ALLE PORTE DI NAPOLI, NEL CUORE DEL "MARE NOSTRUM" RIVIVE UNA STORIA MILLENARIA

Marco Vipsanio Agrippa
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L'imperatore Augusto, fondatore della Praetoria Classis Misenenis

 

 

La base navale di Miseno, collocata al centro del Mediterraneo, contrituì ad assicurare a quest'area geografica 350 anni di pace

 

 

La base navale di Miseno era sede della prima legione dell'impero romano: la Prina Legio Auditrix

 

 

Uno fra gli imperatori romani più strettamente legati alla flotta di Miseno fu Lucio Domizio Enobarbo: Nerone. Per i militari della Classis allestì un favoloso Ebeterion nel suo Palatium di Baia

 

 

L'acqua potabile per la flotta imperiale di Miseno veniva dalle sorgenti del Serino, nel Sannio irpino: era portata da un acquedotto lungo 96 chilometri costruito in età augustea

 

 

Le Centum Ceallae (originariamente appartenenti alla villa di Q. Ortensio Ortalo) furono usate come deposito idrico per la flotta in aggiunta alla Piscina Mirabilis

 

 

LATINO VIVO

Le parole, i nomi e le espressioni latine della flotta imperiale di Miseno. Clicca sul disegno per saperne di più....

 

 

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 La corona navale sul capo di Marco Vipsanio Agrippa

Generale e uomo politico romano, (Arpino 63 a.C. - 12 a.C.), organizzatore della flotta imperiale e costruttode della base navale di Miseno

Di modesta estrazione, fu messo in evidenza da Giulio Cesare che ne intuì soprattutto le grandi doti militari. Marco Vipsanio Agrippa, non solo seppe mettere a punto una potentissima flotta, ma portò, poi, a splendide vittorie l'esercito di Augusto in risolutive battaglie: a Milazzo e a Nauloco (36) contro Sesto Pompeo; ad Azio (31) contro Antonio. 

Come governatore in Gallia, Agrippa domò gli Aquitani, pacificò i Germani. Ma le sue doti militari si rivelarono magnificamente quando, con energia e rapidità, seppe dare a Roma una base navale con la costruzione del Portus Julius (riunì i laghi di Averno e Lucrino) e una poderosa flotta. Successivamente, trasferì la base navale nel duplice bacino (lacustre e marittimo) di Miseno: la macchina da guerra che organizzò rimase in perfetta efficienza per ben 5 secoli.  Offrì il suo ingegno anche nell'opera grandiosa di restaurazione dello Stato, da decenni sconvolto dalle guerre civili.

Augusto, che gli diede in moglie la figlia Giulia, lo tenne in tale considerazione da conferirgli i poteri più alti dopo di se. Oltre che politico e militare Agrippa fu il ricostruttore di Roma, attuando piani edilizi immensi e razionali. Provvide a far consolidare il suolo della città con notevoli opere di prosciugamento, fece edificare il Pantheon (27 a.C.), costruì strade e acquedotti nelle province. Scrittore e memorialista, predispose anche una grande carta del mondo allora conosciuto.

Agrippa ebbe tre mogli: Pomponia, Marcella e Giulia, figlia di Augusto, dalla quale ebbe Agrippina Maggiore, che sposò il generale Cesare Germanico. La sua immagine ci è stata tramandata, oltre che dalle monete del tempo, anche da una testa colossale con corona murale a Copenaghen e da una statua grandiosa a Venezia (Museo Archeologico).

Uomo politico esperto nella gestione delle risorse del territorio, progettista infaticabile, stratega avveduto  e ammiraglio vittorioso della flotta da lui ideata:  ecco chi fu Marco Vipsanio Agrippa, l'uomo che fece decollare la base di Miseno

Marco Vipsanio Agrippa, organizzatore della marina da guerra del nascente Impero Romano e fondatore della Praetoria Classis Misenensis, fu tra i pochi cpmandanti insigniti della corona navale, massimo riconoscimento che veniva attribuito a coloro che si distinguevano in imprese marittime. 

