Nereo Villa, "IL SACRO SIMBOLO DELL'ARCOBALENO, Numerologia biblica sulla Reincarnazione" (Prefazione), SeaR Edizioni, Reggio Emilia, aprile 1998

Prefazione (Descrizione degli undici capitoli) - Premessa (Distinzione fra unità di misura e unità aritmetica) - Introduzione - La creazione - Cap. 1° - Il riconoscimento dell'Io - Cap. 2° - La colomba, la nave e il pesce - Cap. 3° - Il mondo delle essenze - Cap. 4° - Imbarcazioni - Cap 5° - Non si può sopprimere l'arcobaleno - Cap. 6° - Dall'arcobaleno all'iride - Cap. 7° - L'arca, l'alfabeto astrale e il karma - Cap. 8° - Il geroglifico dell'infinito - Cap 9° - Il prete Gianni - Cap. 10° - L'albero della conoscenza... del Karma - Cap. 11° - La pentola d'oro

DALL'ARCOBALENO ALL'IRIDE

 

Partiremo ora dai sette colori dell'arcobaleno.

Poiché - come è stato dimostrato da Goethe nella sua famosa teoria dei colori - ciascuno di essi ha un proprio complementare, per esempio, al rosso corrisponde il blu, all'arancione l'indaco, al giallo il viola e così via, immaginiamo di aggiungere un secondo "arco", una seconda semicirconferenza di altrettanti colori, derivante dalla combinazione dei precedenti. Ne risulta un circolo di 14 colori, cioè un doppio "arco", formato dai 7 colori principali e dai 7 complementari.

Il 14 è un numero la cui singolarità è di indicare un punto limite, grazie al quale si può procedere in un terreno nuovo: quello della manifestazione del divino. Ciò può essere chiarito se si tengono in considerazione alcuni importanti fattori: il significato misterioso che si scopre pieno di sorprese nella lettera NUN, che occupa il quattordicesimo posto nell'alfabeto ebraico ed ha il valore numerico 50, l'etimologia stessa della parola "arcobaleno" e la conoscenza delle caratteristiche del numero 14 anche presso altre tradizioni.

Il valore numerico 50 della quattordicesima lettera ebraica NUN, per la sua simbologia, va oltre l'idea di tempo. Tutto ciò che rientra nel concetto di tempo è, per il mondo ebraico, compreso entro il concetto del 40. Si parla infatti dei 40 giorni di peregrinazione di Elia sull'Horeb, dei 40 anni di Mosè nel deserto, dei 40 giorni di digiuno, ecc. Il concetto del 40 si estende fino al 49. Poi incomincia un altro mondo. E' un mondo in cui si accede a una conoscenza superiore. Tale conoscenza è l'accoglimento di qualcosa di completamente nuovo: la rivelazione dello spirito di verità. Quest'ultima è espressa nel cristianesimo in una festa che cade il 50° giorno dopo Pasqua che, proprio per questo motivo, è denominata Pentecoste.

E' necessario soffermarci ad approfondire come nella rivelazione dello spirito di verità si possa parlare numerologicamente dell'idea di "ritorno" dall'al di là.

Se il concetto di tempo è connesso con il 40, il mondo spazio-temporale è rapppresentato, nella tradizione ebraica, dal numero 7 e il 7 nel 49 incontra se stesso. Infatti:

7 x 7 = 49

Il 50 appartiene all'ottavo giorno, quello della resurrezione. Come il 7 progredisce all'8, così il 49 progredisce al 50; come una nota musicale è la ripetizione di se stessa, a livello superiore, in quanto "ottava", così la resurrezione è la rivelazione dello spirito di Pentecoste.

Il 14 prelude dunque a una conoscenza che supera ogni altra conoscenza. Questa caratteristica del 14 è nota non solo nel mondo della lingua ebraica ma anche in quello della lingua sanscrita e cioè nel meraviglioso poema divino della Bagavad Gita. Esso propone a partire dal capitolo 14 una "conoscenza rivelata superiore a quella esposta nei capitoli precedenti"(1) e inizia così:

"Di nuovo proclamerò la suprema, la sapienza delle sapienze,
conoscendo la quale tutti i saggi, al dipartirsi,
hanno conseguita la perfezione
suprema..."(2).

Da quel punto del poema in avanti è spiegato che chi acquisisce tale conoscenza si libera dal ciclo delle reincarnazioni e "diventa qualitativamente uguale a Dio, la persona suprema"(3).

