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ma che Storia
un film di Gianfranco Pannone
Il Risorgimento in un racconto lungo 150 anni: gioie e dolori di un paese grande e complicato.
Un viaggio tragicomico nella storia attraversando il lungo e faticoso percorso unitario italiano. Mazzini, Garibaldi, Cavour…, nomi che oggi ci arrivano lontani, ma che così lontani non sono se pensiamo a quanto le storie di ieri ricordino quelle di oggi. Una grande rivoluzione quella del Risorgimento, salutata come vera e propria epopea nell'800, ma ridimensionata nel secolo successivo dal "male oscuro" italiano. Potere, intellettuali e popolo, un rapporto difficile, spesso violento e non privo di cinismo, che di fatto ha impedito il formarsi di un sentimento patrio condiviso. E poi, un popolo di contadini quello italiano del primo novecento, via via cancellato dalle ideologie e da un'ansia del nuovo capaci di emarginare tradizioni, consuetudini, affetti.
Il racconto di questa epopea a metà, si sviluppa tra cinegiornali e documentari, quelli del Luce, dagli anni venti agli ottanta, che attraversano la storia nazionale in modo retorico e un po' spiccio; un sentimento critico e amaro, anche ironico, tutto presente nelle parole di scrittori e poeti di estrazione politico-culturale diversa; e, vero e proprio controcanto, i suoni liberi e tragici del popolo, che esprimono gioie e dolori di una storia ricca ma anche violenta. Così il sobrio ricordo di uno zio morto nella Grande guerra risvegliato da Vittorio Foa, si incontra con le strofe cantate di Raffaele Viviani contro ogni guerra, per poi scontrarsi con i retaggi fascisti di un racconto della storia nazionale tutto affidato agli impeti di un popolo che si vuole guerriero ad ogni costo.
Un paese, come ci ricorda Alberto Arbasino, cresciuto a marcette, celebrazioni, lustrini, lumini, icone, fino all'inevitabile rigetto. Un paese incapace di mettersi in discussione, di elaborare i propri lutti, di guardarsi dentro, tutto proteso verso un finto nuovo che ha finito col procurare grandi tragedie partorite da folli illusioni. Un paese che si potrebbe dire morto, se non fosse che gli appartengono pagine straordinarie di storia e letteratura oltre che una ricchezza antropologica unica.
Note di regia
Mi sono spesso chiesto se, come me, anche la gente di questo paese creda che la storia d'Italia, specie quella unitaria, sia difficile da rinchiudere in risposte nette, univoche. Ecco perché ho sentito il bisogno di questo film e di intitolarlo ma che Storia.
Oggi buona parte degli italiani non sembra avere un sentimento nazionale. Considerando le cronache politico-giudiziarie di questi giorni, c'è da comprenderli, ancor più se ricordiamo che per secoli l'Italia è stata attraversata da eserciti di ogni provenienza. Insomma, la nostra lunga e complessa storia ha impedito e impedisce tuttora il compiersi di un amor patrio veramente condiviso. Bisogna anche dire che i tanti mali dell'Italia di oggi affondano le proprie radici in un percorso storico accidentato, che spesso ha trovato risposte e motivazioni più vicine al compiacimento che a una elaborazione profonda. Giuseppe Verdi, oltre a donarci la sua grande musica, ha ricoperto un ruolo importante di mediazione tra potere e popolo, al punto che ancor oggi gli italiani (non solo i leghisti) si commuovono ascoltando Và pensiero. Ma dove finisce il "teatro" e dove comincia il pensiero profondo? In Verdi ci sono l'uno e l'altro, non so negli italiani.
Difficilmente sarei arrivato a questo film se non avessi conosciuto, grazie ad Ambrogio Sparagna, prezioso complice di questa mia ultima fatica, il patrimonio musicale di tradizione orale del paese. E' lì che individuo gli anticorpi di un popolo, in quella tradizione contadina che, contrariamente alla vulgata operaista, non affonda le proprie radici solo nella miseria e nelle ingiustizie, ma in un patrimonio culturale fatto anche di musiche e canzoni dal forte significato simbolico e comunitario.
Ecco perché, malgrado tutto, mi sento italiano nel profondo e non credo, pur guardando alla prospettiva federalista di un Cattaneo, in divisioni geografiche che considero tardive. E' stato anche il nostro cinema a far sì che questo sentimento si conservasse nel tempo: film belli e complessi come Senso e Il Gattopardo difficilmente si dimenticano.
Ma che storia - scheda tecnica