La crisi in Galilea
I CONTRASSEGNI DEL DISCEPOLATO
Cesarea De Filippo è
situata ai piedi del versante sud del monte Hermon che segna il confine nord
della Palestina. Nei pressi ci sono le sorgenti del Giordano. E’ nei dintorni
di questa città, il cui nome originario era Panaeas (o Panias) che i Vangeli
situano la cornice geografica di un espisodio della vita di Gesù la cui
storicità è unanimemente riconosciuta dagli studiosi.
La vicenda è considerata dagli esegeti come la
cerniera del racconto evangelico. Ciò è vero soprattutto per il Vangelo di
Marco (Mr 8,27 ss.), mentre, invece, è appena percettibile negli altri due
vangeli sinottici: Matteo e Luca, tanto per intenderci.
“Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa
di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente
che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e
altri uno dei profeti». Ma egli replicò: «E voi chi
dite che io sia?».
Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non
parlare di lui a nessuno. (Mr
8,27-30).
L’episodio, storicamente indiscutibile, narra di un momento cruciale,
decisivo, della storia di Gesù. L’entusiasmo iniziale delle folle di Galilea
non c’è più. Quelle stesse folle che lo avevano accolto, ora lo hanno
abbandonato. E allora Gesù si volge il suo sguardo sullo sparuto gruppo dei
discepoli che sono con lui e comincia ad intravedere, davanti a lui, un rifiuto
di passione e morte.
Gesù ed i suoi amici sono in un luogo in
disparte. E’ il momento giusto per un esame di coscienza, un confronto e, per
la prima volta Gesù chiede cosa dice la gente di lui. E poi, si rivolge
direttamente ai “suoi amici”: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli
rispose: «Tu sei il Cristo». E come se gli avesse detto: “Tu sei il Messia,
l’inviato di Dio, l’Unto di Dio, l’Atteso di Israele”. E’ un titolo
che “Gesù non si è mai attribuito, intendendo evitare tutti i malintesi
legati alla concezione messianica dei giudei. La dignità messianica di Gesù
sarà riconosciuta e confessata dopo le apparizioni (cfr. Atti
2,36), fino al punto da diventare un nome proprio: Cristo, cioè l’Unto,
il Messia di Jahvé
Un appellativo, quello di Pietro, che è pieno di equivoci e che si
presta ad interpretazioni politiche e nazionalistiche, da parte delle folle
esaltate di Galilea. Ecco
perché Gesù proibisce di parlarne “apertamente”. Questa proibizione
rientra in quel “segreto messianico” che è certamente un fatto storico
della vita del Maestro, autenticato non solo dall’attestazione di Matteo e
Luca, e più spiccatamente da Marco, ma anche dal fatto stesso che questa
discrezione del Maestro mal si presta con le attese dei suoi discepoli e con le
esplosioni di fede delle comunità cristiane primitive.
“E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto
soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi,
poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.
Gesù faceva questo discorso apertamente.
Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli,
voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da
me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli,
disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la
sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà;
ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che
giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria
anima? E che cosa potrebbe mai dare
un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie
parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio
dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con
gli angeli santi»”(Mc 8,31-38).
Nella lettura degli eventi connessi con il rifiuto degli scribi, dei
farisei, degli erodiani, come abbiamo visto prima nele controversie Galilaiche,
così come nel rifiuto della sua messianicità da parte della stessa gente di
Nazareth, (Mc 6,1 ss.; Mt 13,53 ss.) e nell’allontanamento delle folle, prima
attirate da una prospettiva gloriosa della sua missione, Gesù prova
indubbiamente un momento d’intensa solitudine.
E’
con questi sentimenti d’amarezza che comincia a preannunciare la sua passione
al “piccolo gregge” dei suoi discepoli.
Di fronte a questa prospettiva dolorosa, diametralmente opposta a quella
vagheggiata dai suoi amici, nasce una nuova incomprensione. E se prima erano le
folle a fraintendere la missione di Gesù come una missione di potenza e di
gloria, ora sono gli stessi discepoli che rifiutano quest’eventualità.
Gesù
è solo, incompreso da tutti.
“Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui,
chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. Ma egli, traendo un
profondo sospiro, disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità
vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione».
E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all’altra sponda” (Mr
8,11-13).
