ALLE PORTE DI NAPOLI, NEL CUORE DEL "MARE NOSTRUM" RIVIVE UNA STORIA MILLENARIA

Gaio Plinio Secondo
Home Su Acta Diurna Portus Julius

 

Home
Acqua per la flotta
Turismo & cultura
Incontri

Home
Su
Acta Diurna
Portus Julius

 

 

 

 

 

 

L'imperatore Augusto, fondatore della Praetoria Classis Misenenis

 

 

La base navale di Miseno, collocata al centro del Mediterraneo, contrituì ad assicurare a quest'area geografica 350 anni di pace

 

 

La base navale di Miseno era sede della prima legione dell'impero romano: la Prina Legio Auditrix

 

 

Uno fra gli imperatori romani più strettamente legati alla flotta di Miseno fu Lucio Domizio Enobarbo: Nerone. Per i militari della Classis allestì un favoloso Ebeterion nel suo Palatium di Baia

 

 

L'acqua potabile per la flotta imperiale di Miseno veniva dalle sorgenti del Serino, nel Sannio irpino: era portata da un acquedotto lungo 96 chilometri costruito in età augustea

 

 

Le Centum Ceallae (originariamente appartenenti alla villa di Q. Ortensio Ortalo) furono usate come deposito idrico per la flotta in aggiunta alla Piscina Mirabilis

 

 

LATINO VIVO

Le parole, i nomi e le espressioni latine della flotta imperiale di Miseno. Clicca sul disegno per saperne di più....

 

 

Sali a bordo della flotta di Miseno

Visite d'istruzione, lezioni sul campo, percorsi formativi, stages e iniziative culturali

SCRIVI

TELEFONA FederMediterraneo 081-8540000, 081-5795242, 081-8044268, 347-4475322, 338-3224540

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Plinio il vecchio ammiraglio e scienziato

Gaio Plinio Secondo

Gaius Secundus Plinius, conosciuto come Plinius senior per distinguerlo dal figlio adottivo (Plinius jr), nacque a Como nel 23-4 dopo Cristo.. Educato a Roma, entro alla metà del secolo nella carriera equestre e comandò a lungo una squadrone di cavalleria sul Reno. Tornato in Italia nel c.58, si dedicò a studi retorici e grammaticali. Sotto l'impero di Vespasianus ebbe importanti funzioni pubbliche, divenne consigliere di Vespasianus e poi di Titus. Preposto alla flotta di capo Miseno, trovò la morte alla fine di agosto del 79, a Stabiae [oggi: Castellammare] nell'eruzione del Vesuvio. La sua tragica fine ci è narrata con ricchezza di particolari in una lettera di Plinius jr. Sempre a Plinius jr è dovuto un elenco (in Ep. III,5) delle opere storiche e retoriche di Petronius, di cui ci rimangono frammenti.

Completa ci è giunta l'opera enciclopedica Storia naturale (Naturalis historia) in 37 libri, uno dei capisaldi della cultura antica, molto letta anche nel medioevo. L'opera inizia con una prefazione e una bibliografia, e continua con la trattazione dell'astronomia e della geografia (libri 2-6), dell'uomo e degli altri animali (7-11), della botanica (12-19), della medicina (20-32), dei metalli e delle pietre e del loro uso in medicina, dell'arte e architettura (33- 37). Mescolando esperienze personali e testimonianze di fonti antiche, in uno stile manierato e a volte tortuoso, ci fornisce preziose notizie sulle conoscenze scientifiche e letterarie del tempo, esempio unico del profondo umanesimo e della vastità di interessi della cultura latina del I secolo.

Da Miseno al Vesuvio: appuntamento con... la morte

Plinio il Giovane, Lettere, VI, 16\h

 Caro Tacito, mi chiedi di scriverti della morte di mio zio affinché tu possa tramandarla ai posteri più adeguatamente. Te ne ringrazio: ritengo, infatti, che, se da te celebrata, alla sua morte potrà essere assicurata un'immortale gloria. Sebbene, infatti, egli sia morto in mezzo alla distruzione di un paese bellissimo per città e popolazioni, in una situazione degna di memoria, quasi per sopravvivere per sempre nel ricordo, e sebbene egli stesso abbia composto molte e durevoli opere, molto aggiungerà, al perdurare della sua fama, l'immortalità dei tuoi scritti. Io reputo, invero, beati coloro ai quali, per dono degli dei, sia dato di fare cose degne d'esser narrate e di scriverne degne d'essere lette; fortunati oltremodo coloro cui è dato questo e quello. Fra costoro, per i suoi ed i tuoi libri, sarà mio zio. È per questo che sono ben lieto di fare ciò che mi chiedi, ed anzi te lo chiedo io stesso come favore.

