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Il 10 maggio 1913 il fondo del cratere formatosi con l’eruzione del 19O6 sprofonda di circa 75 metri. A partire dal 5 luglio 1913 lo sprofondamento viene riempito da un efflusso di lava, mentre scorie lanciate in aria si accumulano formando un conetto.
Fra il 1915 ed il 1920 il fondo del cratere si alza di circa 100 metri. Il primo trabocco di lava fuori dal cono avviene il 28 novembre del 1926 e tre anni dopo, nel giugno del 1929, si registra una violenta eruzione. Dopo questa eruzione, il Vesuvio alterna stasi e attività, per lo più concentrata all'interno del cono, per parecchi anni.
Il 12 agosto 1943 ai piedi del conetto si apre una bocca eruttiva, la cui attività provoca il crollo del conetto, seguito da esplosioni. Il flusso di lava aumenta e una colata si riversa all’esterno spingendosi per oltre 100 metri a valle. La lava continua a fluire all’esterno del cratere sino al 26 gennaio e all’interno dello stesso fino al 23 febbraio, giorno in cui l’attività effusiva cessa del tutto.
Nelle prime ore del 13 marzo 1944 crollano le pareti del conetto e cessa ogni tipo di attività fino al pomeriggio del 14 marzo, quando riprendono deboli lanci di scorie. Nella notte tra 17 e 18 marzo, con un poderoso crollo del conetto, cessa nuovamente ogni attività.
La sera del 18 marzo si verificano nuove esplosioni seguite da un’abbondante emissione di lava che segna l’inizio della prima fase (fase effusiva) dell’eruzione del 1944. La lava trabocca dall’orlo craterico in diversi punti e raggiunge, verso Nord, il fianco del Somma dal quale è deviata a Ovest verso il Fosso della Vetrana.
Le esplosioni aumentano e i lanci di scorie e brandelli di lava arrivano sino a 100 m. di altezza sopra l’orlo del cratere. La sera del 19 la lava raggiunge le prime case di Massa e S. Sebastiano, invade gli abitati e avanza fino a 1,5 km dal centro di Cercola, dove si ferma il 22 marzo.
Dalla mattina del 19 l’attività esplosiva si mantiene costante con tumultuosi lanci di scorie e brandelli di lava alti sino a 150 metri sull’orlo. Dalla sera del 18 al mattino del 19 si avvertono all’Osservatorio Vesuviano tremiti discontinui e, dalle ore 10 del 19, tremiti continui con intermittenti rinforzi.
Alle 17 del 21 marzo la colonna di magma si alza sino a 2 Km di altezza e inizia la seconda fase dell'eruzione che viene definita “delle fontane di lava”.
La prima fontana dura 30 minuti e la lava incandescente, ricadendo e accumulandosi sulle pendici esterne del Gran Cono, origina delle pseudo-colate di scorie. Una di queste, particolarmente grande, si forma a Ovest-Sud-Ovest dove raggiunge i 700 m s.l.m.
Alle 17,30 ritorna una calma quasi totale con una notevole riduzione dei fenomeni esplosivi e la cessazione dei tremiti.
La pausa eruttiva si protrae sino alle 20,10, allorché inizia a manifestarsi una nuova fontana lavica che dura 20 minuti e presenta le medesime caratteristiche della precedente. Anche questa è seguita da una riduzione generale dell’attività eruttiva. L’andamento alterno dell’eruzione continua a ripetersi per tutta la notte ed il mattino del 22 marzo. Si susseguono 8 fasi di fontane di lava; con l’ultima si ha il massimo eruttivo di tutto il parossismo.
Dalle 12 del 22 marzo si verifica un graduale cambiamento e, oltre al materiale incandescente, viene emesso anche materiale litico strappato dal condotto. A questo punto ha inizio la terza fase dell'eruzione, detta delle “esplosioni miste”.
Alle pseudo-colate di scorie, caratteristiche della seconda fase, seguono nuovi fenomeni di flusso chiamate “valanghe incandescenti” e “nubi ardenti in miniatura”. Il flusso principale si sovrappone alla colata lavica meridionale spingendosi, in pochi secondi, per 2 km oltre l’orlo craterico.
Il conetto centrale, in ricostruzione dal 18 marzo, si salda, nel pomeriggio del 22 marzo, alle pareti interne del Gran Cono, raggiungendo una quota massima di oltre 1.260 m s.l.m.
Alle ore 21 del 22 marzo, riprendono le esplosioni che durano fino alle prime ore del 23 marzo, per poi decrescere gradualmente. Nel corso dello stesso giorno le colate si arrestano completamente; quella a Sud si ferma a 350 m s.l.m. (rioni Monticelli-Le Voccole) e quella a Nord si ferma a 120 m s.l.m.
Alle 12 del 23, mentre le esplosioni sono in decremento, incominciano ad essere avvertite all’Osservatorio un numero sempre crescente di scosse sismiche. La crisi sismica precede di poco un nuovo cambiamento nell'eruzione. Infatti, dalle 14, vengono eruttati prevalentemente ceneri e materiali scuri e comincia un’alternanza di scosse sismiche e esplosioni.
