Le attività industriali
Parole chiave:
immagini, rural landscape history, storia
paesaggiio agrario, tufi, cave, tagliate, resine, feudalesimo, demani, paludi,
fiumi, calcare, carbonella, Taranto, Puglia, Italia Meridionale, edilizia rurale
Fra le attività che rientravano all'interno
della cosiddetta economia dell'incolto
troviamo anche primordiali attività
industriali. La loro esplicazione richiedeva, infatti, conoscenze tecniche ed una certa
quantità di capitale iniziale da utilizzare per l'acquisizione di
strumentario specifico e per l'edificazione di impianti di trasformazione della
materia prima, ricavata dall'ambiente.
La grande cava di Saturo
(Leporano),
coltivata per secoli al fine di estrarvi il materiale adoperato per la
costruzione dei molti edifici (religiosi, abitativi e produttivi) di quell'importantissimo sito
archeologico. |
Sommario:
Cave e tagliate
Le calcare
Le carbonaie
Le fonderie
Le resine |
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I primi edifici abitativi furono costruiti con
materiale vegetale (rami o, più
spesso, canne) cementato con un intonaco di fango. Tale fisionomia avevano
le prime abitazioni del Tarantino note, dal Neolitico alla pure avanzata
Età
del Bronzo. La disponibilità di materia prima non sollecitò i primitivi
abitatori a cercare nuove soluzioni.
Furono i Greci, fondatori della colonia di Taranto, ad
introdurre per primi più
avanzate tecniche edilizie, ben presto diffusesi anche
fra le popolazioni locali, che le interpretarono molto creativamente.
Le caratteristiche geologiche di gran parte del
Tarantino ha favorito l'utilizzo diffuso di manufatti ricavati dal taglio
della calcarenite (volgarmente tufo) in blocchi di forma e
dimensione variabile a seconda della destinazione di uso e dell'epoca.Con
questi venivano edificati case, templi, chiese, mura difensive.
Per questa attività ci si serviva di un
armamentario particolare in dotazione ai
cavamonti (zoccatori) che, scavando all'interno delle tagliate per inseguire la pietra migliore,
hanno finito con il creare vere e proprie
città sotterranee, sempre molto suggestive da un punto di
vista paesaggistico. All'interno degli spazi così ottenuti sono stati
spesso ricavati giardini ed oliveti, dando un ulteriore saggio di
creatività e di laboriosità del contadino salentino.
Nelle aree insistenti su un substrato calcareo, come la Murgia di Sud-Est
e la zona delle Murge Tarantine, il taglio della pietra dura costituiva,
naturalmente, una impresa più faticosa, per cui si preferiva andare alla
ricerca dei giacimenti di calcare stratificato per lastre
sottili (le chianche),
per utilizzare le quali era sufficiente la sola sagomatura. Con tale materiale si rivestivano le strade e le aie, ma
si costruivano anche tetti a pignon
(cummerse) delle abitazioni e le pseudocupole dei trulli.
Da grosse pietre di calcare si ricavavano le macine per mulini e
frantoi, mentre
dal tufo si ricavavano le vasche per gli abbeveratoi e per uso domestico (pile),
le mangiatoie, i mortai e tanti altri utilissimi arnesi quotidiani.
Anche l'argilla rappresenta un altro esempio di attività di cava. Dalla sua raffinazione si ricavava la materia
prima per l'artigianato figulino, che nel Tarantino ha sempre avuto una
prestigiosa tradizione, dalla Taranto magnogreca alla odierna Grottaglie.
Oltre
ai prodotti ceramici, dall'argilla si ricavavano, però, anche i comuni mattoni e
le tegole (imbrici).
Tutte queste attività erano poste rigidamente sotto il controllo dei
proprietari dei terreni ove erano situati i giacimenti, che si attribuivano lo jus
fundi. Per il riconoscimento di tale prerogativa il titolare della miniera
doveva corrispondere o una quota di materiali finiti o un canone in denaro. |
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Tufi e chianche possono essere assemblate fra di loro a secco, sfruttando
o modificando la
forma delle pietre, ma più spesso si ricorreva a materiali cementanti. Oltre al
bolo, estratto dal fondo delle doline, laddove si raccoglie
naturalmente un
materiale con tali caratteristiche, il materiale adoperato a tale uso era
(ed è) la malta.
Il riscontro di calcare
è quanto mai frequente nelle aree più impervie dell'entroterra
tarantino, in special modo sul fondo delle gravine, come (a destra
e a sinistra) in quelle di Portico del Ladro (Massafra) e nella lama di
Penziero (Grottaglie,al centro). Quest'ultima costituisce
senz'altro il documento architettonicamente più interessante. |
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Il materiale di partenza per la produzione della malta è costituito dalla calce, la quale
a sua volta si ricava per arrostimento della pietra calcarea: grazie alle alte
temperature il carbonato di calcio (CaCO3) si trasforma in ossido di calcio
(CaO),
detto anche calce viva; questa, combinata con acqua (la reazione è
fortemente esotermica), dà poi origine all'idrossido di calcio (Ca(OH)2), detta anche
calce spenta. Mescolata a inerti (come tufo in polvere, frammenti di laterizi o
terracotta o pietroline, a seconda dell'uso finale) si otteneva la malta, che è il
materiale cementante per eccellenza.
