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Formatosi verso il 1000, il Comune di Bormio già nel XII secolo gestiva sia i diritti giurisdizionali, civili e penali della curia che quelli fiscali della gastaldia, dietro il pagamento di un censo ai propri feudatari, i von Matsch, rappresentanti in loco dell'alto signore feudale, il vescovo di Coira. Occupato nel 1201 dai comaschi, Bormio subì lo sgradito protettorato lariano che, esauritosi alla fine del '200, lasciò finalmente libero il fiorente borgo alpino di tornare sotto la blanda signoria del vescovo di Coira che consentiva ai bormini di autogovernarsi e contrarre patti e alleanze con potentati vicini. In quel momento di fortissima autonomia, in un inventario dell'archivio comunale del 1344 è elencato un ampio gruppo di vessilli: affidati alla custodia del canepario del Comune troviamo "un vessillo di seta nuovo, tredici bandiere di seta, tredici aste una delle quali con punta in ferro, una pezza di seta di un vessillo vecchio e sei banderuole nuove fatte nel 1324". Nel momento in cui venne redatto questo inventario il Comune possedeva così un vessillo principale e altre diciannove bandiere che, realizzate in periodi diversi, erano a disposizione per essere utilizzate. Se poi nel 1344, anno in cui fu redatto l'inventario, si consideravano ancora come "nuove" sei banderuole fatte vent'anni prima, possiamo desumere che dovevano risalire ai primi anni del '300 i vessilli privi dì qualsiasi datazione, mentre per il vessillo definito "vecchio" possiamo a questo punto supporre che risalisse agli ultimi decenni del '200, tenendo questa datazione come quella più antica in cui possiamo registrare un uso di insegne comunali a Bormio. Come consuetudine, trattandosi di un sintetico inventario, i vessilli non risultano descritti; così non abbiamo la certezza che rappresentassero già l'usuale insegna bormina di rosso alla croce d'argento, ma la sua estrema semplicità, tipica di un'araldica arcaica, lo rende assai probabile. Inoltre la possibilità che l'insegna di Bormio altro non sarebbe che quella del Comune di Como che, come era usuale, l'avrebbe imposta al borgo alpino (facilmente nel '200 ancora privo di un suo emblema) in segno di soggezione (così come probabilmente avvenne a Lugano e Mendrisio, entrambi soggetti alla città lariana e con stemmi dì rosso alla croce d'argento), ci induce a pensare che questa insegna fosse già in uso in epoca medioevale. Sempre dallo stesso inventario troviamo in uso ben due sigilli comunali, uno parvum, piccolo, e uno anticum, definizione che confermerebbe l'esistenza di un apparato simbolico completo, sigillo + bandiere, ben prima del 1344.I sigilli di Bormio attestavano che i documenti non erano più carte private compilate da un semplice notaio, ma solenni atti pubblici redatti da un cancelliere che potevano essere addirittura liberi trattati di alleanza con potentati stranieri, come quello stipulato in quegli anni tra il Contado bormiese e Ludovico di Brandeburgo conte del Tirolo. il sigillo era dunque un segno tangibile dell'autonomia del Contado di Bormio. Abbiamo finalmente delle chiare raffigurazioni dello stemma di Bormio a partire dal XV secolo: la più arcaica si trova in un avanzo di affresco dell'antico Palazzo Pretorio, dove in uno scudo a testa di cavallo, in una tipologia araldica di gusto rinascimentale, troviamo la croce bianca in campo rosso. Lo stemma apparirà in seguito con un ampio uso: raffigurato sugli statuti bormini, sulle colonne del Kuerc' dove si amministrava la giustizia, all'interno della collegiata, o su edifici di proprietà del Comune come i Bagni Vecchi. La sua forma, data la semplicità dell'emblema, sarà piuttosto stabile; solo la croce subirà delle variazioni, dettate più che altro dalle mode del momento. Per tutto il XVI secolo la croce sarà piana come ci appare ancora su uno dei più eleganti stemmi bormini, quello raffigurato sul libro dei beni di comunità del 1594 dove un bello scudo a testa di cavallo è affiancato dalle lettere CO. BV. (Comunitas Burmii). Nei secoli successivi la forma della croce si adatta alle ridondanti mode barocche; i bracci si allargano verso l'esterno e si accorciano; in un esemplare settecentesco lo stemma è soffocato da svolazzi, cartigli, e trofei tipici della pomposa araldica di quel periodo. L'emblema passa quasi in secondo piano risultando poco leggibile e la corona decorativa che sovrasta lo scudo allude, più che all'incerto titolo di contea, alla concreta condizione di territorio privilegiato, ampiamente autonomo più protetto che suddito dei Grigioni. Lo stemma e la bandiera erano quindi i simboli visivi, l'essenza simbolica del Contado di Bormio. Quando nel 1797 senza troppi entusiasmi anche il Contado di Bormio seguì la Valtellina nel distacco dai Grigioni, l'emblema rossocrociato con gli altri simboli delle vecchie forme politiche, fu preso di mira dai pochi partitanti cisalpini locali. Lo stemma venne abraso, cancellato, la bandiera dispiccata dal torrione dell'orologio. Nel tragico epilogo che portò all'esecuzione dei tre personaggi più coinvolti nell'incanto e dispotico predominio giacobino, con l'accusa di tradimento si rimproverò anche espressamente "d'aver fatto radere lo Stemma del Contado e dispiccare la bandiera". Con l'annessione alla Cisalpina i bormini, se pur avevano sperato di mantenere le loro libertà, furono presto disillusi; cosi lo stemma del Contado decadde a semplice stemma municipale. Oggi lo stemma ha trovato un suo riconoscimento ufficiale nell'Art. 2 dello Statuto comunale: "il Comune ha un proprio emblema costituito da croce bianca in campo rosso con sovrapposta corona comitale e scritta Comunitas Burmii" descrizione che, equivocando sull'antico titolo di contea, attribuisce incautamente un preciso grado comitale alla tradizionale corona con fioroni degli stemmi bormiesi che in realtà potremmo semmai definire come patriziale. Lo stemma rossocrociato bormino gode ancora oggi una diffusione e un uso famigliare anche al di fuori degli ambiti strettamente amministrativi: lo si trova spesso raffigurato con eleganza e buon gusto sulle facciate di alberghi o edifici pubblici di Bormio e lo ritroviamo anche sulle etichette dei vari prodotti tipici o liquori locali.


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