CRITICA LOCALE
LA LETTERA DI RALPH NADER ( nostra esclusiva la versione italiana ) |
[08 marzo 2008]La difesa del diseredato politico 14/12/2007 di Ralph Nader Gail Collins, l'editorialista del New York Times, ha un problema. Mentre scrive regolarmente in modo satirico e talvolta banale sulle debolezze dei due grandi candidati presidenziali corporativi, lei riesce a malapena a nascondere il suo disprezzo per i piccoli candidati, i diseredati. In un recente editoriale su ciò che ha visto come la ripetitività e le piccole meschinità di H. Clinton (e del suo portavoce), di B. Obama e J. Edwards, lei ha attaccato in modo inspiegabile la presenza dell'ex senatore Mike Gravel in un dibattito patrocinato dal National Public Radio: "Che accidenti sta facendo Mike Gravel sul palco? Non c'eravamo sbarazzati di lui 10 o 20 dibattiti fa?". Questo congedo può essere visto dai lettori come una risata o come una battuta impulsiva. Non è così con Ms Collins. Ha poca tolleranza per l'allargamento dei dibattiti televisivi ai candidati sapientoni, come dice lei perché non sono favoriti e senza la possibilità di superare i loro super - bassi sondaggi. Né perde il sonno per la NBC (una filiale della General Electric)che ha mantenuto l'anti nucleare Mr Gravel fuori dal suo dibattito tenuto a Philadelphia il mese scorso perché non aveva ancora raccolto un milione di dollari. Il trattamento di "2° livello" che Ms Collins riserva ai candidati del Partito democratico, come Mike Gravel e Dennis Kucinich, è da sottolineare per almeno tre ragioni. In primo luogo, anche se lei è una progressista più levigata rispetto alla sua più radicale, giovinezza passata come piccola reporter per il Connecticut State News Bureau, io scommetterei che è d'accordo con i discorsi al Congresso del due volte senatore Gravel e con la sua attuale posizione sulla guerra in Iraq, responsabilità presidenziale, potere corporativo e criminale e sul maltrattamento dei lavoratori, dei consumatori e dei pazienti senza assicurazione. In secondo luogo, per diversi anni (conclusi pochi mesi fa) ha presieduto la pagina editoriale del New York Times producendo alcuni dei migliori editoriali nella storia del giornale. Tra i molti temi ben considerati, sono stati inseriti: le cronache dei viaggi elettorali, i dissidenti, i diritti delle piccole imprese e dei lavoratori e, in particolare, le libertà civili e i diritti della minoranza e lettorali afflitte da una miriade di abusi e ostruzioni politiche. In terzo luogo, ha scritto un libro sulla storia dei diritti delle donne in America - dal titolo "America's Women" (William Morrow, 2003), che deve aver colpito in modo sensibile quelle sol itarie autodidatte, note come suffragette, insieme a quei partiti molto piccoli e anche le più piccole candidate che premono per il diritto di cittadinanza del voto femminile. Ella sa che ci sono molti modi facili per vincere le elezioni. Nelle ultime settimane, la pagina editoriale del suo giornale ha aperto ferite importanti alle somiglianze nella convergenza tra democratici e repubblicani, prendendo seriamente quest'ultimo compito su questioni nazionali importanti. Dubito molto che Gail Collins non sia d'accordo con questi editoriali. In realtà, in privato è ancora più critica della politica di status quo in questo paese. Si può supporre che pertanto essa darebbe il benvenuto al pluralismo e alle scelte di tutelare la cittadinanza durante i periodi elettorali, includendo anche il terzo partito e i candidati indipendenti. In fondo, non siamo tutti contenti che l'accesso allo scrutinio fosse così facile nel 19° secolo, rispetto a oggi, quando i piccoli partiti come l'anti-schiavitù, diritti delle donne o populisti del lavoro e contadini arrivarono agli scrutini e avviarono riforme importanti, ignorate dai democratici, repubblicani e conservatori. Queste piccole avanguardie non arrivarono vicino alla conquista della presidenza, eccezion fatta per i populisti, vinsero molte elezioni congressuali. Porta Gail Collins indietro nel 19° secolo e lei sarebbe ad urlare per quei valorosi, pochi, elettori e candidati che votarono e corsero contro i principi dell'apprendistato affaristico, dei grandi partiti spesso fanatici. Qui, nel XXI secolo, Gail Collins scrive le prediche dei valori progressisti e poi si allunga verso il punto morto delle conclusioni - stare con il candidato