Egli (Plinio il Vecchio) era a Miseno ove personalmente dirigeva la flotta. Il nono giorno prima delle calende di settembre (24 agosto), verso l'ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta per forma e grandezza. Egli, dopo aver fatto un bagno di sole ed uno d'acqua fredda, se ne stava disteso, fatta una piccola colazione, a studiare: chiese le scarpe e salì in un sito donde poteva essere meglio osservato tale fatto straordinario. Una nube stava sorgendo e non era chiaro all'osservatore da quale monte s'innalzasse (si seppe, poi, essere il Vesuvio), il cui aspetto fra gli alberi s'assimilava soprattutto al pino. Essa, infatti, levatasi verticalmente come un altissimo tronco, s'allargava in alto, come con dei rami; probabilmente perché, innalzatasi prima spinta da una corrente ascendente, esauritasi, poi, o per cessazione della sua spinta, o vinta dal suo stesso peso, distesamente si espandeva: bianca a tratti, altra volta nera e sporca a causa della terra e della cenere che trasportava.

Da uomo eruditissimo qual era, egli ritenne che il fenomeno dovesse essere osservato meglio e più da presso. Ordina, allora, che gli sia apprestata una liburna (battello veloce), mi autorizza, se voglio, ad andare con lui, ed io gli dico che preferisco restare a studiare e, per puro caso, egli mi aveva assegnato dei lavori da stendere. Era sul punto d'uscir di casa: riceve un messaggio di Rectina, moglie di Tasco, atterrita dal pericolo che vedeva sovrastarla (la sua villa era, infatti, ai piedi del monte, e nessuna possibile via di scampo v'era tranne che con le navi); supplicava d'esser sottratta a tale pericolo. Egli, allora, mutò consiglio e, quello che intendeva compiere per amor di scienza, fece per dovere. Dette ordine di porre in mare le quadriremi e s'imbarcò egli stesso, per portare aiuto non alla sola Rectina, ma a molti (infatti, per l'amenità dei siti, la zona era molto abitata). S'affretta proprio là donde gli altri fuggono, va diritto, il timone volto verso il pericolo, così privo di paura da dettare e descrivere tutti i fenomeni della tragedia che si compiva esattamente come si presentava ai suoi occhi. Già la cenere pioveva sulle navi, sempre più calda e densa quanto più esse si avvicinavano; e si vedevano già pomici e ciottoli anneriti e bruciati dal fuoco e spezzati, poi un passaggio e la spiaggia bloccata dai massi proiettati dal monte. Dopo una breve esitazione indeciso se tornare indietro come gli suggeriva il pilota, esclama: la fortuna aiuta gli audaci, dirigiti verso Pomponiano! Questi si trovava a Stabia, dall'altro lato del golfo, verso la meta di esso; infatti, il mare ivi s'incunea seguendo la linea di costa disegnando una curva. Quivi Pomponiano, sebbene il pericolo non fosse imminente, ma considerando che tale potesse presto divenire, aveva trasferito su navi le sue cose, pronto a fuggire non appena il vento si fosse calmato. Ma questo era, invece, favorevole a mio zio che veniva in direzione opposta, abbraccia l'amico impaurito, lo incoraggia, lo conforta e, per calmarne le paure con la propria sicurezza, chiede di essere portato al bagno, si lava, cena allegramente o, assai più probabilmente, fingendo allegria. Frattanto dal monte Vesuvio, in molte parti risplendevano larghissime fiamme e vasti incendi, il cui risplendere e la cui luce erano resi più vividi dalla oscurità della notte. Per calmare le paure, mio zio diceva che si trattava di case abbandonate che bruciavano, lasciate abbandonate dai contadini in fuga. Poi se ne andò a dormire e dormì di un autentico sonno, se il suo rumoroso russare, reso più fragoroso dalla corporatura massiccia, veniva udito da quanti origliavano oltre la soglia. Nel frattempo, il livello del cortile s 'era cosi tanto innalzato per la caduta di cenere e pomici che non sarebbe più potuto uscire dalla stanza se avesse più oltre atteso.