La lettera NUN, cioè la quattordicesima lettera dell'alfabeto ebraico e il suo valore numerico, il 50, trovano dunque corrispondenze pluritradizionali. Nelle corrispondenze simboliche relative alla tradizione islamica, essa rappresenta soprattutto "la balena"(4), e questo si inserisce nel significato originario dell'ebraica "nun" che, come parola, significa "pesce".

La parola "arcobaleno" è formata da "arco" e "baleno". "Arco", "arcobaleno", in ebraico si dicono "kesheth". "Baleno" deriva da "balenare" e "da balena, nel senso

dell'apparire improvviso di un animale fantastico"(5). Si ricordi altresì che secondo la tradizione ebraica il cosmo stesso è fondato sulla schiena del pesce(6).

Per la tradizione indù la manifestazione sotto forma di pesce (Matsya-avatara) è ritenuta la prima fra tutte le "discese" ("avatara" in sanscrito) del Principio divino nel mondo manifestato, cioè di Vishnu, che discende per conservare e salvare il mondo.

L'idea di "salvatore" è pure collegata al simbolismo cristiano del pesce in quanto il pesce venne preso come simbolo del Salvatore per eccellenza, cioè il Cristo, l'"Ichthus" greco, che significa "pesce"(7).

Inoltre, anche nella tradizione islamica si parla del profeta Giona (Seyidna Yunus) in relazione alla lettera Nun, tanto che egli viene chiamato "Dhun Nun".

Per capire meglio queste somiglianze, occorre tenere conto del fatto che, per la tradizione indù, Vishnu, il quale si manifesta sotto forma di pesce, ordina a Satyavrata, il futuro legislatore, di costruire l'arca in cui avrebbero dovuto essere rinchiusi i germi del mondo futuro. Satyavrata guida poi l'arca sulle acque durante il cataclisma, segnacolo di separazione fra un ciclo temporale (manvantara) e un altro.

Il ruolo di Satyavrata è dunque simile a quello di Noè, il "Seyidna Nuh" della tradizione islamica, la cui arca contiene pure tutti gli elementi (arcani) che serviranno alla restaurazione del mondo dopo il diluvio.

Se paragoniamo la storia di Giona a quella di Noè e di Satyavrata, vediamo che la balena, invece di svolgere soltanto la funzione del pesce che guida l'arca, si identifica in realtà con l'arca stessa(8); Giona infatti rimane chiuso nel corpo della balena - come Satyavrata e come Noè nell'arca - per un periodo di oscuramento corrispondente all'intervallo fra due stati o due modalità d'esistenza. Si sa d'altronde che "l'uscita di Giona dal ventre della balena è sempre stata ritenuta un simbolo di resurrezione"(9), dunque del passaggio a un nuovo stato. La cosa assume ancora più importanza se si pensa al senso di 'nascita' che, nella Cabala ebraica soprattutto, si annette alla lettera NUN.

Tutto questo è indicato dalla forma stessa della lettera "n" dell'alfabeto arabo, che si chiama pure "nun". Essa è costituita dalla metà inferiore di una circonferenza e da un punto che è al centro della circonferenza stessa.

Si tratta, in realtà, di una raffigurazione dell'arca galleggiante sulle acque, il cui punto centrale rappresenta il germe che vi è contenuto o nascosto, un germe, che, per la sua posizione centrata è detto "germe d'immortalità" e "nucleo indistruttibile che sfugge a tutte le dissoluzioni esterne"(10). Esso per svilupparsi, implica l'uscita dell'essere dal suo stadio esistenziale precedente e dall'ambiente cosmico che ne costituisce il luogo specifico, proprio come Giona, che "ri-approda" sulla terra uscendo dal corpo della balena.

Questa semicirconferenza ha dato lo spunto allo studioso René Guénon (1886-1951) per il rilevamento di affinità esistenti fra alfabeti di lingue tradizionali diverse. Egli indica che nell'alfabeto sanscrito la lettera "na", ricondotta ai suoi elementi geometrici essenziali, si compone anch'essa di una semicirconferenza e di un punto centrale, anche se in modo simmetricamente opposto: semicirconferenza e punto centrale costituiscono "la metà superiore della circonferenza, e non più la sua metà inferiore come nel "nun" arabo", mostrando così "la stessa figura rovesciata, o, per essere più esatti, sono due figure rigorosamente complementari l'una dell'altra"(11).