“Perché questa generazione chiede un
segno?”. Così leggiamo nel Vangelo di Marco. In quello di Matteo, invece, Gesù
risponde ai farisei: “«Una generazione perversa e adultera pretende un segno!
Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta” (Mt 12,39).
In Luca, infine, è scritto: “Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò
a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno,
ma non le sarà dato nessun segno fuorchè il segno di Giona” (Lc 11,29).
Gesù si riferisce alla sua morte e
risurrezione. Cioè come il profeta Giona fu inghiottito nel ventre di un pesce
e dopo tre giorni liberato, così egli, con la sua morte, sarà inghiottito dal
ventre della terra risorgendo il terzo giorno.
La possibile storicità di tale terminologia pronunciata da Gesù e
scaturita dalla richiesta di un “Segno” da parte dei farisei, illumina di
luce superna l’evento doloroso della sua morte, lasciando intravedere, al di là
della croce, la risurrezione.
E’ certamente, questo, un tassello significativo di una persona, il Gesù
storico, coscientemente consapevole di andare incontro alla morte e di vincerla.
“GUAI
A TE CORAZIN! GUAI A TE BETSAIDA...”
“Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il
maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: «Guai a te,
Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati
compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, gia da tempo avrebbero
fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere.
Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una
sorte meno dura della vostra. E tu, Cafarnao, sarai forse innalzata fino al
cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i
miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel
giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!».
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o
Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose
ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli “(Mt 11,20-25) (Cfr
Lc 10,13-15).
Il brano che abbiamo letto appartiene al vangelo di Matteo, ma è
attestato anche da Luca. Entrambi i testi sono tratti da una fonte comune a
Matteo e Luca. Una fonte antica che gli studiosi chiamano Quelle.
Poco prima Gesù aveva pronunciato il rimprovero racchiuso nella parabola
dei bambini capricciosi. Ora egli afferma che Cafarnao, Corazin e
Betsaida, le città nelle quali ha predicato di più operando tantissimi
miracoli, non hanno accolto il suo invito alla penitenza. Se il bene fatto in
esse da Gesù fosse stato operato a Tiro e Sidone, queste si sarebbero
convertite. Ed è per questo che il giudizio verso queste città sarà meno
severo di quello verso le città del lago, precisamente Corazin, Betsaida e
Cafarnao.
Per
inciso, già nello spazio dedicato al ministero profetico di Gesù, abbiamo
riferito come proprio le tre città oggetto degli improperi del Maestro non
esistono più, al contrario di Tiro, Sidone, che sono più vive che mai, anche
se con altro nome.
Nel Vangelo di Marco troviamo una notizia
confermata anche negli altri Vangeli. Gesù si ritira dall’attività pubblica
per dedicarsi alla cura del “piccolo gregge” dei suoi discepoli.
Certamente il motivo che può aver influito su questa scelta lo troviamo
nella non accettazione del suo annuncio di salvezza e di invito alla penitenza e
nella non condivisione da parte dei farisei e del popolo, della sua idea di
Messia. Ce ne dà prova uno dei miracoli pià strepitosi compiuti da lui in
Galilea, quello della moltiplicazione dei pani, attestato da tutti e quattro gli
evangelisti (Mt 14,13-21; Mc 6,32-44; Lc 9,10-17; Gv 6,5-15). Leggiamo nel
Vangelo secondo Giovanni:
“Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui
e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da
mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene
quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non
sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è
qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo
per tanta gente?». Rispose Gesù:
«Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed
erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso
grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci,
finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i
pezzi avanzati, perché nulla vada perduto».
Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani
d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a
dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!».
Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si
ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo (Gv 6,5-15).
Il fallimento della missione di Gesù in Galilea si evince, attraverso i
vangeli sinottici, e cioè Matteo, Marco e Luca, dalle sue minacce alle città
del lago, come abbiamo visto prima. Nel Vangelo di Giovanni, invece, la crisi è
presente nel capitolo 6, di cui abbiamo letto il celebre miracolo della
moltiplicazione dei pani e dei pesci. In Giovanni la crisi esplode in seguito al
miracolo, quando la folla reagisce con l’entusiasmo esaltato dalle attese
messianiche. E questo è uno di quei miracoli che provocano l’esaltazione del
popolo di Galilea. Gesù è acclamato come il Re messianico, ecco perché
vogliono rapirlo ed acclamarlo Re. Ma lui allontana i suoi stessi amici dalla
febbre esaltata dalla folla, di cui essi condividono le idee trionfalistiche e
si ritira sul monte a pregare. Nasce qui il progressivo distacco del popolo nei
suoi confronti. Gesù resta solo ed è in tale ambito che si dedica
all’istruzione dei suoi amici, preparandoli all’autentica natura del suo
Regno.