Ma, nel cortile, attraverso il quale si andava a quell'appartamento, si era tanto accumulata la cenere mista a pietre, che per poco che egli si fosse fermato nella stanza non avrebbe potuto più uscirne. Svegliato egli ne esce e ritorna da Pomponiano e dagli altri che non avevano chiuso occhio. Si consultarono tra di loro se dovessero restare in casa o uscire all'aperto, dal momento che la casa era colpita da frequenti e lunghe scosse, e come colpita nelle fondazioni, mostrava or qua or là di cadere. Ma, ad uscire allo scoperto si temeva nuovamente il cadere delle pietre, sebbene leggere e prive di forza. Valutati i pericoli fu scelto quest'ultimo partito, prevalendo in lui una più matura riflessione; negli altri un più forte timore. Messi dei cuscini sul capo li legano bene con lenzuoli; questo faceva da riparo a ciò che cadeva dall'alto.

Già altrove faceva giorno, ma là era notte, più scura e fitta di ogni altra notte; ancor che molte fiamme e varie luci la rompessero. Egli volle uscire sul lido e guardare da vicino se fosse il caso di mettersi in mare; ma questo era, tuttavia, tempestoso ed impraticabile. Quivi, buttatosi su un lenzuolo disteso, domanda dell'acqua e beve per due volte. Intanto le fiamme e un odore sulfureo annunziatore delle fiamme fanno sì che gli altri fuggano ed egli si riscuote. Sostenuto da due servi si leva e spira nel punto stesso; dal momento che il vapore che aumentava gli impedì, cosi come io penso, il respiro e gli serrò lo stomaco, già di sua natura debole, stretto e soggetto ad un frequente bruciore. Come fu giorno (era il terzo da quello della sua morte) il corpo di lui fu ritrovato intero ed illeso, con indosso i medesimi vestiti, ed in atteggiamento più di un uomo che dorme che di un uomo già morto. Io e mia madre eravamo intanto a Miseno. Ma ciò non riguarda questa storia; né tu da me volesti sapere altro che della sua morte. Dunque concluderò. Aggiungerò solo che ho fedelmente esposto tutto ciò che vidi io medesimo o che subito dopo (quando i ricordi sono più veritieri) intesi dagli altri. Tu tirane fuori il meglio, poiché altro è scrivere una lettera; altro (raccontare) una storia; altro parlare ad un amico; altro (parlare) a tutti. Addio.

 

Quella tragedia vissuta dalla base navale di Miseno...

Plinio il Giovane, Lettere, VI, 20\h

Caro Tacito, tu dici che, mosso dalla lettera che io ti scrissi, a tua richiesta circa la morte di mio zio, desideri sapere (ciò che avevo cominciato e poi interrotto) non solo i timori, ma anche quali avvenimenti abbia io sofferto essendo rimasto a Miseno. Benché l'animo inorridisca a ricordare, comincerò.

Partito lo zio, passai il restante tempo (perché ero rimasto per questo) a studiare, poi il bagno, la cena ed un sonno breve ed inquieto. Molti giorni prima si era sentita una scossa di terremoto; senza però che vi si desse molta importanza, perché in Campania è normale; ma in quella notte fu così forte che sembrò che non si scuotesse, ma che crollasse ogni cosa. La madre corse nella mia stanza, ed io pure mi alzavo per risvegliarla se mai dormisse. Ci sedemmo nel cortile della casa che la separava dal mare, per un breve tratto. Io non so se chiamarlo coraggio o imprudenza perché toccavo appena i 18 anni. Chiedo un volume di Tito Livio e così, per ozio, mi metto a leggere e continuavo anche a farne appunti. Quand'ecco un amico ed ospite dello zio, appena venuto dalla Spagna, alla vista mia e di mia madre seduti, ed io che per giunta leggevo, rimprovera lei per la propria indolenza e me di poco giudizio, ma non per questo io levai l'occhio dal libro. Già faceva giorno da un'ora e pur tuttavia la sua luce era incerta e quasi languente, già erano crollate le case intorno e benché fossimo in un luogo aperto ma angusto grande e certo era il timore di un crollo.