Se si uniscono queste due figure, i due punti centrali coincidono formando il centro di un unico cerchio:

Esso, rappresentando un ciclo completo, è il geroglifico indicante il sole nella lingua egiziana antica(12) e, allo stesso tempo, simbolo solare nell'astrologia e simbolo aureo nell'alchimia.

Viene così evidenziata una complementarità di simboli fra la figura dell'arca, espressa dalla semicirconferenza inferiore e la figura dell'arcobaleno, espressa da quella superiore.

Proprio come il sole descrive un cerchio nel suo giro apparente da una parte all'altra del cielo, così il suo simbolo astrologico è raffigurato da quel cerchio completo, espresso dalla "n" sanscrita (Oriente) come sole levante, e dalla "n" araba come sole calante.

Manifestazioni del nesso fra "pesce" e "arcobaleno", le troviamo anche nella mitologia greca.

Per il suo carattere sfavillante e luminoso, Apollo, il dio di Delfi, era identificato con il Sole(13).

E "delfís" è il delfino, il cui ruolo di guida delle anime beate verso le "isole fortunate"(14), si identifica con le funzioni dell'"arca", del delfús (inteso come utero), nonché della "balena", quelle cioè di portare, al proprio interno, il "germe d'immortalità".

In questo contesto mitologico, va ricordato inoltre che Iride, l'arcobaleno, è messaggera di Zeus, padre di Apollo.

Ma la simbologia del pesce si estende fino al segno del Capricorno, che, nell'astrologia caldea, veniva detto "Pesce caprino" e corrispondeva al periodo che andava, all'incirca, dal 21 dicembre al 19 gennaio.

 

 

In tale periodo il Sole, attraversando quella parte di cielo nel punto cosmico più lontano dalla Terra, appariva (ed appare) più basso all'orizzonte rispetto agli altri mesi dell'anno. La Luna piena, al centro del cielo, appariva (ed appare), invece, più grande del Sole, condizione espressa nel simbolo astrologico del Capricorno, in cui la parte superiore sta a rappresentare la Luna rispetto alla Terra (parte inferiore del segno).

In questo periodo cade la festa del Natale, espressione della nascita vera e propria all'interno dell'uomo di quelle forze solari, "germi d'immortalità", che sembrano essere in questa fase così lontani ed è per tale ragione che la festa del Natale, corrispondeva anticamente alla "festa del Sole".

Questo è anche il motivo per cui la diciassettesima lettera dell'alfabeto ebraico, la PHE, - ritorna il 17 - è detta zodiacale del Capricorno. "Capro", "capricorno", in ebraico si dice "ghedi":

in lettere GHIMEL-DALET-IOD, in valori numerici 3-4-10, somma totale diciassette. Il valore numerico della diciassettesima lettera è 80. L'otto, simbolo dell'infinito, è anche espressione dell'eterno ritorno e, nell'ottanta, l'otto è posto al livello superiore, quello delle decine.

La lettera immediatamente precedente la PHE, che come parola significa "bocca", è la lettera HAIN, che come parola significa "occhio" e anche nello sviluppo dell'embrione umano tale ordine è rispettato: in senso cronologico, prima compaiono gli abbozzi dell'occhio, poi quelli della bocca.

Il valore numerico della lettera HAIN, dell'"occhio", è 70 e HAIN è la zodiacale del Sagittario. Questo segno, la cui frase-chiave è proprio "Io vedo", è rappresentato dal centauro che tiene in mano "kesheth", l'"arco".

Anche nell'occhio umano vi è un "arcobaleno" superiore, l'iride, in cui il 7 che è il numero dei suoi colori, diventa 70, esprimendo così la possibilità di percezione di tutti i colori possibili dell'universo(15).

Iride, nella mitologia, non a caso era portatrice della conoscenza delle verità superiori o della sapienza degli dei. Simboleggiando l'arcobaleno, era il tramite fra la Terra e il Cielo, fra gli dei e gli uomini, che l'arcobaleno rende percepibile. Era inoltre incaricata come Ermes (Mercurio), di portare messaggi, ordini o consigli degli dei e soprattutto di Zeus(16).

Dalla lettera NUN alla conoscenza della Verità, dall'arcobaleno all'iride, tutto il percorso è collegato al vedere dell'occhio e alla luce del Sole. Veggenza e illuminazione sono anch'essi "visibili" nel 14, se solo ci si distacca dal modo ordinario di intendere i numeri. L'esempio che segue mostrerà che il 14 è legato non solo alla possibilità di luce ma anche a quella della vita stessa.

