Gianfranco Zigoni
Correva l'anno 1972. Era estate, compro il giornale
e vado in spiaggia. Lo apro e leggo: "Zigoni al Verona". Aquel temponoi
giocatori eravamo gli ultimi a sapere. All'ora di pranzo mi arriva una
telefonata. È un dirigente della Roma che mi conferma la cessione
alla società scaligera. Io mi incavolo. Era il periodo della "Roma
godereccia" e con il pubblico capitolino avevo instaurato un ottimo
rapporto. Ero il loro beniamino e non mi andava proprio di essere spedito
a Verona come un pacco postale. Ma già al primo impatto ho dovuto
ricredermi. La città mi apparve subito bellissima e me ne innamorai a
prima vista...
Già nel ritiro di Arco mi accorsi che potevo diventare un giocatore
importante. Soprattutto per le attenzioni che mi riservavano i tifosi.
Nelle prime partitelle toccavo la palla e scrosciavano gli applausi. E
allora mi sono detto: "Zigo, qui puoi essere qualcuno"...
L'idillio era ormai scoppiato e ancora adesso quando penso a Verona mi
brillano gli occhi. Sono stati sei anni stupendi, con l'unico neo della
telefonata di Garonzi che ci è costata la retrocessione...
In serie B facevo ciò che volevo. Alla prima partita il Verona va a
Bergamo con l'Atalanta. Ho la pubalgia che mi affligge, ma gioco lo
stesso. In scioltezza, faccio due gol. In tribuna ci sono Fraizzoli ed
alcuni giocatori dell'Inter. La società neroazzurra mi vuole a tutti i
costi. Al termine della gara Saverio Garonzi mi avvicina e mi dice: "Zigo,
vai all'Inter, ti supplico. Mi danno 700 milioni e ormai ho il telefono
rosso. Non ce la faccio più a tergiversare: bisogna dare una risposta a
Ivanoe". Lo guardo negli occhi e gli rispondo: "Saverio, non se ne parla
neanche. Io voglio riportare il Verona in serie A". Lui abbassa lo
sguardo, mi dà una pacca sulla spalla, e fa un cenno di assenso con la
testa. Solo un pazzo come me poteva rifiutare un'offerta simile. Mi
riempivano di soldi e coronavo un sogno che cullavo fin da fanciullo:
vestire la magli dell'Inter, la squadra per la quale simpatizzavo. Ma il
Verona mi era entrato nel cuore...
Cosa sognavo? Sognavo il Bentegodi gremito in ogni ordine di posti, io con
la mia maglia numero 11 sulle spalle che disputo una partita eccezionale.
Avversario di turno è il Milan. Al 90° la partita è inchiodata sullo 0-0
di partenza. Ma la palla giunge a Zigo, che scarta due avversari e
sull'uscita del portiere deposita in rete. La curva esplode di gioia. Il
boato della folla sale alto nel cielo di Verona. I tifosi invocano il mio
nome, mi guardano mentre mi fermo davanti a loro con le braccia alzate e
prima di ricevere l'abbraccio dei compagni mi accascio al suolo e muoio.
Una morte da eroe, come il "Che", che mi sarebbe anche valsa
l'intitolazione dello stadio di Verona. Non è successo, ma forse accadrà
in un'altra vita...
So che il presidente Alberto Mazzi ha creato una mascotte e la chiamata
Zigo. Per me è un onore e avrei pagato di tasca mia perché si
concretizzasse una iniziativa di questo genere. Credetemi, quando parlo di
Verona io mi ritengo un miliardario. Perché un miliardario non è ricco
come me. Non ha la fortuna di essere amato così a lungo da tanta gente
senza sapere con esattezza il motivo per cui è nato questo amore. Certe
volte penso che, se avessi saputo tutto questo, magari mi sarei impegnato
di più per la causa gialloblu. Ma poi rifletto e mi dico che la coscienza
ce l'ho a posto. Perché io piacevo per quello che ero. Fuori casa non sono
mai stato un leone. Anzi, diciamo che ero quasi sempre nullo. Ma una
spiegazione c'è: i miei tifosi non c'erano ed io mi sentivo abbandonato.
Inoltre, mi dicevo, se segno, dove vado? Con chi posso condividere la mia
gioia? In casa, invece, mi scatenavo. E quando mettevo la palla in rete
sapevo dove andare, dove correre a braccia alzate. E ogni volta che
accadeva era un'emozione diversa dalle altre. Io ero un artista e come
tale amavo esibirmi davanti al "mio" pubblico. Ero un timido e i miei
tifosi mi davano una forza interiore incredibile. E solo così diventavo
incontenibile...
Sono stati i sei anni più belli della mia vita di calciatore e certe cose
non si possono dimenticare. Ancora adesso, quando rifletto sul mio passato
e ricordo che ho giocato in serie A, penso che ci ho giocato con il
Verona. Mica con la Juve. E il motivo, ritengo, è uno solo: io la maglia
gialloblu me la sento cucita addosso. E sara così per tutta la vita.
Testo tratto da:
"Storie in gialloblu"
Verona, Chievo e Scaligera Basket
raccontati dai protagonisti
di Antonio Spadaccino
Edito da:
Associati Media srl
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