Il cotone e le altre piante
industriali
Parole
chiave: immagini,
rural landscape history, storia del paesaggio agrario, giardini, Taranto,
Puglia, Italia meridionale, paludi, bonifiche, cotone, lino
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Il lino
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L'utilizzazione
del lino per la produzione della fibra tessile passava per la fase
della macerazione dei fusti erbacei, che avveniva all'interno di pozze di
acqua stagnante. Con l'avvento della cotonicoltura molte di queste
paludi vennero trasformate in vasche per la
decantazione delle acque utilizzate per irrigare i campi, come
quella nel giardino di Gandoli (Leporano, in alto).
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La pianta
del lino rientrava nella rotazione agraria dei seminativi. Da essa si è a lungo ricavata
la principale fibra tessile vegetale, adoperata anche nelle produzioni domestiche
di tessuti artigianal.
Una volta raccolti, i fusti della pianta
dovevano essere sottoposti alla macerazione, per cui
venivano immersi in
mazzi all'interno di fiumi, pantani o invasi di acqua (curatori).
L'introduzione del cotone e dei provvedimenti che limitavano, per motivazioni
igieniche, il ristagno di acque maleodoranti, fece praticamente scomparire agli
inizi dell' 800 la linicoltura. |
Il cotone
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La cotonicultura
costituì fra '700 ed '800 una grande opportunità per
l'agricoltura jonica di uscire da schemi di una
struttura socioeconomica sclerotizzata da secoli e imbastita sul
binomio grano-pastorizia con la variante
dell'olivo.
Essa determinò
una vera e propria rivoluzione degli assetti colturali, che
interessò in particolare il territorio dei comuni di Leporano e
di Pulsano. Venne potenziata la fornitura idrica per i giardini
baronali e sorse una miriade di strutture dotate di impianti
di sollevamento a trazione animale (ingegne).
Estesamente interessati dalla coltura irrigua del cotone furono i
giardini
dislocati nelle forre lungo il litorale orientale, dotati per lo più di
risorgive perenni.
Anche le terre salmastre che circondavano le Saline
(Grande e Piccola), in precedenza abbandonate al pascolo brado, trovarono il
modo di essere adeguatamente ed insperatamente valorizzate dalla
piantagione del cotone.
Dall'alto a sinistra il pozzo e l'acquedotto che conduceva
l'acqua nel Giardino della Corte, del Principe Muscettola
di Leporano; una ingegna nel territorio di Pulsano;
la
forra di
San Francesco degli Aranci (Leporano-Taranto) e la Salina Grande
di Taranto.
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Le prime attestazioni di
coltura del cotone nel Tarantino risalgono al 1327, ma solo dalla fine del XVII secolo
il suo peso economico iniziò a crescere in maniera sensibile;la
massima diffusione si ebbe nel '700 e perdurò sino agli anni '60 dell'
800.
Il territorio
delle paludi di Taddeo, lungo il perimetro orientale del
seno Est del Mar Piccolo, allo sbocco del canale d'Aiedda, fu
avviato alla bonifica negli anni '30 del '700, e divenne una delle aree
elettive della cotonicoltura tarantina grazie alla
disponibilità di acqua. |
Il cotone era coltivato secondo due modalità. La prima,
di tipo
estensivo, era inserita nel ciclo agrario quadriennale,
costituendo la tipica coltura statotica (che completava cioè il ciclo vitale fra
primavera ed estate) e copriva il maggese l'anno che precedeva la semina
del grano. Condotta a secco, spesso senza le molteplici attenzioni
di cui necessitava, questa cotonicoltura rendeva molto meno, dava un
prodotto
meno pregiato e, soprattutto, era esposta all'alea delle capricciose
precipitazioni primaverili. La seconda modalità rispondeva alle elevate
(relativamente al periodo vegetativo) esigenze idriche della pianta;
a tal fine vennero bonificati e destinati ad essa
paludi,
pantani, lame, terre sommerse per periodi più o meno lunghi dell'anno,
ma anche saline
dismesse. In questi terreni, infatti, il periodo di carenza idrica
veniva ad
abbreviarsi
considerevolmente.I
migliori risultati si ottenevano, comunque, laddove la disponibilità di acqua
consentiva una regolare coltura irrigua, in particolare nelle paludi del Tara
e nei giardini del litorale orientale.
Il cotone alimentava anche un diffuso
artigianato, prevalentemente familiare.
Verso la fine del Settecento comparvero grossi imprenditori del settore tessile, che
attrezzarono officine con decine di telai, affidati in genere a mano d'opera femminile. Anche
lo Stato intervenne per incentivare questo potenziale fattore di crescita
economica, finanziando l'installazione di un vero e proprio opificio
pubblico in Taranto.
L'arretratezza dello strumentario impiegato non consentiva, tuttavia,
di competere (per costi e
per qualità) con le produzioni delle ben più agguerrite industrie tessili inglesi e francesi, per cui queste
iniziative ebbero vita breve, riconducendo l'attività tessile
all'originale ambito familiare.
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Riferimenti bibliografici:
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della cotonicoltura nell’economia del Tarantino, in Umanesimo della
Pietra-Verde 9, Martina Franca, (1994), pp 98-126.
M.A.
Visceglia: Lavoro a domicilio e manifattura nel XVIII e XIX secolo.
Produzione, lavorazione e distribuzione del cotone in Terra d’Otranto, in
AA.VV.: Studi sulla società meridionale, Napoli, 1978, pp. 233-271.
C.
Chirico: Gabelle e onciario: due sistemi di prelievo fiscale nella Taranto
economica del ‘700, in Cenacolo, XI-XII (1981-1982), pp. 119-138.
M.
De Lucia: Il ruolo della coltivazione e della manifattura del cotone in Terra
d’Otranto nel secolo diciannovesimo, in Annali del Dipartimento di
Scienze Storiche e Sociali dell’Università di Lecce, 1988.
17 dicembre 2001 00:07
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