meno cattivo dei Partiti principali. Proprio come i piccoli semi necessitano di una possibilità di germogliare per rigenerare la natura e sostenere l'umanità, come le piccole imprese vogliono la possibilità di innovare il mondo degli affari, anche i piccoli candidati la vogliono. Grazie a loro spesso si arricchisce il dialogo politico, si fanno riconoscimenti tardivi verso gli avversari, anche se non vinceranno le elezioni in un sistema truccato, costoso dove chi vince prende tutto, privo sia del voto di fuga che delle regole di rappresentanza proporzionali. Editorialisti come Gail Collins e il suo collega umano, Bob Herbert, odiano il fatto di andare in questi settori della fertilità politica. Invece, la loro scelta degli abusi politici e corporativi scorre nei solchi stretti, ripetitivi, del servilismo politico - non solo nei solchi del duopolio partitico e anche del candidato favorito. Quindi gli editorialisti progressisti, che ci sono, stringano con forza le loro mani perché il Partito Democratico, i suoi storici e i suoi principali candidati non ascoltano le loro conclusioni, le istanze e le speranze per il popolo americano. Essi continueranno a stringere le loro mani fino a quando non rinchiuderanno le loro menti in un "cul de sac" che in assoluto non ammetta nemmeno l'idea che le alternative politiche personali e partitiche dovrebbe avere visibilità. Apri un po' la tua mente, Gail Collins, e potresti imparare qualcosa circa la necessità di una struttura che permetta alla sovranità del popolo di esprimersi in una varietà di modi pratici, tra cui le iniziative nazionali. Tu rideresti di Mike Gravel avendo difficoltà a spiegare la sua attenta proposta per una iniziativa nazionale durante le pause dei dibattiti. Invece, prova a scrivere un pezzo sul perché alcuni professori famosi di diritto costituzionale pensano che vi sia una solida base costituzionale per tale proposta. Questo sarebbe un buon modo per suscitare un serio dibattito sul mito del governo del popolo, nel popolo e per il popolo. Tali dissertazioni contribuirebbero ad approfondire una campagna presidenziale molto superficiale e decidereste voi se volete liberarvi di Mike Gravel dai cosiddetti dibattiti. E voi e la vostra professione, che regolarmente confessa la noia a causa dei principali candidati, potreste effettivamente trovare qualche entusiasmo nel vostro lavoro quotidiano. |
[March 08 2008]Covering the underdog 14/12/2007 By Ralph Nader Gail Collins, the columnist for the New York Times, has a problem. While regularly writing in a satirical or sometimes trivial way about the foibles of the two major Parties' front - running presidential candidates, she can scarcely hide her disdain for the small starters, the underdogs. In a recent column about what she saw as the repetitiveness and small-mindedness of Hillary Clinton (and her spokesman), Barack Obama and John Edwards, she took this unexplained swipe at former Senator Mike Gravel's presence in a debate sponsored by National Public Radio: "What the heck is Mike Gravel doing back on stage? Didn't we get rid of him 10 or 20 debates ago?". This dismissal may be seen by some readers as a laugh or as an impulsive throwaway line. Not so with Ms. Collins. She has little tolerance for filling media debate chairs with candidates pundits, like her believe candidates who are not front runners do not have a chance to overcome their super - low polls. Nor does she lose any sleep over NBC (a subsidiary of General Electric) keeping the anti-nuclear Mr. Gravel out of its hosted debate in Philadelphia last month because he had not yet raised a million dollars. Ms. Collins' treatment of the "second tier" candidates in the Democratic Party, such as Mike Gravel and Dennis Kucinich, is remarkable for at least three reasons. First, although she is a more sand - papered progressive than in her more radical, younger days as a small starter reporting for the Connecticut State News Bureau, I'll bet she agrees with much of the two - time Senator Gravel's record in Congress and his present positions on the war in Iraq, Presidential accountability, corporate power and crime and the mistreatment of workers, consumers and uninsured patients. Second, for several years ending a few months ago, she presided over the New York Times editorial page, producing some of the finest editorials in