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Il cerchio - Sinossi

La Settima Arte

Una donna ha appena dato alla luce una bambina e già sono entrambe malvolute. Tre donne vengono rilasciate dal carcere con un permesso temporaneo. Il desiderio di fuggire le conduce ad assumere comportamenti disperati. Sola e senza documenti una giovane donna è costretta a mentire per comprare un biglietto d’autobus che la porti nella provincia della sua infanzia. Un’altra donna non sposata ma compromessa viene allontanata dalla casa paterna in seguito alla reazione violenta dei fratelli. La vedova di un dissidente giustiziato si rivolge inutilmente ad un’amica infermiera per abortire. Una madre si vede costretta ad abbandonare sua figlia. Una prostituta arrestata per adescamento si rifugia nel dileggio dell’autorità.

Teheran, inizio del nostro secolo. Pari, Arezou, Nargess, Elham, Monir, Nayereh, Mojgan. Sette storie di donne velate si intrecciano fra loro sullo sfondo caotico della metropoli iraniana, raccontate attraverso la metafora del cerchio inteso come negazione della libertà femminile.
Jafar Panahi costruisce una narrazione serrata e claustrofobica, di forte coesione e coerenza, concentrata sull’universo femminile del suo paese in una forma lucida, lineare, urgente.
Non vi è mediazione nei comportamenti antagonistici delle protagoniste verso le pratiche almeno formali del consenso. Cultura, istituzioni, religione, morale e consuetudini sociali, tutto concorre nel rendere impraticabile ogni sbocco di autonomia ai personaggi.
La risposta istituzionale al rifiuto dell’ordine maschile è il carcere.
Ma in ogni frammento narrativo del film, in sé un vicolo cieco, si apre il varco della struttura solidale tutta al femminile che, pur temporanea e illusoria, si pone come sorta di intercapedine psicologica nei confronti delle modalità rigide e ossessive dell’oppressione poliziesca e del controllo sociale.
Panahi descrive con accenti militanti la condizione della donna nell’Iran teocratico in una denuncia estesa ad un’intera società che penalizzando la sua componente femminile si rinchiude irrazionalmente in sé stessa.
L’integralismo islamico realizzato, drammatico e controverso crocevia del nostro tempo, porta con sé le sue ragioni storiche, ma anche i suoi frutti inaccettabili. Nulla tuttavia deve distogliere la comunità degli uomini e delle donne dalla ricerca della pace.

Jafar Panahi è nato a Mianeh l’11 luglio 1960.
Compiuti gli studi all’Università del cinema e della televisione di Teheran, realizza corti e mediometraggi per la TV iraniana.
E’ assistente di Abbas Kiarostami nella realizzazione di “Sotto gli ulivi” (1994). Il debutto nel lungometraggio avviene nel 1995 con “Il palloncino bianco”, delicata favola infantile con cui vince la “Camera d’or”al festival di Cannes. Nel 1997 affronta per la prima volta il tema della condizione femminile nella società islamica con “Lo specchio”. Il film vince il “Pardo d’oro a Locarno.
Ma è proprio con il”Cerchio” (2000) che Panahi si consacra internazionalmente ricevendo a Venezia il “Leone d’oro”.
Nel 2003 conquista a Cannes il premio della giuria nella sezione”Un certaine regard” con “Oro rosso”, noir insieme realistico e astratto, realizzato su sceneggiatura di Kiarostami e proibito in patria.


Paolo Grego
per Barbarano Cultura



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