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L'imperatore Augusto, fondatore della Praetoria Classis Misenenis
La base navale di Miseno, collocata al centro del Mediterraneo, contrituì ad assicurare a quest'area geografica 350 anni di pace
La base navale di Miseno era sede della prima legione dell'impero romano: la Prina Legio Auditrix
Uno fra gli imperatori romani più strettamente legati alla flotta di Miseno fu Lucio Domizio Enobarbo: Nerone. Per i militari della Classis allestì un favoloso Ebeterion nel suo Palatium di Baia
L'acqua potabile per la flotta imperiale di Miseno veniva dalle sorgenti del Serino, nel Sannio irpino: era portata da un acquedotto lungo 96 chilometri costruito in età augustea
Le Centum Ceallae (originariamente appartenenti alla villa di Q. Ortensio Ortalo) furono usate come deposito idrico per la flotta in aggiunta alla Piscina Mirabilis
| Vele e remi per dare velocità all'armata navale Scivolavano sull'acqua. Le navi della flotta imperiale si muovevano grazie alla forza del vento, sapientamente raccolto e orientato nelle imponenti vele latine, e a quella delle braccia di migliaia di marinai - in molti casi, schiavi, condannati ai lavori forzati o prigionieri di guerra - che muovevano a ritmi cadenzati dal tamburo i remi alliniati delle navi che si distinguevano fra loro, tra l'altro, per il numero degli ordini di remi: dalle liburne, che ne avevano due, fino alle esaremi, che ne avevano sei, passando per le triremi, le quadriremi e le pentaremi.
Rostri e corvi per rendere invincibile la flotta I "corvi". Gli strateghi della flotta imperiale avevano accunulato e perfezionato tutte le innovazioni che, nel corso del tempo, erano state sperimentate in battaglia al fine di organizzare e attrezzare le unità navali in modo da assicurare loro le più larghe possibilità di prevalere nel combattimento. Praticamente imbattibile negli scontri terresti, l'esercito romano venne organizzato in modo tale che potessero essere riprodotte anche in mare le condizioni di superiorità che lo caratterizzavano nelle battaglie terrestri. Sul ponte delle navi (sopratutto delle liburne e delle triremi, rispettivamente con due e tre ordini di rematori) era mintata una passerella di legno che all'estremità presentava un acuminato uncino: il corvo.
L'arrembaggio. L'obiettivo di ammiragli della flotta e comandanti delle navi era quello di manovrare ib modo tale da consentire alle unità dell'armata romana di affiancare le navi nemiche. Una volta completata questa manovra, la passerella veniva abbassata violentemente, grazie a un sistema di carrucole, e il corvo, penetrando profondamente nel legno del ponte della nave avversaria le stringeva in un abbraccio che il più delle volte si rivelava mortale. Attraverso la passerella, infatti, i soldati della Prima Legio Auditrix, allenati a questo nella Scola militum di Miseno, andavano all'arrembaggio affrontando i nemici in fuoriosi corpo a corpo sulle loro stesse navi, colpendo con le daghe e proiteggendosi con gli scudi. In pratica, si ripeteva sul mare lo stesso modello di scontro che le legioni romane praticavano a terra. Nella fase dell'avvicinamento della nave all'unità avversaria si utilizzavano tutte le armi a lunga gittata disponibili: dalle catapulte (che lanciavano pesanti proiettili di pietram, spesso imbevuti di pece e incendiati) e dalle baliste (che scagliavano dardi di grandi proporzioni) alle armi individuali, come frecce e giavellotti. Questa operazione produceva gravi danni alle navi avversarie (che spesso prendevano fuoco o imbarcavano acqua) e provocava ampi vuoti fra i combattenti e gli equipaggi, creando le migliori condizioni per il successo dell'arrembaggio finale.
Lo speronamento. Tutto questo, sempre che fosse fallita l'altra chance di cui le navi romane disponevano per poter mettere fuori combattimento le unità nemiche: quella dello speronamento, il cui successo era affidato agli acuminartissimi rostri collocati sulle prue delle navi da battaglia. Il rostro penetrava nella fiancata della unità nemica, facendola a pezzi e gettando lo scompiglio fra i rematori, l'equipaggio e i soldati imbarcati. L'acqua marina invadeva le stive, squilibrava progressivamente l'assetto dello scafo e, il più delle volte, provocava l'affondamento. dell'imbarcazione. Il rostro costituiva uno dei simboli più rappresentativi della flotta imperiale. Infatti, esso era frequentemente utilizzato come elemento decorativo e compariva persino sulla corona navale, il massimo riconoscinento che veniva attribuito agli ammiragli vittoriosi.
La flotta imperiale
LIBURNE
TRIREMI
QUADRIREMI
PENTAREMI
ESAREMI
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Navigare necesse est, si diceva a quei tempi: l'impero romano riuniva tutti i territori circostanti quello che veniva chiamato Mare Nostrum. La navigazione, pertanto, era indispensabile tanto per i traffici commerciali quanto per la difesa militare. La flotta imperiale di Miseno aveva il compito di tenere sotto controllo l'intero Mediterraneo occidentale. Quella con sede a Ravenna, invece, aveva la responsabilità per il Mediterraneo orientale.
Marco Vipsanio Agrippa fu l'organizzatore della marina da guerra dell'Impero Romano e il progettista della base navale di Miseno. Gli fu concesso l'onore di cingere la "corona bavale"
Fra i più celebri ammiragli della flotta imperiale di Miseno va ricordato Gaio Plinio Secondo (detto il vecchio), autore della Naturalis Historia, morto nel 79 d.C. durante l'eruzione del Vesuvio di quell'anno
Le navi della flotta di Miseno erano costruite e armate nel bacino interno: si muovevano con relativa velocità sull'acqua grazie ad una sapiente velatura e alla forza di migliaia di braccia. Quelle dei rematori imbarcati a bordo di liburne e triremi, di quadriremi, pentaremi ed esaremi.
Intanto, dalle nebbie di un lontanissimo passato riemergono i nomi delle navi della flotta di Miseno. Ce li restituiscono le lapidi di marmo con le iscrizioni trovate nei Campi Flegrei e a Roma, a Ravenna, in Grecia, in Macedonia. Sono i nomi di liburne e triremi, di quadriremi e pentaremi. C'è, persino il nome, di una esareme. Si chiamava Ops. Un nome che era tutto un programma. Significava: la forza, la potenza..
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