the paper's history. Among many well considered subjects, were included such as: standing up for whistle - blowers, dissenters, the rights of small business and workers and especially, the civil liberties and rights of minority voters afflicted with myriad electoral abuses and obstructions. Thirdly, she has written a book about the history of women's rights in America - titled "America's Women" (William Morrow, 2003), which must have touched in a sensitive way those lonely self-starters, known as suffragettes, along with those very small parties and even smaller candidates pressing for the female voting franchise. She knows there are many ways to win short of winning an election. In recent weeks, her paper's editorial page has delivered brilliant excoriations of the similarities in the converging the Republican and Democratic Parties, taking the latter severely to task on important national issues. I doubt very much that Gail Collins disagrees with these editorials. In fact, privately she is known to be even more critical of the political status quo in this country. One might surmise that she should therefore welcome more voices and choices to come before the citizenry during election times, including more third party and independent candidates as well. After all, aren' t we all glad that ballot access was so easy in the nineteenth century, compared to today, that small parties like the anti-slavery, women's rights, labor and farmer-populist parties got onto the ballots and pioneered hugely important agendas, ignored by the Democratic, Whig and Republican Parties. These small starters never came close to winning the Presidency o, except for the populist parties, winning many Congressional elections. Put Gail Collins back into the 19th century and she would be whooping it up for those valiant few voters and little candidates who voted and ran against the grain of the business-indentured, often bigoted major Parties. Here in the twenty-first century, Gail Collins writes the predicates of progressive values and then sprawls to the dead-end conclusions - stay with the least-worst major Party candidates. Just as small seeds need a chance to sprout to regenerate nature and sustain humankind, just as the tiniest of businesses need to have a chance to innovate in the business world, so too, small candidates need to have the chance. For they can often enrich the political dialogue, move the big boys to overdue recognitions, even if they do not have a chance to win on election day in a rigged, moneyed, winner-take all system, bereft of both instant run-off voting and proportional representation procedures. Columnists such as Gail Collins and her humane colleague, Bob Herbert, abhor going into these fields of political fertility. Instead, their rendition of political and corporate abuses flows into the repetitive, narrow ruts of political servility - not just the two party duopoly ruts but its major candidate groovers. So progressive columnists, such as there are, wring their hands over why the Democratic Party, its incumbents and its major candidates do not heed their findings, their pleas, their hopes for the American people. They keep on wringing their hands until they encase their minds in a cul-de-sac that categorically disallows even a contemplation that political alternatives in person and party should be given visibility. Open you mind a little, Gail Collins, and you might learn something about the need for frameworks that enable the sovereignty of the people to be expressed in a variety of practical ways, including national initiatives. You may laugh at Mike Gravel having difficulty explaining his studious proposal for a national initiative during sound-bite debates. Instead, try writing a column on why some noted constitutional law professors believe there is a sound constitutional basis for such a proposal. This would be a good way to spark a serious debate about the myth of government of the people, by the people and for the people. Such an excurses would help deepen a very shallow Presidential campaign and be more becoming to you than wanting to rid Mike Gravel from the so-called debates. And you and your profession, who regularly confess boredom with the major candidates, might actually find some excitement in your daily work. |
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