Se infatti intendiamo il 14 come rapporto fra 1 e 4, abbiamo in ebraico la parola "ed", scritta appunto con la prima (ALEF) e la quarta (DALET) lettera dell'alfabeto.

Il significato di "ed" è espresso nel secondo racconto biblico della creazione come la prima apparizione di qualcosa di vivente sul pianeta: un elemento acqueo(17). E poiché anche l'uomo è formato per la maggior parte di quell'elemento vitale acqueo si chiama "adam" e si scrive con quelle due lettere più la "emme" finale ("MEM": valore numerico 40)::


"adam"

Ora, se accanto al rapporto 1-4 di "ed" si colloca l'1-4-40 di "adam" e, per estensione simmetrica, un'altra sequenza numerica, l'1-40-400, si ottiene la parola "emet", il cui significato è "verità":

1 - 4
1 - 4 - 40
1 - 40 - 400


"emet"

Infatti 1-40-400 sono i suoi valori numerici relativi alle sue lettere ALEF-MEM-TAW, simmetriche a quelle di "adam" e di "ed".

E' sorprendente come, da questo punto di vista numerologico, si possa dire che la Verità è imparentata con la vita dell'uomo (Adam).

Il sistema numerico usuale comprende i numeri naturali, gli interi, i numeri razionali, gli irrazionali, ecc. Di questo sistema sfugge però quasi sempre la sua caratteristica forma numerologica. La logica capace di collegare espressioni quantitative a contenuti qualitativi, tanto estetici quanto etici, è appunto questo: una maggiore consapevolezza dei conte nuti conoscitivi dell'elemento spirituale della vita, poggianti anche su base matematica.

La Verità viene dunque anche dai numeri, portando consé la liberazione da ogni contenuto ideologico, congetturato o creduto a priori.

La Verità che viene, se è Verità, libera da ogni ideologia.

Di conseguenza dovrebbe essere anche portatrice di calma, di pace.

Per sostenere infatti il risultato di un'operazione aritmetica, tante bandiere, inni, fervori politici, religiosi o guerre, non servono. Uno più uno fa sempre due - naturalmente - così come un arcobaleno può comparire dopo la tempesta.

Le possibilità di pace tra i popoli del mondo dipenderanno sempre infatti dalle possibilità di libertà e di pace fra le religioni e le chiese del mondo e dalla misura in cui queste ultime sapranno poggiare su Verità. Tutti gli altri valori come il benessere sociale o la felicità saranno sempre più avvertiti come secondari da una cultura sana "Può esistere non una società orientata alla felicità, ma solo una società orientata alla verità" dice per esempio il fisico Carl Friedrich von Weizsacker(18), famoso studioso della scissione nucleare e delle oorigini del sistema planetario.

"Contare" sulla Verità è scorgere il valore delle cose alla luce del Sole, sperimentando la calma, la moderazione, l'omperturbabilità, la pace, la temperanza...

Si tratta in fondo della pace del 14° Tarocco, relativo alla lettera NUN, quattordicesima dell'alfabeto ebraico, il cui nome è appunto "La Temperanza".

Adesso si può scorgere in che modo la pace può essere legata all'arcobaleno secondo la promessa divina e secondo... i messaggi di Iride, sinfonie di colori della Verità, che anche l'occhio umano può percepire se solo riesce a sollevare un po' il suo sguardo dalla terra al cielo...