Col procedere di questa fase, “sismo-esplosiva”, inizia una graduale riduzione dei fenomeni. Il 24 marzo continua l’emissione di ceneri che diventano più chiare. Il 27 e 28 le esplosioni sono sempre più rare e generalmente meno violente e, il 29, l’eruzione può dirsi conclusa. Tutta l’attività si riduce a semplici esalazioni fumaroliche post-eruttive.
Terminate le esplosioni, le pareti del cratere e i fianchi del Gran Cono iniziano a essere interessati da fenomeni di assestamento. Il 29 marzo il cratere presenta una profondità centrale rispetto all’orlo di 300 m e un perimetro di 1,6 Km. L’orlo Ovest, il più interessato dalle frane, risulta a 1.169 m e quello Nord-Est a 1.300 m s.l.m..
Il bordo del cratere pur essendo alquanto irregolare, si avvicina, visto dall’alto, alla forma ellittica con l'asse maggiore di 580 m (Est-Ovest) e quello minore di 480 m (Nord-Sud). Per i continui fenomeni di frana il cratere subisce negli anni successivi numerose modificazioni.
L’eruzione avviene poco dopo l’arrivo delle truppe alleate a Napoli. A causa degli eventi bellici, l’Osservatorio è diventato una stazione metereologica degli alleati ed il suo Direttore, Giuseppe Imbò, è relegato in un’unica stanzetta dalla quale compie le sue osservazioni nei giorni dell’eruzione.
L’evento coglie di sorpresa gli americani e causa loro danni maggiori di un bombardamento aereo: un intero stormo di bombardieri B29 che si trovava nel campo di atterraggio in prossimità di Terzigno viene distrutto in breve dalle ceneri.
Il Vesuvio sembra così voler manifestare per l’ultima volta tutta la sua potenza prima di rientrare in un minaccioso riposo che dura a tuttoggi. Gli unici segni della sua attività sono alcuni piccoli terremoti che vengono costantemente registrati dai sismografi dell’Osservatorio Vesuviano e l’attività fumarolica che si osserva al cratere.
“19 marzo. Oggi il Vesuvio ha eruttato. È stato lo spettacolo più maestoso e terrribile che abbia mai visto (...). Il fumo dal cratere saliva lentamente in volute che sembravano solide. Si espandeva così lentamente che non si vedeva segno di movimento nella nube che la sera sarà stata alta 30 o 40 mila piedi e si espandeva per molte miglia. (...)
Di notte fiumi di lava cominciarono a scendere lungo i fianchi della montagna. (...) Periodicamente il cratere scaricava nel cielo serpenti di fuoco rosso sangue che pulsavano con riflessi di lampi. (...)
22 Marzo (...) In seguito alle notizie che San Sebastiano stava per essere spazzata via dal corso della lava e che Cercola era minacciata, sono stato mandato per fare un rapporto su quanto avveniva. (...)
Io ero proprio sotto la grande nube grigia piena di rigonfiamenti e protuberanze come un colossale pulsante cervello. Raggiunta S. Sebastiano, sembrava incredibile che tutta quella gente potesse aver voluto vivere in tal posto. La città era costruita all’estremità di una lingua di terra fin ad ora rispamiata dal vulcano, ma completamente circondata dai tremendi campi di lava lasciati dall’eruzione del 1872, anzi proprio in una valle fra di esse.(...)
Qui, in mezzo a questa “terra di nessuno” del vulcano, qualsiasi dilettante avrebbe predetto la distruzione della città con matematica certezza, ma apparentemente nessun cittadino di S. Sebastiano ne avrebbe mai ammessa la possibilità. Il legame con la città è una questione di fede religiosa. Gli edifici sono stati costruiti solidamente per resistere nei secoli (...) Tutte le finestre guardano ad ovest, alle verdi vallate verso Napoli, e le case hanno il retro verso il grigio, eterno cono del vulcano (...).
All’ora del mio arrivo la lava stava scivolando tranquillamente lungo la strada principale e, a circa 50 iarde dal fronte di questa massa debordante, una folla di diverse centinaia di persone, per la maggioranza vestite di nero, era inginocchiata in preghiera (...). Di tanto in tanto un cittadino più arrabbiato afferrava uno stendardo religioso e lo agitava con furia verso il muro di lava, come a scacciare gli spiriti maligni dell’eruzione. (...)
Una casa lentamente aggirata e poi sovrastata dalla lava scomparve intatta dalla vista e seguì un debole, distante scricchiolio mentre la lava cominciava ad inghiottirla. (...) Un certo numero di persone reggeva, a fronteggiare l’eruzione, immagini sante e statue fra cui quella dello stesso S. Sebastiano; ma in un lato della strada notai, con molte persone, la presenza di un’altra statua coperta da un lenzuolo bianco (...).
Questa era l’immagine di S. Gennaro contrabbandata da Napoli nella speranza che essa potesse essere di utilità se tutte le altre avessero fallito. Era stata coperta col lenzuolo per evitare un’offesa alla confraternita di S. Sebastiano e al santo stesso che si sarebbe potuto risentire di questa intrusione nel suo territorio. S. Gennaro sarebbe stato portato all’aperto solo come ultima risorsa. (...) Il carabiniere non pensava che questo sarebbe stato necessario, in quanto gli era chiaro che la colata di lava stava rallentando.”