E’
questo il nucleo storico dell’abbandono delle folle di Galilea.
“Se
qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni
giorno e mi segua”(lc. 9,23).
Completamente assente nella terminologia dell’Antico Testamento, la
parola croce è presente trentotto volte nel Nuovo Testamento. Il termine è
presente cinque volte nel vangelo di Matteo, altrettante in quello di Luca. Sei
volte nel Vangelo di Marco e lo stesso in quello di
Giovanni. Negli atti degli apostoli è citato quattro volte, negli
scritti Paolini undici volte (1 Corinti 2 volte, Galati 3 volte, Efesini 1
volta, Filippesi 2 volte, Colossesi 2 volte, Ebrei 1 volta) e una sola volta,
infine, nella prima lettera di Pietro.
A noi interessa sapere, però, se Gesù ha
veramente invitato i discepoli a “prendere la sua croce”, oppure
quest’invito è stato coniato dalla Chiesa primitiva per esortare i cristiani,
ad accettare e vivere la croce delle persecuzioni sulla scia del Maestro.
E’ un interrogativo molto complesso, come
vedremo, e tocca la stessa coscienza di Gesù in riguardo al suo destino finale:
la passione e morte sulla croce.
D’altro
canto, si può comprendere la diversa valenza di una frase, a seconda se
proviene dall’insegnamento di Gesù oppure da quello che permea le prime
comunità cristiane.
A noi interessa il Gesù storico, e precisamente la sua “ipsissima
verba”, le sue parole originali, quelle che giungono fino alle nostre
orecchie con il carisma della sua Exousia,
quell’Autorità “Divina” che suggella il valore di una parola o di una
locuzione, conferendole un valore incalcolabile ed eterno.
Nel Vangelo di Matteo e precisamente nel
contesto del discorso “missionario” di Gesù, noi leggiamo questa frase: “Chi
non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38). Un
brano parallelo, sostanzialmente uguale, anche se con una leggera sfumatura, lo
troviamo presente nel vangelo secondo Luca: “Chi
non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio
discepolo”(Lc 14,27).
Nel Vangelo di Marco troviamo l’invito di Gesù, a “portare la
croce”, inserito nei momenti immediatamente successivi al suo rimprovero a
Pietro, quando, dopo aver prospettato ai suoi amici il destino della passione e
della morte, Gesù viene improvvisamente rimproverato da Pietro per questa sua
“scelta” di affrontare una morte incruenta:
“Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli,
rimproverò Pietro e gli disse: “«Lungi da me, satana! Perché tu non pensi
secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi
discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se
stesso, prenda la sua croce e mi segua(Mc 8,33-34).
Questo passo indicativo, inserito peraltro nel dialogo tra Gesù e gli
apostoli, è attestato, in modo pressappoco identico, anche da Matteo e Luca.
Leggiamo, infatti, nel Vangelo di Matteo:
“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro
a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”(Mt 16,24).
Luca
riporta, da parte sua:
“Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se
stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”(Lc 9,23).
In Luca, per esempio, c’è un’aggiunta significativa al versetto in
questione:
“Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi
se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”(Lc 9,23).
Insomma noi crediamo che, di là della possibile lettura Pasquale della sequela
della croce, ci sia stato veramente un invito del Maestro a seguire la sua
stessa via. Del resto già a Cesarea di Filippo, Gesù dimostra di voler
seguire, nella sua manifestazione messianica, una via diversa da quella
intravista dai discepoli. E’ indubbio che questa via, che gli ha fatto
balenare la morte incruenta sulla croce, non sia stata frutto di una posteriore
riflessione sulla Pasqua, ma sia percorsa, con “decisa” consapevolezza, da
Lui, pienamente consapevole di ciò che gli sarebbe successo a Gerusalemme. E
forse, la frase di Luca: “Mentre stavano
compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse
decisamente verso Gerusalemme”(9,51), dimostra l’evidenza di una scelta
decisa, da portare avanti fino in fondo, fino alla morte.
