede, a cominciare dagli indizi del sepolcro vuoto, è sempre una realtà visibile. Questo fattore è importante, perché smentisce coloro che interpretano la fede nella risurrezione di Gesù Cristo come mera convinzione intima. Spazza via tutte quelle tesi idealiste secondo cui i discepoli si convinsero che Gesù era risorto, proiettando in questa autosuggestione i propri sentimenti soggettivi di amore verso il loro maestro. Invece è perché hanno visto il Signore risorto che hanno creduto. La fede nasce dal riconoscimento di realtà visibili”(30 GIORNI, Anno XVIII – N. 7/8 – 2000, pag. 66).
Sono pescatori di Galilea, quindi gente abituata alla concretezza ed al
senso del pratico, coloro coloro che sono divenuti annunciatori della
risurrezione di Cristo.
E quando alla scoperta della tomba vuota si aggiunge la scena
discreta, eppur straordinaria, a cui i discepoli di Gesù, Giovanni e
Pietro, assistono, allora anche la tomba vuota diviene elemento fondante della
fede pasquale. Ma Giovanni e Pietro non hanno visto solo una tomba vuota. Ma hanno
contemplato una scena insolita, straordinaria: le fasce che ricoprivano il
cadavere del Maestro sono afflosciate, vuote, non manomesse, mentre il
sudario, che era sul capo di lui, non con le fasce disteso ma al contrario
avvolto (rimasto nella posizione di avvolgimento, perciò rialzato ma non
sostenuto all’interno, perché vuoto) in una posizione unica (straordinaria,
eccezionale, perché contro la legge della gravità)
”.
Quindi,
alla prova della tomba vuota, considerata storicamente ineccepibile,
seppur con molti dubbi da parte di studiosi che la pensano diversamente, si deve
aggiungere quest’altra, straordinaria, testimonianza sulla posizione delle
fasce e del sudario che hanno avvolto il cadavere di Gesù nella tomba.
Se
poi, aggiungiamo, a queste prove, quella misteriosa e tangibile della Sindone,
di cui avremo modo di parlare in seguito, allora noi dobbiamo pensare che quel
Risorto che si è fatto vedere dai testimoni oculari delle apparizioni, ha
voluto dare anche a noi, credenti di questo secolo, un ventaglio di prove
razionali del più grande e strepitoso miracolo della Storia umana. Un miracolo
che solleva l’uomo dal dramma esistenziale della morte, per inserirlo in un
progetto di salvezza che si proietta oltre il tempo.
I testimoni delle apparizioni del risorto e
gli evangelisti, se da una parte mostrano che il Risorto ha delle prerogative
ultramateriali, come quella di entrare nel Cenacolo a porte chiuse, dall’altra
pongono l’accento sulla sua corporeità, nel senso che Egli chiede di mangiare
del pesce, che lui stesso prepara da mangiare, che addirittura conduce i suoi
discepoli, come abbiamo visto nelle scene dell’Ascensione, suo monte degli
Ulivi, prima di salire al Padre. E
allora, permettete, all’uomo di fede che è in noi, di pensare che nei suoi
mirabili Disegni di salvezza, il Cristo ha voluto aiutare i nostri sensi a
percepire la realtà sublime e mirabile della Risurrezione. Il suo aderire alla
richiesta di Tommaso: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non
metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non
crederò»(Gv 20,25), non è, in fondo, che l’atteggiamento del Papà che,
quasi sostenendo, con le braccia, il piccolo figlioletto a camminare da solo, è
pronto ad intervenire per impedirgli di cadere: “Poi disse a Tommaso:
«Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e
mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!».
Rispose Tommaso: «Mio
Signore e mio Dio!». Gesù gli
disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur
non avendo visto crederanno!». ”(Gv
20,27-29).
ALLA SCOPERTA DI GESU' DI NAZARETH