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L'imperatore Augusto, fondatore della Praetoria Classis Misenenis
La base navale di Miseno, collocata al centro del Mediterraneo, contrituì ad assicurare a quest'area geografica 350 anni di pace
La base navale di Miseno era sede della prima legione dell'impero romano: la Prina Legio Auditrix
Uno fra gli imperatori romani più strettamente legati alla flotta di Miseno fu Lucio Domizio Enobarbo: Nerone. Per i militari della Classis allestì un favoloso Ebeterion nel suo Palatium di Baia
L'acqua potabile per la flotta imperiale di Miseno veniva dalle sorgenti del Serino, nel Sannio irpino: era portata da un acquedotto lungo 96 chilometri costruito in età augustea
Le Centum Ceallae (originariamente appartenenti alla villa di Q. Ortensio Ortalo) furono usate come deposito idrico per la flotta in aggiunta alla Piscina Mirabilis
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Il Collegio degli Augustali e la flotta imperiale di Miseno Secondo recenti studi, i collegia Augustalium della Campania furono i più antichi ad essere istituiti e, con ogni probabilità, ciò avvenne per la prima volta nei Campi Flegrei. L'origine e le caratteristiche di questi collegia sono ancora incerte, ma al silenzio delle fonti storiche sopperiscono numerose evidenze epigrafiche che ne mostrano la grande vitalitè fra il I e il II sec. d.C. E' significativo che la più alta concentrazione di tale documentazione sia stata riscontrata nel territorio ercolanese e flegreo, e soprattutto tra Puteoli e Misenum. Il Satyricon di Petronio è l'unica fonte letteraria che nomini i seviri Augustales; rivestono questa carica il liberto Trimalchione, tipico rappresentante degli arricchiti parvenus residenti nei dintorni di Baia, e due degli ospiti presenti alla sua memorabile cena. Cura degli Augustales era il mantenimento
del culto imperiale; essi compivano riti, indicevano giochi e presiedevano alle
cerimonie in onore degli imperatori divinizzati e in suffragio del genius
o numen delI'imperatore in carica. Il culto imperiale era infatti
ufficialmente destinato ai soli imperatori defunti: ma, di fatto, tale norma era
sovente ignorata, e ciò avvenne soprattutto nelle province (particolarmente in
quelle orientali), ove il culto dell'imperatore vivente assunse forma compiuta e
servì, in molti casi, come argomento politico dei vinti circa la loro fedeltà
verso Roma. Tanto più comprensibile l'affermarsi dell'istituzione augustale nel
territorio flegreo, ove notevole era l'incidenza della cultura e delle etnie
orientali, lo stretto rapporto tra Augustales e culti orientali trova del
resto conferma nella presenza attestata in alcune epigrafi, di Augustales
fra i sacerdoti della Magna Mater Cibele. Questa ricchezza si rifletteva nel peso degli Augustales negli affari della vita quotidiana, spesso esibito nella realizzazione di costose opere pubbliche e sempre sancito da dediche di statue e sacelli (come quello di Miseno). Tali espressioni di pietas religiosa erano ovviamente subordinate all'obiettivo di attestare il prestigio della confraternita e soprattutto al desiderio di ostentare lo status dei suoi membri, in molti casi liberti, giunti, grazie al potere economico, al controllo di un'importante sfera della vita religiosa romana
Nel 1967 fu rinvenuto un complesso d'età imperiale, formato da un ambiente centrale e due laterali che si aprono su un cortile porticato, destinato al culto dell'imperatore e sede del locale collegio degli Augustali: il <<Templum Augusti quod est Augustalium>> menzionato in una delle iscrizioni ivi rinvenute. Ci troviamo sulla striscia di terra tra punta Sarparella e punta Terone, anticamente occupata dai principali edifici pubblici della colonia: immediatamente a nord del sacello era il teatro, a sud edifici probabilmente forensi.
Il tempio, dedicato ad Augusto e a lui contemporaneo, ci è giunto nella forma che assunse in età antonina. In questo periodo (metà II sec. d. C.) furono praticati restauri e abbellimenti tra cui, per l'ambiente centrale, il sontuoso rifacimento del prospetto marmoreo, che fu anche spostato in avanti, con conseguente ampliamento del pronao. I lavori furono voluti da una Cassia Victoria in onore del marito, Laecanius Primitivus, sacerdote augustale dell'epoca di Marco Aurelio, noto anche da altre epigrafi. Il complesso, che era destinato al culto degli imperatori divinizzati, ha restituito le statue di alcuni imperatori (Vespasiano, Tito e Nerva) e di varie divinità fra cui Asclepio, Apollo e Venere, dea tutelare della gens Iulia. L'edificio fu distrutto verso la fine del II sec., probabilmente in seguito ad eventi sismici che causarono la frana del costone di tufo sovrastante.