Nei racconti evangelici troviamo alcuni
episodi che mostrano, in un certo senso, quanto possa essere arduo, per gli
aspiranti discepoli di Gesù, comprendere veramente, al di là del possibile
entusiasmo iniziale, la via “difficile”, irta di ostacoli, del discepolato
verso Gesù ed il suo messaggio di salvezza.
Nel
Vangelo secondo Luca leggiamo di tre brevi incontri tra Gesù ad alcuni
aspiranti discepoli:
“Mentre
andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada».
Gesù
gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi,
ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A
un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a
seppellire prima mio padre».
Gesù
replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il
regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io
mi congedi da quelli di casa». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo
mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»”(Lc
9, 57-62).
Sembra strano l’atteggiamento di Gesù verso questi tre potenziali
discepoli. Il primo di essi viene subito stroncato nel suo entusiasmo iniziale.
Gesù gli dice schiettamente quale genere di vita lo attende: «Le
volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio
dell’uomo non ha dove posare il capo». Sembra aver ragione Gesù nello
scoraggiare una scelta fatta più d’entusiasmo passeggero che di consapevole
vocazione. L’aspirante discepolo, che nel Vangelo corrispondente di Matteo (Mt
8,19) è uno scriba, cioè uno studioso della Legge ebraica, rientra
nell’anonimato ed i Vangeli non dicono più niente di lui. Così come tacciono
su colui che, invitato da Gesù a seguirlo, chiede prima di tutto di seppellire
il genitore. Una frase alla quale il Maestro risponde: “Lascia
che i morti seppelliscano i loro morti”(Lc 9,59-60; Cfr Mt 8,22).
Un altro ancora, stavolta riportato solo nel Vangelo di Luca, dice a Gesù:
«Ti seguirò, Signore, ma prima lascia
che io mi congedi da quelli di casa». Anche in questo caso la risposta di
Gesù sembra scoraggiare l’aspirante discepolo:
«Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per
il regno di Dio»”(Lc 9, 57-62).
Tre momenti non proprio felici che caratterizzano l’insuccesso di Gesù
nella chiamata di tre discepoli e dove sembra di percepire che per seguire Gesù
occorrono tre condizioni: Abbandonare qualsiasi punto di riferimento umana,
Distacco radicale finanche dalle persone più care e non guardare mai indietro,
al proprio passato, ai propri rimpianti.
La seconda condizione, radicalmente
rivoluzionaria, può mettere in crisi persino la nostra sensibilità umana e
cristiana. La rileggiamo perché è fortemente provocatoria da parte di Gesù.
Una volta recepito la sua chiamata a seguirlo, l’aspirante discepolo risponde:
«Signore, concedimi di andare a
seppellire prima mio padre». Gesù
replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu và e annunzia il
regno di Dio».
Sembra incomprensibile questa affermazione di
Gesù. Noi sappiamo quanto sia sacro il dovere di un uomo di seppellire un
defunto, e quanto lo sia maggiormente quello di un figlio di seppellire il
proprio genitore. E allora, perché Gesù parla così?
Gesù esige una scelta radicale, elemento caratteristico della sua etica
escatologica, permeata da un’esistenza profetica ed escatologica, perennemente
proiettata nell’urgenza della missione. L’annuncio del Regno di Dio ormai
presente, attraverso di lui, nella storia. Un annuncio che richiede risposte
generose e radicali, a costo di creare una frattura con il passato. E’ così
che esige, il Gesù storico, il Discepolato.
“MAESTRO BUONO, CHE COSA DEVO FARE PER AVERE LA
VITA ETERNA?”
“Mentre [Gesù] usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse
incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro
buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio
solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non
rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin
dalla mia giovinezza». Allora Gesù,
fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che
hai e dállo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma
egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti
beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto
difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!».
I discepoli rimasero stupefatti a queste sue
parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di
Dio! E‘ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco
entri nel regno di Dio». Essi,
ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma
Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio!
Perché tutto è possibile presso Dio». Pietro
allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia
lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e
a causa del vangelo, che non riceva gia al presente cento volte tanto in case e
fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro
la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi»”(Mc
10,17-31; Cfr Mt 19,16 ss.; Lc. 18,18ss.)