Altri impieghi della malta erano le impermeabizzazioni di pozzi e cisterne.
Il processo di arrostimento della pietra avveniva in apposite strutture dette calcare, dislocate
in località che disponevano delle materie prime
necessarie, la pietra calcarea e il combustibile legnoso.
Anche per lo
sfruttamento delle calcare il titolare doveva corrispondere al proprietario del
fondo una quota del prodotto o una certa somma di denaro. |
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Dalla legna raccolta nei boschi e nelle macchie si ricavava la carbonella. Con
questo sistema si otteneva un combustibile più facilmente utilizzabile e più a
lungo conservabile rispetto al materiale di partenza.
La produzione di carbonella avveniva in apposite strutture chiamate carbonaie,
poste in genere in radure all'interno o nelle immediate adiacenze di boschi o
macchie (fra le essenze particolarmente ricercate erano il Lentisco ed il
Corbezzolo).
Utilizzando una particolare tecnica, che prevedeva la creazione di
un grande cumulo di fascine di legna ben ordinato, il suo rivestimento con
terra e la successiva accensione. Questa conduceva,per combustione solo
a
causa della scarsità dell'ossigeno all'interno del cumulo, alla carbonificazioine della legna. |
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Masseria
Masella (Martina Franca) ospita nei suoi pressi uno dei più
interessanti siti archeologici della Murgia. Al suo interno sono state rivenuti i resti delle fonderie
di Monte del Forno. |
Il rinvenimento
di abbondanti quantità di scorie ferrose in una determinata località
è in genere una spia della
presenza di una pregressa attività metallurgica. Non sappiamo nulla
delle modalità e sulle motivazioni che abbiano
potuto indurre , in talune epoche, a spostare una simile attività,
tradizionalmente legata all'ambiente urbano, in ambiti anche
molto distanti dai più importanti centri abitati, anche se sempre in
diretta connessione con i principali assi viari.
Il più importante di tali siti,
quello di Badessa-Monte del Forno, fu particolarmente attivo nell'Età
Tardoantica e nell'Alto Medioevo; la sua posizione periferica, nel pieno della
Murgia anche se lungo
una via istmica che lo connetteva sia con il porto di Taranto che quello
di Egnazia, si deve alla larga disponibilità di combustibile. |
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Le piante sono state, sino a circa un secolo
fa i principali organismi fornitori di sostanze organiche per l'utilizzo
industriale da parte dell'Uomo.
Particolare rilevanza avevano le resine che si ricavavano
dai tronchi e dai frutti di alcune essenze.
Da incisioni praticate lungo i tronchi del Pino d' Aleppo, presente in
estesissime formazioni lungo il litorale occidentale del Tarantino, si ricavava
la pece, dalla quale, dopo un primo processo di cottura (in apposite pecerie)
e di successiva macinatura (in mulini specializzati), si otteneva un materiale
utilizzato, fra l'altro, per calafatare le imbarcazioni. Ciò detto è facilmente
comprensibile l'importanza che tale attività aveva in una città di mare come
Taranto.
Dalla medesima resina si ricavano anche preparati medicinali e combustibili per
lanterne.
L'attività di estrazione della resina dagli alberi di Pino venne, già in età
romana, compresa fra quelle per le quali il fisco traeva una sorta di tassa di
concessione, come per le saline. Con Federico II
lo Stato tornò a vantare i
suoi diritti, imponendo il pagamento della quinta parte (la cosiddetta quintaria)
di quanto i proprietari (ma anche coloro che semplicemente intraprendessero tale
attività sulle pinete demaniali) ricavavano dall'estrazione.
Questa attività è continuata, in larga scala, sino alla seconda metà dell'800.
Altre piante dalle quali si ricavavano resine erano il
Lentisco (dal suo tronco si ricavava il mastice, di largo impiego
cosmetico e farmacologico, mentre dai frutti si otteneva un ottimo olio, l'olio
di stinge, adoperato come combustibile per lanterne), il Terebinto (la cui resina era la
trementina, il più celebrato balsamo dell'antichità) e, soprattutto il
Frassino minore (o Orniello). Quest'ultima è stato sino alla fine
dell'Ottocento oggetto di sfruttamento economico nel territorio di Castellaneta.
Dalla resina che si otteneva incidendo le foglie o i tronchi di questa
pianta si ricavava la manna, una
sostanza di diffusissimo impiego medico e dietetico. |
17 dicembre 2001 00:07
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