Dei tre ambienti, il principale è quello centrale (A), sopraelevato rispetto agli altri: esso è composto da una cella rettangolare con le pareti laterali in opera reticolata e, nel lato di fondo, da un'abside scavata nel tufo. L'altare era situato all'esterno del tempio, a cui conduceva ad una gradinata marmorea fiancheggiata dalle statue di Venere e dell'imperatore Nerva; sono ancora visibili, sotto la superficie dell'acqua, le rispettive basi con iscrizioni. Il pronao marmoreo, costruito da Cassia Vittoria, era formato da colonne con capitelli a foglie d'acanto che reggevano l'epistilio con l'iscrizione dedicatoria e un frontone a timpano. Il frontone, attualmente custodito nel castello di Baia, ha nel timpano una decorazione di particolare interesse: due Vittorie che reggono una corona di quercia e, negli angoli, la prua di una nave e un delfino. Nella corona sono rappresentati un uomo e una donna nei quali, anche a causa del pileus (berretto sacerdotale) scolpito a rilievo molto basso tra i due ritratti, si èvoluto riconoscere il ritratto di L. Lecanio Primitivo con la moglie. Non sfuggì ai primi scopritori la notevole somiglianza del ritratto maschile con i tratti dell'imperatore Antonino Pio; e, invero, la posizione di spicco nel frontone sarebbe certamente più adatta a una coppia imperiale che a una di semplici cittadini (Lecanio era addirittura un liberto). Il volto femminile non sembra però presentare alcun punto di contatto con l'iconografia, ben nota, dell'imperatrice Faustina - moglie di Antonino; quello maschile, oltre la somiglianza, non mostra i caratteri compiuti del ritratto ufficiale che ci si aspetterebbe di trovare Misenum. Infatti i ritratti imperiali sicuramente identificati, rinvenuti nell'area del sacello (Vespasiano, Tito, Nerva), osservano tutti i canoni iconici di tipo ufficiale. Inoltre sia il pileus che la sintassi della composizione, legata strettamente ai ritratti, fanno certamente riferimento al collegio degli Augustali, di cui Lecanio Primitivo era stato uno dei membri più prestigiosi. Una soglia marmorea divide il pronao dalla cella. Qui si fece largo impiego di marmi policromi, sia alle pareti che nella fascia centrale del pavimento (opus sectile) che, per il resto, era in cocciopesto con riquadri di tessere bianche. La parete di fondo, ricavata nella roccia viva, era tripartita da un'abside centrale con due nicchie laterali, più piccole. La grande abside era intonacata e dipinta in rosso; la fine decorazione della volta a catino, andata in gran parte perduta, presentava stucchi a rilievo raffiguranti soggetti marini; ancora si riconoscono una conchiglia e una nereide su delfino. Qui doveva essere posta un'immagine di Augusto, ma lo scavo ha restituito solo la base con iscrizione votiva ad Augusto e al Genius Augustalium. Le nicchie laterali, di forma rettagolare, ospitavano le statue marmoree di Vespasiano e Tito in nudità eroica, trovate ancora in sito. A differenza di quello centrale, gli ambienti laterali si sviluppavano su due piani; nulla ci è tuttavia noto circa la funzione e la precisa conformazione dei piani superiori. L'ambiente a sinistra (B), a pianta rettangolare e con volta a botte, aveva il vano d'ingresso enfatizzato da semicolonne. Le pareti, di cui quelle in fondo e a sinistra erano ricavate nella roccia, erano decorate a stucco con specchiature a rilievo; il pavimento era tessellato in bianco con una fascia in nero. Qui si trovavano un simulacro di Asclepio e due statue muliebri. Del primo furono rinvenuti solo alcuni frammenti e la base con dedica al dio; sui lati di questa era l'iscrizione che ci permette di identificare con sicurezza il complesso come tempio di Augusto e sede degli Augustali. Delle statue femminili, una rappresentava l'Abbondanza, mentre l'altra ci è giunta acefala. Tra le macerie di questo ambiente è stata rivenuta la statua equestre di Domiziano/Nerva, di cui non è certa la collocazione originaria. L'ambiente di destra (C), a pianta
quadrata, ha la parte interna scavata nella roccia e coperta da una volta a
botte; una volta a crociera copriva invece la metà esterna, costruita in
muratura. Originariamente arricchite da pitture, oggi perdute, le pareti
conservano tracce della decorazione a stucco con motivi a lesene. L'area
antistante il sacello era delimitata lateralmente da porticati. Di quello a
destra sono state messe in luce, oltre a tre colonne in laterizio, porzioni del
muro di fondo e dell'ambulatio; il pavimento era a mosaico bianco e nero con
motivi geometrici. Un riquadro con iscrizione ricorda le opere che qui l'augustale
Q. Bebio fece eseguire a proprie spese. Del porticato di sinistra è invece stata
messa in luce solo parte del colonnato. Tutta l'area era ornata da numerose
statue di divinità e imperatori, dedicate dai notabili della colonia. A un
livello superiore, dietro l'ambiente C, è una cisterna che doveva soddisfare le
esigenze idriche del collegium.