Mentre Gesù è in viaggio incontra un uomo ricco che gli chiede:
“Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. “Perché mi
chiami buono? - risponde Gesù - Nessuno è buono, se non Dio solo”(Mc 10,17).
Poi aggiunge: “Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere
adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre
e la madre”.
Alla replica dell’uomo ricco che conferma l’osservanza di questi
comandamenti “fin dalla giovinezza”, Gesù risponde: “Una
cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dállo ai poveri e avrai un
tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma l’uomo, rattristato per la
richiesta di Gesù, se ne va afflitto, perché è in possesso di molti beni,
come commenta l’evangelista.
A questo punto, “volgendo lo sguardo attorno” Gesù dice ai suoi
discepoli: “Quanto difficilmente coloro
che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!”. Eppure poco prima Egli
aveva provato simpatia per quest’uomo. Anzi il Vangelo ricorda che “Gesù,
fissatolo, lo amò”.
Le parole del Maestro, intrise di amarezza, lasciano stupefatti e
meravigliati i suoi amici, perché sanno che da sempre nel mondo biblico la
ricchezza e la prosperità sono stati considerati come segno delle benedizione
divina (Cfr. La Bibbia di Gerusalemme, nota Mc 10,24, 2176 s.). Quindi le parole
di Gesù smentiscono quest’idea diffusa nella mentalità del popolo di
Israele.
C’è, quindi, un atteggiamento di giudizio negativo del ricco e della
ricchezza in alcuni strati religiosi d’Israele. Un Giudizio del quale Gesù
tiene conto ma che relativizza di fronte al Progetto di Dio che vuol salvare
tutti, anche i ricchi. Dopo aver detto: “Quanto
difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!”, di
fronte al turbamento dei discepoli che dicono tra loro: «E chi mai si può
salvare?», Gesù risponde guardandoli: «Impossibile presso gli uomini, ma non
presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio».
A questo punto il brano si chiude con l’affermazione di Pietro: «Ecco,
noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
A questa risposta Gesù replica: «In verità vi dico: non c’è nessuno
che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a
causa mia e a causa del vangelo, che non riceva gia al presente cento volte
tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a
persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e
gli ultimi i primi»
Nei capitoli precedenti abbiamo intravisto l’atteggiamento di Gesù
contrassegnato dalla richiesta di un tipo di discepolato che implichi una
rinuncia a sé, ai propri affetti ed ai beni in possesso, per essere interamente
rivolto alla sequela del Maestro.
Appare chiaro che è il primo gruppo di discepoli, quello più vicino a
Gesù, quello che ne condivide la condizione di missionario itinerante, ad
essere quello che vive radicalmente la sua sequela. Come lui la rinuncia agli
affetti coniugali e familiari, ad una dimora stabile, al possesso dei Beni, ed a
qualsiasi attività “stanziale” che garantisca una certa stabilità. Da
Cesarea di Filippi in poi sarà questo gruppo ad essere direttamente oggetto
della catechesi del Maestro e di tutta la sua attenzione.
Vediamo,
ora, quali possono essere i segni distintivi del Discepolato voluto da Gesù e
chiesto ai suoi più stretti collaboratori:
Primo: oltre a
condividere la condizione di itinerante senza patria (Mt 8,19), il discepoli
dovranno porre il legame con Gesù al di sopra dei sentimenti di pietà verso la
famiglia. Secondo: I discepoli di Gesù
partecipano alla sua missione ed alla sua autorità, ricevendo, da lui, il
potere di scacciare i demoni (Mc 3,14; Lc 10,9). L’equipaggiamento
di cui si devono dotare è assolutamente povero: “né bastone, né bisaccia, né
pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno”)(Lc 9,3. Cfr. Mt 10,10; Mc 6,8).
Comunque l’estrema povertà di questo equipaggiamento va
spiegata con l’attesa del Regno di Dio che è prossimo ed una fiducia totale
nella divina provvidenza. Terzo, il discepolato è partecipazione alla promessa.
“E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella
nuova creazione, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua
gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di
Israele. Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre,
o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità
la vita eterna»” (Mt 19,28-29; cfr. Lc 22,30).
ALLA SCOPERTA DI GESU' DI NAZARETH