Allora, finalmente ci parve bene di uscire dalla città. Ci segue una folla sbigottita e ciò che nello spavento appare come prudenza, antepone il proprio parere all'altrui e in gran massa incalza e preme chi fugge. Usciti dall'abitato ci fermammo. Quivi assistiamo a molti fenomeni e molti pericoli. Infatti i carri che ci facemmo venire dietro sebbene il terreno fosse pianeggiante andavano indietro e neppure con il sostegno di pietre restavano nello stesso punto. Inoltre si vedeva il mare riassorbito in sé stesso e quasi respinto dal terremoto. Certamente il litorale si era allargato e molti pesci restavano a secco. Dal lato opposto una nera ed orrenda nube squarciata dal rapido volteggiare di un vento infuocato si apriva in lunghe lingue di fuoco; esse erano come lampi e più che lampi. Allora, quel medesimo amico venuto dalla Spagna, con più forza ed insistenza: "Se tuo fratello, disse, se tuo zio vive, vi vorrebbe salvi; se è morto vorrebbe che voi gli sopravviviate; perché dunque indugiate a scappare?" Al che rispondemmo: "Non abbiamo l'animo, incerti della sua salvezza, di provvedere alla nostra". Egli non esita oltre e se la dà a gambe e a gran corsa si sottrae al pericolo; né passò molto tempo che quella nube discese a terra e coprì il mare. Aveva avvolto e nascosto Capri e tolto dalla vista il promontorio di Miseno. Allora la madre cominciò a pregarmi, a scongiurarmi, a ordinarmi, che, in qualunque modo io fuggissi; lo facessi io perché giovane; ella, appesantita dall'età e dalle (stanche) membra sarebbe morta felice di non essere stata la mia causa di morte.

Ma io risposi di non volermi salvare che con lei; poi pigliandola per mano la costringo ad affrettare il passo; ella mi segue a stento e si lamenta perché mi rallenta (il cammino).

Avresti udito i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti; gli uni cercavano a gran voce i padri; gli altri i figlioli; gli altri i consorti; chi commiserava la propria sorte; chi quella dei suoi. Vi erano di coloro che, per timore della morte, la invocavano. Molti supplicavano gli dei; molti ritenevano che non ve ne fossero più e che quella notte dovesse essere l'ultima notte del mondo. Né mancavano quelli che con immaginari e bugiardi spaventi accrescevano i veri pericoli. Vi erano di quelli che, bugiardi, ma creduti, dicevano di venire da Miseno e che esso era una rovina e (completamente) incendiato.

Fece un po' di chiaro; né questo ci sembrava giorno, ma piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Se non che il fuoco si arrestò più lontano; nuova oscurità e nuovo nembo di fitta cenere; noi ci alzavamo a tratti per toglierla di dosso; altrimenti ne saremmo stati se non coperti schiacciati. Potrei gloriarmi che in tante calamità non mi sia uscito un lamento, né una parola men che virile, se non avessi trovato gran conforto alla morte il credere che in quel momento con me periva tutto il mondo. Finalmente si attenuò quella caligine e svanì come in fumo e nebbia; quindi fece proprio giorno ed apparve anche il sole, ma scolorito come suol essere quando è in ecclisse. Agli occhi ancor tremanti tutto si mostrava cambiato e coperto da un monte di cenere, come se fosse nevicato. Ritornati a Miseno e ristorate alla meglio le membra si passò una notte affannosa ed incerta tra la speranza ed il timore. Ma il timore prevaleva.

Intanto continuavano le scosse di terremoto e molti, fuori di senno, con le loro malaugurate predizioni si burlavano del proprio e del male altrui. Noi, però, benché salvi dai pericoli ed in attesa di nuovi, neppure allora pensammo di partire, finché non si avesse notizia dello zio. Queste cose, non degne certamente di storia, le leggerai senza servirtene per i tuoi scritti; né imputerai che a te stesso, che me le hai chieste, se non ti parranno degne neppure di una lettera. Addio  

 

Dal Circeo a Neapolis, accompagnati da Plinio

 

Con queste parole, Gaio Plinio Secondo, nel III libro della "Naturalis Historia", descrive il territorio compreso fra Terracina e Neapolis. Immaginiamo di essere su una biga romana e di percorrerlo assieme a lui...

Aliud miraculum a Cerceis palus Pomptina est, quem locum XXIIII urbium fuisse Mucianus ter consul prodidit. dein flumen Aufentum, supra quod Tarracina oppidum, lingua Volscorum Anxur dictum, et ubi fuere Amyclae sive Amynclae, a serpentibus deletae, dein locus Speluncae, lacus Fundanus, Caieta portus, oppidum Formiae, Hormiae dictum, ut existimavere, antiqua Laestrygonum sedes. ultra fuit oppidum Pirae, est colonia Minturnae, Liri amne divisa, Clani olim appellato, Sinuessa, extremum in adiecto Latio, quam quidam Sinopen dixere vocitatam.