NOTE

(1) A. Charan De, "La Bagavad Gita così com'è", Ed. Bhaktivedanta, p. 572.
(2) M. L. Kirby e C. Jinarajadasa, "La Bagavad Gita o Poema Divino", Ed. Alaya, p. 126.
(3) A. Charan De, "La Bagavad Gita così com'è", Ed. Bhaktivedanta, p. 572.
(4) R. Guénon, "Simboli della Scienza Sacra", Ed. Adelphi, p. 141.
(5) G. Devoto, "Dizionario etimologico", Ed. CDE, p. 41.
(6) Cfr. nell'Introduzione a p. 5.
(7) Il termine greco "Ichthus" è considerato un acrostico, cioè un "vocabolo composto dalle lettere iniziali delle seguenti parole: Iesoùs Christòs Theoù Hyiòs Sotèr (che significano: "Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore")" ("Enciclopedia dei simboli" Garzanti, p. 391).
(8) R. Guénon, "Simboli della scienza sacra", Ed. Adelphi, p. 141 e ss.
(9) ibid.
(10) ibid.
(11) ibid.
(12) G. Farina, "Grammatica della lingua egiziana antica", Ed. Hoepli.
(13) F. Comte, "I grandi miti", Ed. Vallardi, p. 57.
Nel libro "I grandi iniziati" di E. Schuré, troviamo inoltre: "Apollo emerge a Delfo dalla grande notte; tutte le dèe ne salutano la nascita; egli si avvia con l'arco e la cetra; le chiome ondeggiano al vento, la faretra tintinna sugli omeri; palpita il mare e tutta l'isola risplende, avvolta di fiamme e d'oro. E' l'epifania della luce divina che con la sua augusta presenza crea l'ordine, lo splendore e l'armonia di cui la poesia è meravigliosa eco - il Dio giunge a Delfo e con le sue frecce trafigge un mostruoso serpente che atterriva la contrada, purifica il paese e fonda il tempio. Nelle antiche religioni, il serpente simboleggiava talvolta il cerchio fatale della vita e dei mali che essa arreca. Ma da quella vita oppressa e prostrata rinasce la conoscenza. L'Apollo che uccide il serpente simboleggia l'iniziato che trafigge la natura con la scienza, la domina con la sua volontà e, spezzando il fatidico cerchio della carne, sale nello splendore dello spirito mentre i tronconi recisi dell'animalità umana si contorcono nella sabbia. Apollo è il maestro dell'espiazione, della purificazione dell'anima e del corpo. Imbrattato del sangue del mostro ha espiato, si è egli stesso purificato in un esilio durato otto anni. [...] In autunno fa ritorno nella sua patria, nella regione degli Iperborei, quel popolo misterioso dall'anima fulgida e trasparente che vive nell'eterna aurora di una perfetta felicità; è lì che si trovano i suoi preti, le sue dilette sacerdotesse. Vive con loro in intima e profonda comunione; e quando vuol fare agli uomini un dono regale, porta loro dagli Iperborei una di quelle grandi anime luminose e la fa nascere sulla terra, per istruire e ammaliare i mortali. Lui stesso torna a Delfo ogni primavera, quando il popolo intona inni e peana. Giunge, visibile ai soli iniziati, nel biancore iperboreo, su un carro trainato da cigni melodiosi e riprende dimora nel Santuario dove la Pizia enuncia i suoi vaticini, dove lo ascoltano sapienti e poeti. E allora si alza il canto degli usignoli, la fonte Castalia ribolle di onde d'argento e fiotti di luce abbagliante, di musica celestiale, raggiungono il cuore dell'uomo fino alle vene della natura.
Da questa leggenda degli Iperborei, emerge in raggi fulgenti il significato esoterico del mito di Apollo. La terra iperborea è l'Aldilà, il regno delle anime vittoriose la cui aurora astrale illumina zone multicolori. Lo stesso Apollo rappresenta la luce materiale e intelleggibile di cui il sole non è che l'immagine fisica, e dalla quale fluisce ogni verità". (E. Schuré, "I grandi iniziati", Ed. Newton, pp. 202-203).
Anche in queste parole di Schuré ritroviamo l'"arco", il "sole", l'"otto", ecc., qui scritte in corsivo in quanto simboli dal concordante significato.
(14) R. Guénon, "Simboli della Scienza Sacra", Ed. Adelphi, n.19, p. 140.
(15) Il 70 è un modo per indicare la massima estensione possibile di categorie concettuali. Per esempio si parla della traduzione dei "settanta" come del testo più autorevole dell'Antico Testamento. Si potrebbe dire che esso è formato da 70 diversi modi di vedere le Scritture. Così si parla di 70 popoli della Terra, intendendo tutti i popoli esistenti, delle 70 lingue, delle 70 saggezze, dei 70 anziani: cioè di tutte le pensabili possibili lingue, saggezze, ecc...
Anche il "70 volte 7" di Gesù, detto a proposito del perdono (Matteo, 18,22), significa che bisognerebbe perdonare all'infinito.
(16) Cfr. "Enciclopedia dei miti", Ed. Garzanti, p. 351.
(17) Genesi, capitolo 2, versetto 6. (Le varie traduzioni riportano "nebbia", "vapore", "acqua di fondo", "getto d'acqua", "umidità", "sorgente", "acqua dei canali", sempre però si tratta di qualcosa di umido, di acqueo).
(18) H. Küng, "Perché sono ancora cristiano", Ed. Marietti, p. 47.

Data creazione pagina: 18/05/2002 - Ultima modifica: 30 settembre, 2012.