Quella che fu posata sul capo di Marco Vipsanio Agrippa, come ampiamente riferito dagli storici antichi (Tito Livio, Velleio Patercolo, Dione Cassio), fu la terza corona navale.  Lo avevano preceduto soltanto due condottieri marittimi: Caio Attilio Regolo e Marco Terenzio Varrone. Egli ne fu insignito da Ottaviano dopo la grande vittoria navale di Nauloco (3 settembre 36 a.C.) contro i pirati di Sesto Pompeo, figlio di Pompeo Magno, che occupava la Sicilia e bloccava con la sua potente flotta (350 navi) i traffici marittimi, conducendo, altresì, delle incursioni sulle coste tirreniche della penisola. La totale sconfitta di Sesto Pompeo (perse tutte le sue navi tranne 17, che fuggirono), che per i suoi molti precedenti successi si diceva figlio di Nettuno, pose termine alle angosce di Roma, la cui sopravvivenza era strettamente legata alla libertà dei mari. Il conferimento della corona navale ad Agrippa - il più grande degli ammiragli romani, che cinque anni dopo vinse anche l'ultima, importantissima, battaglia navale della repubblica (Azio, 2 settembre 31 a.C.) - incrementò ulteriormente la valenza di quell'onorificenza, che Seneca, filosofo romano del I secolo d.C., definì "la più alta delle onorificenze militari".

Marco Vipsanio Agrippa, organizzatore della flotta e della base navale di Miseno, in una rappresentazione scultorea utilizzata per una medaglia rievocativa

     

Nel mondo romano, infatti, le corone erano delle vere e proprie onorificenze; esse venivano normalmente conferite - unitamente ad altri premi (pecuniari o in natura, nell'ambito della ripartizione del bottino) - dal Comandante in Capo vittorioso (imperator) a coloro che si erano maggiormente distinti nell'azione. Naturalmente, se si trattava di premiare la massima autorità militare, la decisione spettava al Senato.

Le corone più diffuse erano la corona civica, per chi salvava la vita di un concittadino in combattimento, la corona murale, per il primo che superava le mura di una città nemica, e la corona castrense, per il primo che penetrava combattendo in un accampamento nemico. Sebbene gli insigniti fossero spesso dei militari semplici, quelle corone venivano considerate un premio ambitissimo anche ai massimi livelli: Scipione Emiliano fu particolarmente ammirato per aver ottenuto sul campo la corona murale e quella civica, e perfino l'imperatore Augusto venne ritenuto altamente onorato allorquando gli venne conferita la corona civica (per le vite dei concittadini ch'egli salvò nel porre fine alle guerre civili).

Ma una posizione di ben più elevato spicco era riservato alla corona navale, talvolta indicata come corona rostrata (per la sua foggia) o corona classica (perché veniva attribuita al Comandante di una flotta (classis).
Dallo scrittore romano Aulo Gellio, erudito del II secolo d.C., sappiamo che tale corona era d'oro ed ornata con la riproduzione di rostri (i poderosi speroni di bronzo fissati sulla prora delle navi da guerra) e che essa era stata concepita come premio per colui che, nella fase di arrembaggio di una battaglia navale, saltava per primo a bordo di una nave nemica. Nella prassi, tuttavia, tale motivazione (strettamente analoga a quelle relative alle corone murali e castrensi) non venne ritenuta sufficiente: infatti, tutti gli scrittori dell'antichità sottolinearono in vario modo l'estrema rarità del conferimento della corona navale (a fronte dell'elevatissimo numero di battaglie navali vinte dai Romani, soprattutto grazie agli arrembaggi) e l'eccezionalità dei meriti navali degli insigniti.

La prima corona navale venne assegnata al console Caio Attilio Regolo durante la prima guerra punica, come risulta da un breve frammento del Bellum Poenicum di Gneo Nevio, poeta epico del III secolo a.C.: in quella guerra, Roma osò sfidare, sul mare, la fortissima Cartagine, che era allora la maggiore potenza navale del Mediterraneo. Nel 257 a.C., Caio Attilio Regolo, al comando di una flotta di duecento quinqueremi alla fonda nelle acque di Tindari, avendo avvistato una flotta cartaginese di ottanta navi che si sarebbe subito disimpegnata data la disparità di forze, la costrinse al combattimento portandosi temerariamente contro il nemico con sole dieci unità e facendosi seguire, a distanza, dalla metà della sua flotta: in tal modo, perdendo solo nove unità, ne sottrasse diciotto ai Cartaginesi, che non osarono più ripresentarsi fino all'anno successivo, quando la flotta punica, forte di 350 navi, impegnò al largo di Ecnomo quella romana, di 330 unità, comandata dal console Marco Attilio Regolo: in occasione di quella che fu la più grande delle battaglie navali mai registrate dalla storia, sia per numero di navi partecipanti (680), sia per numero di uomini imbarcati (290 mila), Attilio Regolo riportò una splendida vittoria; ciò gli consentì di effettuare poi il primo sbarco navale di forze romane in Africa, altra brillante operazione, sotto il profilo prettamente marittimo, che sfociò, tuttavia, in un insuccesso nel teatro terrestre e nel sacrificio dello stesso Regolo.

