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L'odio e l'ira omicida regnano sovente in ciascuno di noi, sin dai tempi di Caino e Abele e da allora nulla è mutato.
Si susseguono, fratello contro fratello, guerre, ingiustizie, sopraffazioni ed intolleranze.
Questo odio, che come un cancro ci fa malati e simili alle bestie, si è mantenuto inalterato ed è arrivato sino a noi, in una società che si considera moderna e civile. Senza tutto ciò, la nostra Terra sarebbe un paradiso. Questa violenza contro i nostri simili ha avuto, durante i secoli, aspetti diversi: dalla guerra alla schiavitù, dai giochi san tra gladiatori negli anfiteatri romani per il sollazzo di un pubblico beota sino alle torture inenarrabili per motivi politici o religiosi.
Nel mio dipinto, che definirei di denuncia, ho voluto mostrare un aspetto marginale, uno specchio di vita contemporanea, che mascherato da gara sportiva, mantiene intatto, anche se narcotizzato, un aspetto della violenza.
Mi riferisco ad un incontro di box e in particolare verso la fine del combattimento. Su di un ring, illuminato a giorno, cinto da un quadrato di corde, quasi ad impedire ai due contendenti qualsiasi possibilità di fuga, si vedono due furie scatenate, avvinghiate in un truce duello, che non hanno nulla di umano.
Uno dei due sta per soccombere: il viso tumefatto, frutto di colpi micidiali, e le gambe che vacillano. È la fine! Dietro di loro, due possenti braccia alzate arbitrali annunciano la sospensione dell'incontro. E il pubblico, come nell'antica Roma, urla, impreca, gioisce e ride.
Luigi Regianini
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