La statua equestre, rinvenuta nel Sacello degli Augustali di Miseno, fu creata originariamente per Domiziano (81-96 d.C.) e riutilizzata, dopo la morte e la damnatio memoriae di questo imperatore, per raffigurare il suo successore Nerva (96-98 d.C.). Si è ipotizzato che la statua sia stata forgiata nell'ultimo periodo del principato di Domiziano, forse in occasione di un avvenimento di particolare rilievo per le città flegree. L'imperatore, in sella a un cavallo impennato, di cui trattiene l'impeto tenendo con la sinistra le redini, è raffigurato nel momento in cui scaglia una lancia. Tale impianto iconografico, che riflette un'ideologia militare e di conquista, era riservato al condottiero vittorioso e, in quel periodo, usato esclusivamente per gli imperatori Il modello scultoreo era quello fissato da Lisippo per Alessandro Magno, testimoniatoci da un bronzetto da Ercolano. Alessandro restò per secoli l'ideale del condottiero vincitore, del dominator, al cui atteggiamento veniva sovente affiancato, nel mondo romano, quello del pacator (espresso dalla posizione statica del cavallo, come nel Marco Aurelio del Campidoglio). L'imperatore porta sulla tunica una corazza corta decorata con motivi incisi e a rilievo: al centro è un'egida con gorgoneion, sotto il quale compaiono animali marini sia reali che fantastici; sullo spallaccio destro è un'immagine di Ercole bambino che strozza i serpenti. Altri elementi ornamentali si estendono, oltre che sulla corazza e la tunica, anche al paludamentum avvolto intorno al braccio sinistro. La scelta dei soggetti sembra strettamente connessa ai temi dell'ideologia domizianea; l'egida con gorgoneion, per esempio, è elemento iconografico connesso a Minerva, divinità che la propaganda imperiale considerava progenitrice della gens Flavia; il motivo di Ercole che strozza i serpenti inviati nella sua culla da Hera dovrebbe richiamare I'identificazione dell'imperatore con l'eroe, destinato sin da bambino a compiere eccezionali imprese. Gli animali marini alludono senz'altro al mare di Miseno: e sono ben comprensibili, se si tiene conto dei destinatari della statua, i marinai della flotta imperiale, ai quali Domiziano voleva apparire come signore e dominatore del mare. In realtà, proprio questa tendenza di Domiziano ad atteggiarsi a deus et dominus era fortemente invisa ai gruppi più conservatori del Senato; la sua uccisione fu salutata come la fine di un tiranno e il Senato subito ne decretò la damnatio memoriae. Tale provvedimento implicava, come indica l'espressione, la cancellazione, dopo la morte, di ogni segno che fosse connesso alla memoria del personaggio in questione; conseguenza più vistosa era l'abbattimento delle statue che lo rappresentavano e l'erasione di tutte le iscrizioni che lo celebravano; in genere, tuttavia le statue venivano riutilizzate, sostituendo le teste con quelle di altri imperatori. Così avvenne per il monumento misenate: lasciando immutata la figura del cavaliere, si sostituì soltanto la maschera facciale con quella del nuovo imperatore, lasciando intatta la parte posteriore della testa. |
Navigare necesse est, si diceva a quei tempi: l'impero romano riuniva tutti i territori circostanti quello che veniva chiamato Mare Nostrum. La navigazione, pertanto, era indispensabile tanto per i traffici commerciali quanto per la difesa militare. La flotta imperiale di Miseno aveva il compito di tenere sotto controllo l'intero Mediterraneo occidentale. Quella con sede a Ravenna, invece, aveva la responsabilità per il Mediterraneo orientale.
Marco Vipsanio Agrippa fu l'organizzatore della marina da guerra dell'Impero Romano e il progettista della base navale di Miseno. Gli fu concesso l'onore di cingere la "corona bavale"
Fra i più celebri ammiragli della flotta imperiale di Miseno va ricordato Gaio Plinio Secondo (detto il vecchio), autore della Naturalis Historia, morto nel 79 d.C. durante l'eruzione del Vesuvio di quell'anno
Le navi della flotta di Miseno erano costruite e armate nel bacino interno: si muovevano con relativa velocità sull'acqua grazie ad una sapiente velatura e alla forza di migliaia di braccia. Quelle dei rematori imbarcati a bordo di liburne e triremi, di quadriremi, pentaremi ed esaremi.
Intanto, dalle nebbie di un lontanissimo passato riemergono i nomi delle navi della flotta di Miseno. Ce li restituiscono le lapidi di marmo con le iscrizioni trovate nei Campi Flegrei e a Roma, a Ravenna, in Grecia, in Macedonia. Sono i nomi di liburne e triremi, di quadriremi e pentaremi. C'è, persino il nome, di una esareme. Si chiamava Ops. Un nome che era tutto un programma. Significava: la forza, la potenza..
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Aggiornato il: 18 febbraio 2003