La seconda corona navale venne conferita a Marco Terenzio Varrone circa un secolo più tardi: ce ne parla nella sua Storia Naturale Plinio il Vecchio, studioso enciclopedico romano del I secolo d.C., che fu peraltro l'Ammiraglio della flotta di Miseno all'epoca dell'eruzione del Vesuvio (79 d.C.) che distrusse Pompei. Varrone, celeberrimo per la sua vasta erudizione e per la copiosissima sua produzione letteraria, meritò la corona navale per essersi particolarmente distinto, nell'estate del 67 a.C., durante la guerra Piratica che venne condotta, sotto l'alto comando di Pompeo Magno, con straordinaria celerità ed efficacia e che consentì la completa bonifica del Mediterraneo dalla piaga della pirateria: si trattò, per i Romani, di un successo navale di eccezionale rilevanza visto che la pirateria, in quegli anni, aveva praticamente paralizzato i traffici marittimi vitali dell'Urbe.

La terza corona navale toccò a Marco Vipsanio Agrippa e, dopo di lui, di quel prestigioso emblema  volle avvalersi perfino l'Imperatore Claudio al rientro dalla sua vittoriosa spedizione navale in Britannia (43 d.C.) per l'avvio del conquista di quella provincia: avendo egli, come riferisce il suo biografo Svetonio (I-II secolo d.C.), "varcato e quasi domato l'Oceano", fece sistemare una corona navale sul frontone del palazzo imperiale sul Palatino.

La corona navale, in definitiva, conferita solo a tre valentissimi comandanti di flotte romane e adottata anche da un Imperatore di Roma, va considerata - come lo fu per i nostri lontani progenitori - lo splendido simbolo delle più elevate capacità di condotta delle operazioni marittime.

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Il volto di Agrippa ricostruito dai... giapponesi

Era proprio questa la fisionomia di Marco Vipsanio Agrippa, il fondatore della marina da guerra dell'Impero Romano, il braccio destro di Cesare Augusto, il promotore della base navale di Miseno? A quasi 2000 anni dalla sua morte (avvenuta nel 12 dopo Cristo) è assai difficile dirlo. Tuttavia, c'è stato chi si è impegnato in uno sforzo curioso e stimolante ed ha provato a ricostruire il volto del condottiero e uomo politico della Roma imperiale. Utilizzando le raffigurazioni scultoree disponibili e quelle effettuate sulle monete del tempo, rivisitate attraverso sofisticati programmi grafici, è venuta fuori l'immagine che viene qui presentata. Se interessasse sapere chi si è interessato a dare un volto al padre della flotta di Miseno. si prenda nota del fatto che la ricostruzione che ci presenta il volto di Agrippa è stata pubblicata in un sito... giapponese.

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Navigare necesse est, si diceva a quei tempi: l'impero romano riuniva tutti i territori circostanti quello che veniva chiamato Mare Nostrum. La navigazione, pertanto, era indispensabile tanto per i traffici commerciali quanto per la difesa militare. La flotta imperiale di Miseno aveva il compito di tenere sotto controllo l'intero Mediterraneo occidentale. Quella con sede a Ravenna, invece, aveva la responsabilità per il Mediterraneo orientale.

 

 

Marco Vipsanio Agrippa fu l'organizzatore della marina da guerra dell'Impero Romano e il progettista della base navale di Miseno. Gli fu concesso l'onore di cingere la "corona bavale"

 

 

Fra i più celebri ammiragli della flotta imperiale di Miseno va ricordato Gaio Plinio Secondo (detto il vecchio), autore della Naturalis Historia, morto nel 79 d.C. durante l'eruzione del Vesuvio di quell'anno

 

 

Le navi della flotta di Miseno erano costruite e armate nel bacino interno: si muovevano con relativa velocità sull'acqua grazie ad una sapiente velatura e alla forza di migliaia di braccia. Quelle dei rematori imbarcati a bordo di liburne e triremi, di quadriremi, pentaremi ed esaremi.

 

 

Intanto, dalle nebbie di un lontanissimo passato riemergono i nomi delle navi della flotta di Miseno. Ce li restituiscono le lapidi di marmo con le iscrizioni trovate nei Campi Flegrei e a Roma, a Ravenna, in Grecia, in Macedonia.  Sono i nomi di liburne e triremi, di quadriremi e pentaremi. C'è, persino il nome, di una esareme. Si chiamava Ops. Un nome che era tutto un programma. Significava: la forza, la potenza..

 

 

LA PRIMA LEGIO AUDITRIX

Erano i fedelissimi dell'imperatore. Clicca sulla foto 

 

 

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Aggiornato il: 18 febbraio 2003