Hinc felix illa Campania, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnes terras incluto atque, ut veteres dixere, summum Liberi Patris cum Cerere certamen. hinc Setini et Caecubi protenduntur agri; his iunguntur Falerni, Caleni, dein consurgunt Massici, Gaurani Surrentinique montes. ibi Leborini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. haec litora fontibus calidis rigantur praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.

In ora Savo fluvius, Volturnum oppidum cum amne, Liternum, Cumae Chalcidensium, Misenum, portus Baiarum, Bauli, lacus Lucrinus et Avernus, iuxta quem Cimmerium oppidum quondam, dein Puteoli colonia Dicaearchea dicti, postque Phlegraei campi, Acherusia palus Cumis vicina;

Litore autem Neapolis, Chalcidensium et ipsa, Parthenope a tumulo Sirenis appellata, Herculaneum, Pompei haud procul spectato monte Vesuvio, adluente vero Sarno amne, ager Nucerinus et p. a mari ipsa Nuceria, Surrentum cum promunturio Minervae, Sirenum quondam sede. navigatio a Cerceis de patet. regio ea a Tiberi prima Italiae servatur ex discriptione Augusti.

 

 

 

HOME

 

 

 

 

Navigare necesse est, si diceva a quei tempi: l'impero romano riuniva tutti i territori circostanti quello che veniva chiamato Mare Nostrum. La navigazione, pertanto, era indispensabile tanto per i traffici commerciali quanto per la difesa militare. La flotta imperiale di Miseno aveva il compito di tenere sotto controllo l'intero Mediterraneo occidentale. Quella con sede a Ravenna, invece, aveva la responsabilità per il Mediterraneo orientale.

 

 

Marco Vipsanio Agrippa fu l'organizzatore della marina da guerra dell'Impero Romano e il progettista della base navale di Miseno. Gli fu concesso l'onore di cingere la "corona bavale"

 

 

Fra i più celebri ammiragli della flotta imperiale di Miseno va ricordato Gaio Plinio Secondo (detto il vecchio), autore della Naturalis Historia, morto nel 79 d.C. durante l'eruzione del Vesuvio di quell'anno

 

 

Le navi della flotta di Miseno erano costruite e armate nel bacino interno: si muovevano con relativa velocità sull'acqua grazie ad una sapiente velatura e alla forza di migliaia di braccia. Quelle dei rematori imbarcati a bordo di liburne e triremi, di quadriremi, pentaremi ed esaremi.

 

 

Intanto, dalle nebbie di un lontanissimo passato riemergono i nomi delle navi della flotta di Miseno. Ce li restituiscono le lapidi di marmo con le iscrizioni trovate nei Campi Flegrei e a Roma, a Ravenna, in Grecia, in Macedonia.  Sono i nomi di liburne e triremi, di quadriremi e pentaremi. C'è, persino il nome, di una esareme. Si chiamava Ops. Un nome che era tutto un programma. Significava: la forza, la potenza..

 

 

LA PRIMA LEGIO AUDITRIX

Erano i fedelissimi dell'imperatore. Clicca sulla foto 

 

 

..

In barca a MISENUM ogni sabato e domenica dalle 10,30, porticcolo di Capo Miseno

PRENOTA Ass. Misenum  081-5233977, 338-9416639, 338-8911536

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Linea diretta con la storia

Il redattore dell'agenzia giornalistica "Progetto Mediterraneo" Eusebio Abbate, attraverso il programma Messenger, raccoglie in tempo reale osservazioni, notizie, proposte, immagini e tutto quello che può servire a legare sempre più strettamente i siti Web del programma "Scuola & territorio" e i loro utenti

eusebioabbate@hotmail.com

Scarica il programma Messenger (cliccando sul disegno) e installalo sul tuo PC: stabiliremo un contatto diretto..

 

Questo sito web è stato visitato

volte dal 30 gennaio 2003

 Il sito web "La flotta imperiale di Miseno" è una iniziativa della Feder Mediterraneo, organizzazione indipendente non governativa membro della Task Force ONG del Consiglio d'Europa

Ultimo aggiornamento il 18/02/03.

 FEDER MEDITERRANEO

Via V. Scala 30 is.B/A-21, I - 80128 Napoli

Tel. 081-8540000 e 081-6796242, Rtf. 347-4475322 e 338-3224540, e-mail feder-mediterraneo@libero.it, siti web "Feder Mediterraneo" http://www.feder-mediterraneo.too.it e "Scuola & territorio" http://www.scuola-territorio.too.it.

Copyright © 2003 FEDER-MEDITERRANEO
Aggiornato il: 18 febbraio 2003